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Riflessioni sull'Alchimia

Riflessioni sull'Alchimia

di Elena Frasca Odorizzi   indice articoli

 

Il trattato sul Picatrix e i suoi rapporti con la magia

di Roberto Taioli - Maggio 2009
Capitolo 2) Lettura ed esegesi del Prologo
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        L’autore - diremmo oggi, ma ovviamente l’espressione è inadeguata - sembrerebbe mosso da un intento di divulgazione e da una moralità pedagogica e didattica, come chi, in possesso dei segreti di una scienza, si sforzi  di insegnarla ad altri. Ma in questo caso l’autore compirebbe quasi un gesto rivoluzionario e potenzialmente eversivo, propalando ciò che era nascosto e degradando in un altro linguaggio quanto finora scritto in forma oscura.
       Perché violare questa oscurità? Non viene detto esplicitamente, ma forse possiamo arguirlo da questo passaggio:

 

«Supplico, pertanto, l’Altissimo Creatore affinché questo mio libro venga in mano ai soli sapienti, affinché posano capire qualcosa di quanto sto per esporre e farne buon uso, e a coloro che, in virtù di quanto da esso conosceranno, vorranno operare per il bene e al servizio di Dio».(12)

 

       L’autore quasi opera su di sé una diminuitio, come se volesse trasferire il suo messaggio in mano ai sapienti, affidando ad essi il compito di coglierne il succo e dilatarne gli influssi per il bene e al servizio di Dio.
       Emerge qui quell’ideale soteriologico, proprio di un’opera destinata ad operare per la salvezza, che troveremo anche in altri luoghi del trattato, quasi a delinearne l’escatologia. Risulta così fin d’ora un po’ difficile, e forse forzato, ascrivere il trattato a quel genere della magia astrale – secondo la terminologia fiorita in medioevo – che recava con sé un significato negativo. Nel Prologo si trovano invece elementi per sostenere il contrario: tutto l’impianto della implorazione e della supplica a Dio, gli stessi tratti del Dio Creatore e ordinatore dell’universo, sembrano alludere ad un destino salvifico che sia possibile perseguire attraverso anche la filosofia del cielo, lo studio del cosmo e della natura.
       Un Dio che sa essere benevolo, dispensatore di conoscenza, provvido e munifico elargitore di doni per l’umanità, tra i quali quello della conoscenza; questi tratti di Dio operante per l’uomo, seppur attraverso una grande e incolmabile distanza, spostano l’asse del trattato verso una aura di felicità che l’universo ha in sé nascosto, nelle sue immense sfaccettature, e che è possibile intercettare con le pratiche e tecniche esoteriche di cui vedremo più avanti. Intanto registriamo ancora questa precisa affermazione dell’autore:

 

«Sappi, fratello carissimo, che il più grande e nobile dono che Dio fece agli uomini di questo mondo è la conoscenza, poiché conoscendo acquistiamo notizia dei fatti più antichi e di quali siano le cause di tutte le cose del mondo; di quali cause siano le più prossime alle cause di altre cose e del modo in cui tutto si accorda con un’altra, sicchè veniamo a conoscenza di tutto ciò che esiste, di quale sia la gerarchia in cui una cosa deve essere posta e in che luogo sia colui che è fondamento e principio di tutte le cose di questo mondo e per mezzo del quale tutto è separato e di tutto, antico e nuovo, noi abbiamo conoscenza».(14)

 

       Le parole che precedono appartengono all’esordio del capitolo primo del Libro I e costituiscono un  prolungarsi e dilatarsi del Prologo, giacché anch’esse trattano della natura di Dio. Quanto detto nelle righe del Prologo qui viene approfondito e scandagliato anche con un certo rigore teoretico. Abbiamo davanti una pagina densissima che fa da introduzione filosofica all’intero trattato, il quale non potrebbe essere proficuamente letto senza questa premessa.
Dio, elargitore della conoscenza, ha voluto il mondo in base al principio della sympatheia, per cui nessuna cosa giace isolata e separata, ma ogni cosa tende all’accordo con le altre in un legame di attrazione e relazione; ciò, però, non esclude il costituirsi di una gerarchia, di una gradazione ed articolazione che riguarda l’ordine e la posizione in cui le cose sono messe in modo tale che la conoscenza risulti chiara o confusa. Le cose si imparentano e si coniugano in nome di un principio di contiguità e prossimità, anche se noi le vediamo e percepiamo come separate. Cioè esiste uno scarto tra come le cose sono radicate e volute dalla necessità divina, e come invece si manifestano, si fanno vedere da noi, uomini comuni.
Questo Dio necessario e che non può non essere,

 

«è il primigenio e nulla gli fa difetto, né ha bisogno di qualcosa d’altro, poiché è causa di se stesso e di tutte le altre cose senza necessitare di altre qualità. Egli, in verità non è né corpo né materia, né è parte in qualcosa d’altro all’infuori di sé, bensì esiste in se stesso. E perciò non può che essere detto “uno”. Quindi esiste propriamente una sola verità, un’unica unità e per mezzo suo ogni cosa riceve unità. Egli è anche la verità suprema né ha bisogno di altre verità: ogni cosa da lui ha e riceve verità. Eccetto lui ogni cosa è imperfetta; infatti egli solo è perfetto. Né possono essere, senza  di lui, verità o unità perfette, in quanto solamente la sua verità e la sua unità possono essere dette perfette. In verità, tutte le cose gli sono sottoposte e da lui ricevono  verità e unità, generazione e corruzione come per propria causa. In virtù di questo è possibile sapere in che misura, modo e qualità ogni cosa partecipa di quelle. Egli soltanto conosce l’ordine e il grado di generazione e corruzione di tutte le creature e quali siano le cause prime, intermedie, ultime delle loro corruzioni; e quali siano le cause ultime delle loro corruzioni, poiché queste non sono causa di alcuna generazione, mentre le intermedie hanno causa nella loro corruzione ed esse stesse sono causa di corruzione di tutto ciò che esiste sotto di esse».(15)

 

       Tutto il mondo, pur nel suo articolarsi e frammentarsi nella molteplicità delle cose, riposa su una primigenia unità. Dio è questa unità, causa sui, inderivato, artefice di se stesso e, nel suo essere assenza di determinazioni, fonte di tutte le cose. Se Egli infatti fosse qualcuna delle cose e qualcuna delle proprietà, non potrebbe dirsi “uno” perché già contaminato dal molteplice.
       La scala gerarchica che da lui prende avvio lo pone in uno spazio di distacco e di separatezza rispetto al formarsi delle cose, che sono tutte imperfette e che partecipano in forme diverse della imperfezione di tutto ciò che non è Dio. Il generarsi e il corrompersi delle creature, il loro alternarsi senza sosta e senza spiegazione, trovano solo in Dio il fondamento della spiegazione, che è però preclusa agli uomini. Le creature imperfette non possono infatti chiedere di conoscere ciò che è al di fuori del loro ordine, limitandosi a vivere, senza conoscere, nella loro natura.
       La necessità di Dio è quindi il fondamento dell’imperfezione del molteplice, cosicché esso stesso non esisterebbe se non fosse stata posta in principio l’assoluta perfezione di Dio, solo rispetto al quale è possibile nominare le creature imperfette.

 

«Dio è causa e generazione di tutto ciò che esiste sotto di lui  e [sa] che nulla è più alto o perfetto di lui e quale sia la causa di questa generazione e corruzione. Né c’è, oltre a lui,  qualcuno che possa conoscere perfettamente la gerarchia del creato, in che modo gli essere ai livelli più bassi ascendano in forza della similitudine dell’uno con l’altro per entrare in contatto con quelli al livelli più alti, e come da questi si discenda lungo la gerarchia del creato, per entrare in contatto con i suoi infimi gradini. Infatti Dio è la sola e prima filosofia perfetta e scienza di verità. Sappi che il conoscere è cosa somma e nobile e che devi ogni giorno studiare nel rispetto del volere di Dio – cioè per sua concessione  e sua bontà – poiché la conoscenza, l’intendimento e la bontà da lui procedono. E il suo spirito è una luce nobile e alta. Chi in lui intende studiare, deve spregiare le cose di questo mondo perché finite e incerte nella loro durata».(16)

 

       Viene qui esplicitato il principio della similitudine che imparenta gli esseri in forza del quale essi si relazionano agli altri (altrove abbiamo chiamato questa connessione sympatheia) posti al livello più alto, in una compartecipatio tra alto e basso, tra ritmo dell’ascendere e del discendere, lungo i gradi della gerarchia. Si vede qui affermata e confermata l’assoluta perfezione di Dio, garante della gerarchia ma profondamente estraneo ad essa. Dio non si caratterizza nelle cose, non entra in gioco nel movimento delle sue creature. Egli possiede e detiene la scienza del loro disporsi ed esistere nella scala del  molteplice, ma non ne fornisce l’evidenza.
       E’ interessante qui notare come l’autore parli di una filosofia perfetta o scienza della verità e che postuli – nel suo rivolgersi all’ascoltatore o al lettore – una introduzione allo studio dei misteri. Sembra il delinearsi di un cammino ascetico che prevede la spogliazione, la kenosi, se non addirittura il dispregio per il mondano, il molteplice, il mutevole, per immergersi, previa concessione di Dio, nella contemplazione dell’infinito.

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NOTE

12) Picatrix, cit., p. 27.

14) Picatrix, cit., p. 29.

15) Picatrix, cit.,  pp. 29-30.

16) Picatrix, cit., p. 30.


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