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Riflessioni sull'Alchimia

Riflessioni sull'Alchimia

di Elena Frasca Odorizzi   indice articoli

 

La Via Alchemica in una Rivisitazione del Tarocco del Carro

Marzo 2009
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La Via Alchemica in una Rivisitazione del Tarocco del CarroDa ormai qualche anno desidero disegnare un mazzo di Tarocchi in chiave Alchemica, ma prima di “gettarmi in questa impresa”, ho preferito dedicarmi allo studio dell'evoluzione iconografica degli Arcani Maggiori dal punto di vista dell'Esoterismo Tradizionale [1] . Nell'attesa, mi è capitato di partecipare a un'iniziativa di gruppo, nella quale ho realizzato una mia interpretazione del Tarocco del Carro. Questo progetto prevedeva che persone con esperienze diverse, tanto nella vita che in ambito esoterico, scegliessero una tra le 22 carte dei Tarocchi e la realizzassero usando la tecnica artistica che consideravano più congeniale per esprimersi (illustrazione, computer grafica, collage, scrapbooking, tessitura, ecc.). La forma del mazzo poteva essere sia quadrata che rettangolare e io ho scelto  tra le carte restanti del mazzo quadrato. Lo scopo finale di questo “gioco” era compiere un Viaggio nel quale ci saremmo rispecchiati nei significati di una carta che sentivamo affine (od ostile), creando un mazzo comune. Senza alcuna pretesa di tradizionalismo ci siamo lasciati guidare esclusivamente dal desiderio di farci coinvolgere dai simboli e alla fine ognuno ha consegnato la sua carta, con tanto di parafrasi personale. Quella che segue è la spiegazione del mio Tarocco.

 


In origine (1442) il gioco dei Tarocchi si chiamava Ludus Triomphorum, (Gioco dei Trionfi) e solo dal XVI prese il nome di Gioco dei Tarocchi. Nel VII Arcano questa idea di “trionfo” trova la sua perfezione, in quanto la carta rappresentata è un cocchio trionfale, simile a quello che i consoli vittoriosi e gli imperatori usavano per andare in Campidoglio a ricevere il triunphum. Nel mazzo Visconti, che è uno dei più antichi (1450), il Carro viene trainato da due cavalli bianchi alati, guidati, senza briglie, dalla rappresentazione tardo medioevale/rinascimentale della Fama.   L’immagine femminile, nelle fattezze di una Donna regale con i simboli del potere imperiale nelle mani (lo scettro e il globo), fu rapidamente sostituita dalla figura di un condottiero vittorioso, come quello delle carte di Carlo VI (Il Tarocco Gringonneur). Nel corso dei secoli, anche l’iconografia dei cavalli subì dei cambiamenti, forse a causa del loro stesso significato che richiamava alla mente il mito della biga alata di Platone, riproposto nel Rinascimento dalla corrente ermetico-neoplatonica del cenacolo fiorentino presieduto da Marsilio Ficino.
Il mito del Carro si trova nel Fedro [2] e servì a Platone per spiegare che la tensione spirituale verso la conoscenza (il Nosce te Ipsum Delfico [3] ) era  provocata dall'Immortalità stessa dell’Anima, la quale voleva e poteva sottrarsi al ciclo delle rinascite [4] , attraverso un processo di reminescenza [5] chiamato Anamnesi Platonica [6] . Secondo il filosofo Ateniese, l’Anima aveva perso le ali ed era precipitata sulla terra, ma vita dopo vita, ogni volta che percorreva la Via del bene e della saggezza, ricordava gli istanti durante i quali si era potuta sollevare al di sopra delle passioni, gettando uno sguardo nella “regione iperuranica”: nel «campo della verità» dove si trova il «pascolo adatto alla parte migliore dell’anima, onde si nutre la natura delle ali per cui l’anima si libra in alto [7] ». Solamente ogni diecimila anni è possibile tornare «colà donde [l'Anima] mosse e recuperare le ali», ma ai Filosofi è concesso abbreviare di 3000 anni  questo ciclo, perché, con la loro arte immaginativa e speculativa, possono contemplare più a lungo «la pianura» e ricordarsi meglio la strada del ritorno. Gli ostacoli disseminati lungo il percorso sono creati dall’essere umano, che tiene una metà di se stesso nell'ignoranza [8] , cioè in una sorta di disequilibrio conflittuale interno, che lo porta alla “non conoscenza” dei meccanismi delle sue due Menti (i Cavalli), con conseguente incapacità di controllo sulla totalità del suo Essere Individuale (Auriga che si fa guidare dai suoi Cavalli) [9] :

 

«(XXV,246) [l'Anima è simile]  ad una congenita forza alata d’una coppia di cavalli e d’un auriga: ma i cavalli e gli aurighi divini son tutti buoni e di buon lignaggio; quelli degli altri: misti. E in primo luogo, nel caso degli uomini, l’auriga guida, sì, la pariglia, ma dei suoi cavalli l’uno è eccellente e di razza eccellente, l’altro di pessima razza e pessimo esso stesso; e per conseguenza l’opera dell’auriga non può non riuscir penosa e difficile. Cosicché quando gli Dei guidano i loro carri (XXVI,247-8) […] ascendono verso il culmine della volta celeste per una via erta, dove i loro carri, bene equilibrati e perciò agevoli a guidare, s’avanzano con facilità, ma gli altri a stento, perché  il cattivo cavallo fa peso, inclinando verso la terra e trascinando l’auriga da cui non sia stato convenientemente addestrato. E qui l’anima ha da sostenere lo sforzo e la prova più ardua. Giacché le anime che si dicono immortali, giunte sull’alto, uscite fuori, si fermano sulla volta celeste e, tratte in giro dal moto circolare, contemplano tutto quello che è al di fuori del cielo.»

 

Impossibile non sentire l'eco di queste parole nell'Antro delle Ninfe di Porfirio, laddove si parla di “Anime Immortali che ascendono agli Dei attraverso le parti Meridionali” [10] , così come non si possono non intravedere probabili contaminazioni culturali [11] tra le Upanishad Indiane e il Mito del Carro di Platone [12] , leggendo questi passi scelti:

 

«[Upanishad Svetasvara, II, 9 ]: L'aspirante deve tenere la mente sotto perfetto controllo, come un cocchiere tiene alle redini i destrieri bizzarri. [Katha Upanishad I, III, 3] Il corpo é simile a un carro di cui l'Atman é il padrone.  [...] quando l'io resta associato al corpo e agli oggetti corporei dei sensi, anche la mente diventa irrequieta, al pari di un cavallo riottoso nelle mani del guidatore. Allora l'uomo perde se stesso [I, III, 5]. Ma quando si ha il controllo della propria mente attraverso una severa padronanza dei sensi e si acquista la discriminazione, si acquista un potere completo sui sensi, proprio come il guidatore padroneggia cavalli addestrati. [I, III, 6]»

 

L'altra importante influenza sulla formazione ideologica della carta del Carro, proviene dall'Esoterismo Ottocentesco. In quel periodo, coloro che si interessavano ai Tarocchi erano fortemente debitori del pensiero occultista di Eliphas Levi e mescolavano elementi Egizi con insegnamenti provenienti dalla Qabbalah. Da Oscar Wirth (1889) in poi, i  due cavalli vennero, quindi, sostituti da altrettante Sfingi Egizie e il significato del Carro risentì degli influssi ebraici del percorso mistico del Maase Merkavà, la Via o l'Opera del Carro. Questo cammino si fondava sul primo libro di Ezechiele (I, 5-28), nel quale Dio  si rivela splendente al Profeta, su un carro cosmico guidato dai Chayot, le 4 creature viventi:

 

«[5] Al centro apparve la figura di quattro esseri animati, dei quali questo era l'aspetto: avevano sembianza umana [6] e avevano ciascuno quattro facce e quattro ali. […] [10] Quanto alle loro fattezze, ognuno dei quattro aveva fattezze d'uomo; poi fattezze di leone a destra, fattezze di toro a sinistra e, ognuno dei quattro, fattezze d'aquila. […] [21] Quando essi si muovevano, esse si muovevano; quando essi si fermavano, esse si fermavano e, quando essi si alzavano da terra, anche le ruote ugualmente si alzavano, perché lo spirito dell'essere vivente era nelle ruote. […] [26] Sopra il firmamento che era sulle loro teste apparve come una pietra di zaffìro in forma di trono e su questa specie di trono, in alto, una figura dalle sembianze umane. [27] Da ciò che sembrava essere dai fianchi in su, mi apparve splendido come l'elettro e da ciò che sembrava dai fianchi in giù, mi apparve come di fuoco. Era circondato da uno splendore [28] il cui aspetto era simile a quello dell'arcobaleno nelle nubi in un giorno di pioggia.»

 

L'immagine dei Chayot fu ripresa da Giovanni nell'Apocalisse [IV, 4-7], che però attribuì un solo aspetto a ciascuno dei quattro esseri, che accompagnavano il trono divino:

 

«[4] Attorno al trono, poi, c'erano ventiquattro seggi e sui seggi stavano seduti ventiquattro vegliardi avvolti in candide vesti con corone d'oro sul capo.[5] Dal trono uscivano lampi, voci e tuoni; sette lampade accese ardevano davanti al trono, simbolo dei sette spiriti di Dio. [6] Davanti al trono vi era come un mare trasparente simile a cristallo. In mezzo al trono e intorno al trono vi erano quattro esseri viventi pieni d'occhi davanti e di dietro. [7] Il primo vivente era simile a un leone, il secondo essere vivente aveva l'aspetto di un vitello, il terzo vivente aveva l'aspetto d'uomo, il quarto vivente era simile a un'aquila mentre vola.»

 

S. Ireneo fu il primo a collegare i quattro Evangelisti [13] alle quattro creature viventi [14] , così come descritte da Giovanni e da allora: Marco fu associato al Leone (Fuoco), Giovanni all'Aquila (Aria), Matteo a una Figura Angelica o Femminile (Acqua) e Luca al Toro (Terra) [15] . Questi 4 animali sono gli stessi che Crowley (1944) usò al posto dei due cavalli per il suo Tarocco del Carro, mentre Wirth preferì le Sfingi, non solo come riferimento all'Arcana Sapienza Egizia, ma forse anche come immagine simbolica dei Cayot di Ezechiele, dato che questi esseri hanno contemporaneamente corpo taurino, ali d’aquila, zampe di leone e  testa di Donna.

 

Partendo da queste premesse storico-simboliche, ho cercato di trasportare la mia rappresentazione del Carro nella nostra epoca, provando a racchiudere in esso i significati del passato, del presente e tutte le suggestioni esoteriche occidentali e orientali che questo Arcano suscita in me.

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NOTE

[1] Vedi su Riflessioni.it, il mio L'evoluzione della Simbologia degli Arcani Maggiori nei mazzi di Tarocchi delle Scuole Esoteriche Tradizionali del XIX – XX secolo, tra Ermetismo e Magia.

[2] PLATONE, Tutte le Opere, Milano, Sansoni Editore, 1993,  Fedro, XXIV – XXIX, 245-249

[3] «[67] Gesù disse: “Colui che conosce il tutto, ma è privo (della conoscenza) di se stesso, è privo del tutto”.» Vangelo Gnostico di Tomaso.

[4] Cfr. anche le credenze degli Orfici e dei Pitagorici nella Metempsicosi.

[5] Va detto, però, che Platone scambia l'intuizione e le altre abilità degli emisferi cerebrali per un sapere preesistente e dimenticato al momento della nascita (cfr. Orfici e Pitagorici). Questo sapere non avrebbe niente a che vedere con l'esperienza sensibile, ma verrebbe risvegliato gradualmente con l'aiuto della conoscenza intellettiva degli oggetti sensibili. Al contrario, nella psicoterapia moderna, pur restando assolutamente valido il concetto di base che “Conoscere è Ricordare”, la reminescenza emerge grazie all'analisi dell'esperienza accumulata nelle varie età della vita che stiamo sperimentando qui e ora, senza tirare in ballo vite precedenti.

[6] Cfr la Maieutica Socratica. Per Socrate il saper porre la domanda giusta, il saper domandare è essenziale per saper interpretare e quindi saper comprendere.

[7] PLATONE, Fedro, XXVIII , 248

[8] Cfr. Il Mito della Caverna.

[9] A questo proposito vedere la mia riflessione sull'Alchimia Spirituale e gli Emisferi Cerebrali, su Riflessioni.it

[10] «Due sono le porte, l’una che scende verso Borea è per gli uomini, l’altra verso Noto ha (un carattere) più divino; per di là non entrano gli uomini, ché è la via degli immortali. [...] E rettamente gli ingressi dell’antro volti a Borea discendono per gli uomini, mentre le parti di Meridione non sono proprie agli dèi, ma a coloro che ascendono agli dèi.» Porfirio, L’Antro delle Ninfe (De antro Nympharum), Collezione Sebastiani, Milano, Archè, 1974 , XXIII, p. 46 . Il libro può essere consultato su Zenit http://www.zen-it.com/symbol/porfirio.htm

[11] Il carro era evidentemente una immagine quotidiana per quel tempo, ma attraverso l'Asia Minore (dove sorse la Filosofia Naturalistica), vi è sempre stato un flusso di scambio tra Occidente e Oriente.

[12] Vedi: Paolo Scroccaro, Platone e le Upanishad, in http://www.estovest.net/tradizione/platoupanish.html

[13] Gli Evangelisti erano visti come i quattro pilastri del mondo cristiano.

[14] S. Ireneo, originario dell'Asia Minore, fu Vescovo di Lione (180 d. C. circa). Difese la scelta di soli 4 Vangeli , adducendo come l'analogia con i 4 punti cardinali, i 4 esserei viventi dell'Apocalisse, i 4 fiumi del Paradiso, ecc.   Di conseguenza associò anche i 4 Evangelisti alle 4 Creature Viventi dell'Apocalisse di Giovanni. Questo portò in seguito anche alla creazione di una “tabella di corrispondenze” usata dai Maghi in riferimento al Tetragrammaton, cioè le 4 lettere del nome di Dio, in associazione ai 4 elementi, le 4 direzioni astronomiche, i 4 segni zodiacali fissi, ecc.

[15] Questa è l'attribuzione rivista e imposta da S. Girolamo, perché la sua motivazione la più convincente: «Matteo è raffigurato dall’uomo perché nella prima pagina riporta la genealogia di Gesù, e dunque parla della sua origine umana. Marco invece è il leone perché nella prima pagina presenta il Battista che, come un leone, grida la sua testimonianza nel deserto. Luca è rappresentato dal toro perché introduce come primo personaggio del suo racconto Zaccaria, il padre del Battista, il quale, essendo sacerdote del tempio, come tale offriva sacrifici di tori. Giovanni infine è l’aquila, per il volo sublime dell’inno al Verbo con cui si apre il suo sublime vangelo.  Per S. Ireneo l’Aquila, invece, era il simbolo di Marco e il Leone di Giovanni» Vedi: GIANCARLO BIGUZZI, I simboli dei 4 Evangelisti, http://www.gliscritti.it/approf/2007/papers/biguzzi140907.htm


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