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Riflessioni Filosofiche

Riflessioni Filosofiche   a cura di Carlo Vespa   Indice

 

Rorty e l'ironia liberale

di Massimo Fontana - Dicembre 2014

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Blind Impress

 

Riducendo le differenze gerarchiche tra le attività intellettuali, le rivoluzioni scientifiche sono ridescrizioni metaforiche della natura anziché intuizioni definitive. Il compito assegnato alle narrazioni, attraverso le metafore, non è molto diverso da quello scientifico, si tratta di concepire dei progetti e di affermarli in un confronto sociale.

Rorty si definisce un fisicalista non riduzionista, per lui il linguaggio è costituito da entità fisiche, una realtà a sé indipendente e tangibile quanto un tavolo di legno o un ombrello. I termini pongono degli accostamenti audaci e bizzarri, descrizioni dissonanti, aggiornabili. Accostare stati cerebrali ed enunciati.

“I shall define a "physicalist" as someone who is prepared to say that every eventi can be described in micro-structural terms, a description which mentions only elementary particles, and can be explained by reference to other events so described. This applies, e. g., to the events which are Mozart composing a melody or Euclid seeing how to prove a theorem. Then to say that Davidson is an "anti-reductionist" physicalist is to say that he combines this claim with the doctrine that "reduction" is a relation merely between linguistic items, not among ontological categories” Richard Rorty, Objectivity, Relativism and Truth. Philosophical Papers Vol. I, Cambridge 1991, pagine 114-115, traduzione italiana: definirò 'fisicalista' un individuo che è disposto ad affermare che ogni evento può essere descritto in termini microstrutturali - una descrizione che fa menzione soltanto di particelle elementari - e può essere spiegato mediante il riferimento ad altri eventi descritti in questo modo. Ciò si applica, ad esempio, ad eventi quali Mozart che compone un melodia o Euclide che scopre la dimostrazione di un teorema. Allora affermare che Davidson è un fisicalista antiriduzionista significa affermare che egli combina questa tesi con la dottrina secondo la quale la 'riduzione' è semplicemente una relazione tra entità linguistiche, e non tra categorie ontologiche (Richard Rorty, Scritti filosofici I, Roma 1994, p. 155).

Sappiamo dagli anni delle dispute analitiche che per Rorty è preferibile parlare di cervello e non di mente. Ciò che noi chiamiamo conoscenza consiste in una sequenza continua di eccitazioni del sistema nervoso. Il nostro sistema nervoso trasporta al cervello, per la codifica, ogni singola stimolazione cerebrale.

Non ci sono, insomma, due stimolazioni cerebrali identiche, perché tutto è continuamente riformulato, anche in base al caso, alle condizioni atmosferiche ed emotive. E se non esistono due acquisizioni conoscitive uguali non vi possono essere cose in sé out there e nessun problema filosofico può essere chiarito se fondato su domande come: "esiste un significato là fuori?".

La filosofia di Richard Rorty risponde all’esigenza materialista di accantonare termini come rappresentazione interna a vantaggio di espressioni come configurazione neurologica.

Arrivare a definire stabilmente una cosa significa introdurre, attraverso il concetto di uguaglianza, un rapporto tra due fatti diversi e dare forma a un’entità laddove vi è solo una stimolazione cerebrale irripetibile. Questo non significa che tra una composizione di Mozart o i sonetti di Shakespeare, in quanto secrezioni fisiche, alla pari di altre meno nobili del nostro corpo, non vi siano differenze, significa che il criterio che useremo per distinguerle non potrà fregiarsi di velleità ontologiche.

Tutto questo ha a che fare con l'abitudine (Hume) e il bisogno di punti fermi creati attraverso i rituali della conoscenza. Questa ricapitolazione ci è utile per ricontestualizzare a questo paragrafo le basi linguistico-analitiche di Rorty, al fine di tentare una definizione più adatta di metafora.

Un termine finisce per significare qualcosa stabilmente, alla lettera, per l’uso che ne facciamo, consapevoli del significato acquisito dallo stesso nella pratica sociale della conversazione.

I discorsi normali poggiano su metafore morte, letterali. Il significato esterno che legittima l'uso del termine è il risultato dell'uso ripetuto, dell'abitudine derivata dall'iterazione del termine nel contesto della discussione.

La novità del discorso non abitudinario sta nel suo sviluppo lineare, narrativo. Questo procedere interrompe la circolarità del discorso normale, l’abitudine che scaturisce dallo scambio di termini in connessione stabile.

Il rituale della fissazione dei significati linguistici dà vita a un assopimento della capacità umana di ridescrizione e alla chiusura nei confronti di ogni interferenza, ma un momento di rottura può riattivare il gioco. L'intromissione avviene inaspettatamente e attraverso una metafora che infrange il rito del linguaggio chiaro e semplice.

L'entrata di una metafora nel gioco linguistico non è prevedibile. Potremmo pensare all'esito fortuito e casuale di un'improvvisa stonatura o a un termine storpiato in modo inusuale, un po’ come nel caso della différance derridiana. La metafora è una manifestazione fisica che descrive goffamente un'altra manifestazione fisica senza che nessun rapporto d'eguaglianza stabile possa instaurarsi, come strumento di rinnovamento del costume linguistico personale assomiglia più a un incidente di percorso che a una rivelazione, quest'incidente di percorso ci fa dimenticare il vecchio e precedente termine per andare oltre, senza più controbattere alle questioni sollevate in passato attraverso un termine invecchiato.

Una conseguenza di tutto ciò è anche il fatto che la genialità può scaturire anche dal caso e diventa difficile distinguere a priori tra la figura del grande scrittore e quella di un comune eccentrico.

Se pensiamo al linguaggio d'uso possiamo notare quale differenza vi sia tra la funzione che questo ha in Rorty e in Wittgenstein. Per Wittgenstein la semplificazione del linguaggio e l'allineamento al linguaggio d'uso è forse ancora una tensione filosofica alla semplicità intesa come essenzialità fondante; per Rorty l'incidentalità della live metaphors, che soppianta la dead metaphors, introduce un aspetto vitale e di complessità nella conversazione. In questo senso anche il linguaggio quotidiano potrebbe assomigliare a quello dei geni della narrazione, dovrebbe difendere l'originalità della tessitura e non far pensare ad un'operazione di semplificazione.

Potremmo pensare anche al superamento di quello che Kundera (altro autore considerato da Rorty nei suoi saggi) ne L'arte del romanzo, traducendo la bétise di Flaubert, definisce il non-pensiero dei luoghi comuni. Questo può essere letto anche in Rorty, ma tenendo conto che il suo intento non è quello di dissolvere i luoghi comuni, ma semplicemente terapeutico. Non si tratta di evitare certi termini, ma di impedire che questi chiudano sul nascere un nuovo discorso. La metafora stabilisce una nuova posizione irripetibile (o ripetibile al prezzo della normalizzazione e dell'estinzione e della stessa).

L'uso metaforico inizialmente è un uso insignificante. Si tratta di un tentativo contingente, legato all'esigenza di ridescrivere. In questo modo l'innovazione linguistica ha l'aspetto della metafora viva, un processo più immaginoso più che inferenziale.

In Contingency, Irony and Solidarity, nel paragrafo dedicato alla contingenza dell'io, Rorty cita un brano di una poesia di John Larkin.

 

We half-identify the blind impress

All our behavings bear,

my trace it home.

But to confess,

on that green evening when our death begins,

just what it was, is hardly satisfyng,

since it applied only to one man once,

and that man dying.

 

Individuare in parte l'impronta cieca

Che tutti i nostri atti recano,

poterla ricondurre all'origine

Ma confessare,

Nella verde sera in cui comincia la nostra morte,

Cosa essa era, è poca soddisfazione

Giacché si applicò ad un sol uomo una volta,

E quell'uomo muore

 

Compare il termine blind impress. Impronta cieca è la traccia di sé, irripetibile, che il poeta lascia e che gli sopravvive, con l’angoscia di morte descritta. Da un lato la libertà dell'atto autodescrittivo poetico, dall'altro l'impossibilità della propria salvezza nella trascendenza. L'impronta è cieca, la  metafora non nasconde significati occulti e vale come strumento di autocreazione, di ridefinizione delle nostre percezioni. Ma questa ridescrizione muore con noi.

Davidson let us see metaphors on the model of unfamiliar events in the natural world - causes of changing beliefs and desires - rather than on the model of representation of unfamiliar worlds, worlds which are "symbolic" rather than "natural". Richard Rorty, Objectivity, Relativism and Truth. Philosophical Papers Vol. I, Cambridge 1991, pagina 163, traduzione italiana: Davidson ci permette di concepire le metafore sulla falsariga degli eventi non familiari del mondo naturale - cause di mutevoli credenze e desideri - invece che sulla falsariga delle rappresentazioni di mondi non familiari, mondi che sono "simbolici" piuttosto che 'naturali' (Richard Rorty, Scritti filosofici I, Roma 1994, p. 220).

Un sublime privatizzato che muore con noi, con il termine della nostra irripetibile esistenza.

Se termini come dasein o différance hanno inizialmente una carica dirompente, grazie a chi li ha resi vivi, perdono il loro peso e acquistano significato attraverso la strumentalizzazione fatta dagli heideggeriani o dai derridiani. Va ancora peggio per termini ripescati dal sanscrito o dal greco antico con pretesa di verità originale, oggettiva.

Rorty fa notare che modi di dire come "lotta di classe", "l'amore è l'unica legge", "il sole gira intorno alla terra" non erano che termini vaghi e assai confusi per chi li udì nel momento in cui furono coniati. Ma quando marxisti, cristiani e copernicani ebbero ridescritto parti importanti della realtà attraverso queste nuove metafore, nessuno le considerò più "false" o "non corrispondenti al vero". Queste metafore non hanno una collocazione nel gioco linguistico nel momento in cui sono formulate e questo è il momento della loro maggiore efficacia.

Collettivamente (opere d'arte e scoperte scientifiche) o singolarmente (le bizzarrie che rendono meno opprimente la nostra esistenza) la metafora, la blind impress, è un momento irrazionale di automiglioramento e va concepita come uno strumento a disposizione dei nostri migliori progetti.

La metafora giunge inaspettata quando pare vi fosse bisogno di un nuovo ordine e questo viene originato allo stesso modo in cui la dissonanza agisce nell'equilibrio di una composizione musicale. Per Rorty il linguaggio scaturisce da associazioni non inferenziali, dall’improvvisazione.

 

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