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Riflessioni Filosofiche

Riflessioni Filosofiche   a cura di Carlo Vespa   Indice

 

Rorty e l'ironia liberale

di Massimo Fontana - Dicembre 2014

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Etnocentrismo e carità

 

Richard Rorty: “Ad Atene esisteva la responsabilità civile prima che Platone inventasse quella che oggi chiamiamo ‘ragione’”. Richard Rorty e Gianni Vattimo, Il futuro della religione. Solidarietà, carità, ironia, Milano 2005, pagina 78.

 

Democrazia, società più inclusive e progresso umano sono i temi delle conversazioni e dei ragionamenti dell’ultimo Rorty, meno interessato a ridimensionare le discipline filosofiche fondazionaliste, più interessato al ragionamento politico sulla possibilità di società più eque e inclusive.

Nel frattempo Robert Brandom, nel suo saggio sulla Fenomenologia delle spirito, traduce il termine “spirito” con il termine “conversazione”.

Il ruolo degli intellettuali democratici per il futuro sarebbe quello di contribuire a rendere la cultura dei diritti umani più consapevole, più forte, senza per questo rivendicarne la superiorità in virtù di pretesti transculturali.

L’etnocentrismo rortiano non può sconfinare nel fondazionalismo necessario all’idea della superiorità naturale di un popolo rispetto a un altro, essendo esplicitamente non realista e storicista, orfano dei criteri utili a istituire tribunali astorici per sentenziare su popoli e usanze. C’è quel minor grado di crudeltà e quel maggior grado di benessere materiale che la società occidentale sembra aver garantito negli ultimi secoli a una parte del mondo che Rorty auspica possa allargarsi. Di conseguenza termini come “radicale”, “marxista” e “socialista” meritano di essere dimenticati. Ci si può dire semplicemente liberali.

Il liberalismo di Rorty è memore di quello di John Dewey. Si tratta di una presa di distanza dal socialismo e di un’accettazione delle leggi del mercato, anche se sempre nella prospettiva di realizzare una società più inclusiva.

Possiamo dire che in Dewey troviamo una particolare sensibilità per la difesa della creatività individuale di ognuno, mentre per Rorty la priorità è più quella di privatizzare quella creatività al fine di anteporgli l’interesse collettivo nella convivenza democratica.

La stessa distinzione liberale tra sfera pubblica e privata, se nel liberalismo classico è una forma di tutela dell’individuo nei confronti dell’invadenza dello stato, in Rorty vorrebbe garantire anche un minor grado di crudeltà esercitabile da alcune persone nei confronti di altre meno colte, meno ricche e magari appartenenti a razze, condizioni esistenziali, genere sessuale, ceti sociali diversi.

Ce poi l’impossibilità già ricordata di porre una base naturale e definitiva a qualsiasi tipo di diritto per il nuovo liberalismo non fondazionalista. Contano le giustificazioni storiche e in prospettiva il perseguimento dell’utopia democratica.

I dialoghi e i saggi di Rorty vanno dunque ampliandosi sino a includere, se utili allo scopo democratico, anche alcuni termini del messaggio cristiano, quelli che in virtù di una cultura in molte parti comune Europa e Stati uniti condividono. Si tratta sempre di valori non trascendenti, continuamente negoziabili, ma caratterizzanti.

Rorty ritiene che se all’ideale platonico della conoscenza della realtà sostituissimo la proposta cristiana della caritas avremmo società più inclusive e meno soggette alla crudeltà e al dolore inflitto da uno o più esseri umani nei confronti di alcuni loro simili, avremmo la consapevolezza che per la comunità umana l’amore per il prossimo conta più della conoscenza del reale.

Tutto ciò a patto che il cristianesimo, come tutte le religioni, esca dall’arena epistemica, allontanandosi dalla tentazione di rivaleggiare con la scienza nel fornire criteri di verità oggettiva alla comunità.

Richard Rorty: “Può darsi che sia dipeso dalla casualità storica se solo dove vige il cristianesimo la democrazia sia stata rimodellata secondo le esigenze della società di massa; può darsi invece che dovesse necessariamente accadere in una società cristiana”. (…) Santiago Zabala: ‘Nietzsche diceva anche che la democrazia è il cristianesimo fattosi natura”. Richard Rorty: “Nietzsche pensava che fosse un insulto, mentre bisogna prenderlo come un complimento”. Richard Rorty e Gianni Vattimo, Il futuro della religione. Solidarietà, carità, ironia, Milano 2005, pagina 78 e 79.

Questi temi sono presi in considerazione in un’opera del 2005 curata da Santiago Zabala con la partecipazione di Rorty e Gianni Vattimo. Il tema del libro deriva dalla lettera di San Paolo ai Corinzi, laddove Paolo inneggia alla fede, alla speranza e alla carità concedendo priorità a quest’ultima.

Ecco un passo in cui Rorty tenta di esemplificare il pensiero di Vattimo a riguardo.

Gianni Vattimo (…) riduce il messaggio cristiano al passo paolino preferito da molti altri, Corinzi 1,13. La sua strategia è quella di trattare l’incarnazione come il sacrificio che Dio compie del suo potere e della sua autorità, così come della sua alterità. L’incarnazione è un atto di Kénosis, l’atto in cui Dio cede tutto agli esseri umani. Questo atto autorizza Vattimo a fare la sua affermazione più cruciale e più importante: che la ‘secolarizzazione’ è il ‘tratto costitutivo di una autentica esperienza religiosa’. Anche Hegel ha visto nella storia umana il costituirsi dell’incarnazione dello Spirito, e sul banco della macellazione della storia la croce. Ma Hegel non era disposto ad accantonare la verità in favore dell’amore”. Richard Rorty e Gianni Vattimo, Il futuro della religione. Solidarietà, carità, ironia, Milano 2005, pagina 39.

Per Vattimo essere cristiani è inevitabile dopo la frattura storica determinata dal prima e dal dopo Cristo. L’essere credente di Vattimo, il credere di credere, è il modo per prendere atto della storia senza cadere nella tentazione di fondarla metafisicamente, perché che non vi sia alcuna fondazione metafisica è ancora una fondazione.

A Rorty la secolarizzazione del cristianesimo di Vattimo piace, come pure la proposta della carità come priorità rispetto alla ricerca del reale, e tuttavia per lui non è necessario che per riconoscere i meriti del cristianesimo si finisca per guardare al passato.

Ogni acquisizione può essere tranquillamente metabolizzata e dimenticata.

La carità è un dono del cristianesimo all’umanità, ma più che percorrere la storia come un fiume carsico, che scompare e riappare, potrebbe essere vista come un’intuizione utile alla civiltà occidentale che in un determinato momento storico, dopo averla anticipata e in parte annunciata, confluisce in una nuova espressione politica, ancora più persuasiva e fruttuosa. 

Richard Rorty: “La carità cristiana si trasformava in Liberté, Egalité, Fraternité”. Richard Rorty e Gianni Vattimo, Il futuro della religione. Solidarietà, carità, ironia, Milano 2005, pagina 70.

Mentre Rorty non sembra spaventato dalla prospettiva di fare a meno della religione e del cristianesimo, pur riconoscendone i meriti, Vattimo non intende rinunciarvi e indica il superamento della metafisica attraverso l’essere che si fa storia nella parola di Cristo, nella secolarizzazione del messaggio cristiano verificatasi con lo svuotamento della kénosis.

Ma forse la kénosis, più che ricordare la ritrazione di Dio nella cabala di Isaac Luria (che non è estinzione, ma autolimitazione che fa spazio al creato), può ricordare ancora certe espressioni heideggeriane inneggianti qualcosa di sovraumano che può salvarci, per un atteggiamento più vicino a una religione che a un pensiero laico.

Un po’ come se la preoccupazione di svuotare il cristianesimo legittimasse filosofi come Heidegger, Vattimo e Derrida a riempire un pensiero che si fa oracolare e forse un po’ presuntuoso e che bisognerebbe a sua volta di una secolarizzazione.

Se ricordiamo la frase di Heidegger sul fatto che ormai solo un Dio ci può salvare e sospettiamo che il filosofo tedesco si attribuisse la facoltà profetica di comprenderlo, siamo anche vicini a comprendere parte dei problemi della filosofia detta “continentale”, molto attenta alla continua rielaborazione di problemi posti persino prima di Platone e molto meno alla considerazione di problemi che scaturiscono da questioni legate alla società odierna.

Ma, in particolare, Vattimo sembra non tenere conto sino in fondo di ciò che egli stesso ha ricordato e cioè che la convinzione che non vi sia alcuna fondazione metafisica è ancora una fondazione; il suo pensiero debole, messo a confronto con il rinnovato pragmatismo di Rorty, rischia di apparire come un pensiero ancora fondante e il suo credere di credere un artificio retorico che giustifica ancora ciò che si riproponeva di superare.

Sembra questa la differenza tra Vattimo e Rorty e ancora una volta tra la prevalente filosofia continentale e quella del pragmatismo americano. Quest’ultima non necessita di svuotamenti, perché dall’inizio ha deciso di prendere se stessa un po’ meno sul serio.

Il discorso rortiano è risolutamente dimentico dei vecchi problemi della filosofia. Rorty non si chiede più se pronunciando la parola “Verità”, tentando di connetterla con qualche cosa di certo out there, abbiamo qualcosa da dire, ma si chiede quali effetti può avere l’uso di un termine come “Verità” nella conversazione e nella pratica politica occidentale democratica e, in particolare, se l’uso di questa parola può provocare più problemi di quanti ne risolva.

Nel pensiero dell’ultimo Rorty, esemplificato nei suoi saggi e nelle sue conversazioni, si compie una sorta di nuovo liberalismo privo di ganci con la realtà, un liberalismo ironico e sui generis,non dimentico della storia occidentale, né disposto a disprezzarla.

 

   Massimo Fontana

 

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