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Riflessioni in forma di conversazioni

Riflessioni in forma di conversazioni

di Doriano Fasoli

Interviste a personaggi della cultura italiana e straniera - Indice


Cinema e scrittura

Conversazione con Marguerite Duras
di Doriano Fasoli per Riflessioni.it

- ottobre 2005
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Marguerite Duras amava di tanto in tanto raccontare agli amici questo aneddoto: un giorno, un giornalista incaricato di andarla a ricevere all'aeroporto le disse, forse per compiacerla, di conoscere tutto di lei, della sua produzione letteraria come di quella cinematografica: ma di essere stato particolarmente colpito da un film. Lei, che nel 1969 aveva realizzato Détruire, dit-elle (tratto dal suo libro omonimo), le chiese incuriosita il titolo. E il giornalista: “Détruire l'hotel!”.
Voce assolutamente magnetica, personalità spigolosa e difficilmente collocabile nel contesto del cinema e della letteratura francese, a Marguerite Duras piaceva il jazz, piaceva Marlon Brando, piacevano i parchi, il mare e un pò troppo, forse, il vino. Ella conobbe, tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta, un inatteso e imprevedibile successo di pubblico. I vari "Festival Duras", organizzati un po' ovunque nel mondo, videro un afflusso di spettatori insospettabile per un cinema considerato fino ad allora patrimonio culturale di una ristretta élite d'intellettuali.
Ester De Miro si chiedeva, proprio in quegli anni, il perché di tanto interesse per un'autrice la cui origine letteraria contaminava il cinema fino a spogliarlo completamente dei suoi attributi classici - l'azione, l'interpretazione, i movimenti di macchina, il montaggio - per trasformarlo in un linguaggio tutto particolare. Un linguaggio che - pur essendo ascrivibile a quel cinéma différent sotto la cui denominazione si usava in Francia raggruppare tutta la produzione che esulava dai canoni del cinema industriale - prendeva da esso le sue distanze con un'ulteriore "differenza". Il cinema della Duras non aveva infatti quelle caratteristiche di marginalità e di esasperato esercizio tecnico che facevano del cinema sperimentale o (differente) fenomeno in qualche modo "minore" rispetto alla produzione corrente. Quello della Duras - scriveva ancora Ester De Miro - "è un 'cinema d'autore' che mette in discussione i fondamenti del linguaggio cinematografico per creare un cinema 'altro' che inventa nuove regole, finalizzate alle necessità d'espressione di un soggetto dalla personalità potente, autonoma, simile a nessun'altra, fiera della sola fedeltà a se stessa e al proprio universo fantastico".
Nata il 4 aprile 1914 a Gia-Dihn, a pochi chilometri da Saigon, figlia di insegnanti francesi, Marguerite Duras visse laggiù l'infanzia e la prima giovinezza (tranne un breve soggiorno in Francia da bambina). "Alla morte di mio padre, fu necessario vendere un pezzo di terra incoltivabile, tutta la nostra fortuna, ero molto giovane, avevo due fratelli maggiori ed eravamo molto poveri. Mia madre non avrebbe mai lasciato il paese che amava. Era prima della guerra. Fiamminga d'origine, morì, verso la metà degli anni Sessanta, in Francia, in esilio come diceva. Avevo sempre voglia di scrivere, poesie, a dodici anni. Andavo a scuola con mia madre, in campagna e, più tardi, a Saigon, al liceo. Da otto anni a diciassette ho visto, vicino a Vinh-Long, il sole tramontare fra le risaie. So perché amo la Camargue. Ho un terrore tremendo delle foreste e detesto la montagna che mi angoscia e nasconde i tramonti. Non mi sono mai abituata ai frutti europei. Sono partita un giorno, per l'Università, a Parigi. Avevo una borsa di studio. Bisognava che lavorassi. Oggi potrei vivere benissimo in qualsiasi posto che non fosse la Francia, dove potessi in ogni caso, fare del cinema. Ho delle difficoltà a fare dei film in Francia".
Il romanzo Una diga sul Pacifico (l950) la consacrò scrittrice in patria e all'estero. Elio Vittorini accolse il libro come "il più bel romanzo francese del dopoguerra". Il regista René Clément ne trasse un noto film. Non era però quello l'esordio narrativo della Duras. Ella aveva infatti pubblicato già due romanzi prima della Diga: Gli impudenti (1942) e Una vita tranquilla (1944); nel 1952 ne uscì un quarto, Il treno di Gibilterra, cui seguirono Moderato cantabile, I cavallini di Tarquinia, Il pomeriggio del signor Andemas, Il rapimento di Lol V. Stein, Il viceconsole e altri ancora. Nel 1984 ottenne il premio Goncourt con L'amante, bestseller internazionale, tradotto in ben 22 lingue.
Dionys Mascolo, una delle menti più anticonformiste e criticamente più acute della Francia del secolo scorso, incontrato a Parigi poco tempo prima della sua scomparsa, provò a spiegarmi così lo straordinario successo ottenuto in questi ultimi anni dai libri della sua ex compagna: "Nel corso del tempo Marguerite ha trovato uno stile tutto suo, particolare, una scrittura che, spessissimo, somiglia al linguaggio parlato, senza lunghi periodi, senza proposizioni subordinate, con un concatenamento di proposizioni principali. È ciò che i linguisti chiamano stile paratattico, fatto cioè soltanto di proposizioni principali: 'Sono qui, ti sento, ti aspetto, mi vedi, ti vedo, ti rispondo, mi risponderai' eccetera. Lo stile paratattico è questo. E adesso lei domina assolutamente questo tipo di scrittura, che non dominava invece nei primi anni in cui scriveva. Era timidissima, allora, e anche molto angosciata davanti alla scrittura. Ha sempre lavorato con grande scrupolo e ha via via superato tutte le insicurezze. È difficile tentare di spiegare il perché del successo che ottiene un autore in un preciso momento e che non ha mai riscosso in passato facendo cose magari anche migliori. Ciò resta un mistero. Non ho affatto pretese di obiettività, ma se mi si chiede un giudizio personale sulle opere letterarie e cinematografiche di Marguerite, posso dirle che pongo il film India Song al di sopra di tutti gli altri suoi film e al di sopra di tutti i suoi libri..."
"Le mie prime opere" diceva l'autrice di Jaune le soleil, di La femme du Gange, Baxter, Véra Baxter, Son nom de Venis, dans Calcutta désert, Le Navire Night "hanno dentro già tutto, vi si trova il vuoto, la fame, il desiderio, la macchina (quella di Un barrage contre le Pacifique è la lancia nera di Anne-Marie Stretter), la mendicante... Non ho inventato niente, niente".
L'intervista che segue è il frutto di vari e amichevoli incontri avuti nel corso di un decennio (1981-1991ca), nella sua casa di Parigi, con Marguerite Duras (scomparsa nel marzo del '96), questa "Ninfa Egeria della Sinistra che fa autorità", come qualcuno ne definì l'austera figura. Ricordiamo inoltre che i suoi libri sono stati tradotti in Italia soprattutto dalle case editrici Einaudi e Feltrinelli, ma anche da Marcos y Marcos, Mondadori, La Tartaruga.


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