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Riflessioni in forma di conversazioni

Riflessioni in forma di conversazioni

di Doriano Fasoli

Interviste a personaggi della cultura italiana e straniera - Indice


Dandy, flâneur ed esteta

Conversazione con Paolo D'Angelo
di Doriano Fasoli per Riflessioni.it

- maggio 2005
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Penso al modo in cui, per esempio, Derrida smonta la lettura che Meyer Shapiro fa di Van Gogh e della interpretazione heideggeriana di Van Gogh, in La Verità in pittura, o alle critiche all’antropocentrismo che – non ostante le apparenze – si annida nella visione heideggeriana dell’animale o nella sua diffidenza verso la tecnica, in La mano di Heidegger; o ancora al rovesciamento delle sicurezze di Searle circa la distinzione tra atti linguistici ‘normali’ e atti linguistici ‘finti’, in Firma evento contesto. Certo, ho seguito di più il ‘primo’ Derrida, il Derrida, diciamo così, ‘teoreta’, piuttosto che il secondo o ultimo Derrida, il Derrida ‘pratico’ o ‘politico’ delle riflessioni sull’ospitalità, il dono, l’accoglienza dell’altro. Ma anche in questo secondo Derrida ci sono autentici tesori, per esempio tutta la riflessione sull’autobiografia (e gli scritti autobiografici di Derrida stesso, singolarissimi). Può darsi che talvolta Derrida abbia ceduto ad un certo manierismo, non solo stilistico (Spettri di Marx, ad esempio, l’ho trovato un libro debole nel rifugiarsi nella semplice esigenza dell’utopia), ma resta un pensatore con il quale dovremo fare, e a lungo, i conti.

 

Sentimenti insonori, congelamento delle emozioni, sensi anestetizzati, feroce appiattimento dei gusti e mille ‘piacerini’ a dolcificare le giornate… la catastrofe psichica è già in corso?
Credo che di fronte ad osservazioni di questo tipo, in un certo senso innegabili, occorra sempre chiedersi quale termine di confronto ci diamo. Il quadro nerissimo della cultura di massa tracciato da
Adorno si spiega anche, mi pare, perché Adorno ha in mente un termine di confronto utopico (“la terra potrebbe essere, qui e ora, il paradiso”). Se avesse comparato la società in cui gli accadde di vivere con altre situazioni storiche reali, probabilmente il verdetto sarebbe stato meno univoco. Qual è stata, fino ad oggi, l’alternativa alla cultura di massa, che è caratterizzata proprio da quei fenomeni che lei indica? Forse una cultura ‘alta’ e diffusa, o non piuttosto la pura e semplice esclusione da qualsiasi forma di comunicazione culturale per la stragrande maggioranza della popolazione, come accade del resto ancora in gran parte del mondo? La seconda osservazione che mi sentirei di fare è un richiamo, che rischia di apparire ingenuo ma non di meno credo vada fatto, alla ‘buona volontà’ di ognuno. Prendiamo il caso dell’arte. Non c’è dubbio che tutto congiuri, oggi, per favorire la fruizione distratta, superficiale, che lei denuncia. La funzione dell’arte sembra definitivamente omologata a quella dell’intrattenimento, i gusti appaiono sostanzialmente equivalenti, ridotti a puri codici di riconoscimento all’interno di gruppi sociali. Molta arte è vissuta come ‘arredo’, sociale o psicologico, e tutte le arti sembrano appiattite sul paradigma di quelle che una volta si chiamavano ‘arti minori’. Ma, siamo sicuri che ognuno di noi non possa trovare un rapporto diverso con l’arte? Credo che questa sia una possibilità ancora aperta per ciascuno, come dimostra lo stesso fatto che non ci rassegniamo alla riduzione dell’arte a puro stimolo, piacere intercambiabile con qualsiasi altro.

Qual è il libro che le ha dato maggiore notorietà e perché?
Vorrei rispondere: quello che non ho ancora scritto, e cavarmi così dall’impaccio. Ma sto al gioco, pur dichiarando subito di non essere un autore di best-seller, e cito il mio penultimo libro,
L’estetica della Natura. Bellezza naturale, Paesaggio, Arte ambientale. Mi sono posto la domanda: che cosa ne è, oggi, del bello naturale?, e per rispondere mi sono rivolto non tanto ai filosofi di professione (che hanno vistosamente trascurato il problema, salvo eccezioni come Adorno o, da noi, Assunto), quanto ai teorici dell’ecologia, alle legislazioni sul paesaggio, agli artisti che operano nella e con la natura (da Robert Smithson, Walter De Maria, Christo a Richard Long, Nils Udo, Giuseppe Penone). E ho constatato che una riflessione filosofica sulla bellezza naturale suscita interesse, fa discutere, perché mentre siamo tutti convinti che si debba difendere il paesaggio (proprio il paesaggio, nella sua differenza/relazione con l’ambiente), è poi molto meno chiaro come lo si debba pensare, e come in generale si debba pensare l’esperienza estetica che compiamo nella natura. Così, dopo aver pubblicato quel libro, mi è accaduto di dialogare con architetti, funzionari delle soprintendenze (che si chiamano oggi Per i beni architettonici e per il paesaggio, ma si tratta di una dizione nuova: prima il paesaggio non appariva), artisti, geofilosofi, ambientalisti. Io non credo nella divulgazione filosofica, che spesso diventa una cosa lacrimevole, pillole di saggezza, Platone come il Prozac; penso che l’unico modo serio di divulgare la filosofia sia farsi leggere dagli specialisti. Ma non dagli specialisti di filosofia: dagli specialisti di altre discipline.

Doriano Fasoli

 


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