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Riflessioni in forma di conversazioni

Riflessioni in forma di conversazioni

di Doriano Fasoli

Interviste a personaggi della cultura italiana e straniera - Indice


La scrittura, per sopravvivere

Conversazione con Sandra Petrignani
di Doriano Fasoli per Riflessioni.it

- luglio 2005
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Fino a quattordici anni tutti scrivono poesie, diceva Croce. Dopo, egli aggiungeva, continuano a scriverne i poeti e i cretini. Cos’è che differenzia un poeta da un facitore di versi?
L'
intelligenza e la sensibilità, il senso della musica, la disperazione di essere vivi per morire, l'onestà. Tutto questo a livelli di grande intensità.

Quali sono (state) le sue predilezioni poetiche, nell’ambito della poesia italiana e straniera?
Tante e molto diverse fra loro. Mi sono nutrita di poesia per tutta l'adolescenza. Oggi è più raro che legga un libro di versi dall'inizio alla fine.
Penso che nella mia testa si sia insinuato un forte ritmo
ariostesco a un certo punto, tanto che il mio primo romanzo, Navigazioni di Circe, ne è tutto intriso. Però è Dante il più grande di tutti, è a Dante che torno in continuazione senza mai cessare di stupirmi per tanta grandezza, e felice, una volta tanto, di essere italiana, di parlare cioè la sua lingua, di poter raccogliere direttamente la sua eredità. Dante a parte, non amo i grandi monumenti. Vado pazza da sempre per una piccola poesia di Giovan Battista Marino, Pallidetto mio sole. Mi piace la cantabilità in poesia, la leggerezza, anche il gioco. Penso a Toti Scialoja in questo momento e a certe poesie di James Joyce che ho adorato. Ma poi non è vero che non amo i monumenti. Dove lo mettiamo Eliot, se no? Eliot mi ha influenzato enormemente da giovane, La terra desolata. Oggi preferisco i Quattro quartetti. E Rilke. Rilke posso leggerlo cento volte e cento volte mi commuovo fino a sentire lo strazio della vita, dell'amore, il senso di sbandamento che dà ogni assoluto. Gli italiani che amo di più sono questa triade: Penna, Caproni, Amelia Rosselli. Della mia generazione, invece, trovo che non ci sia paragone fra poeti e poetesse. Abbiamo delle poetesse straordinarie, grandissime personalità e tutte diverse una dall'altra: da Vivian Lamarque a Patrizia Cavalli, da Biancamaria Frabotta ad Alda Merini, da Antonella Anedda a Patrizia Valduga. È davvero impressionante tanto rigoglio. Fra i poeti è a Valerio Magrelli che va la mia palma. La mia passione per la sua poesia, però, è di tipo intellettuale. Forse, più che amarlo, lo stimo. Moltissimo. Mi tocca il suo senso dell'umorismo, complesso, razionale, scaltro, il suo senso della misura, troppo prudente a volte. Le donne sono eccessive, sempre, anche nell'humour (come Lamarque, per esempio, o Cavalli, per non parlare degli eccessi passionali di Valduga: il suo rapporto con l'eros è esilarante. La sua poesia danza disperatamente sulla tomba. E che altro si può fare?).

Qual è il titolo di una poesia che le sta più a cuore?
Non sono una fan di Kavafis, anche perché non conosco il greco moderno e per apprezzare davvero la poesia bisogna avere un'idea, sia pure vaga, di come suona in originale, però c'è una sua poesia che è per me una specie di mantra:

 

“E se non puoi la vita che desideri
cerca almeno questo
per quanto sta in te: non sciuparla
nel troppo commercio con la gente
con troppe parole in un viavai frenetico.
Non sciuparla portandola in giro
in balìa del quotidiano
gioco balordo degli incontri
e degli inviti,
fino a farne una stucchevole estranea”.

 

È straordinaria la riscrittura italiana che Nelo Risi ha fatto di questi versi. Ho letto altre traduzioni, forse più letterali, ma meno emozionanti.

Qual è la sua idea di traduzione?
Quella che ha fatto Risi con la poesia di Kavafis: ha lavorato sulla traduzione letterale di Margherita Dalmàti ricreando il testo in italiano. Non si può pretendere di essere fedeli. Per questo è necessario il testo a fronte, così si può controllare quanta libertà si è preso il traduttore e valutarne i meriti. Mi viene in mente un'altra traduzione straordinaria: quella di Ariodante Marianni per
Dylan Thomas:

 

“La forza che nella verde miccia spinge il fiore,
spinge i miei verdi anni...”.

 

Sono versi che hanno segnato la mia giovinezza. Rimasi di stucco per la bruttezza della traduzione di Montale:

 

“La forza che urgendo nel verde calamo guida il fiore,
guida la mia verde età...”.

 

Non sempre un conclamato poeta lavora meglio di un traduttore di professione.

Va ancora volentieri al cinema? E i suoi film preferiti?
Vado moltissimo al cinema. Sono onnivora. Hiroshima, mon amour, India song. Sono ancora cotta di Marguerite Duras, ne subisco tutta la fascinazione. Ho visto Film blu di Kieslowski un numero infinito di volte, ma per motivi personali più che estetici. Mi è piaciuto infinitamente Nelly e Monsieur Arnaud di Claude Sautet. Forse l'ultimo film che mi ha colpita al cuore è stato Ghost Dog di Jarmusch. E ricordo con nostalgia quando si andava, una volta alla settimana, al Nuovo Sacher per non mancare l'appuntamento con la serie degli Heimat 2, il geniale film in tredici episodi di Edgar Reitz. Non era solo andare al cinema, è stata un'esperienza estetico-esistenziale.

Quale libro, oggi, la sta avvincendo?
L'ultimo samurai (non c'entra niente con il film americano) di un'inglese esordiente, Helen Dewitt, è semplicemente straordinario. Quest'autrice è un genio, degna dell'inventiva linguistica di Joyce e della fantasia eccentrica di Nabokov.

Protagonisti indiscussi della nostra televisione sono senz’altro, oggi, i cuochi e i meteorologi. Però tra una forchetta, un cannolo e una previsione, tra un greve “Unomattina” e un telegiornale, c’è anche la possibilità che salti fuori qualche programma interessante. È così? Lei ne ha individuato qualcuno? Oppure la tv tutta semplicemente la annoia, la subisce con indifferenza, in ogni caso?
Non la subisco perché non la vedo mai. Ma proprio mai. Seguirei volentieri i programmi di Arté. Ma ancora non ho capito come sintonizzarmi. Qualche volta spio mio figlio che guarda le trasmissioni satellitari e mi rendo conto che, a saper cercare, si trovano programmi interessanti, qualcosa di “Cult” per esempio e “Gambero rosso”... ma sono troppo pigra per andare random attraverso i canali. Per questo vorrei Arté. Mi sintonizzerei su quel canale e basta. Tanto dove caschi caschi bene in quel caso. Un caso davvero unico, televisivamente parlando, ma sufficiente a farti capire come sarebbe importante una programmazione televisiva intelligente ad alta professionalità.

 

Doriano Fasoli



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