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Riflessioni in forma di conversazioni

Riflessioni in forma di conversazioni

di Doriano Fasoli

Interviste a personaggi della cultura italiana e straniera - Indice


La distanza del nome

Conversazione con Stefano Verdino
di Doriano Fasoli per Riflessioni.it

- giugno 2005
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Vari sono di area ligure: Mario Morasso, il teorico del macchinismo, che fu poeta non da poco, Alessandro Giribaldi e Antonio Rubino, il grande disegnatore. E poi in altra epoca Renzo Laurano (negli anni trenta), Lucio Piccolo e ai nostri giorni Luciano De Giovanni e Luigi Di Ruscio. Mi occorre ancora il nome di un poeta secondario, in quanto fu un grande narratore e un uomo straordinario, che ebbi il privilegio di conoscere: Enrico Morovich, di Fiume, che, profugo, visse a Genova, dal 1958. Valorizzato da Contini, riscoperto da Sciascia non ha avuto ancora la giusta udienza nazionale.

 

E tra gli stranieri, chi l’ha appassionata maggiormente?
Ho già detto di
Eliot, poeta per me supremo. Con lui Valéry, Rilke, Kavafis, Yeats, Lorca. E un nome femminile dell’Ottocento, ma novecentesco quanto mai: Emily Dickinson. Mi affascinano Pessoa e la Cvetaeva, ma ne ho una conoscenza per ora sommaria. Nel secondo Novecento domina Paul Celan, ma ho seguito sempre anche Char, Bonnefoy, Enzensberger, Heaney, Milosz, Holan.
Mi sono divertito a raccontare in breve le vite e le opere di questi e dei nostri maggiori italiani in un libretto Racconto della poesia. Il novecento europeo, uscito a Genova da De Ferrari. Ho cercato di usare una lingua affabile, immaginando di rivolgermi a studenti di fine superiori. Ho tentato di allestire una sorta di propedeutica alla poesia contemporanea.
Voglio fare ancora un nome Geoffrey Hill, poeta inglese, settantenne, non molto noto in Italia (presente nelle benemerite edizioni del Bradipo); l’amico Marco Fazzini ne cura una bella antologia con testo a fronte su Nuova corrente, la rivista a cui lavoro da vent’anni.

Cosa vuol dire per lei: “classico”?
Mi riesce difficile aggiungere qualcosa ai requisiti espressi da Eliot nel suo saggio Che cos’è un classico? Vale a dire: un classico è 1) l’espressione di una civiltà matura (Virgilio,
Shakespeare, ma anche Dante, nella singolare posizione di maturità della tradizione culturale cristiano-medievale e insieme la giovinezza della lingua); 2) l’effetto (o anche l’invenzione, il caso di Dante) di una lingua comune, 3) la coscienza critica del passato, 4) la complessità sintattica, effetto “delle più sottili gradazioni di sentimento e di pensiero” (scrive Eliot) e della “varietà musicale”. Mi sento solo di aggiungere che purtroppo oggi c’è poca attenzione ai classici, perché viviamo in un tempo che si è dilatato geograficamente nello spazio, la globalizzazione, e di contraccolpo si è assottigliato nel suo passato, ha ridotto notevolmente la memoria. I classici si giustificano fondamentalmente nella comune memoria, oggi in rovina.

Verso quale direzione muovono attualmente i suoi studi?
Tento da anni di scrivere un libro su Il Torrismondo del
Tasso, una tragedia importante e per me ancora in parte inesplorata, anche se vi sono oggi pregevoli studi, ma tutti d’assieme. Manca ancora uno sguardo più analitico.
Per ora non sono riuscito a trovare la giusta concentrazione, perché distratto da lavori d’occasione. Tra questi sono impegnato in uno studio su Felice Romani, il librettista di Bellini e Donizetti, per un convegno sulla Librettistica. Il mondo dell’opera è l’altra mia grande passione.
Per Resine curo un fascicolo sulla letteratura giuliana dagli anni trenta all’esodo (Morovich, Vegliani, Quarantotto Gambini, e vari altri). È un capitolo ancora da approfondire. Tra i desideri profondi vi è un’antologia di poesia del Novecento, poco soddisfatto delle vigenti o perché vecchie (Sanguineti, Mengaldo) o perché ibride; ma per quest’impresa ci vorrebbe un editore visibile e non troppo catacombale.

 

Doriano Fasoli


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