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a cura di Roberta Marzola

 

Semplice è possibile

di Cinzia Picchioni

 

Come vivere mettendo in pratica yama e niyama: «povertà» e contentamento per lasciare ai posteri un pianeta vivibile.

 

Il direttore di questa rivista [Yoga In Occidente, ndr] mi chiede "Possiamo fare un collegamento con yama e niyama dello yoga, parlando della semplicità volontaria?" e io: "Altroché!" … e penso alle cinque astinenze e alle cinque osservanze inserite al primo posto negli otto passi dell’Ashtânga-yoga: nonviolenza, dire la verità, non rubare, astinenza sessuale, povertà formano gli yama; purezza, contentamento, ascesi, studio e devozione al Signore costituiscono i niyama.

 

Povertà ha certamente a che fare con la semplicità volontaria e anche contentamento, due qualità che dovremmo tentare di trovare nei nostri comportamenti quotidiani, per cercare di vivere in modo meno "pesante" sulla Terra, per lasciare agli altri che verranno dopo di noi un pianeta vivibile.

 

La semplicità volontaria può essere una via che concilia la ricerca spirituale e la concretezza del rispetto della natura, che sono due aspetti fondamentali dell’esistenza. Così è stato per me che faccio l’insegnante di yoga cercando sempre di trasferirlo fuori dalla palestra, nella mia vita e in quella degli allievi e delle allieve che mi si affidano. Per me la semplicità volontaria è uno stile di vita, proprio come lo yoga, anzi potrei dire che la semplicità volontaria è lo stile di vita yoghico per eccellenza.

 

Citando E. Wood (Yoga, Sansoni, Firenze, 1978, p. 35), […] (yoghico) "potrebbe essere tradotto con "adatto all’occasione" per renderne il significato: in quanto l’inferiore meccanismo mentale può essere chiamato yoghico solamente quando è diretto ai pensieri sul Sé, senza bramare oggetti di desiderio".

 

Povertà e contentamento vanno a braccetto perché hanno a che fare con l’avere di meno e chiedersi continuamente "ho veramente bisogno di questo?": è una piccola frase koan, un aforisma, un mantra oserei dire, che dovrebbe guidare le nostre scelte, i nostri acquisti, le nostre richieste. Il semplice fatto di fermarci a chiederci se abbiamo veramente bisogno dell’oggetto del desiderio, crea uno stacco che ci permetterà pian piano di rispondere sempre più volte "No, in effetti posso farne a meno". Tale atteggiamento, invece di mortificarci, si rivela estremamente liberatorio e ci trasmette un senso di potere sulle modificazioni della mente e sul reale significato del desiderio; potremo così capire quando vogliamo una cosa perché l’abbiamo vista in una pubblicità, o per consolarci di qualcosa, o perché qualcuno che ammiriamo ce l’ha, o per altri motivi che non sono reali.

 

E che dire poi dell’abitudine ad accumulare oggetti inutili? Pacchi di giornali e riviste già letti (o – peggio – mai letti), videocassette contenenti pellicole che non vale veramente la pena di collezionare, abiti che non indossiamo più da anni, giochi dei nostri figli (che ormai hanno la fidanzata)… Possedere oggetti presuppone il doverli riporre, conservare, spostare, avere dello spazio in più (case più grandi, tasse più alte, donna delle pulizie perché non riusciamo da sole a badare al posto dove abitiamo). E se poi dobbiamo traslocare?

 

Allora: chiederci se veramente abbiamo bisogno di ciò che stiamo per comprare, pensare se usiamo veramente ciò che abbiamo già e poi cominciare a guardare con altri occhi tutto ciò che vediamo, dall’origine allo smaltimento. Questa ulteriore attitudine da coltivare allarga il nostro sguardo oltre i confini di noi stessi, della nostra famiglia, della nostra casa, del nostro paese, per aiutarci a sviluppare uno "sguardo planetario" o meglio universale. Se è vero – e ci crediamo – che torneremo su questa Terra con un altro corpo, è stupido non preoccuparci del futuro del pianeta, anche egoisticamente parlando (se non vogliamo pensare ai nostri figli e nipoti); se è vero – come è vero – che la Terra è una, è stupido che spostare i rifiuti nucleari in altri Paesi ci tenga al riparo da possibili incidenti e anche credere che basti non far costruire l’inceneritore vicino a casa per salvarci dai veleni sviluppati dai rifiuti. Occorre produrre meno rifiuti; occorre non far produrre carta nuova oltreché riciclarla; occorre non comprare la plastica, invece di indossare gli indumenti di pile; occorre andare in bicicletta invece di installare la marmitta catalitica; occorre risparmiare l’acqua mentre si risparmia l’energia elettrica.

 

Dette così, queste cose sembrano impossibili, frustranti, evocano in noi immagini di sacrificio e penitenza; io sono qui, con queste parole, per testimoniare che accade l’esatto contrario: sensazioni di leggerezza, di libertà, di gioia, e non importa quanto ci sembrino piccoli i nostri gesti controcorrente, sono ugualmente molto potenti, se non altro su noi stessi (soprattutto quando ci accorgiamo che imparando a fare a meno di cose inutili ci ritroviamo con più denaro per soddisfare piaceri più autentici, o possiamo fare il lavoro che ci piace anche se ci fa guadagnare di meno).

 

Ho avuto la fortuna – nella mia vita – di conoscere molte persone straordinarie che mi hanno aiutato nel mio cammino. Una di queste, Nanni Salio (direttore del Centro Studi Sereno Regis di Torino) è un grande teorico della semplicità volontaria e ha accettato di scrivere la prefazione del mio libro sull'argomento. Mi piace affiancare a questo mio piccolo contributo alcune righe della sua Prefazione:

 

"Ed è proprio il Mahatma Gandhi a stimolarci su questa strada, con un invito concreto e pressante.

 

Una volta, mentre stava uscendo in treno dalla stazione, un giornalista europeo si avvicinò al finestrino e gli chiese se avesse un messaggio da dare alla sua gente.

 

Per Gandhi quello era il giorno del silenzio, dedicato alla riflessione interiore.

 

La sua risposta fu una breve frase scarabocchiata su un pezzo di carta.

 

“La mia vita è il mio messaggio”.

 

E la nostra? Possiamo dire altrettanto?

 

La scelta della semplicità volontaria, […] può aiutarci a rispondere positivamente e a intraprendere un cammino personale di ricerca e di autorealizzazione".

 

Infine mi piace insistere sul fatto che "si può fare", che si riesce a vivere più semplicemente, che l’importante è cominciare, da qualche parte, da quella che ci pare più facile, più adatta a noi, perché la semplicità volontaria è un cammino in cui ogni porta ne apre un’altra, in una catena senza fine, in cui ci accorgiamo sempre di più che abbiamo bisogno di poco, veramente poco.

 

L'ECO-FAZZOLETTINO

 

A proposito di quello che possiamo fare da subito, da domani, da oggi, dal momento in cui finiremo di leggere questo piccolo articolo, desidero fornirvi un esempio concreto: un fazzoletto di carta è fatto di cellulosa vergine, alberi vengono abbattuti per produrre i fazzoletti di carta che noi usiamo per 10 secondi (il tempo di una soffiata di naso) e buttiamo via! Ricominciare ad usare fazzoletti di stoffa può essere un gesto rivoluzionario, ci farà risparmiare del denaro, degli imballaggi (i fazzoletti sono confezionati in sacchettini a loro volta avviluppati in un involucro più grande, e non dimentichiamo lo scotch per richiudere il pacchettino dopo averne estratto il fazzoletto), degli alberi, infine dell’aria e dell’acqua (o forse al primo posto). Può sembrare una piccola cosa, ma ogni cammino, anche il più lungo, inizia con un singolo passo e bisogna cominciare! Proprio come nello yoga, si parte dal corpo: dalla posizione seduta, in cui sentiamo la Terra sotto di noi, per poi raddrizzare la colonna vertebrale e aspirare al Cielo.

Dicembre 2006

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