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Arte Concettuale

 

Movimento sviluppatosi a partire dalla metà degli anni '60 a livello internazionale basato su una concezione dell'arte che rifiuta di identificare il lavoro dell'artista con la produzione di un qualsiasi oggetto di più o meno rilevante qualità estetica e ritiene che l'essenza dell'arte sia invece nell'idea, nel concetto che precede e conforma l'opera. I precedenti di questo atteggiamento sono numerosi e vanno dalle premesse mentali di gran parte dell'opera di Magritte ("Ceci n'est pas une pipe", 1929) a tutta l'opera di Marcel Duchamp (il riferimento più frequente del concettualismo), a quella di Fontana, Klein e Manzoni, a certa arte visuale e programmata con la sua attenzione al progetto e al gioco o funzionamento dell'intelligenza (Stella, Lo Savio, Castellani, Colombo), agli esiti dell'arte minimal e ambientale, con la loro attenzione al calcolo da cui nasce l'opera, alla trasformazione dell'ambiente in opera, con Morris, Judd, Andre, Lewitt.
Le premesse di queste esperienze sono portate alle estreme conseguenze dall'arte concettuale degli anni sessanta e settanta: il percorso dell'idea, la riflessione teorica e filosofica, la precisazione e presentazione del processo di formazione del pensiero, l'azione linguistica, vengono posti in primo piano rispetto al risultato materiale di tale azione che viene considerato come pura esemplificazione fisica del linguaggio.
Protagonisti storici del concettuale sono negli Stati Uniti Joseph Kosuth e Sol Lewitt, teorici, oltre che artisti, del movimento; in Inghilterra Art & Language (Aktinson, Baldwin e altri); in Italia Agnetti e tutto il gruppo di "Arte Povera" con Pascali, Paolini, Kounellis, Merz, Pistoletto e molti altri.
Al concettualismo è riconducibile la poetica del movimento Fluxus, tra cui spiccano nomi che lo hanno attraversato come Beuys, Paik e Spoerri.
Un'altro versante del concettuale è la performance e la body art, con Pane, Rainer, Lüthi, Abramovic, Acconci, Ontani, Nitsch.
Innumerevoli sono poi le personalità isolate che presentano connotazioni concettuali nel loro lavoro anche se allargato alla molteplicità del linguaggio che è caratteristica dell'arte di fine Novecento.
Gli anni Sessanta e parte degli anni Settanta sono animati da una forte istanza di rinnovamento politico e morale che parallelamente al movimento studentesco e operaio prende anche il settore delle arti. L'opposizione al sistema è l'atteggiamento corrente e la ricerca spontanea di soluzioni alternative si manifesta in più direzioni prevalentemente nel segno della libertà e della sperimentazione del nuovo, svincolata da qualsiasi ancoraggio a principi precostituiti di autorità culturale o etica. La ricerca è condotta a rifondare la comprensione della realtà partendo dalla demistificazione di tutte le pratiche rappresentative e dando campo libero al pensiero per indagare l'essenza delle cose e delle relazioni tra di esse.
La coerenza e il rigore di tale atteggiamento porta alla presa di distanza dai tradizionali mezzi espressivi dell'arte, pittura e scultura. Gli artisti si rifanno frequentemente ad esperienze e intuizioni anticipatrici come quelle del Magritte di "Ceci n'est pas une pipe", in cui l'enunciazione linguistica svela la vera natura dell'opera, che trascende la consistenza materica della pittura; si ricollegano a tutta l'esperienza duchampiana che apriva all'universo sconfinato del reale il campo di azione dell'arte assumendo a dignità estetica l'oggetto d'uso comune; si rifanno alle intuizioni dei Nouveaux Réalistes Klein e Manzoni, in cui l'opera è già una semplice traccia lasciata dall'azione causata dal pensiero (la serie delle "antropometrie" di Klein o impressioni su carta del corpo colorato dei suoi modelli o le uova autenticate e la merda d'artista di Manzoni).
Sono non a caso le esperienze tendenti a liberare l'arte dalla schiavitù dell'oggetto e che privilegiano il processo mentale che precede l'esecuzione, nel quale l'opera è già compiuta. Ed è proprio il pensiero, il concetto, che diviene centrale per la nuova poetica, che assumerà appunto il nome di "concettuale", a discapito del prodotto.
L'atteggiamento ha una perfetta corrispondenza con l'umore fortemente ideologizzato del tempo. L'arte si libera da qualsiasi orpello che può legarla al mondo della produzione e al potere e si pone come atto rivoluzionario nella ricerca della sua propria essenza che è allo stesso tempo ricerca della verità attinente all'essere.
Da tale premessa deriva la disinvoltura e l'indifferenza con la quale gli artisti che seguono questa linea di pensiero utilizzano i mezzi più vari ed eterogenei, desunti da qualsiasi ambiente e da qualsiasi disciplina utile allo scopo, allargando così enormemente il campo di azione dell'arte. Se infatti l'arte è in primo luogo"processo di conoscenza" e la sua materializzazione ha un'importanza relativa avendo soprattutto la funzione di veicolo attraverso il quale si trasmette l'idea, il campo di azione dell'arte si allarga alla sfera di tutti gli strumenti espressivi che il pensiero può concepire come adeguati allo scopo. Qualsiasi tecnica o materiale possono essere utilizzati e nell'arte entrano oltre a materiali inediti come la terra, le piante, l'acqua del mare, i materiali sintetici industriali e così via, nuove categorie come la durata (l'evento o happening) o l'uso del corpo (bodyart).
Il processo non è solo una chiarificazione della natura dell'opera, ma di quella dell'arte stessa e della sua storia. Allontanando l'arte dall'identificazione con il manufatto e concependola invece come idea, anche la storia dell'arte viene vista come una storia di idee. L'arte vive quindi attraverso l'influenza che esercita su altra arte e non quale residuato fisico delle idee di un artista. Le effettive opere d'arte sono poco più che curiosità storiche.
L'impostazione teorica del concettualismo coinvolge anche la condizione operativa dell'artista in quanto elemento di un contesto sociale. Il suo impegno si articola così da una parte in un riesame completo della natura dell'arte al di là dell'apparenza dei suoi prodotti e dall'altra in un comportamento di chiara opposizione nei confronti del sistema. Questi due aspetti del suo operare sono inoltre inscindibili l'uno dall'altro.
La posizione politica porta l'artista concettuale ad un comportamento ambiguo e contraddittorio nei confronti della produzione artistica: rifiuta il prodotto mercificabile, ma registra in qualche modo con progetti, fotografie, video la sua azione e questi ultimi finiscono per sostituire con la stessa vecchia logica di mercato le opere tradizionali. La coscienza del carattere utopico di certe istanze concettuali è subito chiara agli stessi operatori e critici del movimento come Altamira (1974): "Fino a date che sembrano oggi molto avanzate (1972/73) sembrava ancora possibile l'illusione di un'arte "senza mercato", o non mercificabile, un'arte quindi pura e senza compromessi: utopia che già dopo il 1969 s'è dimostrata chiaramente tale. E' ovvio che secondo quest'ottica era estremamente importante la creazione dialetticamente ineccepibile di una "teoria sull'arte" che fosse, al contempo, anche l'unica manifestazione artistica di questo tipo d'arte: un momento di equilibrio tra filosofia, arte e storia. Si è poi verificato invece come il cambiamento dei media e delle modalità di "registrazione" degli eventi sostituisse, ma non negasse completamente il ruolo avuto precedentemente dall'oggetto": le conseguenze della commercializzazione anche di questo settore delle arti sono state molteplici: non ultima quella che ha visto stabilirsi, anche in questo contesto un nuovo concetto di "eleganza" (...)".
Anche l'arte concettuale in parte rientra così nel circuito della distribuzione. Ma gli artisti concettuali rimuovono il problema spostando l'accento dalla destinazione ai fattori che generano o costituiscono l'opera. Ciò che conta per essi è la realizzazione di un evento che sia una presa di coscienza di ordine intellettuale, mentale, concettuale appunto, rispetto a situazioni e problemi di carattere quanto mai vario, politico, sociologico, esistenziale, epistemologico, antropologico, ecc.
L'area di appartenenza definita "concettuale" è molto vasta trattandosi di una poetica che può manifestarsi in un atteggiamento, in un'intenzionalità, in un progetto mentale, che in quanto tali possono trovarsi presenti in artisti quanto mai diversi tra loro.
Sol Lewitt (1928) pur rimanendo molto vicino alle realizzazioni minimal, del resto vicine a loro volta al concettuale, è uno dei primi teorici del movimento. Scrive su Art Forum nel 1967: "Nell'arte concettuale l'idea concetto è l'aspetto più importante del lavoro. Quando un artista utilizza una forma concettuale di arte, vuol dire che tutte le programmazioni e decisioni sono stabilite in anticipo e l'esecuzione è una faccenda meccanica. L'idea diventa una macchina che crea l'arte." E nei suoi lavori è palese come sia l'idea a costituire l'opera: egli porta a compimento secondo la tecnica minimal una riduzione della forma ai suoi termini più essenziali in modo da rendere chiara senza inutili distrazioni la relazione matematica in cui gli elementi-segni del lavoro sono posti in connessione dal progetto mentale che li ordina e tale progetto, tale idea è il vero e unico contenuto dell'opera. Quando Lewitt organizza una successione di orme basate sul quadrato che da superficie diviene volume cubico e poi parallelepipedo, con una scansione in distanze uguali e misurabili entro una struttura che comprende tutte le possibili varianti, è evidente che la forma particolare in cui si è organizzato il lavoro è solo una conseguenza delle relazioni logiche e matematiche sulla base delle quali è stato costruito e che queste sono il vero contenuto dell'opera.
Joseph Kosuth (1945) svolge una intensa attività teorica in ambito concettuale i confini della quale si confondono con quelli della sua stessa produzione artistica, a partire dalla celebre "One and Three Chairs" del 1965, in cui vengono presentate tre versioni di una sedia, una iconica (la fotografia), una fisica (la sedia reale), una verbale (la definizione di sedia da vocabolario), portando allo scoperto la loro equivalenza comunicativa e nello stesso tempo evidenziando nel fatto comunicativo il comune denominatore di ogni possibile veste del soggetto, la sua vera natura e nello stesso tempo la vera natura del lavoro. Si può pensare che qualsiasi altra sedia e anche qualsiasi altro oggetto diverso può assolvere la funzione sopra descritta, così come in un altro lavoro di Kosuth, "Qualsiasi lastra di vetro di un metro e mezzo da appoggiare a qualsiasi muro", si può, come egli stesso scrive, "pensare che qualsiasi altro pezzo di vetro sarebbe potuto andare altrettanto bene, sicché l'opera non dipendeva da quel vetro particolare, ma esisteva molto in astratto". Conseguentemente l'opera d'arte viene considerata soprattutto come "proposizione linguistica che trova in se stessa il criterio del proprio valore" (Kosuth). In questo contesto Kosuth esplora anche il campo della tautologia: spostandosi l'arte dal lavoro alla riflessione sul lavoro, all'enunciazione di un concetto, se la stessa enunciazione costituisce visivamente l'opera il significato coincide, tautologicamente, con la sua descrizione, giungendo al massimo di eliminazione del soggettivo e al massimo della verificabilità della correttezza e verità della proposizione.
Art & Language, gruppo costituitosi in Inghilterra a metà degli anni '60 e di cui fanno parte con altri Terry Atchinson (1939), David Bainbridge (1941), Michael Baldwin (1945), Charles Harrison (1942) e Harold Hurrell (1940), centrano la loro azione direttamente sulla questione teorica dell'arte, dei problemi linguistici e filosofici che essa pone all'artista nel suo rapporto con la società. Le loro opere sono destinate esclusivamente ad analizzare i metodi e le ragioni della produzione artistica. Filosofia, sociologia e politica entrano nel campo di interesse dell'arte ed escludono l'attenzione verso le distrazioni rappresentate dalla realtà degli oggetti.
L'opera di Vincenzo Agnetti (1926-1982) continua sul filo della provocazione intellettuale e del gioco spiazzante dell'intelligenza la poetica di azzeramento del gruppo "Azimuth" che comprendeva Manzoni e al quale egli collabora nel 1959. Il suo lavoro procede inizialmente nel rifiuto della produzione di opere affidandosi ad un'azione di presenza nel contesto dell'arte. Successivamente trasferisce il procedimento di provocazione dell'assenza, della mancanza di qualcosa in un contesto che ne prevede invece la presenza, in opere che esprimono un drammatico senso di vuoto, utile, come egli stesso scrive, a "svilire l'oggetto per mettere a fuoco il concetto", a denaturare cioè l'oggetto togliendogli le caratteristiche specifiche della sua nozione e funzione comune (un testo con lettere sostituite da numeri, una macchina calcolatrice con i numeri sostituiti da lettere, un libro con il testo fisicamente asportato tagliando l'interno delle pagine, ecc.) nel tentativo scoperto di aprire le possibilità di riflessione della mente al di là del consueto e della cultura istituzionalizzata.
L'Arte povera, così chiamata per i materiali usati, spesso elementi naturali o tratti dal vissuto quotidiano, ha una poetica essenzialmente concettuale per la predilezione dell'idea e dell'azione rispetto all'oggetto rappresentativo. Ne sono protagonisti Pascali, Anselmo, Fabro, Kounellis, Pistoletto, Zorio, Penone, Merz, Boetti, Calzolari, Paolini. Le opere di tutti questi artisti non possono tuttavia essere considerate esclusivamente all'interno di questo movimento affrontando essi poetiche quanto mai differenziate e personali.
Nell'atteggiamento di negazione e dissacratorio dell'arte povera c'è in realtà una volontà di fondo indistruttibile e poetica di riappropriarsi di valori primari come il senso della terra, della natura, dell'energia pura, della storia dell'uomo. Pur nel contesto estremamente politicizzato degli anni '60 l'arte povera appare tuttavia distante dai problemi politici ed economici delle masse nella stessa misura in cui rifiuta ogni inserimento (dell'arte come dei suoi destinatari, le masse) nel sistema e quindi qualsiasi trasformazione di quest'ultimo, ma ne propugna un radicale ribaltamento più vicino all'utopia che al riformismo. La volontà di portare l'arte alle masse si unisce con quella di aprire meccanismi mentali liberatori nei fruitori dell'arte soprattutto attraverso l'uso dello scarto, dell'intuizione ovvia ma impensabile nell'ordine prestabilito di abitudini e comportamenti sociali e personali. Il risultato è un linguaggio per lo più criptico, limpido ed evidente solo per chi come l'artista e il critico possiede la "chiave" per accedere alla dimensione diversa, libera e poetica, della speculazione, dell'approfondimento dei valori dello spirito e delle verità insite nell'arte.
In questo contesto l'assorbimento dell'arte "povera" da parte del sistema "ricco" non è che un incidente esterno ad essa che essa accetta non senza amara disillusione e con un certo addolcimento delle spigolosità dei primi anni dovuto al trascorrere del tempo, all'avanzare dell'età dei suoi protagonisti, all'impossibilità di sostenere in perpetua tensione una rivoluzione permanente che non voglia trasformarsi come tutte le rivoluzioni storiche in restaurazione o dittatura. Non intacca però la convinzione profonda della giustezza del proprio pensiero e della varietà e necessità del proprio operato negli artisti, che continuano a combattere la loro battaglia con immutata fede nelle ragioni teoriche, poetiche e politiche del proprio operare.
L'ideologia e la politica sono elementi costitutivi della poetica dell'arte povera, insieme con la cultura museale ampiamente visitata. E tuttavia, come scrive Caroline Tisdall, "il contesto dell'arte povera era ed è fatto, dopotutto, dagli splendidi palazzi e dai vasti spazi bianchi del mondo dell'arte, e non dallo strepito della strada. Il linguaggio con cui il lavoro di questi artisti viene promosso in Italia, e anche in Francia, è talmente oscuro da scoraggiare l'intellettuale più determinato, per non parlare del vasto pubblico. Soprattutto, questa è un'arte dei ricchi centri urbani del quinto paese più ricco del mondo, un'arte del tutto estranea alla parte "povera" dell'Italia. A tono il messaggio dell'avanguardia, ma si tratta di mondi isolati dalla dura miseria del Meridione, la miseria di un ceto contadino disgregato: dopo la guerra quindici milioni di persone sono emigrate al Nord in cerca di un lavoro. Non c'è nulla di affascinante in questa miseria così brutale, nessuna attrazione per l'artista nei materiali grossolani che contornano la vita contadina, nessun piacere borghese".
La riduzione, da cui il termine "povera" è un processo messo in atto da più o meno tutti i rappresentanti della tendenza poverista da Castellani e Lo Savio con il monocromatismo; a Pistoletto con i suoi acciai che non riflettono altro che la realtà circostante; a Paolini che porta la sua speculazione razionale ad un limite di rarefazione assoluta in cui ritengono un valore solo le idee e i rapporti tra le cose e il loro significato; a Kounellis che giunge alla vita con la sostituzione del vivente al rappresentato, a Pascali con la sua ricerca del primario - la terra, il mare, gli animali - e attraverso esso il mitico della coscienza, il luogo in cui i nomi coincidono con le cose, alle altre personalità ugualmente significative quali, in ordine sparso, quelle di De Dominicis, Fabro, Calzolari, Boetti, Merz, Anselmo, Penone, tutti accomunati da un'uguale altissima tensione intellettuale (e poetica) ricca di conseguenze determinanti per gli sviluppi futuri dell'arte, soprattutto sul piano della coscienza.
La dimostrazione di come il concettuale possa non essere sempre freddamente matematico è data da Pino Pascali (1935-1968), che nel brevissimo arco di tempo della sua produzione giunge a vertici altissimi di sintesi poetica e con istintiva felicità creativa e assoluta coerenza attua una totale presa di coscienza della necessità di recupero dei valori primari dell'esistenza e nello stesso tempo di sottrazione dell'arte al gioco della mercificazione. Esemplari sono le opere che presentano riferimenti a elementi naturali come il mare o la serie degli animali che realizza con materiali tecnologici spaesanti anche per la tecnica esecutiva a metà tra il modellismo e la simulazione ludica. Scrive Palma Bucarelli: "si afferma la assoluta arbitrarietà dell'agire dell'artista nei confronti di tutto un sistema economico-sociale fondato sul possesso e l'accrescimento del possesso: servirsi di setole acriliche non per fabbricare scope e spazzolini ma bruchi giganti, significa evidentemente ingannare contemporaneamente la natura con l'industria e l'industria con la natura".
Le opere di Mario Merz (1925), Jannis Kounellis (1936) e Gilberto Zorio (1944) sono esemplari della ricerca sulla possibilità di un incontro tra natura e cultura nella coscienza dell'uomo. Per fare questo gli artisti assumono elementi tratti dalla natura o simulanti elementi o eventi naturali confondendoli con l'atto e l'effetto della creazione artistica. Elementi primari come il fuoco (Kounellis), pelli di animali (Zorio), Arbusti (Merz) si mescolano con altri tecnologici come il neon, prediletto per la sua natura di conduttore neutro di energia, e mettono in essere confronti e interazioni evidenziando il rapporto tra energia mentale e energia fisica. Altri materiali come metallo fuso, acidi corrosivi, lampade voltaiche (Zorio), animali vivi (Kounellis), pongono ancora di più l'accento sull'essere, sulla trasformazione, sulla durata, sull'azione, a discapito della considerazione di una realtà offerta alla contemplazione e trasformata così inevitabilmente in elemento già distante dalle urgenze e dalle necessità del presente.
Giulio Paolini (1940), inizialmente operante nel gruppo dell'Arte Povera, è un caso a parte nel panorama concettuale. Anche la sua è una continua meditazione dell'arte sull'arte e in questo si colloca al centro della poetica del movimento, ma più che sul sistema linguistico e verbale egli si basa sul sistema delle immagini e più precisamente della visione. Spesso le sue opere sono incentrate proprio sui modi e sull'essenza del vedere e su rimandi mentali operati attraverso gli elementi oggettivi dell'opera, come nel "Giovane che guarda Lorenzo Lotto", riproduzione di un ritratto frontale di giovane di Lotto, che guardando lo spettatore, grazie alla conoscenza del titolo, fa sentire chi guarda al posto del maestro del Cinquecento, con uno sfasamento di tempo e una sorta di transfert che cala lo spettatore in una dimensione di realtà al di là dell'apparenza fisica del dipinto.
All'area concettuale si può ascrivere il movimento Fluxus, che sposta l'attenzione sul fluire delle cose nel tempo, in cui si mescola il gesto artistico affidato a qualsiasi mezzo e oggetto anche quotidiano che abbia una relazione con l'artista. Protagonisti del movimento sono Brecht, Maciunas, Ben, Paik e molti altri che vi si sono avvicinati per qualche tempo come Beuys, Spoerri.
Joseph Beuys (1921-1986) è figura centrale del concettualismo e più in generale di tutta l'arte del '900. Il linguaggio è per Beuys il mediatore tra l'uomo e il suo mondo, tra la natura e la cultura, così come lo sono tutti i materiali organici di cui si serve e che, attraverso il suo processo creativo, pongono in relazione l'uomo con il mondo animale e vegetale, nel tentativo di fondere le diverse culture. L'arte diviene in tale accezione il mezzo comunicativo per eccellenza, capace di unire gli uomini, di congiungere gli opposti, completamente immune da possibili corruzioni e degradazioni, mentre l'artista per Beuys ha il compito del maestro, è colui che insegna attraverso la sua voce e le sue spiegazioni che vengono trascritte su lavagne, uno dei mezzi da lui più usati. Scrive Achille Bonito Oliva: "Il suo concetto di arte rivoluzionaria corrisponde anche ad una visione in cui gli elementi del vivente concorrono a definire la nuova antropologia dell'uomo. Le azioni di Beuys sostengono sempre l'equazione arte-uomo. All'inizio esiste la materia come energia pura, caos indistinto sottratto alle misure della ragione ordinatrice. Poi l'eroe man mano plasma la crescita di tale materia e la riduce a forma concorrente all'ordine amplificato dell'umano, che ha recuperato accanto alla paralizzante nozione di ragione (tutta occidentale) anche la vitalità aperta della materia della natura. Beuys intende plasmare la realtà come volontà a rappresentazione di una visione del mondo dove concorrono finalmente la volontà, il pensiero, il sentimento. Le opere così diventano tracce e pretesto per portare gli altri uomini nello spazio socratico del dialogo". Performance e Body Art sono un'altra manifestazione della poetica concettuale, con Gina Pane, Rainer, Lüthi, Acconci, Ontani, Abramovic, Nitsch, che assumono il corpo come ulteriore strumento espressivo dell'arte. In realtà l'ingresso del corpo comprende anche la categoria della durata e del comportamento, in contrasto con la concezione codificata degli strumenti espressivi dell'arte: all'oggetto viene qui sostituito il soggetto. Le direzioni di questo operare sono molteplici e vanno dall'esaltazione del corpo come opera d'arte, sempre giocata sui rimandi culturali, all'atteggiamento sadomasochistico derivato dalla volontà di agire sul corpo stabilendo nel contempo una reazione interattiva con il pubblico.
Al primo orientamento si può riferire l'opera di Luigi Ontani (1943), che trasforma in ogni sua rappresentazione o performance se stesso in un personaggio tratto dalla cultura classica o popolare, trasformando nel contempo il personaggio in Ontani tramite la rappresentazione/esibizione di sé fortemente narcisistica, con un gioco sottile, ironico e malinconico, di ambiguità.
Nel versante sadomasochistico l'azione sul corpo non è truce violenza, ma esperienza intellettuale o poetica che acquista la valenza della comunicazione di una presa di coscienza diretta del proprio essere. La teatralità e il rituale rappresentativo che accompagna il lavoro degli artisti è indicativo del valore attribuito alla trasmissione o alla provocazione diretta e immediata dell'esperienza conoscitiva attuata con l'operazione sul proprio corpo in un dato tempo e in un dato spazio. In Gina Pane (1939-1990) il lavoro sul corpo diviene mistico e autodistruttivo. La comunicazione dell'esperienza di una lucida e programmata offesa corporale, operata con strumenti sottili e domestici e in un certo senso intimi come lamette o vetro, acquista una valenza emotiva sconvolgente per la sincerità vitalistica e l'anelito di assoluto che trasuda dal rigore e dalla determinazione progettuale dell'azione di tortura, ferimento e provocazione del dolore desiderata e attuata su di sé dall'artista. Spettacolare e deciso ad esplorare tutte le possibilità espressive del proprio e dell'altrui corpo è Arnulf Rainer (1929) che interviene nelle fotografie di sé in atteggiamenti e smorfie le più esasperate con un segno gestuale che carica di movimento drammatico ed esistenziale l'immagine.
Sulla linea del recupero della consapevolezza del proprio corpo e della sua presenza nello spazio è l'opera di Vito Acconci (1940). Una sorta di esibizione liberatoria di inibizioni e repressioni è quella attuata da Urs Lüthi (1947), mentre al sadismo catartico e orgiastico tende l'opera di Herrman Nitsch (1938), che giunge al limite del parossismo masochistico con la crocifissione umana dinanzi alla carcassa di un bue squartato che inonda di sangue la persona, rivelando la natura animalesca dell'essere umano con un'operazione sorretta da un anelito di verità assoluto derivato dalla convinzione, come egli stesso scrive, che "il calore della vita, la crescita organica nel ventre materno, gli estremi di intensità sessuale e mistica, la globalità del processo esistenziale devono essere colti nella loro essenza e resi visibili".

fonte:  www.centroarte.com

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