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Charles Baudelaire

(1821-1867)

 

LA VITA

Ebbe un’infanzia difficile, segnata dalla morte del padre e dall’insofferenza per il patrigno. Difatti la madre Caroline, rimasta vedova, espande sul figlio tutta al sua ricchezza affettiva. Ma neppure due anni più tardi Caroline si risposa con Aupick, un ufficiale ben avviato nella carriera. Baudelaire non perdonerà mai alla madre questo tradimento e da allora il rapporto tra i due diventa tormentoso, nutrito dagli impulsi di vendetta del figlio, che non dissocia più l’amore dal bisogno di farla soffrire e dai lamenti e rimproveri di lei che al figlio sono altrettanto necessari. Rimasta vedova del secondo marito si ritira a Honfleur, ma è troppo tardi per eliminare i veleni accumulatisi nell’animo del figlio. Questi si rifugia qualche volta da lei, ma ne riparte annoiato e irritato. Aupick è l’avversario di Baudelaire. Ogni suo provvedimento educativo è accolto come una punizione intollerabile. La vocazione poetica, che si manifestò precocemente, fu avversata dai genitori, i quali, per sottrarlo alla vita disordinata che conduceva, nel 1841 lo indussero a compiere un viaggio in India, dal quale il giovane Baudelaire fece ritorno ancor prima di essere giunto a destinazione. Riprese allora la sua vita di dandy ed esteta, sperimentando i “paradisi artificiali” dell’hashish, dell’oppio e dell’alcool, insidiosi rimedi al tedio e alla frustrazione, procurandosi fama di eccentrico e immorale e dissipando ben presto il patrimonio paterno, cui aveva avuto accesso con la maggiore età. Questo periodo di libertà assoluta e di ricerca del piacere coincise con una fase creativa estremamente feconda, da cui nacquero le sue poesie più celebrate. Costretto dalle preoccupazioni finanziarie, intraprese l’attività giornalistica. Il riconoscimento della sua abilità di scrittore, giunse nel 1848, quando furono pubblicate le traduzioni di opere di Edgar Allan Poe, scrittore con il quale Baudelaire condivideva una profondo inquietudine.
Nel giugno del 1857 egli fece pubblicare la raccolta “I fiori del male”, che affiancava inediti a poesie già comparse in riviste. In agosto l’opera fu sequestrata e all’autore fu intentato un processo per oltraggio alla morale pubblica; il pubblico ministero comminò a Baudelaire una pena pecuniaria e ordinò la soppressione di sei componimenti, che furono riabilitati solo nel 1949. Dopo lo scandalo, continuò a pubblicare sulle riviste testi critici e traduzioni di Poe, a cui si aggiunsero dei poemetti che sarebbero stati pubblicati con il titolo “Lo spleen di Parigi” e con i quali l’autore riprendeva i temi e i motivi de “I fiori del male”. Nel 1866, colpito da un attacco di paralisi morì a Parigi. Il lavoro di Baudelaire rimaneva in gran parte disseminato in giornali e riviste fino a quando, morto il poeta, Lèvy non acquistò all’incanto i diritti su tutta la sua opera e provvide a ordinarla in sette volumi.
Il poeta francese è un personaggio unico nella letteratura europea per la complessità psicologica e artistica. Per l’esperienza esistenziale rappresenta l’esponente più tipico del “maledettismo” simbolista. Nell’opera poetica Baudelaire analizza il male fisico e psicologico, mettendo a nudo il profondo sentimento di disperazione che incombe sull’uomo e sul poeta. La poesia di Baudelaire colpisce prima di tutto per la purezza e l’intensità delle emozioni, tanto più sorprendenti in quanto nascono da un doppio ordine di degradazioni: il primo è quello della natura colpevole, il secondo quello della realtà decaduta. Egli vive la città e la propria amarezza con solitudine e introversione: emozioni pure e intense perché il poeta vive acutamente nel mondo essendone allo stesso tempo dissociato. Per Baudelaire l’infinito è una promanazione dello stesso finito e viene reclamato dalla forza stessa del limite, vissuto fino in fondo dall’uomo e accettato dall’artista. Dopo l’opera di Baudelaire l’uomo non può più ignorare di trovarsi in preda all’arbitrio di una legge vacante dissimulata dalla menzogna e dalla violenza.
“Spleen” è una parola inglese che significa milza, l’organo che, nella teoria degli umori di Ippocrate, secerne la bile nera, responsabile del carattere malinconico. Lo “spleen” è male esistenziale e fisico assieme; in esso si fondono la noia, l’angoscia e i turbamenti profondi del poeta. Per Baudelaire il centro da cui si irradia l’angoscia è la città moderna con la sua folla rumorosa, con l’alienazione metropolitana; tra le cose esistono corrispondenze che solo il poeta può cogliere nel frastuono cittadino, per cui svelare il segreto messaggio delle cose rappresenta l’unica salvezza al grigiore del vivere quotidiano. Gli scritti su Poe che avevano tradotto criticamente l’emozione della scoperta e accompagnato lo splendido lavoro della traduzione, mostravano quanta coerenza ci fosse nella acquisizione spontanea e ideologica delle ragioni dell’arte moderna. Anche gli scritti che aveva pubblicato su tema degli stupefacenti, perdevano, una volta riuniti nei “Paradisi artificiali”, ogni eccentricità e rientravano in una acuta e grave filosofia, insistente sulla contesa tra natura e spirito, tra finito e infinito.
Visto nel suo insieme l’opera di Baudelaire s’impone come quella di uno scrittore dotato di eccezionale organicità che paradossalmente aveva lavorato in modo disorganico sulla spinta delle poche e disuguali opportunità che gli venivano offerte.

 

fonte: www.itcbz.it/didattica/archivio/decadentismo

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