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Bronislaw Malinowski

 

Bronislaw Malinowski (1884 - 1942).

Nei primi decenni del Novecento, dopo un periodo di incertezza teorica, l'attività etnografica era condotta principalmente da antropologi di formazione britannica. Alcuni di questi non erano di nazionalità inglese, tuttavia nelle università inglesi avevano ricevuto una solida formazione teorica e avevano trovato il clima più adatto per intraprendere le loro ricerche sul campo. Tra costoro il più celebre fu senza dubbio Bronislaw Malinowski. Allievo di C. G. Seligman, Malinowski, d'origine polacca, ebbe una influenza grandissima sulle generazioni successive, tanto che il suo stile di fare etnografia (la cosiddetta "osservazione partecipante") divenne presto un modello e Malinowski stesso fu a lungo considerato l'Antropologo per eccellenza, colui che attraverso la pratica di una ricerca intensiva sul campo era in grado di cogliere dall'interno la vita delle popolazioni studiate.
Dal 1921 al 1934 Malinowski insegnò alla London School of Economics; dal 1938 fino alla morte fu professore alla Yale University. Uno dei suoi maestri, Marett, considerava Malinowski "un uomo capace di farsi strada nel cuore del più diffidente selvaggio". Firth, che fu suo allievo, lo riteneva in grado "di raggiungere una eccezionale identificazione con la gente da lui studiata". Di fatto, se l'antropologia è uscita da un ristretto ambito di specialisti si deve anche all'investimento d'immaginazione nei confronti di quest'uomo dalla raffinata cultura mitteleuropea che partì per studiare gli abitanti di isole lontane. Malinowski rappresentò per molti un'alternativa possibile al vissuto quotidiano: rappresentò l'uomo avventuroso che, sciolti i legami col proprio gruppo, si lasciava dietro le spalle le convenzioni sociali, compiendo una vera e propria fuga dalla civiltà.
A mettere in discussione il mito Malinowski fu lo stesso antropologo polacco, e, meglio, la pubblicazione postuma (1967, a venticinque anni dalla morte) dei suoi diari sul campo. Ne uscì un'immagine di Malinowski assai diversa rispetto a quella affermata di uomo controllato in grado di adattarsi a qualsiasi estraneità culturale. L'antropologo dei "diari" era un uomo spesso "a disagio", di volta in volta duro, compassionevole, intollerante e volgare nei confronti dei nativi; un'immagine che fece scalpore nel mondo dell'antropologia e ne ridimensionò moltissimo il mito. Alla luce dei suoi diari, Clifford Geertz scrisse che Malinowki passò gran parte del suo tempo sul campo desiderando di essere altrove.
Anche le sue teorie furono accusate di eccessive semplificazioni. Se Malinowski influenzò senza dubbio l'antropologia americana comportamentistico-empirista, dura resta, invece, l'opinione dell'inglese Evans-Pritchard, che gli riconosceva indubbie capacità sul campo ma trovava che i suoi libri fossero "una caterva di chiacchiere e di banalità".
Ciò nonostante è opinione oggi diffusa riconoscere a Malinowski un contributo decisivo alla definizione dei caratteri dell'antropologia moderna. Il "funzionalismo", l'indirizzo antropologico di cui è l'esponente di maggior spicco, rappresenta un evidente salto di qualità rispetto all'evoluzionismo britannico di tipo Frazeriano. La svolta è evidente proprio sul piano della teoria. Uno dei principi-guida che informava l'opera di Frazer era l'ordine di successione secondo il quale nel processo evolutivo dell'umanità facevano la loro comparsa dapprima la magia, poi la religione ed infine la scienza, quest'ultima assente nella fase primitiva, posta sotto il segno del magico. La formazione del pensiero scientifico si situava per Frazer al culmine del processo evolutivo. Per Malinowski, invece, magia, religione e scienza erano da sempre coesistenti, distinte ma unite da reti di relazioni reciproche. La conoscenza scientifica, inoltre, era la spina dorsale della cultura, da sempre, ed era da estendere con pieno diritto anche all'uomo primitivo, di cui era guida determinante nel suo rapporto con l'ambiente. Nonostante abbia più volte professato profonda ammirazione per Frazer, con le sue teorie Malinowski metteva in discussione l'intero edificio evoluzionistico.
Per Malinowski la produzione di cultura trae impulso dall'esigenza di soddisfare i bisogni umani, a cominciare da quelli considerati primari e comuni anche agli altri animali (il bisogno di nutrirsi, procreare, proteggersi). Lo specifico dell'uomo consiste nella sua peculiare prerogativa di rispondere in maniera "indiretta" agli imperativi vitali. Ad esempio, il bisogno di nutrirsi non si risolve per l'uomo nel semplice atto di consumare da solo i frutti che crescono spontaneamente nella foresta; al contrario, in tutte le fasi del processo della nutrizione (dalla ricerca del cibo alla sua preparazione, dalla cottura all'ingerimento) vigono precise regole umane. Inoltre gli alimenti sono ottenuti attraverso procedimenti praticati collettivamente, in cui fondamentale è l'uso di un apparato prodotto artificialmente (armi, attrezzi agricoli, arnesi della tecnica) così come determinanti sono la cooperazione organizzata e i valori economici e morali. La risposta "indiretta" è dunque un modo culturale di soddisfare le esigenze d'ordine naturale. Ma questo soddisfacimento culturale dei bisogni fondamentali comporta per Malinowski l'insorgenza di nuovi bisogni di ordine culturale. Malinowski distingue allora tra imperativi fondamentali, concernenti i bisogni biologici dell'uomo, e gli imperativi del sistema o "derivati" (ma non nel senso di secondaria importanza), corrispondenti alle regole cui gli uomini devono sottostare per vedere adeguatamente soddisfatti i loro bisogni. Vi è poi una terza categoria di imperativi che Malinowski chiamò "integrativi", tra cui l'antropologo polacco annovera la conoscenza, la magia e la religione.
La religione ha una funzione positiva autonoma, quella di rispondere al bisogno umano di fronteggiare le situazioni di crisi sparse lungo l'arco dell'esistenza individuale e collettiva. Tra le crisi la più inquietante è quella connessa alla morte, l'evento che sconvolge calcoli e progetti umani. La religione interviene con varie modalità, che vanno dall'affermazione della non realtà della morte all'elaborazione di teorie come quella dell'immortalità dell'anima umana. In ogni caso la religione interviene sulle situazioni di crisi al fine di modificarle secondo paradigmi sociali sanciti dalla tradizione (un tema successivamente ripreso ed rielaborato da Ernesto de Martino). La religione manipola gli accadimenti critici assumendoli, in modo da eliminare i fattori di squilibrio e di disintegrazione, operando a favore della coesione sociale.
Anche la magia ha una sua funzione. Malinowski rifiuta la teoria di Frazer secondo la quale la magia era una forma primitiva e distorta di conoscenza scientifica, una pseudo-scienza. Per Malinowski il ricorso al magico è funzionale a far fronte a quei rischi che dipendono da fattori derivanti dal caso (e sono perciò imprevedibili) rispetto ai quali il peso della scienza è irrilevante. Il sapere scientifico e la tradizione magica sono per Malinowski strumenti per sottoporre a controllo umano la realtà esterna nella totalità dei suoi aspetti. Il senso ultimo della magia è quello di far sì che l'uomo non desista dall'operare, offrendogli una via d'uscita là dove si profila il rischio dell'impasse.

 

L'approccio etnografico di Malinowski, venato dal sospetto che le interpretazioni dell'antropologo siano continuamente influenzate dalle interpretazioni degli informatori, è una teoria che, come egli stesso ebbe a scrivere, "nata sul campo, conduce ancora nuovamente sul campo".
I suoi libri più famosi e importanti sono quelli in cui l'antropologo polacco ha organizzato e interpretato i dati raccolti sul "terreno". Tra il 1915 e il 1918 Malinowski aveva consacrato grande parte delle proprie ricerche all'universo socio-culturale degli abitanti delle isole Trobriand, arcipelago a nord est della Nuova Guinea, dove aveva raccolto la gran parte del materiale etnografico che sta alla base delle sue pubblicazioni. Argonauts of the Western Pacific (Argonauti del Pacifico Occidentale), uscirà nel 1922; The sexual Life of Savages in North-western Melanesia (La vita sessuale dei selvaggi della Melanesia Nord-occidentale), nel 1929. I due libri non costituiscono dei saggi sulla cultura nelle isole Trobriand considerata nella sua totalità ma partono da un aspetto della vita di esse per poi aprirsi agli altri.

 

L'oggetto di Argonauti nel Pacifico Occidentale era costituito da una forma di scambio, il kula, praticata da comunità stanziate su una trentina di isole disposte su un cerchio compreso in un'area geografica precisa. Tra le isole abitate dai gruppi partecipanti allo scambio circolavano due tipi di oggetti: collane di conchiglie rosse e braccialetti di conchiglie bianche. Le prime circolavano solo in senso orario, i secondi solo in senso contrario. Ne seguiva che gli oggetti appartenenti ad una categoria potevano essere scambiati solo con oggetti dell'altra categoria. Gli oggetti circolavano in continuazione, restando nelle mani del loro possessore solo per un periodo limitato di tempo. Gli oggetti venivano barattati nel corso di visite che gli abitanti delle isole si scambiavano periodicamente. Sia i preparativi per la partenza che le trattative e gli scambi avvenivano secondo rituali precisi. Durante le visite, gli scambi di tipo kula erano accompagnati da un commercio di tipo profano mediante il quale venivano scambiati oggetti in possesso di un valore d'uso.
L'analisi condotta da Malinowski fece emergere l'esistenza di una rete di rapporti tra individui, clan e tribù fondati su ciò che da allora in poi sarebbe entrato a far parte del repertorio concettuale dell'antropologia col nome di "principio di reciprocità". Tutte le operazioni connesse alle spedizioni kula si presentavano infatti come regolate da una logica sociale che nei suoi effetti tendeva a promuovere la solidarietà sociale. Più in generale, per Malinowski il principio di reciprocità costituiva la base delle relazioni sociali e del diritto vigente presso le società primitive. L'utilizzazione del principio di reciprocità come principio esplicativo della dinamica sociale primitiva migrerà nella teoria del dono di Marcel Mauss e da questi, in seguito, nell'antropologia strutturale di Claude Lévi-Strauss.
Ne La vita sessuale dei selvaggi della Melanesia Nord-occidentale Malinowski prende invece in considerazione un altro aspetto della cultura delle isole Trobriand. L'ideologia religiosa trobriandese induceva a considerare ogni nuovo nato come la reincarnazione dello spirito di un parente materno deceduto: in questa cornice la nascita di un individuo acquistava un valore preciso. Quando un uomo moriva, il suo spirito (baloma) lasciava il corpo e si trasferiva nell'Isola dei Morti, dove conduceva un tipo di esistenza simile a quella dei vivi, invecchiando e ringiovanendo periodicamente. Quando era stanco di ringiovanire, il baloma si trasformava in un embrione umano e, via mare, tornava nel mondo dei vivi per iniziare una nuova esistenza. L'embrione, di solito grazie alla mediazione di un altro spirito imparentato con la futura madre, veniva poggiato sulla testa di una donna appartenente alla stessa linea di discendenza della persona morta, e da qui penetrava nel ventre. La donna restava incinta e la sua prole assicurava la continuità del gruppo sociale materno.
La caratteristica più sorprendente di questo edificio culturale consiste nella negazione della paternità fisiologica. Nella società trobriandese matrilineare il rapporto tra padre e figlio era decretato dalla legge come un rapporto tra estranei e tutti gli obblighi familiari erano assicurati dalla successione materna. I figli dunque appartenevano al clan della madre, che aveva nel proprio fratello maggiore (e non nel marito) un capo e un protettore (ruoli che il marito rivestiva nei confronti della propria sorella e dei figli di quest'ultima). Non sarebbe convincente attribuire questo tipo di sistemazione di un aspetto così importante della realtà all'ignoranza dei Trobriandesi circa il rapporto causa/effetto tra accoppiamento sessuale e gravidanza. Più che una semplice ignoranza della paternità fisiologica appare un voluto disconoscimento di quest'ultima. Per i Trobriandesi l'accoppiamento sessuale uomo/donna era senza dubbio necessario, ma al solo fine di produrre l'apertura della vagina, mentre il potere generativo dello sperma veniva negato.
Prima del matrimonio la donna trobriandese viveva una fase dell'esistenza caratterizzata da ampia libertà sessuale; fase che non poteva estendersi oltre un certo limite, altrimenti la donna sarebbe incorsa nel disprezzo sociale. La funzione del marito era quindi quella di disciplinare la vita sessuale della moglie e, al tempo stesso, di farne valere i diritti; il marito era anche colui che assisteva la moglie durante il parto e che aveva cura dei bambini dalla nascita fino al momento in cui questi, divenuti adolescenti, sarebbero stati sottoposti all'autorità dello zio materno. Quest'ultimo, tuttavia, non recitava soltanto un ruolo "positivo" ma anche un ruolo "negativo", sanzionato da un tabù che gli impediva in modo assoluto di pensare a qualche cosa che fosse in rapporto con il sesso della sorella. Era proprio in relazione a questa sfera che si rendeva ancor più necessaria la figura del marito.
Il sistema socio-culturale trobriandese fornisce un esempio di ciò che Malinowski intende quando parla di modo culturale "indiretto" di soddisfare i bisogni biologici, quale il bisogno di continuità della specie. Un modo culturale che reinterpreta gli impulsi fisiologici in termini di regole sociali, avallate dalla tradizione.

Fonte: www.studioantropologico.it

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