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Giovanni Pico della Mirandola

 

“Quante molestie, ansie, affanni si trovino per ottenere il favore dei principi, per conciliarsi la benevolenza dei pari, per andare a caccia di onori, son cose che meglio io posso imparare da te che non insegnarti, io che fin da ragazzo ho appreso a vivere contento dei miei libri, del mio riposo e, standomene appartato, non sospiro e non cerco nulla fuori di me”.
Lettera (15 maggio 1492) di Giovanni Pico al nipote Gianfrancesco.

 

Giovanni Pico nasce il 24 febbraio 1463 da Giovan Francesco I e Giulia Boiardo, zia di Matteo, autore dell’”Orlando Innamorato”.
Scrive Giovan Francesco II Pico che prima della nascita di Giovanni fu visto sopra il letto della madre un cerchio di fuoco, subito sparito, “forse per insinuarci che, per perfezione d’intelletto, sarebbe stato somigliantissimo alla figura orbicolare colui che in quella stessa ora nascerebbe tra i mortali, degno di essere celebrato per l’eccellenza della sua fama, in tutto il globo terrestre.”
Una precoce vocazione per gli studi allontana il giovanissimo Pico, contrariamente ai fratelli Galeotto e Anton Maria, dall’esercizio delle armi e dall’amministrazione dello Stato, e lo spinge nel 1477, secondo il disegno e la volontà della madre, all’università di Bologna per studiare diritto canonico.
Pico, non interessato a questi insegnamenti, dopo la morte della madre, avvenuta nell’agosto 1478, si trasferisce a Ferrara su invito del Duca Ercole I d’Este. Qui Giovanni s’imbatte in una città culturalmente molto viva e ha modo di incontrare uomini dotti come Vespasiano Strozzi e Gianbattista Guarini, e probabilmente pure Girolamo Savonarola
Ma presto viene attratto da un’altra città, Padova, importante centro di studi filosofici, capitale dell’aristotelismo e di un’interpretazione in particolare di quest’ultimo, l’averroismo. Nella città veneta, in cui Pico resta dall’autunno del 1480 alla primavera del 1482, segue i corsi di Nicoletto Vernia da Chieti e del cretese Elia Del Medigo che inizia Giovanni alla conoscenza dell’ebraico e per lui traduce i commenti ad Aristotele di Averroè.
Nell’estate del 1482 Pico torna a Mirandola e di lì, sul finire di quell’anno, si reca a Pavia, accompagnato da Manuele Adramitteno, suo maestro di Greco, per seguire i corsi di retorica e quelli di logica matematica. Nello studio pavese resta tuttavia solo un anno e nei prima mesi del 1484 si stabilisce a Firenze. In questi anni Pico aveva già avuto modo di entrare in rapporto con la città toscana tramite contatti con due figure che risulteranno fondamentali per la formazione di Giovanni, vale a dire Marsilio Ficino e Angelo Poliziano. Egli aveva scritto infatti a Ficino per avere da questi una copia della Theologia platonica de immortalitate animorum e aveva altresì inviato nel 1483 ad Angelo Poliziano cinque libri delle proprie elegie latine, in merito alle quali riceve un giudizio piuttosto lusinghiero che non gli impedisce tuttavia di dare fuoco a quelle carte.
A Firenze Pico può beneficiare degli influssi di un ambiente culturale straordinariamente ricco e animato, che peraltro si qualifica come il più vivo centro del platonismo che Giovanni può così al meglio comparare e confrontare con l’aristotelismo che aveva studiato a Padova. Al riguardo scrive: “In Platone trovo due cose. Un’omerica eloquenza che si eleva su ogni espressione prosaica e una somiglianza di pensiero con Aristotele, specie se il confronto viene fatto da un punto di vista più elevato. Infatti, se ci si ferma alle parole non c’è nulla di più contrario fra i due, ma se si va al senso ci si accorge che nulla vi è di più affine fra i loro pensieri.”
Il 3 giugno 1485 Pico scrive un’assai importante lettera a Ermolao Barbaro, umanista padovano, difendendo con forza il valore della pura speculazione filosofica anche quando espressa con linguaggio non raffinato rispetto alla vacua ricerca dell’eloquio elegante e stilisticamente ineccepibile.
Dal luglio 1485 a marzo 1486 il Filosofo soggiorna a Parigi dove ha la possibilità di assistere e partecipare alle dispute della Sorbona e di approfondire gli studi teologici in una riconosciuta capitale della filosofia scolastica e dell’averroismo.
Di ritorno in Italia Pico avvalendosi dell’apporto di Elia del Medigo e di Flavio Mitridate intensifica lo studio dell’ebraico, del caldaico e dei testi cabalistici. Si immerge nei testi neoplatonici e lavora alla stesura del Commento della Canzone d’Amore di Girolamo Benivieni.
E’ questo per Giovanni un periodo di profonda e febbrile meditazione che lo conduce ad ideare il progetto di riunire a Roma un convegno di dotti fatti convenire per discutere pubblicamente su diversi argomenti e teorie del sapere filosofico e teologico.
Il 10 maggio 1486, mentre è diretto a Perugia dove intende ritirarsi per preparare la disputa romana, Pico è protagonista di un’ “avventura” amorosa, insieme drammatica e romanzesca. Ad Arezzo infatti una gentildonna, Margherita sposa di Giuliano Mariotto de’ Medici, viene prelevata da Pico, come verosimilmente convenuto, e con questi fugge a cavallo, assieme ai domestici e amici di Giovanni, verso il senese. Presto tuttavia Pico viene raggiunto dagli aretini che uccidono la maggior parte dei famigli del Filosofo che viene arrestato. Pochi giorni dopo viene liberato, grazie all’intervento di Lorenzo de’ Medici, e può raggiungere così Perugina.
A partire dal mese di dicembre del 1486 comincia a circolare a Roma l’invito alla pubblica disputa, che avrebbe dovuto svolgersi nel febbraio del 1487, e la stampa delle Novecento Tesi redatte da Pico, ovvero “proposizioni dialettiche, morali, fisiche matematiche, teologiche, magiche, cabalistiche, sia proprie che dei sapienti caldei, arabi, ebrei, greci, egizi e latini”. Nell’intenzione del Filosofo il dibattito avrebbe dovuto essere preceduto da un discorso introduttivo, che in realtà non viene pronunciato. Si tratta della celebre e fondamentale Oratio de hominis dignitate.
In breve tempo gli scritti pichiani sollevano critiche, reazioni sfavorevoli ed accuse. Il termine della disputa viene prorogato e il papa Innocenzo VIII incarica di esaminare le Tesi. Nel marzo del 1487 una Commissione appositamente nominata dal Pontefice condanna sette Tesi pichiane come eretiche o offensive e giudica altre sei Tesi infondate.
Il 31 maggio 1487 Pico pubblica un’Apologia, scritta in venti giorni, con la quale intende respingere i dubbi e dissolvere i sospetti di eresia. Il Papa allora emana un primo Breve con il quale Pico viene richiamato ed accusato di aver disatteso la sentenza. Successivamente il 5 agosto Innocenzo VIII con un altro Breve condanna le Tesi pichiane e ne vieta la lettura e la stampa.
Pico decide allora di allontanarsi da Roma contando di poter sottoporre ad altri dotti, semmai alla Sorbona a Parigi, la sue Tesi. Il Papa, una volta avuta la notizia dell’allontanamento del Filosofo, diffonde la notizia della condanna delle Tesi di Giovanni e ne ordina l’arresto.
Nel mese di febbraio del 1488 Pico viene arrestato vicino a Lione in Francia da Filippo di Savoia, governatore del Delfinato, e rinchiuso nella rocca di Vincennes. La sua prigionia, grazie all’interessamento di principi italiani, in particolare di Lorenzo de' Medici, e all’intervento dello stesso re di Francia Carlo VIII, dura tuttavia un solo mese.
Dall’estate dal 1488 Pico si stabilisce nei pressi di Firenze, sui colli fiesolani, moralmente turbato per la condanna di eresia sancita dalla Chiesa, che Lorenzo de' Medici tenta di far rimuovere operando presso la curia romana.
Proprio a partire da questo periodo si applica con particolare fervore agli studi teologici e si accentua in lui in maniera intensa l’ansia mistica e religiosa. Lavora a un commento ai Salmi e fa pressione su Lorenzo il Magnifico affinché Girolamo Savonarola, conosciuto da Pico a Ferrara, venga richiamato a Firenze dove il frate domenicano giunge, presso il convento di San Marco nel 1489. In quest’anno il mirandolano scrive l’Heptaplus, commento allegorico ai versetti del Genesi.
Del 1492 è un'altra fatica di questo fervido periodo intellettuale del Filosofo, il De Ente et Uno, l’opera che si propone di conciliare la filosofia di Platone con quella di Aristotele. La morte di Lorenzo il Magnifico, avvenuta nell’aprile di quell’anno 1492, seguita di lì poco da quella di altri due amici di Giovanni, Angelo Poliziano ed Ermolao Barbaro, accresce in lui un senso di solitudine e l’attrazione per un interiore misticismo, mentre si consolidano e si fanno più vivi i rapporti con Savonarola.
Il 18 giugno 1493 il Papa Alessandro VI, succeduto a Innocenzo VIII, emette il Breve con cui assolve Pico da ogni censura e nota di eresia.
In questo periodo Giovanni lavora a una forte e poderosa confutazione contro l’astrologia, le Disputationes adversus astrologiam divinatricem pubblicate dal nipote Gianfrancesco nel 1496.
Pico intensifica la propria meditazione religiosa e il proprio distacco vissuto nell’isolamento del convento fiorentino di San Marco. Qui Giovanni Pico, dopo tredici giorni di febbri misteriose e dolorose, per cui si parlerà poi di possibile avvelenamento, Giovanni Pico muore. E’ lunedì 17 novembre 1494, il giorno in cui i soldati di Carlo VIII stanno entrando in Firenze.
Sulla lapide del suo sepolcro in San Marco, in cui sono conservate anche i resti di un amico del Mirandolano, Girolamo Benivieni, compare questa epigrafe opera del poeta Ercole Strozzi “Joannes iacet hic Mirandola. Caetera norunt et Tagus et Ganges forsan et Antipodes – qui Giace Giovanni il Mirandola. Il resto lo sanno il Tago, il Gange e forse anche gli Antipodi”.

Fonte: www.picodellamirandola.it

 

- Testo presente nel sito: La libertà dell'uomo da "Oratio de hominis dignitate" di Giovanni Pico della Mirandola.

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