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Riflessioni sull'Esoterismo

di Daniele Mansuino   indice articoli

Un sacrificio animale (voodoo haitiano)

Ottobre 2007
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E’ proprio dallo studio di tali raduni che gli antropologi – inclini a valutare il voodoo più dal punto di vista sociale che da quello iniziatico -  traggono spunto per la compilazione di eruditi lavori che, per quanto benemeriti dal punto di vista documentario, diffondono l’immagine di un voodoo-religione imprigionato entro schemi rigidi e inalterabili.

Ma il vero voodoo non è così, bensì è qualcosa di molto più spontaneo: un processo duttile e adattabile, la cui forza risiede nella capacità di manipolare in qualsiasi momento tutte le forze sottili che attraversano il cammino dell’uomo.

Va da sé quindi che non esistono regole inalterabili, e in particolare – per quanto riguarda i sacrifici - le caratteristiche della vittima vengono stabilite volta per volta; inoltre, qualora non si riesca a trovare esattamente l’animale richiesto, il misterio accetterà di buon grado l’offerta di ciò che il brujo è riuscito a trovare.

Allo stesso modo, poiché il brujo è costretto a arrangiarsi con quel che trova, non può aver corso la diffusa convinzione  – citata anche da Métraux - secondo cui il misterio, prima di procedere col sacrificio, deve mandare un segno inequivocabile che la vittima è gradita: per esempio nel caso di un pollo, prima di sacrificarlo il brujo dovrebbe attendere che l’animale becchetti un po’ di mangime da lui predisposto sul veve, o cose del genere.

“Naturalmente” osservò Miguel “anche questa è un’idea derivata dall’associazione misterio-persona. Ma anche se proprio vogliamo credere a tutti i costi che il misterio è una persona, pretendere da lui una  conferma a chiare lettere che la vittima gli piace è come dubitare che ci abbia fatto trovare la vittima giusta; se invece non mettiamo in dubbio che è proprio quello che lui voleva, la nostra fiducia nei suoi confronti gli piacerà.”

Aggiunse che un’altra inesattezza è credere che quanto più l’animale è di grosse dimensioni, tanto più il sacrificio è migliore: molti misterios, e non tra i meno efficaci a livello operativo, nutrono una spiccata preferenza verso i passeri e i topi. Per quanto riguarda Santa Marta, lei ha un feeling con i colombi: non è neanche il caso di provare a sacrificarle una bestia diversa.

Finimmo così di parlare. Miguel si alzò, e andò a raccogliere la grossa conca di metallo che viene usata per le iniziazioni. La portò fuori; sentii scorrere acqua da un rubinetto, rientrò con la conca piena e la posò dinnanzi all’altare.

“Cosa stai facendo?” gli domandai incuriosito: non avevo mai sentito parlare di niente di simile.

“Questo è il trou noir” mi rispose: “sta a vedere e impara.”

Mormorando qualcosa che non compresi, versò rapidamente nell’acqua della conca un po’ del contenuto di alcune bottiglie e barattoli che prese dall’altare: un goccio di gin, un pizzico di farina, un po’ d’acqua minerale e un po’ d’olio.

“I quattro elementi” osservai.

“Bravo, sì, esatto. Questo è per rafforzare la consacrazione.”

Terminata questa operazione si prostrò di fronte all’altare, davanti all’immagine di Santa Marta la Dominadora circondata dai serpenti. Poi prese dall’altare i fiammiferi ed accese la candela del brujo; non vorrei sbagliare, ma credo che anche questo gesto faccia parte del rituale haitiano, perché nella tradizione dominicana come io l’ho imparata la candela viene accesa soltanto in quei rituali nei quali è previsto che il brujo debba andare in trance.

Poi si recò in un angolo in penombra della baracca, e ne tornò stringendo in mano qualcosa di cui prima non mi ero accorto: una gabbietta contenente un bellissimo colombo, grigio e screziato. Depose la gabbietta in uno spazio libero al centro del veve, tornò all’altare e stette immobile per circa un minuto, in concentrazione.

“Adesso, Daniel, consacro la vittima a Santa Marta. Vuol dire che Santa Marta riceve dal colombo le energie della Terra. In questo modo diventa più pesante: non vola alla Luna, rimane nel veve e si lascia guidare dalla mia volontà.”

Miguel avvolse la gabbietta in un fazzoletto viola, il colore di Santa Marta. La prese in mano e la sollevò dal veve. Ruotando intorno al poteau-mitan, la rivolse prima a sud, poi ad est, poi a nord, poi ad ovest, ogni volta sollevandola e poi posandola un attimo in terra.

Avevo letto in Métraux quanto sia difficile compiere un’operazione del genere con le capre; eppure è necessaria, soltanto i bovini ne sono esenti (la loro consacrazione è costituita da abluzioni, o altri gesti di analogo significato). Miguel era fortunato che Santa Marta amasse i colombi.

Intanto, aveva portato la gabbietta di fronte all’altare. La posò un attimo davanti al trou noir, poi la levò in alto, poi la spostò a destra e poi a sinistra, formando una croce; stavolta potei distinguere la formula che aveva pronunciato durante il gesto - in nomine patris et filii et spiritus sancti (nel caso di un rito che abbia lo scopo di nuocere a qualcuno viene recitata all’inverso, dall’ultima lettera alla prima).

Miguel poi affondò la gabbia nel trou noir con due mani, tenendola ben salda e assorbendo con le braccia i violenti scossoni della vittima, che sembrava dibattersi con una forza enormemente superiore a quella che ci si potrebbe aspettare da un animale così piccolo. Mentre la teneva immersa respirava profondamente, quasi a voler incorporare mediante il respiro le forze sottili che si espandevano tutt’intorno da quel piccolo corpo. Così facendo, sussurrava a fior di labbra parole incomprensibili: credo parlasse a Santa Marta, per ricordarle lo scopo del sacrificio.

Dopo minuti che parvero interminabili, estrasse dall’acqua la gabbietta con la vittima ormai inerte; svolse il fula,  aprì la gabbia e depose il corpo del colombo sulla pietra dell’altare. Impugnò poi il coltello sacrificale e si accanì su quel cadaverino con furia selvaggia: inflisse forse una quarantina di pugnalate, illuminando la penombra del tempio con miriadi di scintille.

Poi, repentinamente, ripose il pugnale sulla tovaglia intrisa d’acqua mista a sangue. Con la mano sinistra, afferrò quel che restava del colombo e lo protese verso l’immagine di Santa Marta. Lo tenne così, in muta offerta, per alcuni secondi, dopodichè alzò il braccio e senza voltarsi lo scagliò alle proprie spalle. Il povero colombo descrisse una traiettoria ad arco sopra la mia testa, e con un tonfo soffocato andò a cadere esattamente nel centro del veve.

Nell’attimo preciso in cui il colombo toccava terra, il corpo di Miguel  ebbe un violento sussulto, come se si scuotesse da un sogno. Sbattendo le palpebre, cercò il mio viso nella penombra e, dopo averlo inquadrato, mi sorrise con espressione mite.

“Bene, Daniel” mormorò: “ora il veve è attivato.”

 

Daniele Mansuino

 

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