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Riflessioni sull'Esoterismo

di Daniele Mansuino   indice articoli

Stalin sciamano?

Dicembre 2011

 

Questo articolo non pretende di dimostrare che Stalin fosse uno sciamano. In favore di tale ipotesi c’è ben poco, a parte le numerose testimonianze sui suoi sovrumani poteri mentali ; che però non rappresentano affatto una prova, anzi agli occhi degli scettici nemmeno un indizio consistente.

StalinCi sono anche varie scelte della sua vita del tutto inspiegabili dal punto di vista politico e razionale, che se invece vengono valutate in base ai criteri dell’operatività sciamanica trovano un significato. La mia idea originaria era di costruire questo articolo intorno a un’ampia enumerazione di tali episodi ; poi però mi sono reso conto che le interpretazioni da me fornite sarebbero entrate in conflitto con le versioni storiche ufficiali, sollevando un tema molto più vasto - la necessità di ridiscutere tutta la storia del comunismo in base ai principi esoterici.

Esistono in realtà vari indizi che non solo Stalin, ma anche Lenin fosse uno sciamano (un fatto che mi fu pure… confermato in stato di trance dal misterio messicano noto come la Santisima Muerte Negra - vedi in proposito l’articolo Un esperimento di esoterismo marxista) ; e riguardo a Marx, molti interessanti filoni di indagine a proposito delle influenze esoteriche da lui ricevute possono essere rintracciati nelle opere di vari autori di destra.

Ma appunto qui sta il problema : che piuttosto di avviare una revisione culturale delle proprie origini (può darsi per il timore di non rivelarsi all’altezza di gestirne le implicazioni etiche e filosofiche) la sinistra preferisce oggi - per la prima volta nella sua storia - lasciare alla destra il privilegio assai redditizio di indossare i panni di paladina della verità.

In queste condizioni svantaggiose - col monopolio degli studi su un tema tanto fondamentale lasciato all’avversario, che lo manipola secondo le sue convenienze - non solo è molto difficile raggruppare e coordinare quel numero sufficiente di dati storicamente validi che consentirebbe di affrontare globalmente l’argomento, ma anche soltanto il poterne trattare in modo sereno è una pretesa impossibile.

Negli anni del riflusso, quando per la prima volta entrai in contatto con le opere degli esoteristi tradizionali, un campanello di allarme si era acceso nella mia mente, e avevo visto con chiarezza il pericolo che si delineava se – in ossequio a una malintesa ortodossia materialista -  un tema di forte attrazione per i giovani come la cultura esoterica fosse stato lasciato alla destra, e la sinistra avesse persistito nel limitarsi a goffi e disinformati tentativi di condanna dall’esterno, senza mai cercare di intervenire per riportarlo in una prospettiva concreta.

Nell’arco del trentennio successivo, credo che i risultati negativi di questa omissione si siano in parte già visti ; ma purtroppo, la mia sensazione è che il peggio debba ancora venire. La strage di Oslo è stata in questo senso una svolta importante : il debutto dell’esoterismo tradizionale sulla scena della grande politica, malauguratamente (e non c’è affatto da stupirsene) col mitra in mano (N.d.a. Questo articolo è stato pubblicato DUE GIORNI PRIMA dell'assassinio di senegalesi a Firenze - non ditemi che porto sfiga).

Sarebbe bello che i miei modesti e inadeguati articoli servissero ad avviare un nuovo approccio culturale sul tema esoterismo, senza più l’esclusione di quella cultura marxista che ne è figlia e che tante cose sull’argomento avrebbe da dire ; ma è forse un ambizione troppo grande, e finché non si realizzerà, qualunque tentativo di rivisitazione globale della vita di Stalin in un’ottica sciamanica sarà prematuro ed inutile.

Quindi mi limito qui a esaminarne soltanto un aspetto ; al quale ho già accennato nell’articolo La sinistra e il ciclo di Nettuno, in cui parlando della teoria del socialismo in un solo paese affermai:

 

non è tuttora certo che questa importante correzione, destinata a imprimere la spinta definitiva all’economia sovietica verso la strada senza uscita del “capitalismo di stato”, non fosse stata originariamente concepita come una sorta di colossale bluff. Per quanto la condanna senza appello tributata alla figura di Stalin sia da destra che da sinistra renda a tutt’oggi impossibile una disamina obbiettiva di quegli anni decisivi, c’è tuttora chi sostiene che il socialismo in un solo paese avesse il fine di convincere gli osservatori stranieri che l’URSS si fosse ormai definitivamente ripiegata sui suoi problemi interni, mentre in realtà la macchina militare lavorava segretamente al piano di una fulminea invasione dell’Europa Occidentale che avrebbe portato a compimento il sogno di Lenin ; anche l’alleanza con la Germania andrebbe valutata come una mossa di quel piano.

In ogni caso, se anche il piano esisteva veramente si dissolse nel vento la mattina del 22 giugno 1941, quando l’invasione tedesca ne compromise definitivamente l’attuazione.

 

Ora, la tesi sostenuta in quel discorso non è farina del mio sacco. Esiste un corposo volume di circa novecento pagine, intitolato Stalin, Hitler e la rivoluzione bolscevica mondiale (edito in Italia da Spirali), che fu scritto negli anni settanta da un ufficiale dell’Armata Rossa riparato in occidente, Viktor Suvorov.

La prima parte del libro afferma (e documenta) che i sovietici, quando occuparono la Polonia, per prima cosa smantellarono tutte le strutture difensive che i Polacchi avevano eretto per proteggere la parte orientale del loro paese da un’invasione tedesca. La seconda parte illustra nei dettagli il piano di invasione dell’Europa che Stalin contava di mettere in atto nel luglio 1941 : un’avanzata di carri armati leggeri che avrebbero tagliato trasversalmente la Germania puntando sulla Ruhr, e di lì sarebbero dilagati in Francia.

Il titolo originale del libro era Il rompighiaccio, perché la funzione destinata inconsapevolmente a Hitler era proprio questa : avanzare per primo verso occidente per aprire la strada, sbriciolando nel contempo le forze delle potenze capitaliste su mille fronti diversi. Poi, al momento opportuno, sarebbero arrivati i Sovietici.

Parentesi : sebbene Suvorov vi accenni appena, sarebbe interessante rivisitare alla luce di questi dati il ruolo di Ribbentrop – che, come è noto, dapprima indusse Hitler in errore assicurandogli che in caso di invasione della Polonia le potenze alleate non sarebbero intervenute, e poi quando il Fuhrer decise di invadere l’Unione Sovietica si oppose fino all’ultimo con patetica ostinazione. Era egli davvero quel diplomatico dilettantesco e incapace che dice la storia, o la sua amicizia coi Sovietici non nascondeva qualcosa di più ?

Qualunque sia la verità, secondo Suvorov i servizi segreti nazisti scoprirono il piano di Stalin quando la sua attuazione era già imminente (nel maggio-giugno 1941, enormi quantità di truppe sovietiche vennero trasferite verso ovest dalla Siberia), costringendo Hitler a quella scelta che da chi non ne fosse al corrente venne considerata pura follia : invadere l’Unione Sovietica proprio nel momento in cui la Germania - per quante difficoltà avesse incontrato nei cieli - se avesse scagliato le sue riserve contro l’Inghilterra, avrebbe vinto la guerra prima dell’intervento degli Stati Uniti.

La storia ufficiale ci dice che Stalin, quando seppe dell’invasione tedesca, venne colto da una crisi depressiva : si chiuse in casa, lasciando ai suoi collaboratori il compito di organizzare la difesa, e rifiutò di comparire in pubblico per alcuni giorni.

Come mai ? Beh, ovviamente perché era un uomo fragile, e la notizia di essere stato tradito dal suo amico Hitler gli dispiaceva molto…

Ora, se questa spiegazione vi convince, non è il caso di continuare a leggere questo articolo ; se invece vi sembra un po’ strana, è il caso di chiedersi se la delusione di Stalin non fosse dovuta al fatto che l’invasione tedesca, cancellando la possibilità del suo piano, aveva fatto sfumare l’ultima possibilità rimasta all’Unione Sovietica di portare a compimento la rivoluzione mondiale.

Suvorov, tra parentesi, non era un pellegrino qualunque : aveva studiato strategia nella principale scuola di formazione degli ufficiali sovietici, e le sue teorie – per quanto eterodosse possano essere - sono oggi guardate dagli storici occidentali con un certo rispetto.

Il grande Francois Furet (1927-1997) si sbilancia fino a dire che non tutto è assurdo in questa tesi, e che non esiste a tutt’oggi (un’altra) spiegazione convincente della fiducia riposta da Stalin nel perdurare dell’alleanza con Hitler, nonché dell’agitazione che l’ha colpito nei giorni successivi al 22 giugno 1941.

Il libro scritto da Suvorov ebbe però un destino curioso. Ci si aspetterebbe che nel clima di guerra fredda allora imperante la sua rivelazione abbia destato il massimo clamore ; invece, niente o quasi. Nessuna casa editrice importante lo volle pubblicare, pochi giornali accettarono di  recensirlo : per dirla in breve, l’accesso ai media gli fu negato.

Ci fu, in realtà, qualcuno che si dette un gran da fare per sostenerlo. Furono quegli ambienti piuttosto ristretti della destra che già negli anni settanta - pur prendendo i soldi dai servizi USA - stavano perfezionando la ricetta del cocktail antimondialista che oggi va per la maggiore : americani e comunisti in realtà NON sono nemici, bensì complici sotto l’egida della massoneria ebraica, dell’ONU eccetera (ci sono, come è noto, molte varianti contemporanee di questa bevanda, inclusa quella messa a punto da Breivick in Norvegia).

Come mai proprio loro ? Beh, perché un logico corollario della tesi di Suvorov era che gli Alleati avessero occultato la faccenda del piano di Stalin per essere in grado di giustificare a livello etico l’alleanza con lui ; poi con la guerra fredda, quando Stalin era diventato un nemico, il ricordarsi all’improvviso che il loro amico di pochi anni prima fosse arrivato a un pelo dal papparsi la Francia in un boccone avrebbe rivelato una tendenza ai vuoti di memoria piuttosto imbarazzante, quindi trovarono più opportuno fondare la propaganda antistalinista su altre basi.

E sulla stessa linea c’erano i partiti comunisti dell’occidente, che dopo Yalta avevano ricevuto il mandato di giungere al governo con mezzi parlamentari. Almeno finché Stalin fu in auge, la rivelazione che era stato sul punto di invadere l’occidente coi carri armati avrebbe inferto un duro colpo alla loro credibilità democratica ; poi, con l’eurocomunismo - quando la condanna di Stalin  veniva presentata come una scelta fondamentale e necessaria per accreditare i comunisti agli occhi delle democrazie occidentali - sarebbe stato difficile spiegare come mai le suddette democrazie avevano a suo tempo fatto carte false per coprire quel piano.

Ma tutto questo non è niente a paragone dei danni che la teoria di Suvorov avrebbe causato alle scuole marxiste caratterizzate dal dissenso nei confronti della linea sovietica : quelle che ancora oggi si autodefiniscono internazionaliste.

Come non molti sanno, il tema basilare dell’internazionalismo è che il comunismo non potrà mai essere realizzato se prima non si fa la rivoluzione nei Paesi industrialmente più avanzati. Difatti, fu proprio il fallimento dei due tentativi di rivoluzione tedesca (nel 1919 e nel 1923) a mettere in crisi gli internazionalisti più intransigenti in seno al Comitato Centrale del Partito Comunista Russo Bolscevico (questa era la denominazione ufficiale del PCUS in quegli anni), favorendo in questo modo l’avvento di Stalin al potere.

Stalin, infatti, era un politico di tipo pragmatico, che pur senza dirlo apertamente (in quel contesto, sarebbe suonata come una bestemmia) pensava che gli ideali dovessero essere subordinati alle circostanze. Ora, si dà il caso che nell’Unione Sovietica del dopo Lenin la priorità assoluta fosse la riconquista del consenso popolare, notevolmente fiaccato da molti anni di privazioni ; egli pensò che il modo migliore per recuperarlo fosse puntare sull’affermazione di un ideale emozionalmente forte come il sentimento patriottico, sul quale gli zar avevano fatto leva con successo per tanti anni.

Scommise quindi su quella posizione, e gli andò bene. Quando poi fu al potere, una delle sue prime mosse fu di reclutare alcuni tra i più validi marxisti del suo tempo, ed impiegarli in quella sottile deformazione teorica del leninismo che fu poi battezzata il socialismo in un solo paese.

Il socialismo in un solo paese non abdica – almeno a parole - dall’internazionalismo, ma lo relega di fatto in una posizione di secondo piano, creando in tal modo quello che l’opinione generale interpretò come un alibi per consentire a Stalin di consolidare il suo potere sull’Unione Sovietica.

Fu una colpa che i duri e puri non gli perdonarono mai. Nel giro di pochi anni vennero create molte agguerrite scuole di pensiero leninista dissenziente, tutte fondate sul presupposto che Stalin avesse tradito la causa dell’internazionalismo per bassi fini personali.

Ora, se le affermazioni di Suvorov sono vere, il socialismo in un solo paese era in realtà tutt’altra cosa : un bluff rivolto più verso l’estero che verso l’interno, avente la funzione di coprire un piano strategico perfettamente in linea con l’ortodossia internazionalista, in quanto volto alla conquista delle aree industriali europee.

Per dirla in altre parole, Stalin mirava a realizzare lo stesso programma di quelli che lo criticavano perché erano convinti che non volesse realizzarlo, e molti eroici martiri dello stalinismo farebbero in questo modo la figura degli stupidi.

Non voglio sposare questa opinione, perché la mia ammirazione nei loro confronti resta grande. A mio modesto parere, gli autori di scuola internazionalista sono stati i soli a produrre negli ultimi anni una letteratura marxista decente : senza mai cedere alle tentazioni delle mode culturali e senza mai indulgere a quella che Marx definì – con felicissima espressione – la speculazione ubriaca.

Anzi, è proprio questa lodevole sobrietà la causa prima del loro tramonto sull’orizzonte della storia, perché una produzione letteraria che non sia almeno un pochino ubriaca è tremendamente noiosa ; quindi, per quanto il loro livello di penetrazione delle dinamiche della società contemporanea sia di molto superiore a quello dei commentatori di ogni altra fonte politica, nessuno oggi ha più la forza di leggerli senza addormentarsi dopo poche pagine. Però, hanno ragione.

Mi auguro così di aver chiarito che sono ben lontano dall’idea di difendere in questo articolo la politica di Stalin ; anche se… anche se, su questo meraviglioso antistalinismo su cui tutti sono così d’accordo, sia a destra che a sinistra, ci sarebbe molto da dire. Soltanto una piccolezza : è un dogma universalmente accettato che Stalin facesse sopprimere tutti i suoi più stretti collaboratori - ora, i due che gli erano più vicini di ogni altro, Molotov e Kaganovic, morirono rispettivamente a 96 e a 98 anni.

Qualche anno fa uno storico belga, Ludo Martens, ha inferto un bel colpo all’antistalinismo di maniera scrivendo un libro dalla documentazione disarmante, che tutti dovrebbero leggere - si intitola : Stalin – un altro punto di vista.

Più volte nei miei articoli sono tornato sul concetto sciamanico di non fare. Il maestro che me lo ha spiegato lo illustrò con queste parole :

 

E’ una tecnica mediante la quale persone consapevoli (ovvero : gli sciamani) diffondono influenze inconsce sul piano della realtà oggettiva (…). Si presenta ai nostri sensi sotto forma di un comportamento inspiegabile da parte di una o più persone, che cattura la nostra attenzione perché non può essere in nessun modo ricondotto all’abituale utilitarismo che caratterizza le azioni umane, né in molti casi ad alcuna altra spiegazione logica.

 

L’idea di usare il socialismo in un solo paese come copertura per un ritorno all’internazionalismo non era una scelta orientata all’ottenimento di fini materiali, né appare giustificata da alcuna ragione pratica. Basta rileggere La rivoluzione perduta di Brouè (in gran parte dedicato a relazionare sulle dinamiche interne al Comitato Centrale negli anni venti) per rendersi conto di come Stalin avesse sgominato l’opposizione in modo così totale da non avere - dal punto di vista politico - nessun bisogno di mettere a punto strategie che, più o meno nascostamente, puntassero a un ritorno alla prassi internazionalista per accontentare qualcuno.
La sola spiegazione possibile è che egli ci credesse ancora - e qui mi appare in un flash il Mussolini di Salò, che richiamò a suo fianco Bombacci illudendosi che un ritorno alle origini socialiste del fascismo sarebbe bastato per ottenerne la riabilitazione ; i casi e i contesti sono ovviamente molto diversi, ma forse i sentimenti all’origine delle due scelte erano vicini.
Vabbè, non soffermiamoci troppo sull’ovvia conclusione che se davvero Stalin puntava a realizzare il piano di Lenin, si trattava di una scelta dettata dal disinteresse personale - se davvero cercassi di sostenere una posizione del genere, mi farebbero a pezzi : solo gli idealisti e gli sciamani dedicano la vita alla realizzazione di imprese disinteressate, mentre notoriamente Stalin era un mostro.
Il grande non fare sciamanico consegnato ai libri di storia sotto il nome di socialismo in un solo paese portò con sé, è onesto dirlo, gravi conseguenze per milioni di persone. La scelta di consacrare gran parte delle risorse della nazione sovietica al potenziamento delle armi offensive fu foriera di disagi, carestie e povertà.
Non solo : l’odioso senso di scollamento tra le dichiarazioni ufficiali del Partito e quanto si poteva sperimentare nella vita di ogni giorno (fenomeno che tutti i dissidenti avrebbero denunciato ad una voce come una delle più insopportabili caratteristiche del socialismo reale) fu spinto molto al di là di quanto si verificò, in seno alle altre dittature europee, come normale risultato della propaganda : fu solo nell’Unione Sovietica di Stalin che l’intero apparato statale appariva bizzarramente dedito al compito di produrre e diffondere una realtà artificiale.
Come Furet sottolinea molto bene, l’utilità di una così colossale operazione illusionistica non appare giustificata da nessun tipo di considerazione razionale. Infatti, il non fare sciamanico attinge energia dallo stupore delle persone che non riescono a decifrarlo razionalmente : quanto più appare inspiegabile e sorprendente, tanto più funziona (e tanto meglio adempie alla sua funzione di influenzarle).
Come finì, è noto a tutti : quando alla fine della guerra l’Europa era blindata in due blocchi, non aveva più senso continuare a muoversi in funzione di un attacco alle zone industriali dell’occidente che i nuovi equilibri internazionali rendevano ormai irrealizzabile.
Allora la burla divenne una cosa seria, e si ritorse ai danni del suo creatore : sotto la spinta degli eventi, l’immaginario disegno teorico concepito per gettar fumo negli occhi dei capitalisti si era beffardamente trasformato nell’unica ipotesi realmente praticabile.
Si entra così nell’ultima fase dello stalinismo, quella della grande delusione, in cui lui pensava di aver fallito l’obbiettivo della sua vita e non si preoccupava ormai d’altro che di mantenere con mezzi dittatoriali il proprio potere. 
Da allora in poi, Stalin forse non fu più sciamano. Aveva concretizzato nella sua vita più di ogni altro uomo del suo secolo, prendendo in mano una nazione devastata e prossima al collasso interno e mancando per un pelo l’impresa di trasformarla nella potenza egemone del mondo. E’ vero, gli era riuscito di farne la seconda potenza mondiale ; ma questo non gli bastava, perché i suoi ideali erano più grandi. 
Il discorso del mio maestro continuava così :

 

Per questo, il kula (nome polinesiano del non fare – vedi l’articolo Il kula ring) è più facile da distinguere rispetto alle altre forme di influenze consapevoli, le quali normalmente si propongono ai nostri sensi frammiste a influenze meccaniche che ne occultano la natura ; ma questo non vuol dire che sia più facile anche comprendere l’obbiettivo per cui un dato kula è stato creato.

Da queste particolarità si possono distinguere facilmente tanto i vantaggi quanto gli svantaggi del metodo. E’ utile per spandere influenze consapevoli su vasto raggio, perché attira facilmente l’attenzione ; ma non va usato nel caso di messaggi complessi, bensì piuttosto per semplici “emozioni positive” di forte impatto,  la cui elaborazione da parte del ricevente avviene sui tempi lunghi : in certi casi nell’arco di molte generazioni.

      Daniele Mansuino

 

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