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Esperienze di vita

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Verso il Darshan (sulle orme di Paramahansa Yogananda)

di Bhakti Binod - capitolo 8

L’ Himalaya

 

Non ero mai stato sull’Himalaya, così nel 1985 decisi insieme a Marco e Paolo, due miei amici di lunga data, di tornare in India per fare il sacro pellegrinaggio su quelle altissime montagne.

All’aeroporto di Delhi salimmo su un autobus diretto ad Hardwar. Depositati i bagagli al tourist bungalow, dove prendemmo alloggio, feci il mio rituale bagno nel Gange. Andammo subito a Kankal nell’ashram di Ma, a meditare al cospetto del suo Samadhi. Parlammo con Swami Baskarananda, discepolo della santa ed ora presidente dell’organizzazione, il “Sanga”, il quale ci diede del Prasad ed un chador 1 ciascuno.

Paolo era venuto a sapere che non lontano viveva un sadhu, di nome Chandra Swami, perciò decidemmo di fargli visita. Non fu agevole raggiungere l’ashram, poiché la strada era molto dissestata ed allagata in più tratti, ma alla fine arrivammo. Erano le 19.30 e lo Swami ci ricevette solo alle 20.10. Era un muni, cioè aveva fatto voto di silenzio: scriveva le risposte alle nostre domande su dei foglietti che ci consegnava. Ricordo, in particolare, che a proposito del guru scrisse che è un ponte che poggia da un lato sulla sponda della vita e dall’altro sul Divino. Dopo esserci intrattenuti, su suo invito, a cena con lui, ritornammo al bungalow, ormai esausti, alle 22.00.

Il giorno seguente lasciammo Hardwar per Rishikesh, ove incontrammo Swami Nirvedananda, mio amico da lungo tempo. Dopo due giorni riprendemmo tutti insieme il viaggio alla volta di Badrinath. A causa dei molti smottamenti delle strade e delle frane, che impedivano all’autobus di passare, il viaggio non fu facile. Finalmente arrivati, ci recammo al tempio di Badrinath, consegnammo le offerte di rito, che i preti offrirono alle divinità e ci resero indietro come Prasad.

Quattro giorni dopo Paolo partì per Dehradun, mentre, Marco, Nirvedananda ed io andammo a Gaurikund, l’ultimo avamposto prima dell’ascesa. Lasciammo i bagagli al Bharat Seva Ashram, quindi iniziammo la salita che in 15 chilometri porta a Kedarnath, situata a 3500 metri di quota.

Non stavo affatto bene: avevo lo stomaco in subbuglio e le gambe doloranti, sicché procedevo lentamente, accanto a Marco, e solo con grande fatica riuscivo a non perdere di vista Nirvedananda, che camminava spedito. Pure in quelle condizioni, rimasi impressionato dallo spettacolo di bellissime cascate che scendevano dai ripidi pendii ricoperti di fitti boschi color verde intenso. Quando arrivammo, lo spesso strato di nubi che aveva nascosto le vette dei monti durante l’intero percorso si squarciò per alcuni minuti, lasciando emergere in tutto il suo splendore la cima del Kedarnath. Andammo subito al tempio recando la nostra offerta ed assistemmo all’Arati.

Il mattino seguente tornammo a valle, quindi in autobus giungemmo prima ad Uttarkashi, poi a Gangotri. Nei pochi giorni in cui ci fermammo visitavamo quotidianamente il tempio, facevamo il bagno nelle gelide acque del fiume ed incontravamo dei sadhu che Swami Nirvedananda conosceva.

Tornammo a Rishikesh e da lì partimmo per Benares.

Ospiti del piccolo ashram “Ramakrishna Sarada Math”, rimanemmo a lungo in questa sacra città: riempivamo le giornate passeggiando lungo i ghat, facendo dei giri in barca nel Gange, da Assighat a Dashaswamedghat, meditando a Kedarghat, o al Samadhi di Trailanga-Swami, o nell’ashram di Pranabananda, “il Santo dai due corpi” descritto in “Autobiografia di uno Yogi”. Assistevamo spesso all’Arati nell’ashram di Shoba Ma.

Nirvedananda e Marco restarono a Benares mentre io rientrai in Italia.

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