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Esperienze di vita

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Epatite

La testimonianza di Max

Nel 1982, all’età di diciannove anni, dopo una donazione di sangue come socio A.V.I.S. mi riscontrarono i valori delle transaminasi alterate; da quel momento iniziò la ricerca di una qualche malattia collegata al fegato che necessitò del parere dei migliori luminari dell’epoca in campo epatologico; i quali, dopo innumerevoli ed accurati esami arrivarono, concordemente, alla diagnosi di un’epatite di tipo non A e non B.
Non fu intrapresa nessuna terapia, in quanto nemmeno i medici seppero consigliarmi il da farsi, alcuni attribuirono la colpa al forte stress, nonostante io continuassi ad accusare forte astenia e la gammagt raggiunse dei "picchi" di oltre 200, continuai comunque il controllo periodico delle transaminasi che ebbero un andamento altalenante per molti anni, fino al 1994, quando, il medico di base mi propose di effettuare il test dell’epatite C "HCV-RNA" (disponibile ormai dal 1990, ma che nessun medico epatologo interpellato mi prescrisse).
Il risultato fu: POSITIVO. L'iniziale "sorpresa" e spavento lasciò il posto ad una profonda rabbia, quando l'impiegata dell'ambulatorio lesse il mio referto e commentò ad alta voce: "Lei è affetto da epatite C!! Che si prende dai tossicodipendenti, dagli omosessuali e dalle prostitute!!".
Essendo ancora sconvolto dal risultato del referto, non riuscii a ribattere aspramente alla maleducata e discriminatoria impiegata, e riuscii a malapena a risponderle: "ma come si permette?? io non faccio parte di nessuna categoria "a rischio" semmai la mia unica sfortuna è stata quella di subire una dozzina di interventi chirurgici!!" detto ciò, uscii dall'ambulatorio, frastornato e con l'unico pensiero rivolto a mia moglie Diana, ovviamente di preoccupazione per lei, avevo il timore di averla contagiata, dato che pochi anni prima, aveva perso ns. figlio alla 17esima settimana di gestazione. Ricordo molto bene il mio rientro a casa, con il timore per lei e la paura anche di perderla definitivamente, dato che sapevo che purtroppo l'epatite C veniva considerata una patologia virale grave, quasi quanto l'aids.
Quella sera teneramente abbracciati ci giurammo che insieme avremmo sconfitto e combattuto contro questo subdolo virus e da quel momento comunque i nostri rapporti intimi furono sempre protetti perché seppur remota, la possibilità di contagio poteva avvenire e se involontariamente avessi contagiato mia moglie, non me lo sarei mai perdonato, conoscendo i suoi gravi problemi di allergia a quasi tutti i farmaci.
Insieme, iniziammo la ricerca di un epatologo e la scelta iniziale ricadde sull'esperta equipe epatologica torinese dell'epoca. All'inizio lo specialista mi diede abbastanza fiducia, anche se, fu molto imbarazzante dover rispondere a domande intime e personali sulla mia vita passata, (dato che lo specialista si dimostrò molto curioso di sapere come e dove potevo essere stato contagiato, essendo un uomo privo di vizi: mai fumato,vino solo ai pasti, non facevo il "dongiovanni". Ero invece uno sportivo con la sfortuna di avere sempre avuto gravi problemi di salute, fin dalla tenera età di 3 anni (primo intervento chirurgico).
Dopo il lungo colloquio con l'epatologo e la valutazione di alcune ecografie epatiche ed altri esami ematici, egli mi propose il ricovero in day-hospital per effettuare una biopsia epatica, in quanto, sarebbe stato l'unico esame in grado di valutare la funzionalità e l'eventuale danno provocato al fegato, oltre al fatto che avrei saputo anche il genotipo, in modo da intraprendere la terapia più specifica.
La biopsia epatica confermò la diagnosi di: epatite cronica moderatamente attiva, con forte steatosi ed emosiderosi (accumulo di ferro) oltre al genotipo: 1B.
Io,all'epoca non compresi esattamente il risultato, comunque, mi fu consigliato di provare, in via sperimentale, un trattamento con "interferone Alfa" ( 3 milioni u/m) una iniezione al giorno, non mi vennero detti gli eventuali effetti collaterali riscontrabili, ma si preoccuparono solo di dirmi che il mio genotipo era il più aggressivo da curare e da combattere in quanto era quello che, a loro dire, con il trascorrere degli anni poteva condurmi alla cirrosi epatica.
Ovviamente seppur con timore, non avendo altra scelta, nel dicembre 1994, iniziai la terapia che trattandosi di cura sperimentale, feci praticamente da "cavia" umana, venni "monitorato", una volta a settimana, mediante il controllo delle transaminasi e dell’esame emocromocitometrico e l'epatologo mi visitava ogni 15 gg. Nei settantadue giorni di terapia che seguirono (72 iniezioni d'interferone), gli effetti collaterali come l’astenia, la febbre alta (a volte anche 39,5°C. esterna), il malessere generale, una crescente anemia e abbassamento di piastrine (scese fino a 65.000), una persistente tosse stizzosa che mi faceva sembrare "tisico" e che non passava nemmeno con i farmaci, una costante irascibilità, aggressività ed "inappetenza" furono gli unici ma inutili risultati della cura, di conseguenza l'epatologo decise di sospendere la terapia, dato che le transaminasi erano ancora altalenanti e si era compreso che non mi stava producendo alcun effetto valido.
Caso strano però, due mesi dopo, le transaminasi rientrarono inspiegabilmente nella norma e rimasero tali per circa sei mesi, facendo pensare ad un effetto ritardato della terapia; ma non fu così, la ripresa dell’attività virale sempre con referti alti, mi procurò un inizio di depressione, che mi "gettò" nello sconforto più totale, meno male che accanto a me ho sempre avuto il supporto morale e psicologico di Diana, che mi aiutò a non finire in forte esaurimento nervoso, comunque ero talmente demoralizzato che m’imposi una pausa di "riflessione", prima di ritentare con una nuova terapia sperimentale.
Nell’estate del 1997, Diana, iniziò "la caccia" alla ricerca d’associazioni ospedaliere che si occupassero di questa patologia e dopo lunghe ricerche telefoniche svolte in tutta Italia, finalmente riuscì a trovare un’associazione sita in Milano, che s’impegnava nella cura e prevenzione di tutte le epatiti virali. Nel settembre '97 prendemmo appuntamento con una nota primario ospedaliero e fondatrice dell'associazione sita in Milano, la quale, dopo accurata visita ed accertamento anche del genotipo, purtroppo 1B, mi propose un nuovo trattamento sperimentale con interferone associato ad un antivirale denominato "ribavirina", che all'epoca non era ancora commerciabile. Valutai insieme al primario e a Diana i pro e i contro della nuova terapia proposta, mi veniva offerta una seconda possibilità per tentare la "miracolosa" negativizzazione, dato che ormai il mio fegato non era più tanto in "buone condizioni", dicendomi persino che quella sarebbe stata la mia ultima terapia, che se non avesse fatto effetto, sarei comunque finito nella lista per i trapianti di fegato.
Certo è che a soli 34 anni sentirsi prospettare un trapianto d'organo, non è facile da accettare, comunque sempre più determinato e combattivo, con la volontà di farcela a tutti i costi e con l'amorevole supporto di Diana, sempre al mio fianco, anche durante i stressanti "pellegrinaggi" da Torino a Milano, una volta ogni 15 gg. all'inizio e poi una volta al mese, gli esami ematologici effettuati un po' a Torino e molti a Milano. Nel gennaio del 1998, decisi di iniziare questo nuovo trattamento, seguito e supportato dalla disponibile, cordiale professionalità e costante assistenza anche telefonica dell'equipe epatologica milanese.
La terapia prescritta inizialmente fu: 3 iniezioni settimanali di "Wellferon" - (5 milioni d’unità) e 6 cp. giornaliere di ribavirina, tassativamente ad orario (ogni 12 ore).
Dal 6 mese in poi, essendo un po' dimagrito le cp. di ribavirina furono ridotte a 5 e poi le ultime 2 settimane ne presi solo più 3 cp., in quanto gli esami continuavano a dare esito: negativo!! Fin dal terzo mese di cura, infatti il test risultò negativo e persino le transaminasi scesero notevolmente, quasi nella norma.
Questa terapia durò 13 lunghi e sofferti mesi, nei quali, oltre ad eseguire i soliti esami di routine e relative visite di controllo con spostamenti da una regione all'altra, il più delle volte erano "pellegrinaggi" in autobus o in treno, dato che la forte astenia e il rischio di collassi non mi permisero di guidare oltre ai soliti effetti collaterali, già sopra citati nella precedente terapia, si aggiunsero degli altri, strani e più evidenti: la perdita dei capelli (come avviene nei pazienti chemioterapici), una strana crescita abnorme delle ciglia (rivolte verso l'interno degli occhi), che Diana doveva tagliare settimanalmente (altrimenti mi avrebbero accecato), il persistente "nervosismo" che non mi dava tregua e mi faceva diventare irascibile, aggressivo, rabbioso contro tutto e tutti, che ogni tanto si frapponeva ad una ingiustificata iper sensibilità emotiva, che mi faceva persino commuovere durante la visione di un film.
Fortunatamente l'amorevole pazienza e supporto psicologico di Diana, mi permise di superare gli episodi ansiogeni e crisi depressive, riuscendo a svolgere, senza eccessive difficoltà, la mia attività lavorativa, senza dover nemmeno usufruire di tanti giorni di mutua (che prendevo solo per le visite di controllo e gli esami che svolgevo a Milano) giungendo finalmente alla completa NEGATIVIZZAZIONE!! avvenuta alla fine del gennaio 1999.
Attualmente (2004), a cinque anni dalla conclusione della terapia, i valori delle transaminasi continuano a rimanere nella norma e il marker dell’epatite negativo.
Dopo l’ottimo risultato raggiunto (l'equipe milanese mi definisce tuttora "un miracolato"), la malattia a parere medico, richiede ancora un periodo di sorveglianza per evitare il pericolo d’eventuali recidive, pertanto anche se sono stato definito un pregresso malato di epatite C, definitivamente GUARITO. Io continuo tuttora ad eseguire annualmente il test e il controllo delle transaminasi ed ecografia epatica (per scongiurare un eventuale remota recidiva), dato che mi è stato confermato che, nonostante la guarigione, i miei anticorpi "anti-hcv" rimarranno positivi per tutta la vita, ed anche se il virus rimarrà "sopito" e non farà più danni, e il mio test hcv-rna risulterà sempre negativo, purtroppo non potrò più donare il mio sangue, come facevo un tempo, rimanendo per sempre con il "titolo" di pregresso malato HCV!


Esperienza inviata da Max e Diana,
autori del sito: www.helpepatic.org - agosto 2005

 

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