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Sul Sentiero

Anonimo - novembre 2007
capitolo 15 -
L’Ascolto, la Parola  e il Silenzio
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L’Ascolto, la Parola  e il Silenzio

 

La comunicazione tra gli uomini può apparire spesso difficile e, talvolta, dolorosa a causa di incomprensioni e malintesi. Frequentemente non abbiamo idee chiare né voglia di ascoltare realmente, e discutere diventa solo un confrontarsi per “mostrare i muscoli” esibendo capacità logiche e dialettiche. Plutarco, ed altri saggi, ci hanno mostrato la via del vero Ascolto, che fa il vuoto di opinioni e giudizi  pregressi (1).
In qualsiasi confronto, dovremmo poter vincere la tendenza a rispondere immediatamente, sull’onda dell’emotività, poiché, in quel caso, la risposta, che potremmo considerare benevolmente “spontanea” o “istintiva”, nasce, in realtà, da abitudini mentali precedenti, da preconcetti, da pensieri ripetitivi che “già” sono nella nostra mente. In tal modo non ci dimostriamo pronti ad un eventuale ampliamento di coscienza né ad un reale ascolto che possa farci cambiare.

 

Ad un ascolto attento si accompagna il giusto uso della Parola. Afferma un detto ermetico: “Le cose sono ciò che la Parola ne fa col nominarle”.
Oggi l’umanità è molto più mentale del passato e ciascuno immette nei canali dell’esistenza un flusso massiccio di parole. Le parole scritte sono suscettibili di modifiche, all’atto della loro emissione; sono più facilmente controllabili perché sottoposte a preventiva riflessione. Quelle parlate seguono spesso canali emotivi non ancora vigilati e purificati, non consentono di “tornare indietro”, di “cancellare”, non sono rivedibili né modificabili.
Da ciò nasce il grande impegno di ogni Pensatore, in particolare del ricercatore spirituale. Le parole non sono “neutre”, sono energia vivente e con esse possiamo creare o distruggere, abbassare o elevare, potenziare o indebolire.
La Parola è uno dei poteri più grandi che l’uomo possiede; se usata consapevolmente per il Bene, essa può guarire, illuminare, proteggere, salvare.
Ci viene pertanto consigliato di ridurne il numero e di vigilare attentamente su di esse, affinché rispondano a caratteristiche di:

  • verità;

  • amorevolezza;

  • utilità.

In Oriente si considera ogni parola un mantra (da man e tra: rapporto) che  indica la modalità del suono, la nota con cui entriamo in rapporto con gli altri. Ogni parola è un nucleo energetico che rappresenta un’idea, o un insieme di idee; essa, inviato a una persona, o a un gruppo, produce effetti proporzionali alla potenza dell’emittente e alla maggiore o minore purezza della sua intenzione. Ciò corrisponde ad una precisa verità confermata dalla Saggezza antica: “L’energia segue il pensiero e la Parola è ciò che lo concretizza”.
Di ogni parola – ammonisce il Vangelo – l’uomo dovrà rendere conto; non solo di quelle ispirate a sentimenti positivi o negativi, ma anche di quelle vane ed inutili.
Spesso le nostre parole sono “profane”, cioè sono pronunciate senza entrare in contatto con la coscienza più profonda, con il . La mente ripete ed esprime contenuti captati dalle forme-pensiero collettive: luoghi comuni, opinioni diffuse, pettegolezzi, banalità che non sono il frutto del nostro pensiero più genuino ma riflessi condizionati del “campo morfogenico” nel quale siamo costantemente e quasi sempre inconsapevolmente  immersi.
La parola è allora vuoto suono senz’anima.
Il modo in cui usiamo l’energia compressa nelle parole ri-vela (toglie il velo) il rapporto che abbiamo con gli altri e la modalità con la quale operiamo  nel mondo. Così, se esprimiamo ripetutamente concetti costruttivi e luminosi,  le azioni che ne deriveranno possederanno senz’altro la stessa vibrazione; se ci rivolgiamo ad altri con parole ispirate all’amorevolezza, quella stessa qualità si riverbererà nella nostra vita. Riguardo a noi stessi, e alla nostra auto-educazione, evitiamo pertanto di dire: “Sono pauroso, cercherò di esserlo meno” o “Non voglio più essere pigro”; evitando i “non”, i “meno” e le affermazioni al negativo, che influenzano sfavorevolmente il nostro inconscio, potremmo dire: “ Mi muovo ogni giorno verso il Coraggio” o “Divento sempre più attivo”.
L’accuratezza nell’uso delle parole – che eviti tuttavia di scadere nell’accademismo e nella retorica – è segno di Ordine  e di Bellezza, che sono qualità richieste sul Sentiero. Utile e ispirante è anche la ricerca delle etimologie, che non dovrà ridursi certamente a “sfoggio di cultura” ma potrà essere il mezzo per entrare in contatto con l‘essenza delle parole, spesso banalizzata dall’uso quotidiano. Si può, attraverso questo studio, riscoprirne la forza primigenia e chiarificatrice di significati. Così, ad esempio, il termine “entusiasmo”, tanto comunemente usato, rimanderà al senso di avere “un dio” (theos) dentro (én); ogni volta che lo useremo, dopo averne colto la forza originaria, vi sarà dentro di noi una diversa considerazione dello “spessore” della parola.
Afferma un’ispirata invocazione: “Possa io compier la mia parte nel Lavoro Unico con l’oblio di me stesso, l’innocuità e la giusta Parola!”.

 

E’ necessario considerare anche il profondo valore del Silenzio.

La nostra società, presa dal vortice delle parole, teme il silenzio, che appare invece spesso utile e necessario, e, in alcune circostanze, saggio e sacro.

La mentalità comune ritiene che silenzio sia semplicemente la mancanza di parola. La parola è estremamente importante nei gruppi umani ma ha anche dei limiti: non arriverà mai ad esprimere perfettamente ciò che vorremmo perché ogni espressione verbale, per quanto possa apparire significativa, è sempre, almeno in parte,  una cristallizzazione del nostro retaggio culturale.
Ecco perché il vero silenzio interiore può contribuire a farci percepire meglio il senso e la necessità di ogni parola, ad avvertirne  la pertinenza o l’inutilità.
E’ nel silenzio che noi riusciamo a trascendere ogni forma di linguaggio stereotipato. In esso entriamo nella dimensione del meta-linguaggio, il quale ci aiuta a padroneggiare meglio la situazione per non scadere nei luoghi comuni e lasciarci inconscientemente  condizionare dalla mentalità corrente.
Il vero silenzio interiore, quindi, consiste nel non dare per scontati concetti, immagini, e persino il valore attribuito a termini acquisiti sin dall’infanzia; esso è uno dei principali motori del vero progresso civile ed etico.Per questa operazione sono richiesti vigilanza, saggezza e determinazione perché la nostra mente è avida di contenuti e teme il vuoto.

Anticamente “andare nel deserto” significava rientrare in se stessi per fronteggiare meglio le situazioni esterne; i monasteri di clausura usano ancora, a proposito del silenzio interiore, l’espressione “fare deserto”.
Affermava il poeta e scrittore francese Alfred de Vigny: “Solo il silenzio è grande; il resto è debolezza”.

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NOTE
1) Plutarco, L’arte di ascoltare


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