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Cultura e Società - Problematiche sociali, culture diverse.
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Vecchio 12-11-2007, 18.52.22   #21
gyta
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Chi è "Mangiafuoco" ??


Chi è "Mangiafuoco" ?


Mangiafuoco è il nostro lavaggio mentale!
Mangiafuoco è l'illusione dell'impotenza individuale!
Mangiafuoco è la proiezione ipotetica di un'inesistente "mente sociale"!
Mangiafuoco è.. lo spauracchio del potere che schiaccia la mente individuale!
Mangiafuoco è chi crede che "tanto le cose non cambiano"
e cammina come sempre ha fatto!
Mangiafuoco è l'uomo senza mente!

Mangiafuoco è la favola "dei grandi"!
Mangiafuoco è la scusa per il nostro specchio sporco..(!)

Mangiafuoco è il virus letale: se lo conosci non ti uccide!

" Specchio o specchio delle mie Brame,
Chi è il più Bugiardo del Reame? "

..Prestate ascolto alla Voce dello Specchio(!)


Mangiafuoco.. sono IO !



Gyta
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Vecchio 14-11-2007, 15.51.28   #22
nexus6
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Le mutazioni non possono che scaturire dalle singole persone, dalle singole anime; né con l’imposizione, né con le bandiere, né con la politica, né con le società precostituite, né tramite la maggior parte degli “intellettuali”, né attraverso l’informazione come siamo comunemente abituati a considerarla, è, secondo me, possibile far fiorire un cambiamento, un cambiamento reale ed efficace che entri nel DNA di ognuno e dunque sia trasferito alle generazioni successive. Lamarck pensava, prima di Darwin, che si potessero trasferire alle generazioni successive i caratteri acquisiti in vita; ebbene si è visto che non è così, o le mutazioni arrivano in profondità coinvolgendo il DNA oppure un certo spunto verrà perso. Voglio pensare non sia così per le idee ed effettivamente non è così; noi, tutto ciò che conosciamo, tutto ciò che mi viene da scrivere, tutto ciò che utilizziamo e siamo non è che frutto di tante piccole infinite idee che si sono poi pian piano realizzate e così è avvenuto e avviene per la politica, per la scienza, la tecnologia, per le società in cui viviamo... e per la sedia sul quale sono seduto...

Noi siamo la fantascienza del passato, viviamo tra sedimenti di millenni e cerchiamo di scrollarceli di dosso, ma credo, vedo ed intuisco che ognuno si debba scrollare di dosso i propri, pian piano e nello stesso tempo, per contagio, diffonderà la sua “luce” tutt’intorno, la propria vita per intero entrerà in ogni comunicazione, verbale o non verbale con un altro essere; questo credo un modo rivoluzionario affinché si possa passare “all’azione”. Anche qui, in questo stesso forum, agisce già questo meccanismo e certo maggiormente si potrebbero sfruttare le sue potenzialità.

Ciò che vorrei è ancor di più, analizzando le dinamiche delle associazioni di più persone legate per un qualche motivo, le dinamiche di gruppi o folle, riuscire a comprendere in profondità cosa emerga da esse che pare non sia presente esplicitamente nell’individuo ovvero perché quest’ultimo quando entra a far parte di una certa comunità sembra subisca delle mutazioni, anche parecchio profonde a volte della propria personalità, della propria morale, della propria coscienza critica per l’adesione, invece, ad una sorta di “coscienza collettiva” dai caratteri peculiari, che vanno studiati se almeno si vuol rispondere non superficialmente pure alle solite domande sul perché il mondo “faccia così schifo” o sul perché “i politici sono una masnada di furfanti”. Analizzare ciò, poiché credo il sogno collettivo che la maggior parte delle persone vive si possa sciogliere facendo rendere conto ognuno che non esercita profonde parti di sé che invece sono presenti nel suo animo sin da principio; far toccare ad ogni essere più profondamente se stesso, la propria coscienza, la propria creatività, la propria ricchezza e come si può far ciò se ognuno ha peculiarità, aspettative, caratteri differenti? Bene, finora, nella maggior parte dei casi, i movimenti di “riforma” si sono mossi dall’alto verso il basso, verticalmente; in ogni “associazione”, da quelle anarchiche alle filofasciste, per quanto si possa discutere o riflettere, credo che l’ideologia e qualche personalità leader fungano da collante per i gruppi, per la “coscienza collettiva” e la coscienza individuale non sia granché presente, se non totalmente assente nella maggior parte dei casi.

Qui credo probabilmente stia l’inefficacia dei movimenti. Come piccolo esempio posso portare quello degli antagonisti cittadini, centri sociali, collettivi di varia natura; ebbene penso che molte delle idee di cui si fanno promotori, se venissero criticamente sul serio discusse, potrebbero essere “accolte” da molte persone, quegli stessi cittadini che invece oggi vedendo uno di questi attivisti non esiterebbero a guardarlo con sospetto, etichettandolo con questo o quel nome, con questa o quella bandiera. Ed il paradosso è che quello stesso “attivista” ed il gruppo di cui fa parte ha bisogno di questo antagonismo per fortificare l’essere del gruppo ovvero la “coscienza collettiva” di quel particolare insieme di persone. Questo ha bisogno di una bandiera e tutti coloro che non ne sono avvolti, sono a volte semplici estranei da guardare con diffidenza, altre volte veri e propri nemici da tollerare a fatica o combattere. Ciò vale in modo esteso in qualsiasi gruppo delle nostre attuali società, che sia a carattere religioso o di altra natura.

Ciò che “propongo” è una de-massificazione della massa, ma il termine fa schifo, ovvero far rendere conto gli individui di un gruppo che sono ancora e sostanzialmente individui e che l’esercizio delle proprie facoltà non ostacola o interferisce con gli interessi del “gruppo”, come siamo stati indottrinati a credere, ma anzi lo arricchisce e nutre ogni singolo altro individuo; le questioni, lo so, sono complesse ed andrebbe analizzato cosa spinga veramente le persone a “perdersi” in una folla, quali moti consci od inconsci stiano alla base di questo bisogno. Ho letto su qualche saggio di Freud di psicologia collettiva che nel gruppo ogni individuo può con molta più facilità esprimere i propri moti inconsci che singolarmente invece tende a tenere sotto controllo ed ecco dunque le esplosioni di violenza ed irrazionalità, per esempio, a volte efferate di cui una folla è in grado di macchiarsi, quando la singola persona mai forse potrebbe commettere atti del genere. D’altra parte, continua Freud, la morale “collettiva” può a volte essere invece di qualità superiore alla media dei singoli e sempre lo stesso meccanismo alla base agisce ovvero l’identificazione con i leader e con gli altri che moltiplica a dismisura l’energie emotive dei singoli, amplificandole sino a vertici impensabili ed insostenibili per l’individuo.

Credo che nessuna persona sia stupida (anche se questo pare essere il compito principale degli attuali sistemi scolastici, come ampiamente detto), ovvero priva di capacità razionale e di discernimento, ma se cresciuta in un clima di violenze, senza aria e luce, abbia “dimenticato” ciò che può essere e ciò che può dare agli altri e di conseguenza abbisogna di un gruppo per recuperare la completezza e l’interezza “scordata”, ma che è e può essere presente, non solo in potenza, ma di fatto nella vita d’ognuno. Un gruppo siffatto non è altro che un fantasma, un fantasma molto potente però, che potrebbe essere svelato insinuando essenzialmente questo seme: che si è importanti, si è unici, si è preziosi ovvero la persona “che parla” di fronte ad un gruppo non dovrebbe considerare e sentire gli altri un contenitore da riempire, ma fare in modo che non si percepiscano tali né che pensino a lui come il demiurgo in contatto con il cielo che gerarchicamente è il solo che possa aspirare a dialogare con l’Altissimo. Ed un po’ di idee per far ciò le stiamo gettando in questa discussione.
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Vecchio 14-11-2007, 16.04.53   #23
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... continua...

Ognuno è l’Altissimo con il quale si può comunicare qui e ora, in questo preciso istante, e dal quale può scaturire poesia, ogni parola è poesia, libera da costrutti o metriche, sciolta da dogmi o bandiere... poesia, un sussulto del cuore vedere la coscienza in azione che osserva, dipinge, crea... come si può non bramare ciò?

Questo, dunque, quel nutrimento che un gruppo cerca nell’oblio dei singoli, ma che invece proprio realizzando la potenza di essi, potrebbe ottenere come una sorgente senza fine e penso noi, qui nel forum, nel nostro “piccolo”, lo sappiamo, sentiamo; perché seppur forse la maggior parte della nostra mente non vorrà che affermare le nostre idee contro quelle altrui, la restante parte sente che quelle dell’altro sono preziose al pari e ancora che ciò che sente l’altro, qualunque siano le sue idee, è qualcosa di straordinario ed unico, importante ed essenziale per la vita propria d’ognuno; se si giunge infatti a sentire che siamo parte di una grande “trama” finemente tessuta, bene, basterebbe questo sentire per accorgerci dell’essenzialità di ciò che ognuno, Altissimo, pensa e sente e spontaneamente scaturirebbe in ognuno il desiderio e la volontà di far star bene in qualche modo l’altro, ma non per “altruismo morale”, delle morali imposte, ma per il più puro e semplice “egoismo” ovvero per la propria felicità, ma da cui emergerebbe, ora sì, un tale ed efficace “altruismo” il quale, per esempio, considererebbe una persona in difficoltà dall’altra parte del mondo, come se il proprio intimo vicino stesse male.

Non dunque gruppo ed “altruismo” come circoli chiusi per alienarsi e dimenticarsi di sé, ma anzi come meccanismi emergenti, in quanto “risultanti”, dalla ripresa e dal ricordo profondo di sé, con la riappropriazione di tutte quelle facoltà, il cui esercizio ci è stato metodicamente negato sin dall’infanzia dalle società nelle quali siamo cresciuti. I poteri precostituiti hanno paura, tremenda paura, di gruppi dotati di coscienza, forti di quelle dei singoli; per sintetizzare con un’altra immagine, l’educazione attuale non sviluppa ed insegna ciò che non c’è, ma tende a far morire ciò che di “potente” vi è e potrebbe fiorire nel corso della vita.

Questa riappropriazione essenziale dovrebbe dunque coinvolgere ogni aspetto della vita d’ognuno, l’educazione, appunto, e perciò il sapere e di conseguenza le notizie e le informazioni, così come per esempio il lavoro come “prodotto” di ciò che si crea, ma non è questa la sede per parlarne, anche se, in ultima analisi, tale “riappropriazione” riguarda proprio il rapporto di noi con noi stessi, nel senso appena qui abbozzato e di conseguenza quello con l’altro.

Spero, Meditando e Gyta, d’avervi risposto pur non “rispondendo” direttamente ai punti salienti dei vostri scritti; Meditando punta giustamente il fuoco sul coordinamento per aumentare l’efficacia di ciò che ci si “propone”, ebbene sono d’accordo e penso la medesima cosa d’averla sottolineata quando ho appena abbozzato che quella “riappropriazione” dovrebbe coinvolgere ogni aspetto della nostra vita e del nostro “sapere”. Poi afferma che si lavora alla propria “utopia” in solitudine, ognuno nel proprio ambito circoscritto e lo trovo vero, ma il perché di ciò non potrebbe ricadere sempre sotto il fatto che in realtà quegli ambiti “circoscritti” non riflettono che dei meccanismi delle nostre menti, come già hai notato, Meditando? In questa luce si possono più profondamente comprendere le mie parole e quelle di Gyta ovvero che essenzialmente non c’è “nessun là fuori da salvare”, poiché l’unica vera ed efficace rivoluzione consiste nell’essere mutati noi!

Chi è, in effetti, Mangiafuoco?

Spesso mi sono soffermato su queste parole ed ammetto d’averle sempre trovate un buono slogan, non riuscendo a penetrarle veramente, a sentirle; sono ragionevoli, sì certo, e si potrebbe operare ed agire in questo senso, poiché intellettualmente e razionalmente se ne comprende comunque l’importanza, ma ho compreso che se veramente non si sentano, dentro nel profondo come emerse spontaneamente dal proprio essere, avviene che proprio esse stesse e l’azione da loro scaturita non abbia quell’efficacia che si vorrebbe.

Ovvero non si tratta d’agire né di rimanere in “solitudine”, ma con la fiducia, ed a volte è difficile mantenerla, che dalla propria preziosa “solitudine”, cioè dal nostro costante ed aperto dialogo con noi stessi, possa sgorgare e diffondersi per “contagio” il più ampio ed efficace dialogo con gli altri ovvero tra noi e gli altri e tra loro e loro stessi .

Meditando, dunque, non disperare..! Ti prego, anche in virtù del tuo bel nick... Tra le tue principali idee vi è giustamente quella del coordinamento tra i diversi ambiti “rivoluzionari”, quella la senti fortemente come altre, bene in queste potresti “agire”, come già stai facendo..! Su di me e su chiunque abbia letto le tue parole e, credimi, sono molto serio quando sento ciò...

Questo lo dico a te, come a me ed a tutti: chi si considera “non grande” è sempre colui o meglio colei la quale non si rende conto della propria “potenza”, ovvero la nostra mente, con tutte le memorie, le nostre esperienze, “violenze” subite e la nostra nefasta “educazione”. Se parli con passione, se manifesti con le tue azioni, con la tua vita ciò che pensi, senti, alle persone che ti stanno vicino e a quante più persone tu ritieni sia necessario, ebbene non ci sarà sconfitta, non ci sarà sconfitta in nessun caso, perché non ti accorgeresti, se la mente lo pensasse, che hai piantato tanti piccoli semi che a seconda delle circostanze, delle persone, delle loro esperienze germoglieranno al momento “giusto”; non puoi “forzare”, è proprio questo il punto di tutta questa discussione, non puoi inculcare qualcosa in una mente che non vuole, questo esercizio di potere rappresenta una “violenza” e si ottiene nella maggior parte dei casi l’effetto contrario a quello che vorresti. Ed ho cercato e sto cercato "espedienti" pratici affinchè sia possibile evitare ciò. Pure Gandhi non ha visto la sua “utopia” pienamente realizzarsi ovvero il suo ideale di come la società e l’uomo indiano sarebbe dovuto profondamente mutare; ma credo, a parte le critiche che gli sono state mosse, nessuno sia pronto ad affermare che abbia fallito, che le sue idee siano state sconfitte. Come dici, come possiamo sapere quando quei semi germoglieranno? Di Leonardo ricordo una bella frase su di lui di non so chi, ma non è importante: “si era svegliato in un tempo in cui tutti dormivano”.

Noi non siamo altro che piante nate da tantissimi semi creati nel corso dei secoli, dei millenni e scommetto che alcune o magari molte delle menti in cui si sono formati, nel loro intimo li considerassero al più belle “utopie”, ma accidenti, pur se non hanno visto alcuna pianta... meno male che li hanno gettati a terra..!

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Vecchio 16-11-2007, 11.17.52   #24
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Riferimento: Sulla scuola e sull'insegnamento: considerazioni utopiche.

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Vecchio 19-11-2007, 00.35.20   #25
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Riferimento: Sulla scuola e sull'insegnamento: considerazioni utopiche.

Negli anni 60 avevamo il maestro Manzi che insegnava in Tv a leggere e scrivere con la trasmissione: Non è mai troppo tardi. Oggi servirebbe un nuovo Manzi, ma con una trasmissione intitolata: Prima che sia troppo tardi, e che insegni a capire cosa servirebbe ai bambini per poter crescere veramente come se stessi e non come li vigliono gli adulti.
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Vecchio 20-11-2007, 01.40.36   #26
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Riferimento: Sulla scuola e sull'insegnamento: considerazioni utopiche.

Citazione:
Originalmente inviato da anathemina
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Non serve!! Si può conoscere ipoteticamente come "funzioni" la psiche umana
e continuare ad esercitare violenza su gli altri!!
Se mai ci progredissimo sino a tale punto nell'ordinamento scolastico,
ciò che serve allora è una formazione psicoanalitica (un lavoro-terapia psicoanalitico che l'educatore compie come proprio percorso di crescita su se stesso, sulla propria vita) che eviti qualunque tipo di "proiezione" della nostra realtà distorta sull'altro, il bambino,
che come spugna accoglie in sé i semi dell'arte d'amare o dell'impotenza cronica, specialmente in assenza di una sicurezza di base nella famiglia egualmente responsabile dell'educazione dell' individuo, tutto sommato, nato libero!

Gyta
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Vecchio 20-11-2007, 23.01.30   #27
meditando
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Riferimento: Sulla scuola e sull'insegnamento: considerazioni utopiche.

Non credo che il problema sia il tipo formazione dell’insegnante/insegnanti. Così com’è intesa la scuola potremmo riempirla di filosofi, psicologi o quant’altro, ma la sostanza non cambierebbe di molto fino a quando non sarà cambiata l’idea di formazione, il concetto di trasmissione del sapere inteso come principio in se senza tenere minimamente conto di chi si ha di fronte e di quale sarà lo scopo del suo sapere.

Oggi il sapere è inteso come necessità sociale, come necessità del soggetto come componente di un sistema nel quale si deve integrare, con il quale deve relazionarsi e da dove deve trarre il necessario sostentamento. Tutto questo è visto come lo scopo primario, lo scope che, insieme al concetto di cultura del sapere come valore, standardizza il modello scolastico, lo appiattisce sullo scopo che si è prefissato è tende a ignorare quasi totalmente il destinatario.

Non servirebbe nemmeno una formazione psicoanalitica perché anche questa sarebbe organizzata in modelli pensati con una concezione del soggetti bambino spostata verso il suo presunto bene, cioè verso un’interpretazione a lui esterna, una’analisi del soggetto fatta da un soggetto esterno, chiunque esso sia, e che quindi non potrà, o comunque difficilmente potrà essere corrispondente a ciò che quel bambino è e vuole essere veramente. Anche uno psicoanalista ha un suo modello di interpretazione il quale, per quanto giusto, è sempre esterno al soggetto, quindi potenzialmente errato.

Molto più semplice,credo, sarebbe utile un modello di scuola dove si parta non dalla formazione ma dallo scoprimento graduale, progressivo, delle necessità e delle potenzialità realmente espresse del soggetto e della sua realizzabilità, rischi e possibilità compresi. Questi ultimi sono i necessari accorgimenti per una regolata presa di coscienza che il soggetto andrà a svolgere i propri atti in un contesto dove altri reclameranno gli stessi diritti e quindi sarà necessario imparare ad aprire un costante canale di mediazione tra le diverse esigenze di diversi soggetti.

L’uomo è, prima di tutto, un soggetto, un individuo e, in secondo luogo un animale sociale che non può fare a meno di stare in un contesto sociale. Il primo ruolo lo può svolgere in proprio favore mentre il secondo lo deve preparare con la capacità di cui dispone e che desidera esprimere ma riuscirà a farlo solo se sarà abbastanza forte e preparato da saper valutare in proprio quando questo suo diritto si deve interrompere per lasciar spazio ad un diritto altrui. Sbagliare questa valutazione potrebbe costargli anche molto caro. Imparare quindi imparare ad usare l’indispensabile compromesso sociale, compromessi inalienabile e che quindi sarebbe inutile pretendere di eludere. Per questo servono individui forti psicologicamente e una forte psicologia personale sarà utile e saprebbe sopperire anche in caso di debolezza del carattere di un individuo.

Certo, con questo fine salterebbero tutti i programmi, tutti i tempi, tutti gli scopi sociali per i quali la scuola è stata concepita, ma ne guadagnerebbero gli individui e, credo, la società tutta.

Il problema, quindi, sarebbe affrontabile anche con questo corpo insegnante ma solo se culturalmente la scuola verrà vista e trasformata in un luogo dove andare a crescere e non ad imparare. Che poi vi si impari anche va bene, anzi meglio, ma prima di tutto un luogo dove si va per crescere, scoprirsi, valutarsi, raffrontarsi, confrontarsi con noi stessi e con gli altri. Un luogo dove si amplia la libertà di essere quello che si è e non dove si amplia solo ciò che si sa.
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Vecchio 21-11-2007, 12.49.02   #28
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Meditando e Gyta, siete proprio degli anarchici! E pericolosi, per giunta! Facciamoli saltare questi “programmi”!

Meditando condivido il nocciolo di quanto dici, come credo avrai capito e mi piace questo dialogo senza i tempi a volte serrati del forum. Per quanto riguarda la psicoanalisi non so, non so dirti granché per mia ignoranza; credo comunque, come te, che l’imporre un modello che sposi l’idea di un certo bene “comune” esterno all’individuo sia anche ciò che gli anarchici contestino al lavoro psicoanalitico, come ancora una volta una fabbrica di esseri omologati, ingranaggi che stanno “bene”, ma dove? Nient’altro che nelle attuali società. Ma, forse, tra i fini di base della psicoanalisi, tralasciando come questa venga “esercitata” ovvero l’ambiente in cui è costretta a vivere, c’è proprio la necessità della conoscenza di sé, dello sviluppo dell’amore di sé -in sé-, come dice Gyta e dunque, credo, sia un potente motore per far sì che individui “già” formati possano con più efficacia ri-trovare le fila di se stessi, ricucire quello strappo nell’educazione primaria, quelle violenze, magari quelle difficoltà tremende in famiglia e dunque far sì che queste mutazioni possano propagarsi nel proprio ambiente.

La psicoanalisi è una teoria applicata che vive in queste società e sembra a volte manchi il vero fuoco dei propri obiettivi, forse per la complessità del “sistema” che aspira a studiare, poiché individui che hanno portato “a termine” il proprio percorso di terapia, e d’altronde gli psicoanalisti, dovrebbero essere, nelle mie fantasie, esseri “pericolosi”, molto “pericolosi”, rivoluzionari... e perché? Perché dovrebbero esercitare la propria libertà in un modo nuovo e molto più profondo rispetto alle persone che costituiscono il proprio ambiente e dunque per contagio dovrebbe avvenire che questa conoscenza di sé, questa libertà della propria coscienza fluisse tutt’intorno ed anzi si dovrebbero sentire in qualche misura “responsabili” agenti di una mutazione efficace delle società, degli ambienti in cui vivono. Avviene ciò? Forse meglio che legga prima un po' di più Erich Fromm per fare delle riflessioni, visto lui mi pare abbia molto ben analizzato l'uomo e le società in cui vive.

Stavolta non mi vorrei dilungare tanto, sennò Maxim non partecipa , poiché magari si smarriscono i punti salienti della questione e visto che siete persone interessanti ed interessate, vorrei spingermi il più in là possibile con qualche domanda, anche per fare un po’ di sintesi, perché ho bisogno come l’aria che respiro di ciò che pensate e sentite, magari coinvolgendo pure altre persone interessate o ancora no a questi argomenti.

E divido lo scritto in due, anche se non necessario ora, così da consentirne un miglior impatto "psicologico" .
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Vecchio 21-11-2007, 12.55.37   #29
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Dici, Meditando, che è bene sapere quando il “proprio” diritto con precisione si debba interrompere a favore di quello altrui, sembra banale e logico tutto ciò... ma è proprio necessario? E’ proprio necessario sentirlo così? Se veramente avvenissero delle profonde mutazioni della coscienza personale d’ognuno, non scaturirebbe da lì spontaneamente quella “mediazione” di cui parli? Secondo voi, non ci si sentirebbe parte di una “unità”, pur essendo tante infinite “unità”, se sin da principio venisse coltivato quel libero seme d’umanità presente in chiunque alla nascita? E’ nell’essenza questo il nucleo dell’idea che volevo portare avanti e se attualmente ciò sembra ben più d’utopia, poiché lo sviluppo evolutivo pare essere questo, ho già discusso sul fatto che essenzialmente l’uomo non ha mai potuto “esercitare” il proprio amore di sé, per la propria coscienza indipendente e dunque non è legge di natura lo stato attuale delle cose.

Dici ancora, Meditando, che il problema non risiede tanto nel corpo degli insegnanti, ma nella spinta culturale a vedere la scuola come un luogo differente, come un luogo che ci stiamo tentando di immaginare; ma, vi chiedo: questa “spinta” come potrebbe essere veramente efficace nelle odierne società? Ho riflettuto sul fatto che non dall’alto, gerarchicamente, tale situazione dovrebbe venir regolamentata se ancora una volta non si volesse cadere nel tranello dell’esercizio del potere, potere che l’essere umano pare brami, un polo o l’altro, servo o padrone è indifferente perché entrambi nell’essenza schiavi nel continuare a camminare come si è sempre fatto, nel buio quasi più totale della propria incoscienza. Giocando con le parole, secondo me, il problema invece risiede anche nel “corpo” degli insegnanti ovvero nella loro mente, come credo intenda anche Gyta, poiché loro rappresentano il “contatto” con il bambino, contatto di relazione fondamentale attraverso cui quest’ultimo assorbe sì, come una spugna, tutto quanto rappresenta, sente, dice l’insegnante ovvero -la società- e le proprie “regole” e come già ribadito in precedenza, e vedo siamo d’accordo, molte nozioni saranno presto dimenticate, ma ciò che rimarrà come segno indelebile sarà la modalità attraverso cui l’imposizione del sapere come “necessità sociale” ha agito sulle menti di ognuno, iniziando a piegarle, trasformandole in contenitori, a plasmarle come ingranaggi di sistema.

Meditando, visto che hai un’anima anche volta al “pratico”, ti e vi vorrei dunque chiedere: quei “compromessi sociali” di cui parli, non eludibili, sarebbe inutile pretendere di farlo, dici, non li potremmo vedere e sentire così solo perché sono le nostre menti attuali a percepirli come tali? Più che normale, affermo, ma non sarebbe possibile immaginare un’Umanità in cui per esempio la parola “compromesso” perdesse ogni valenza negativa e ciò fosse sentito con tutto l’essere individuale d’ognuno? Poiché se si vanno a vedere i sinonimi di “compromesso” sul vocabolario, beh... solo accezioni negative ho potuto trovare e non mi aspettavo d’altronde altro.

Quella nuova “visione” di scuola di cui parli e che hai in mente, Meditando, non potrebbe contribuire a far crescere individui dotati sì, della propria “potente” coscienza individuale, ma -conseguentemente- di un’altrettanto “potente” coscienza collettiva ovvero che non perdano se stessi, come avviene attualmente, associandosi in “società”, ma la rendano un luogo più luminoso?

Vedi, io sono d’accordo attualmente sui necessari e costanti “canali di mediazione” tra le diverse esigenze di diversi soggetti, ma ciò che vorrei dire è che è solo la nostra mente attuale, cresciuta nei sistemi attuali a vederla e soprattutto sentirla così, ma magari per quanto il nome rimarrà quello, “mediazione”, questa sarà percepita in modi fondamentalmente differenti, modi che non possiamo neanche figurarci ora. Il nostro cervello e tutto il nostro essere sono dotati non solo d’elasticità, ma d’un incredibile plasticità e piccoli mi paiono a volte i tentativi d’immaginare cosa possa accadere. Possiamo ora solo tentare di seminare qualcosa, secondo ciò che immaginiamo e sentiamo “giusto”, come stiamo facendo.

Ma ora mi fermo qui; già mi sono dilungato troppo rispetto ai miei propositi di sintesi.

Grazie sul serio di questo dialogo.

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Vecchio 23-11-2007, 16.01.52   #30
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Sull'Utopia...

Qualche citazione sull'Utopia... affinché forse più sinteticamente possa giungervi qualcosa di ciò che intendevo scrivere e magari coinvolgervi in queste domande... o solo far sì possiate portare con voi qualche seme...

«L'utopia è come l'orizzonte: cammino due passi e si allontana di due passi. Cammino dieci passi e si allontana di dieci passi. L'orizzonte è irraggiungibile. E allora, a cosa serve l'utopia? A questo: serve per continuare a camminare.»
(Eduardo Hughes Galeano)

«Una carta del mondo che non contenga il Paese dell'Utopia non è degna nemmeno di uno sguardo, perché non contempla il solo Paese al quale l'Umanità approda di continuo. E quando vi getta l'àncora, la vedetta scorge un Paese migliore e l'Umanità di nuovo fa vela.»
(Oscar Wilde)

Un saluto a tutti...
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