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Vecchio 16-10-2008, 20.53.23   #81
z4nz4r0
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Riferimento: PUCI, PDE e utilitarismo

Proviamo a fare il punto della situazione; mi pare di aver capito che riconosci l’oggettività nonché validità universale, del tutto priva di eccezioni circostanziali, del PUCI e del PDE e che sostieni una certa qual forma di utilitarismo. Correggimi se sbaglio.
Forse cominciamo ad andare d’accordo, vediamo se riesco a sciogliere la tua ostinatezza sui punti che evidentemente continuano a non esserti chiari.

Citazione:
Originalmente inviato da epicurus
Vago, ma necessario. Infatti se una questione riguarda solamente me e la mia persona (tipo eutanasia), allora gli interessi in gioco sono solo i miei, non vado neppure a considerare quelli degli altri.
(A suon di retorica, tutto può essere manipolato. E' ovvio che dobbiamo considerare degli agenti sufficientemente razionali in questi discorsi, altrimenti non si può più dir niente...)
Non esistono situazioni di questo genere, al massimo puoi dire che riguarda soprattutto te, nel senso che il valore del tuo interesse, in una data circostanza, può essere di gran lunga superiore a quello di chiunque altro; al punto che gli interessi in conflitto col tuo possano essere considerati come trascurabili capricci. Prendiamo il tuo stesso esempio, l’eutanasia: esiste un fracco di gente, per lo più religiosa, che si proclama pro-vita ed è contraria all’aborto e all’eutanasia. Una tale persona fa suo l’interesse di sostenere la vita, prima ancora di badare alla sua qualità, e il fatto che abbia questo interesse significa che quella decisione non riguarda esclusivamente il tuo stato percettivo/emotivo (o come cappero lo si voglia chiamare) ma anche il loro, per quanto ingiustificato e blando sia il loro rispetto al tuo.

Comunque non vedo perché scegliere un principio di tale arbitraria vaghezza quando se ne hanno a disposizione di ben più precisi…
…a dire il vero un motivo mi viene in mente: è nell’interesse di un bravo sofista scegliere un principio ben duttile, facilmente riadattabile in proprio favore!

Citazione:
Originalmente inviato da epicurus
La libertà riguarda il come vorrei vivere. Mi sembra ovvio che tra le libertà ci sia anche la libertà dalla sofferenza. Comunque, come ho detto sopra, ho affermato tale principio per difendere l'autodeterminazione dell'individuo.
Ciò che più direttamente tu vuoi non è diverso da quello che infine vuole qualunque altro essere senziente. Tutto ciò che può differire sono i modi particolari, che possono diramarsi in percorsi differenti più o meno turbinanti e in qualche punto incrocianti, nei quali ognuno cerca l’appagamento.
Ed è proprio questa molteplicità di modi a rendere tanto vago il principio che hai proposto.
Che cosa intendi con “autodeterminazione dell’individuo”?

Citazione:
Originalmente inviato da epicurus
2) Interpretazione più lassista: felicità come una sorta di soddisfazione totale, sofferenza come contrario di questo senso di felicità.
Parlare di maggiore o minore soddisfazione mi pare appropriato. La chiamerei interpretazione più ragionata anziché che più lassista.

Citazione:
Originalmente inviato da epicurus
L'ho già spiegato sopra, per garantire l'autodeterminazione dell'individuo: gli interessi degli altri non sono rilevanti per le mie scelte assolutamente personali.
E più sopra ti ho risposto… non esistono scelte di questo tipo.
Il fatto che in una data circostanza gli altrui interessi non reggono un confronto con il tuo, può significare che il loro valore venga riconosciuto come trascurabile, non che non vengono considerati: in nessun caso c’è bisogno di una tale discriminazione.

Citazione:
Originalmente inviato da epicurus
Purtroppo, nella mia piccola esperienza e nell'esperienza più ampia della politica del nostro paese, noto con dispiacere che sono pochi che adottano una posizione del genere.
Già, ma questa è un’osservazione poco impegnativa.
Proviamo ad aumentare il grado di difficoltà: tu credi di averlo un accettabile grado di imparzialità nel considerare gli altrui interessi in relazione ai tuoi (in altre parole: credi che il surplus di valore che dai ai tuoi interessi non vada oltre una soglia posta in modo da essere eticamente adeguata)?

Citazione:
Originalmente inviato da epicurus
Io sto parlando di fondamento, e l'unico modo di fondare l'etica è con l'etica stessa, non con la razionalità.
[…]mi sembra assurdo fondare l'etica sulla razionalità. Ciò che mi basta è che le valutazione etiche siano oggettive, quindi discriminabili razionalmente, ma le fondamenta etiche sono un'altra cosa.
Non sto sostenendo un soggettivismo etico delle emozioni, secondo il quale se noi sentiamo che è bene fare qualcosa, allora è bene farlo. Dico soltanto che se non sentiamo un certo obbligo almeno in alcune situazioni palesi, allora non possiamo entrare nella sfera etica, non siamo esseri etici. Potremo seguire tutte le regole giuste del mondo, ma le nostre azioni sarebbero solo azioni conformi a delle regole, nulla di più...
Il fatto che quello che tu chiami sentimento morale si faccia vivo o meno in una persona e in una data circostanza è completamente determinato dalla miscela di due fatti che riguardano la persona in esame:
1) il suo genoma;
2) la sua storia o background.
(quali dei due abbia un peso maggiore può dipendere da caso a caso).

Sul primo fatto, il genoma, c’è poco da fare: quello è e quello rimane; non è molto interessante ai fini di questa discussione.
Consideriamo il secondo fatto: il suo background.
Il background di una persona è determinato dall’ambiente nel quale tale persona vive. L’ambiente può essere suddiviso in geografico, sociale e culturale. Quello più interessante ai fini di questa discussione è l’ambiente culturale; quindi una domanda opportuna potrebbe essere: in che modo una persona si appropria di una certa cultura?
Proviamo a rispondere. Per prima cosa possiamo osservare che nei primi anni di vita ci limitiamo ad assorbire elementi di un ristrettissimo ambiente culturale rappresentato dai nostri genitori (se li abbiamo), man mano che cresciamo abbiamo accesso ad un sistema culturale sempre più ampio: parenti, scuola, tradizione locale… Fino a che scopriamo l’esistenza di diversi sistemi culturali che differiscono tra loro in modo variabile, da pochi dettagli a concetti generali che li rendono incompatibili tra loro. A tutta prima tendiamo a preferire la cultura natia e rifiutare ciò che non è compatibile con essa (le ragioni di questo vengono studiate dalla sociobiologia e sono inquadrate in modo particolarmente suggestivo dalla prospettiva memetica) ma col tempo e data la nostra incessante esposizione alla scelta tra diverse alternative possiamo mettere, per puro caso, inconsapevolmente un piede su una diversa direzione… dall’effetto che seguirà, la nostra scelta, inizialmente inconsapevole, potrebbe rafforzarsi fino a delineare un nuovo percorso oppure indebolirsi, decelerare e finire in retromarcia per poi risultare come una semplice perdita di tempo o nel migliore dei casi come un’esperienza utile da non ripetere.
Come vedi il sentimento morale è determinato dalle proprie scelte e ovunque tu possa cercare l’origine delle tue scelte troverai nient’altro che puro caso. [Ma questo non vuole assolutamente dire che non abbiamo alcun tipo di controllo o nessun grado di libertà sulle nostre decisioni, indipendentemente dal fatto che il mondo sia determinato o meno, il grado di libertà che abbiamo nelle azioni è proporzionale alla nostra complessità (non approfondisco questo punto che puoi trovare nel secondo capitolo del libro “l’evoluzione della libertà”, ad esempio a pagina 79)].

Citazione:
Originalmente inviato da epicurus
Il contributo significativo di Lévinas a questo mio utilitarismo (anche se non sono sicuro che tale etichetta sia corretta) è, appunto, un contributo,cioè che lo estende, non è una confutazione di esso. Lèvinas, banalmente, ci fa notare che quando un individuo agisce eticamente, seguendo un determinato principio, la sua attenzione non è rivolta a tale principio, bensì è rivolta alla persona reale e specifica che si vuole aiutare. Ed è proprio la responsabilità che si sente verso l'altro che fonda l'etica, è proprio questo "sentire" che ci fa entrare nella dimensione etica, facendoci distanziare dai meri "seguitori di regole". Naturalmente il "sentimento etico" è condizione necessaria ma non sufficiente, ed è qui che entra in gioco la razionalità e tutto il discorso che stavamo facendo.
Questo mi pare un buon ritratto dell'etica umana (laica) e, per quanto ho letto, credo potremmo condividerlo entrambi, z4nz4r0, non trovi?
L’empatia è senz’altro un requisito fondamentale per l’attuazione di un comportamento etico ma come ho detto appena sopra non è una caratteristica innata.
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Vecchio 18-10-2008, 12.40.54   #82
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Riferimento: PUCI, PDE e utilitarismo

Citazione:
Originalmente inviato da z4nz4r0
Proviamo a fare il punto della situazione; mi pare di aver capito che riconosci l’oggettività nonché validità universale, del tutto priva di eccezioni circostanziali, del PUCI e del PDE e che sostieni una certa qual forma di utilitarismo. Correggimi se sbaglio.

Come già ti dissi, considero il PDE fondamentale per caratterizzare bene il concetto di equità. Quindi potrei anche dire che lo accetto universalmente.
Per quanto riguarda il PUCI lo trovo molto importante, ma ho ancora dei dubbi in riferimento al discorso dell'autodeterminazione. Discuto questo più sotto.
Non so se sostengo una certa forma di utilitarismo, ma a questo punto non mi interessa più di tanto questa etichetta, visto le numerose versioni differenti di utilitarismo (e che alcune di queste non le condivido affatto).

Citazione:
Originalmente inviato da z4nz4r0
Non esistono situazioni di questo genere, al massimo puoi dire che riguarda soprattutto te, nel senso che il valore del tuo interesse, in una data circostanza, può essere di gran lunga superiore a quello di chiunque altro; al punto che gli interessi in conflitto col tuo possano essere considerati come trascurabili capricci.

E qui veniamo ai miei dubbi sull'universalità del PUCI. Innanzitutto come faccio a misurare il valore degli interessi? Anche questo mi pare vago. Potremo dire che il valore dell'interesse è tanto più alto tanto più vi è la volontà di mirare a quell'interesse. Prendiamo l'esempio di io che voglio bermi un tè, e magari di qualche fondamentalista che per qualche motivo arde nell'impedirmi di berlo. Il valore del suo interesse è superiore al mio per quanto detto sopra (se io non lo bevo mi dispiacerà un poco ma di certo non morirò; mentre se lo bevo il fanatico rimarrà profondamente scosso), ma io ritengo che comunque io sia nel giusto nel bere il tè. Il motivo è che in qualche modo la faccenda riguarda solo me, o principalmente me, e che gli interessi degli altri non sono da prendere in considerazione.

Citazione:
Originalmente inviato da z4nz4r0
Comunque non vedo perché scegliere un principio di tale arbitraria vaghezza quando se ne hanno a disposizione di ben più precisi…
…a dire il vero un motivo mi viene in mente: è nell’interesse di un bravo sofista scegliere un principio ben duttile, facilmente riadattabile in proprio favore!

Ed è proprio questa molteplicità di modi a rendere tanto vago il principio che hai proposto.
Che cosa intendi con “autodeterminazione dell’individuo”?

Forse è vago, ma se lo riteniamo importante, come io sostengo, allora varrà la pena cercare di renderlo meno vago. Come vedi, almeno per quanto mi riguarda, non ho fini sofistici nella difesa del principio di autodeterminazione dell'individuo.

Citazione:
Originalmente inviato da z4nz4r0
Parlare di maggiore o minore soddisfazione mi pare appropriato. La chiamerei interpretazione più ragionata anziché che più lassista.

Lassista nel senso che si interpreta il termine 'felicità' in un modo più elastico e blando.

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Originalmente inviato da z4nz4r0
Già, ma questa è un’osservazione poco impegnativa.
Proviamo ad aumentare il grado di difficoltà: tu credi di averlo un accettabile grado di imparzialità nel considerare gli altrui interessi in relazione ai tuoi (in altre parole: credi che il surplus di valore che dai ai tuoi interessi non vada oltre una soglia posta in modo da essere eticamente adeguata)?

Non vedo la rilevanza, di parlare del mio grado di eticità in una discussione di meta-etica.

Citazione:
Originalmente inviato da z4nz4r0
Il fatto che quello che tu chiami sentimento morale si faccia vivo o meno in una persona e in una data circostanza è completamente determinato dalla miscela di due fatti che riguardano la persona in esame:
1) il suo genoma;
2) la sua storia o background.

Da dove deriva il sentimento morale (che sarebbe meglio chiamare 'sentire morale') non è molto importante, come non è importante capire da dove derivano tutti i nostri valori, interessi e sentimenti.

Citazione:
Originalmente inviato da z4nz4r0
Come vedi il sentimento morale è determinato dalle proprie scelte e ovunque tu possa cercare l’origine delle tue scelte troverai nient’altro che puro caso. [...]
L’empatia è senz’altro un requisito fondamentale per l’attuazione di un comportamento etico ma come ho detto appena sopra non è una caratteristica innata.

Non è interessante, qui, sapere se il sentire morale sia innato o no, come non è interessante sapere se il PUCI o il PDE sono innati.
Come ti ho scritto negli altri miei interventi, un agente non può dirsi etico se il suo fine sono le regole, se è solo un seguitore di regole (le regole sono i mezzi, non i fini). E' necessario (ma non sufficiente) sentire qualcosa per il prossimo: se non sento la sofferenza del prossimo, se non sento responsabilità nei suoi confronti, allora non sono ancora entrato nella dimensione etica.

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Vecchio 18-10-2008, 17.44.33   #83
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Originalmente inviato da epicurus
E qui veniamo ai miei dubbi sull'universalità del PUCI. Innanzitutto come faccio a misurare il valore degli interessi? Anche questo mi pare vago.
Come ho già detto non c’è nessun bisogno di fare misurazioni, bastano semplici valutazioni le quali richiedono nient’altro che onestà.

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Originalmente inviato da epicurus
Potremo dire che il valore dell'interesse è tanto più alto tanto più vi è la volontà di mirare a quell'interesse.
Come ho già detto, bis, il valore di un interesse dipende da quanto piacere/dolore è ad esso legato; questo tuo dire è più vago del mio detto.

Citazione:
Originalmente inviato da epicurus
Prendiamo l'esempio di io che voglio bermi un tè, e magari di qualche fondamentalista che per qualche motivo arde nell'impedirmi di berlo. Il valore del suo interesse è superiore al mio per quanto detto sopra (se io non lo bevo mi dispiacerà un poco ma di certo non morirò; mentre se lo bevo il fanatico rimarrà profondamente scosso), ma io ritengo che comunque io sia nel giusto nel bere il tè. Il motivo è che in qualche modo la faccenda riguarda solo me, o principalmente me, e che gli interessi degli altri non sono da prendere in considerazione.
Mi fai sbellicare .
Gli interessi sono dinamici, in questo caso il tuo desiderio di bere il te lascerebbe presto il posto ad un più vivo interesse: quello di capire le ragioni, per quanto distorte, della persona con cui hai a che fare (il quale sarebbe ben felice di spiegartele, non riesco ad immaginare un caso in cui a qualcuno dispiaccia pubblicizzare le sue ragioni o la sua fede, in un modo o nell’altro); interesse al quale, a sua volta, ne seguirebbe un altro ancora più intenso: quello di persuadere tale persona (il che significa guidare dolcemente il suo interesse) a sostituire le sue credenze debolmente giustificabili con altre più ragionevoli, cercando di attenuare il più possibile la discrepanza tra i vostri sistemi di credenze (che è interesse di entrambi), fino magari a giungere, con grande soddisfazione, a bere una tazza di tè insieme a lui.
Non saresti affatto nel giusto se non tenessi in considerazione il suo interesse, ciò che mostreresti, in questo caso, sarebbe piuttosto arroganza.

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Originalmente inviato da epicurus
Forse è vago, ma se lo riteniamo importante, come io sostengo, allora varrà la pena cercare di renderlo meno vago. Come vedi, almeno per quanto mi riguarda, non ho fini sofistici nella difesa del principio di autodeterminazione dell'individuo.
Se sei in cerca di un riconoscimento filosofico lo stai cercando nel posto sbagliato, quello che proponi non è diverso da un detto piuttosto popolare: “la propria libertà finisce dove comincia quella altrui”.
Faresti meglio a considerare il pensiero di quelli che ti hanno preceduto!

Citazione:
Originalmente inviato da epicurus
Non vedo la rilevanza, di parlare del mio grado di eticità in una discussione di meta-etica.
Di certo non è meno rilevante che osservare il “grado di eticità” della gente in genere…
Ti ho proposto questa domanda in un punto dove mi è parso che tu dessi per scontato un agire concorde col PUCI.

Citazione:
Originalmente inviato da epicurus
Da dove deriva il sentimento morale (che sarebbe meglio chiamare 'sentire morale') non è molto importante, come non è importante capire da dove derivano tutti i nostri valori, interessi e sentimenti.
Argomentare prego.

Citazione:
Originalmente inviato da epicurus
Non è interessante, qui, sapere se il sentire morale sia innato o no,
Lo è eccome se sostieni che un principio morale debba fondarsi sull’empatia e non sulla razionalità!
Ti ho mostrato che, seppure né la nostra predisposizione biologica all’empatia, né il nostro background sono, separatamente, sufficienti a determinare se in una data circostanza si faccia vivo il “sentire morale”, uniti assieme lo determinano completamente; come determinano interamente noi. Essendo impossibile esercitare alcun genere di controllo su ciò che ci precede, ciò che hai sostenuto si riduce a questo: se siamo o no “esseri etici” dipende dal caso. Ma che cosa è mai un “essere etico”? Uno può comportarsi eticamente in una circostanza e immoralmente in un’altra [“sì”, dirai, “perché la prima ha destato il sentire morale dell’agente e la seconda no”; ma il fatto che questo “sentire morale” si sia destato in un caso e non nell’altro, il fatto che si desti o meno, dipende da decisioni più o meno razionali, più o meno elaborate che l’agente ha preso in precedenza (che fanno parte del suo background)]. Il fatto che il comportamento etico sia euristicamente guidato dall’empatia (o “sentire morale” se preferisci) può essere indicativo solo del fatto, banale, che siamo esseri senzienti.
Ma l’empatia (ok, “sentire morale”) non è altro che un sentimento derivato da una, diciamo, “strategia biologica”: serve a sviluppare l’altruismo necessario per dare l’avvio ad un atteggiamento cooperativo, il quale, a sua volta, risulta vantaggioso sul lungo termine; come vedi, la sua comparsa fa parte di un ceco “progetto biologico”, lo stesso da cui derivano le capacità razionali, le quali sono destinate a guidare, tra le altre cose, i suoi prossimi sviluppi.
Riassumendo:
l’empatia è nata in modo inconsapevole ma evolve e i suoi ultimi sviluppi avvengono ad un livello consapevole grazie alle capacità genuinamente razionali ora, in qualche caso, disponibili.

Comunque non ho proprio capito dove vuoi arrivare sostenendo quel che hai sostenuto, quella che hai perpetuato mi sembra più che altro un’obiezione oziosa.

Citazione:
Originalmente inviato da epicurus
come non è interessante sapere se il PUCI o il PDE sono innati.
Poi mi spieghi in che senso si può dire che un principio sia o meno innato… no, vabè, lascia perdere.

Citazione:
Originalmente inviato da epicurus
Come ti ho scritto negli altri miei interventi, un agente non può dirsi etico se il suo fine sono le regole, se è solo un seguitore di regole (le regole sono i mezzi, non i fini). E' necessario (ma non sufficiente) sentire qualcosa per il prossimo: se non sento la sofferenza del prossimo, se non sento responsabilità nei suoi confronti, allora non sono ancora entrato nella dimensione etica.
Eggià, ma in quel caso non sei neanche entrato nella dimensione senziente!
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Vecchio 19-10-2008, 13.31.56   #84
albert
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Riferimento: Perché tanto accanimento verso il relativismo?

Scusate se intervengo su un post vecchio, mentre la discussione ha preso nuovi thread … posso addurre la solita scusa gaglioffa che devo anche occuparmi d’altro oppure che ho bisogno di riflettere molto sulle idee

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Originalmente inviato da epicurus
Si può anche ammettere che una morale migliore di tutte le altre non ci sia, ma come puoi parlare di "questa morale è migliore di quest'altra". Su che criterio ti basi, su un altro criterio morale superiore a tutti gli altri e indipendente da ogni sistema relativo? Per un relativista come te non credo che questa opzione sia percorribile, quindi non hai alternative che accettare che ogni sistema morale è concesso.
Parti dall’assunto che per esprimere un giudizio ci debba essere un criterio a cui si fa riferimento. Secondo me quando esprimiamo giudizi non ci comportiamo così, è un’astrazione innaturale che (ai metafisici ) piace fare.
Secondo me i giudizi (che sono arbitrari e soggettivi) nascono dalla somma delle nostre esperienze e in ultima analisi partono dalla ricerca del benessere. Un ambiente ci pare “bello” (ad esempio un paesaggio con dune e macchie di boscaglia) perché ci ricorda un ambiente in cui i nostri progenitori (i famosi cacciatori-raccoglitori) potevano trovare rifugio. I giudizi si evolvono poco alla volta a partire da queste esigenze primordiali. I giudizi etici, in particolare, nascono dalla nostra esigenza di collaborare con gli altri, che quindi non possiamo fregare.
I principi si evolvono a partire dai giudizi, sono un’astrazione di ciò a cui la maggior parte dei giudizi tendono.
Per cui … posso eccome giudicare un criterio morale e dire che è meglio di un altro senza avere bisogno precedentemente di un criterio morale superiore ed assoluto


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Originalmente inviato da epicurus
Cioè tu ammetti che la tua morale probabilmente è sbagliata, e comunque continui a sostenerla? Mi sembra una posizione nettamente irragionevole.
“Giusta”, “sbagliata” ... in questo contesto sono proprio dei giudizi non formulabili.

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Originalmente inviato da epicurus
Ma allora tu potresti dire: "la morale assoluta c'è ma non abbiamo un metodo infallibile per determinarla".
Come dico sempre ad emmeci a proposito del suo assoluto irraggiungibile, se una cosa è irraggiungibile per noi è come se non ci fosse. Cosa ce ne facciamo se non la possiamo raggiungere?

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Originalmente inviato da epicurus
Ma anche per Hitler l'unica opinione che conta è la propria. Ma allora ognuno può dire che l'unica opinione che conta è la propria e così si cade nel soggettivismo etico di cui ti parlavo. Questo tuo quote è proprio il caso paradigmatico di anarchia etica.

Non so se per per Hitler l’unica morale che contasse fosse la sua. Anzi, molto probabilmente si rifaceva anche lui a qualche morale superiore, i miti germanici, etc.

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Vecchio 21-10-2008, 22.06.26   #85
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Riferimento: PUCI, PDE e utilitarismo

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Come ho già detto non c’è nessun bisogno di fare misurazioni, bastano semplici valutazioni le quali richiedono nient’altro che onestà.

Ho capito questo, e lo condivido. Chiedevo come fai a misurare gli interessi in riferimento all'esempio che ho fatto sotto, quello del tè. Quindi vado avanti giù a parlarne.

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Come ho già detto, bis, il valore di un interesse dipende da quanto piacere/dolore è ad esso legato; questo tuo dire è più vago del mio detto.

Anche qui, come sopra, mi riferivo all'esempio dell'autodeterminazione del tè. Comunque tu eri d'accordo con me nel intendere piacere/dolore in senso più "ampio", cioè che coinvolgono la persona nella sua interezza. Il seguire un mio valore mi più portare a della sofferenza psicologica e/o fisica, però per me quel valore è così importante che posso accettarla. Quindi, secondo me, è più appropriato vedere quando l'individuo sia interessato a seguire un valore e a evitare un disvalore. E capire questo non è molto difficile, basta parlargli assieme.

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Prendiamo l'esempio di io che voglio bermi un tè, e magari di qualche fondamentalista che per qualche motivo arde nell'impedirmi di berlo. Il valore del suo interesse è superiore al mio per quanto detto sopra (se io non lo bevo mi dispiacerà un poco ma di certo non morirò; mentre se lo bevo il fanatico rimarrà profondamente scosso), ma io ritengo che comunque io sia nel giusto nel bere il tè. Il motivo è che in qualche modo la faccenda riguarda solo me, o principalmente me, e che gli interessi degli altri non sono da prendere in considerazione.
Gli interessi sono dinamici, in questo caso il tuo desiderio di bere il te lascerebbe presto il posto ad un più vivo interesse: quello di capire le ragioni, per quanto distorte, della persona con cui hai a che fare (il quale sarebbe ben felice di spiegartele, non riesco ad immaginare un caso in cui a qualcuno dispiaccia pubblicizzare le sue ragioni o la sua fede, in un modo o nell’altro); interesse al quale, a sua volta, ne seguirebbe un altro ancora più intenso: quello di persuadere tale persona (il che significa guidare dolcemente il suo interesse) a sostituire le sue credenze debolmente giustificabili con altre più ragionevoli, cercando di attenuare il più possibile la discrepanza tra i vostri sistemi di credenze (che è interesse di entrambi), fino magari a giungere, con grande soddisfazione, a bere una tazza di tè insieme a lui.
Non saresti affatto nel giusto se non tenessi in considerazione il suo interesse, ciò che mostreresti, in questo caso, sarebbe piuttosto arroganza.

Le ragioni del tipo, per esempio, potrebbero essere che questo va contro ai comandamenti del suo dio; oppure che ha fatto una promessa alla madre in procinto di morire; oppure che nella sua cultura si beve il tè prima di ingannare a parole o a fatti qualcuno; o altri svariati motivi, addirittura potrebbe dirti che per lui questo è un valore importante e basilare che lui vuole rispettare a tutti i costi. Detto questo, potrei riuscire a convincerlo, oppure potrei non riuscirci.
Il fatto è che l'utilitarismo che tu proponi non ci aiuta a risolvere il problema, anzi proprio questa posizione ci dovrebbe obbligare, per il PUCI, a non bere più il tè, almeno finché il fondamentalista è nei paraggi. E' ovvio che se riesco a risolvere un problema extra-eticamente allora tanto meglio, ma quando questo problema non si riesce a risolvere extra-eticamente, magari perché coinvolge valori fondamentali? E' in questo caso che dovrebbe venirci in soccorso il tuo utilitarismo, ma come credo di averti mostrato, tale posizione etica in questo caso fallisce.
Non è che non considero i suoi interessi, li ascolto, ma non li reputo minimamente rilevanti per decidere se è giusto che io beva il tè o meno, perché in questo caso la faccenda riguarda principalmente me... lo so, non è una regola rigorosa, ma, ripeto, ci si può lavorare per renderla non vaga.

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Originalmente inviato da z4nz4r0
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Originalmente inviato da epicurus
Da dove deriva il sentimento morale (che sarebbe meglio chiamare 'sentire morale') non è molto importante, come non è importante capire da dove derivano tutti i nostri valori, interessi e sentimenti.
Argomentare prego.

Assumiamo che P sia un principio etico valido. E' rilevante per l'etica sapere se P mi è stato insegnato a scuola da una maestra, oppure a casa dalla mamma, oppure se è un istinto genetico, oppure se me l'ha rivelato una luce accecante nel cielo? No, l'importante è seguirlo.

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Originalmente inviato da z4nz4r0
Lo è eccome se sostieni che un principio morale debba fondarsi sull’empatia e non sulla razionalità!
Ti ho mostrato che, seppure né la nostra predisposizione biologica all’empatia, né il nostro background sono, separatamente, sufficienti a determinare se in una data circostanza si faccia vivo il “sentire morale”, uniti assieme lo determinano completamente; come determinano interamente noi. Essendo impossibile esercitare alcun genere di controllo su ciò che ci precede, ciò che hai sostenuto si riduce a questo: se siamo o no “esseri etici” dipende dal caso. Ma che cosa è mai un “essere etico”? Uno può comportarsi eticamente in una circostanza e immoralmente in un’altra [“sì”, dirai, “perché la prima ha destato il sentire morale dell’agente e la seconda no”; ma il fatto che questo “sentire morale” si sia destato in un caso e non nell’altro, il fatto che si desti o meno, dipende da decisioni più o meno razionali, più o meno elaborate che l’agente ha preso in precedenza (che fanno parte del suo background)]. Il fatto che il comportamento etico sia euristicamente guidato dall’empatia (o “sentire morale” se preferisci) può essere indicativo solo del fatto, banale, che siamo esseri senzienti.
Ma l’empatia (ok, “sentire morale”) non è altro che un sentimento derivato da una, diciamo, “strategia biologica”: serve a sviluppare l’altruismo necessario per dare l’avvio ad un atteggiamento cooperativo, il quale, a sua volta, risulta vantaggioso sul lungo termine; come vedi, la sua comparsa fa parte di un ceco “progetto biologico”, lo stesso da cui derivano le capacità razionali, le quali sono destinate a guidare, tra le altre cose, i suoi prossimi sviluppi.
Riassumendo:
l’empatia è nata in modo inconsapevole ma evolve e i suoi ultimi sviluppi avvengono ad un livello consapevole grazie alle capacità genuinamente razionali ora, in qualche caso, disponibili.

Hai ragione, che si disponga di un 'sentire morale' (che non credo sia l'empatia) è un fatto che noi non scegliamo. Come noi non scegliamo di nascere, essere razionali, essere dotati di vista, etc.
Ma il sentire morale, come ho già detto, è solo una condizione necessaria. Se un uomo adulto fosse totalmente privo di 'sentire morale', cioè l'assistere ad ogni tipo di spietata crudeltà non innescasse nessuna sensazione, nessun senso di infinita responsabilità, verso le vittime, se non un'automatica risposta a delle regole, allora credo che praticamente nessuno chiamerebbe tale uomo, un uomo buono, ben collocato nella dimensione morale: in realtà non lo vorrebbero chiamare nemmeno "uomo".
Probabilmente tale uomo non avrebbe colpa (come non ha colpa il lupo di esser nato lupo), come abbiamo detto la cosa esula dalla sua scelta, ma nel mondo in cui abitiamo è gran difficile che ci si trovi in un caso così radicale come questo (un seppur minimo sentire morale suppongo lo abbiano quasi tutti), solitamente si cerca di sopprimere tale sentire per qualche ragione, o non si ha la voglia di coltivarlo (come si può non aver la voglia di coltivare la razionalità).
Non ho detto che questo sentire morale ci possa permettere di discernere euristicamente ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. Ho detto che il sentire morale per almeno alcuni fatti banalmente crudeli, è una precondizione. Poi la riflessione consapevole e razionale potrà aiutarci a distinguere ciò che giusto da ciò che non lo è, correggendo il tiro del nostro sentire morale.

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Originalmente inviato da z4nz4r0
Comunque non ho proprio capito dove vuoi arrivare sostenendo quel che hai sostenuto, quella che hai perpetuato mi sembra più che altro un’obiezione oziosa.

Non è oziosa. La cosa è semplice: se io eseguo freddamente e meccanicamente una regola senza curarmi realmente delle sofferenze altrui, allora non sto compiendo un'azione etica. Forse non condividi, ma non credo che tu non capisca.

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Originalmente inviato da z4nz4r0
Eggià, ma in quel caso non sei neanche entrato nella dimensione senziente!

Dipende da che intendi per "dimensione senziente". Solitamente per "essere senziente" si intende un essere che può soffrire o gioire fisicamente o psicologicamente. Ma non necessariamente può soffrire per l'altrui sofferenza, men che meno è necessario che senta un obbligo profondo verso l'altro per aiutarlo.

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Vecchio 22-10-2008, 20.13.18   #86
z4nz4r0
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Originalmente inviato da epicurus
1#Anche qui, come sopra, mi riferivo all'esempio dell'autodeterminazione del tè. 2#Comunque tu eri d'accordo con me nel intendere piacere/dolore in senso più "ampio", cioè che coinvolgono la persona nella sua interezza. 3#Il seguire un mio valore mi può portare a della sofferenza psicologica e/o fisica, però per me quel valore è così importante che posso accettarla. 4#Quindi, secondo me, è più appropriato vedere quando l'individuo sia interessato a seguire un valore e a evitare un disvalore. 5#E capire questo non è molto difficile, basta parlargli assieme.
#1 Non mi hai ancora spiegato che cosa tu intendi con “autodeterminazione dell’individuo”.
#2 Ero e resto perfettamente d’accordo su questo; credi che io abbia motivo di cambiare idea?
#3 Precisazione: trovo inappropriata l’espressione “seguire un valore”; Ogni valore è rappresentato da un interesse, non si può considerarlo separatamente dato che rimarrebbe indefinito ciò di cui (il valore) consiste. Quel che dici, in altre parole, è che la lungimiranza può richiedere dei, diciamo, “sacrifici” a breve termine in vista di un guadagno successivo (o sul lungo termine) complessivamente maggiore e quindi conveniente. Si tratta di semplici investimenti (che siano finanziari o di altro genere). Dunque si tratta sempre di seguire un interesse che è razionale se è il proprio interesse ed è morale se, oltre che essere semplicemente razionale, tiene in pari considerazione gli interessi altrui, quest’ultima è un’accortezza lungimirante: il risultato di una razionalità più elaborata, di ordine maggiore.
#4 Tenendo a mente la precisazione precedente, l’impegno (o l’entità dell’investimento), che un essere senziente dedica ad una certa attività, è senz’altro indicativo di quanto valore abbia l’interesse in gioco. Ma l’impegno di un altro ES [essere senziente (generico). In realtà io preferisco dire “entità senziente” ] è una cosa che non possiamo sentire e conoscere direttamente ma solo intuire, e possiamo intuirlo in modo che è comunque meno diretto rispetto al modo in cui possiamo intuire il valore del suo interesse immedesimandoci direttamente nella sua situazione; dunque una stima sull’impegno rientra certamente nella nostra valutazione dell’interesse ma non ne rappresenta la parte più rilevante.
#5 Comunicare in modo proficuo non è sempre possibile, anzi, questa possibilità rappresenta solo casi particolari dato che i modi e i livelli della comunicazione delle parti in causa possono facilmente differire in modo consistente o peggio incolmabile, da cultura a cultura, da razza a razza, da specie a specie...

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Originalmente inviato da epicurus
Le ragioni del tipo, per esempio, potrebbero essere che questo va contro ai comandamenti del suo dio; oppure che ha fatto una promessa alla madre in procinto di morire; oppure che nella sua cultura si beve il tè prima di ingannare a parole o a fatti qualcuno; o altri svariati motivi, addirittura potrebbe dirti che per lui questo è un valore importante e basilare che lui vuole rispettare a tutti i costi. Detto questo, potrei riuscire a convincerlo, oppure potrei non riuscirci.
Oppure le ragioni potrebbero essere tali da convincere te che non è il caso di bere quel tè. Magari quello che chiami “fondamentalista” ha notato che l’etichetta della tua bustina indica una marca che sfrutta pesantemente altre ES per la produzione del tuo beneamato tè… nel qual caso avrebbe valide ragioni per convincerti a non acquistarlo, a non prenderlo al bar o a rifiutarlo qualora ti venisse offerto.
In ogni caso, capirsi è interesse di entrambi ed è giusto ponderare la distanza in base al grado di affinità.

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Originalmente inviato da epicurus
Il fatto è che l'utilitarismo che tu proponi non ci aiuta a risolvere il problema, anzi proprio questa posizione ci dovrebbe obbligare, per il PUCI, a non bere più il tè, almeno finché il fondamentalista è nei paraggi.
Se tu andassi a visitare un paese di gente che odia i bevitori di tè, probabilmente non avresti la boria di ordinare del tè al bar; mentre un odiatore di bevitori di tè farebbe meglio a non andare in vacanza in un posto come la Gran Bretagna (a meno che non fosse dotato di un carisma tale da convincere gli inglesi a non bere tè), ma se anche fosse tanto fesso da andarci, gli inglesi con cui avrebbe a che fare non mostrerebbero migliori virtù se, consci della sua forte disapprovazione, bevessero tè davanti a lui.

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Originalmente inviato da epicurus
E' ovvio che se riesco a risolvere un problema extra-eticamente allora tanto meglio, ma quando questo problema non si riesce a risolvere extra-eticamente, magari perché coinvolge valori fondamentali?
E che cos’è un valore fondamentale?

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Originalmente inviato da epicurus
E' in questo caso che dovrebbe venirci in soccorso il tuo utilitarismo, ma come credo di averti mostrato, tale posizione etica in questo caso fallisce.
E invece, come dovresti capire, le considerazioni che mostri non vanno in profondità nella questione e nemmeno scalfiscono il PUCI.

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Originalmente inviato da epicurus
Non è che non considero i suoi interessi, li ascolto, ma non li reputo minimamente rilevanti per decidere se è giusto che io beva il tè o meno, perché in questo caso la faccenda riguarda principalmente me... lo so, non è una regola rigorosa, ma, ripeto, ci si può lavorare per renderla non vaga.
Più che vaga la chiamerei arbitraria.
Non consideri minimamente la situazione inversa in cui sia il tuo di interesse, nonostante maggiore, a venire considerato irrilevante: predisporresti il mondo in modo che la tua sofferenza venga considerata irrilevante in confronto ad un capriccio, per il solo fatto che non hai avuto molte occasioni, o magari nessuna, di sviluppare una certa capacità o indipendenza intellettuale?
Continui a ripetere che la questione in casi simili riguarda principalmente te, al di là del confronto degli interessi in gioco, non trovi che sia un atteggiamento un tocchino prepotente?

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Originalmente inviato da epicurus
Assumiamo che P sia un principio etico valido. E' rilevante per l'etica sapere se P mi è stato insegnato a scuola da una maestra, oppure a casa dalla mamma, oppure se è un istinto genetico, oppure se me l'ha rivelato una luce accecante nel cielo? No, l'importante è seguirlo.
Uh e questo che cosa dimostrerebbe?
E poi… come pervieni a sapere che “P” sia valido?

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Originalmente inviato da epicurus
Hai ragione, che si disponga di un 'sentire morale' (che non credo sia l'empatia) è un fatto che noi non scegliamo. Come noi non scegliamo di nascere, essere razionali, essere dotati di vista, etc.
Ma il sentire morale, come ho già detto, è solo una condizione necessaria. Se un uomo adulto fosse totalmente privo di 'sentire morale', cioè l'assistere ad ogni tipo di spietata crudeltà non innescasse nessuna sensazione, nessun senso di infinita responsabilità, verso le vittime, se non un'automatica risposta a delle regole, allora credo che praticamente nessuno chiamerebbe tale uomo, un uomo buono, ben collocato nella dimensione morale: in realtà non lo vorrebbero chiamare nemmeno "uomo". […]
Alcuni elementi rilevanti restano esclusi dalla tua considerazione: qualunque uomo, per quanto inizialmente sensibile, si assuefa davanti alla reiterazione di qualsiasi atto per quanto inizialmente scioccante; così come i medici esperti non si impressionano minimamente alla vista di interiora palpitanti e zampilli di sangue ed eseguono il loro lavoro con gran disinvoltura laddove i tirocinanti si allontanano per vomitare o stramazzano a terra svenuti.

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Originalmente inviato da epicurus
Non è oziosa. La cosa è semplice: se io eseguo freddamente e meccanicamente una regola senza curarmi realmente delle sofferenze altrui, allora non sto compiendo un'azione etica. Forse non condividi, ma non credo che tu non capisca.
Dal momento che ti sei predisposto ad eseguire un comportamento etico ti stai curando degli altri. Una volta presa la decisione etica non c’è bisogno che continui ad emozionarti fintantoché il tuo comportamento rimane coerente con la tua decisione.
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Originalmente inviato da epicurus
Dipende da che intendi per "dimensione senziente". Solitamente per "essere senziente" si intende un essere che può soffrire o gioire fisicamente o psicologicamente. Ma non necessariamente può soffrire per l'altrui sofferenza, men che meno è necessario che senta un obbligo profondo verso l'altro per aiutarlo.
Con il termine “senziente” intendo niente di diverso da ciò che sta scritto sul vocabolario. Nel punto che hai citato mi riferivo a ciò che segue regole in modo slegato da qualunque forma di percezione.
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Vecchio 24-10-2008, 19.38.11   #87
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Riferimento: Perché tanto accanimento verso il relativismo?

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Originalmente inviato da epicurus
Si può anche ammettere che una morale migliore di tutte le altre non ci sia, ma come puoi parlare di "questa morale è migliore di quest'altra". Su che criterio ti basi, su un altro criterio morale superiore a tutti gli altri e indipendente da ogni sistema relativo? Per un relativista come te non credo che questa opzione sia percorribile, quindi non hai alternative che accettare che ogni sistema morale è concesso.


Leggendo le considerazioni di epicurus mi e' venuto il dubbio che le posizioni di albert possano essere confuse con quelle di chi concepisce il relativismo come una sorta di atarassica indifferenza verso la morale e l'etica, come a dire che il porre sullo stesso piano ogni sistema morale non significhi privilegiarne uno in particolare....: nulla di piu' fuorviante , secondo me, perche' il non prendere alcuna posizione in merito ad un sistema di valori , e' la scelta di fede piu' coraggiosa che si possa fare..., il scegliere di non scegliere , di per se' , e' gia' una scelta , ed e' la piu' discutibile fra le varie opzioni, ed implica un atto di Fede ed un Credo nei principi di equita' ed uguaglianza molto simile a quelli di matrice cristiana. Per permettersi di Giudicare non giudicabile una morale rispetto ad un'altra morale , ci vuole un fondamento etico assai robusto..., gia' ., perche' se noi ci fermassimo solo alla logica delle considerazioni potremmo ammettere soltanto che nulla si possa dire o pensare in merito a nulla, e pure questa sarebbe gia' una posizione etica da difendere e non di poco conto . Ergo...( ...... ) , non esistono posizioni che non siano tali, o fedi o sistemi di valori che non lo siano,...anche il relativismo e' un sistema di valori ben strutturato , ricco di anime diverse, discutibile e criticabile da tutte le altre morali, proprio perche' ha la dignita' per essere considerato anch'esso un vero e proprio sitema etico, se non una religione vera e propria.

Saluti
and1972rea is offline  
Vecchio 26-10-2008, 08.48.09   #88
albert
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Riferimento: Perché tanto accanimento verso il relativismo?

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Originalmente inviato da and1972rea
Leggendo le considerazioni di epicurus mi e' venuto il dubbio che le posizioni di albert possano essere confuse con quelle di chi concepisce il relativismo come una sorta di atarassica indifferenza verso la morale e l'etica, come a dire che il porre sullo stesso piano ogni sistema morale non significhi privilegiarne uno in particolare....: nulla di piu' fuorviante , secondo me, perche' il non prendere alcuna posizione in merito ad un sistema di valori , e' la scelta di fede piu' coraggiosa che si possa fare..., il scegliere di non scegliere , di per se' , e' gia' una scelta , ed e' la piu' discutibile fra le varie opzioni, ed implica un atto di Fede ed un Credo nei principi di equita' ed uguaglianza molto simile a quelli di matrice cristiana.

Finalmente qualcuno che mi appoggia un po’
Condivido, lo scetticismo di cui parlo è tutt’altro che lassismo morale

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Originalmente inviato da and1972rea
Ergo , non esistono posizioni che non siano tali, o fedi o sistemi di valori che non lo siano,...anche il relativismo e' un sistema di valori ben strutturato , ricco di anime diverse, discutibile e criticabile da tutte le altre morali, proprio perche' ha la dignita' per essere considerato anch'esso un vero e proprio sitema etico, se non una religione vera e propria.

Mah, non so se si possa definire il relativismo un sistema di valori, e tanto meno una religione … esso però non esclude che si possa avere un sistema di valori, consci del fatto che questi sono il risultato comunque imperfetto dell’evoluzione del nostro sentire, e non regole assolute.

albert is offline  
Vecchio 27-10-2008, 13.22.23   #89
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Riferimento: Perché tanto accanimento verso il relativismo?

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Originalmente inviato da albert
Parti dall’assunto che per esprimere un giudizio ci debba essere un criterio a cui si fa riferimento. Secondo me quando esprimiamo giudizi non ci comportiamo così, è un’astrazione innaturale che (ai metafisici ) piace fare.
Secondo me i giudizi (che sono arbitrari e soggettivi) nascono dalla somma delle nostre esperienze e in ultima analisi partono dalla ricerca del benessere. Un ambiente ci pare “bello” (ad esempio un paesaggio con dune e macchie di boscaglia) perché ci ricorda un ambiente in cui i nostri progenitori (i famosi cacciatori-raccoglitori) potevano trovare rifugio. I giudizi si evolvono poco alla volta a partire da queste esigenze primordiali. I giudizi etici, in particolare, nascono dalla nostra esigenza di collaborare con gli altri, che quindi non possiamo fregare.
I principi si evolvono a partire dai giudizi, sono un’astrazione di ciò a cui la maggior parte dei giudizi tendono.
Per cui … posso eccome giudicare un criterio morale e dire che è meglio di un altro senza avere bisogno precedentemente di un criterio morale superiore ed assoluto

“Giusta”, “sbagliata” ... in questo contesto sono proprio dei giudizi non formulabili.

Il problema è che la tua posizione implica l'incommensurabilità delle morali. Tu dici che quello che propongo è un'astrazione, che le cose non funzionano veramente così, ma io credo il contrario. L'astrazione la stai proponendo tu, praticamente nessuno sostiene che "è solo questione di punti di vista" quando accadono avvenimenti particolarmente violenti. Così pure praticamente nessuno riduce le questioni etiche concrete a mere questioni di giusti e preferenze soggettive. "A me piace il gelato alla nocciola, mentre a te quello alla fragola. Non serve decidere chi abbia ragione, nessuno ha ragione, stiamo semplicemente parlando di gusti soggettivi e totalmente arbitrari". No, mi pare ovvio che quando si danno i mali concreti e terribili del mondo, noi non ragioniamo così.

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Originalmente inviato da Albert
Non so se per per Hitler l’unica morale che contasse fosse la sua. Anzi, molto probabilmente si rifaceva anche lui a qualche morale superiore, i miti germanici, etc.

Non è questo il problema che ti ho rivolto contro. Io stesso, tra l'altro, non appoggio una morale assoluta, come si legge dai miei interventi qui.
Quello che mi premeva evidenziare, con l'esempio di Hitler, è che la questione non può essere ridotta a questioni di gusti, stiamo parlando di milioni di morti e torturati...

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Vecchio 27-10-2008, 14.10.32   #90
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Per rendere la discussione più efficace, mi concentrerò sulle due questioni attualmente centrali. La prima è quella dell'autodeterminazione, la seconda è quella del 'sentire morale'.

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Originalmente inviato da z4nz4r0
#1 Non mi hai ancora spiegato che cosa tu intendi con “autodeterminazione dell’individuo”.
[...]
Oppure le ragioni potrebbero essere tali da convincere te che non è il caso di bere quel tè. Magari quello che chiami “fondamentalista” ha notato che l’etichetta della tua bustina indica una marca che sfrutta pesantemente altre ES per la produzione del tuo beneamato tè… nel qual caso avrebbe valide ragioni per convincerti a non acquistarlo, a non prenderlo al bar o a rifiutarlo qualora ti venisse offerto.
In ogni caso, capirsi è interesse di entrambi ed è giusto ponderare la distanza in base al grado di affinità.

Se tu andassi a visitare un paese di gente che odia i bevitori di tè, probabilmente non avresti la boria di ordinare del tè al bar; mentre un odiatore di bevitori di tè farebbe meglio a non andare in vacanza in un posto come la Gran Bretagna (a meno che non fosse dotato di un carisma tale da convincere gli inglesi a non bere tè), ma se anche fosse tanto fesso da andarci, gli inglesi con cui avrebbe a che fare non mostrerebbero migliori virtù se, consci della sua forte disapprovazione, bevessero tè davanti a lui.

Se è vero che non ho ancora proposto una regola precisa per l'autodeterminazione, è altrettanto vero che ho spiegato quali sono le ragioni che stanno dietro a tale esigenza. Se una questione riguarda principalmente la mia persona, gli interessi degli altri avranno una rilevanza molto inferiore rispetto alla mia. Per mostrare questo ho portato l'esempio del tè: io vorrei bermi del tè ogni tanto ma Tizio non approva assolutamente e vorrebbe che io non lo bevessi mai.

Per semplificare assumiamo che la questione riguardi solo noi due. Io, per rispetto nei suoi confronti, potrei non bere il tè davanti a lui, ma la questione non è risolta. Lui non vuole che io beva il tè, non gli importa se il tè lo bevo di nascosto, anzi la cosa per lui sarebbe ancora più grave perché così facendo vado contro ad un altro valore di Tizio, la sincerità. Allora tento la strada della persuasione razionale, ma fallisco: la motivazioni di Tizio sono di ordine religioso, e io non riesco a convincere Tizio che il suo Dio non esiste o che non gli ha ordinato nulla riguardo al tè.
La questione è genuinamente etica, quindi proviamo a chiedere aiuto alla tua posizione utilitarisitica.

Il PUCI ci dice che devono essere considerati tutti gli interessi in gioco, e devono essere valutati egualmente.
Quindi, in questo caso, il mio interesse viene valutato come quello di Tizio. Inoltre, se ti ho capito bene, Tizio è molto più convinto di me, quindi il suo interesse dovrebbe sconfiggere il mio. (Eventualmente possiamo immaginare Tizio e Caio con le stesse convinzioni sul tè. In questo caso i loro due interessi batterebbero il mio.)
A me pare, però, che ciò sarebbe sbagliato. Il mio interesse, in questo caso, deve valere di più di quello di Tizio e di Caio, e per batterlo non bastano delle convinzioni ideologiche come le loro, anche se loro fossero molti di più.

Un altro esempio. Io vorrei avere, ovviamente, il diritto al voto e di parola. Ma Tizio è assolutamente contrario, e se tale diritto mi venisse riconosciuto lui si suiciderebbe. E' giusto che io possa votare e esprimermi liberamene lasciando che Tizio si suicidi, oppure devo rinunciare a tali diritti per evitare che Tizio si suicidi? Non sono contrario a coloro che rinuncerebbero di propria volontà a tali diritti per salvare Tizio, ma non reputo che io sia eticamente obbligato a rinunciare a questi, anche se per il PUCI dovrebbe essere così.

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Originalmente inviato da z4nz4r0
Alcuni elementi rilevanti restano esclusi dalla tua considerazione: qualunque uomo, per quanto inizialmente sensibile, si assuefa davanti alla reiterazione di qualsiasi atto per quanto inizialmente scioccante; così come i medici esperti non si impressionano minimamente alla vista di interiora palpitanti e zampilli di sangue ed eseguono il loro lavoro con gran disinvoltura laddove i tirocinanti si allontanano per vomitare o stramazzano a terra svenuti.

Dal momento che ti sei predisposto ad eseguire un comportamento etico ti stai curando degli altri. Una volta presa la decisione etica non c’è bisogno che continui ad emozionarti fintantoché il tuo comportamento rimane coerente con la tua decisione.

La seconda questione è che io sostengo che per divenire esseri etici si debba seguire certe regole perché ci si sente responsabili per l'altro, perché si sente che l'altro soffre e noi dobbiamo fare qualcosa per aiutarlo. Come già detto, il seguire le regole deve essere il mezzo, non il fine.

Quindi non richiedo che ci si debba emozionare, oppure che si debba vomitare. Richiedo che si senta rispetto per l'altro e la voglia di aiutarlo. Spero che un medico non perda questa sensibilità, almeno che la mantenga fuori dalla sala operatoria.

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