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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 04-11-2013, 19.37.42   #191
ceccodario
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Riferimento: L'esistenza

Citazione:
Originalmente inviato da paul11
A mio parere si sta mischiando nella discussione l'atto del percepire e l'atto del pensare; l'aspetto ontologico, fenomenologico ed epistemologico.
L'esercizio di Albert, se ho ben inteso, è primariamente epistemologico o gnoseologico, e cioè COME costruiamo conoscenza da quell'informazione data dalla percezione sensoriale.
Come quegli input esterni sensoriali o se vogliamo in analogia di un emulatore di un cervello/mente collegato ad apparecchi esterni dà input alle memorie dell'emulatore le quali a sua volta deve organizzarle.
Il titolo del topic è "L'esistenza", quindi siamo in ambito ontologico; credo che il tentativo di albert, ed è stato il tentativo di molti illustri filosofi, sia far dipendere l'esistenza, quindi l'ontologia (ciò che c'è) dalla conoscenza (dalla gneoseologia); ed è proprio questo ciò che contesto. Io non nego affatto che per conoscere sia necessario percepire, bensì nego che "x esiste se e solo se ha a che fare con le mie percezioni": c'è sempre un qualcos'altro che non-esiste-e-ancora-non-è-percepito. Non faremmo due passi nell'esperienza quotidiana senza questo presupposto ontologico.
ceccodario is offline  
Vecchio 05-11-2013, 01.51.11   #192
green&grey pocket
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Riferimento: L'esistenza

@maral

Citazione:
Originalmente inviato da maral
Il discorso mi pare interessante, ma se è possibile, non conoscendo Peirce, ti dispiacerebbe tentare di farmelo comprendere meglio per evitare fraintendimenti in particolare per quanto riguarda le asserzioni che ho evidenziato? Come va posta la differenza di significato tra la denotazione e la connotazione? E' questa differenza che mi farebbe distinguere tra i livelli di esistenza tra l'ippogrifo e un cavallo o tra il mondo e il noumeno? In che senso?

1) scambiare la denotazione con la connotazione.

sì credo che sia questo il problema di fondo (anche in altri topic)

Citazione:
Originalmente inviato da paul11
A mio parere si sta mischiando nella discussione l'atto del percepire e l'atto del pensare

Ecco paul l'ha ribadito, in altre parole...solo che non c'è l'atto che presuppone un agente. Bensì un fatto che deriva da un evento.

2) la "differenza" del noumeno percepito

Questo vuol dire che l'io e l'oggetto sono differiti di volta in volta che c'è un fatto.
Ossia non c'è io senza oggetto e viceversa.
Devono esserci entrambi simultaneamente (o quasi direbbe einstein).
Non a caso le neuroscienze calcolano un differenza significativa di qualche frazione di secondo tra percepito e intuito.
L'unica cosa che sappiamo di questa differenziazione iniziale (fatto-evento) è che ciò che rimane è un "io" e un "oggetto".
la cosa che impariamo a distinguere piano piano è che l'io non coincide con l'oggetto, è ciò che chiamiamo principio del terzo escluso.

3) E' questa differenza che mi farebbe distinguere tra i livelli di esistenza tra l'ippogrifo e un cavallo o tra il mondo e il noumeno?

Non proprio.

Ossia questa differenziazione avviene di volta in volta, e viene ricostruita in qualche frazione di secondo.
Essa viene definita come realtà percepita.
Ossia esiste un io e un oggetto.

Questo oggetto viene distinto da me perchè non rientra nelle mie categorie forma-sostanza-quantità-relazione.
Come afferma kant le categorie non sono ontologiche ma fenomenologiche come ci appaiono appunto.

Ma è il nostro intelletto che appunto unisce queste differenze percepite in insiemi sempre più complessi.
non so l'uva è quella cosa più o meno sferica + quella cosa più o meno verde + più o meno di debole consistenza rispetto a me + trovabile più o meno a spicchi + in quel terreno etc...
Questi insiemi vengono nominati, ed è da questa nominazione da cui parte la formazione di un io sempre più complesso, cioè sempre più differito quante maggiori cose conosce (per negazione).

4) differenza ippogrifo-cavallo

L'uomo non è solo linguaggio, ma da esso dipende funzionalmente nella costruzione di un suo io, il problema di questa nominazione è che essendo fatta di tante piccole sub-unità, rischia anche di dimenticarsi in quale fatto evento esse erano state determinate.
Rimangono così solo nominazioni di qualcosa di differente, è a quel punto che la fantasia (altro strumento dell'intelletto) subentra per creare ippogrifi.
ossia differisce unità di sensazioni in forme che non hanno mai avuto luogo(non c'è stato il fatto-evento) in forma unitaria.
l'ippogrifo esiste come forma di fantasia per l'io, si capisce che se al posto di ippogrifo ci metto qualsiasi altra cosa il passo dalla metafisica è breve.

Non a caso la separazione di "unità percepite" il più piccole e ridotte numericamente possibile è utilissima alla scienza nel caso di una deduzione ossia una inferenza ad alto impatto dimostrativo.(sgiombo richiama giustamente il rasoio d'occam)

E già! lo strumento principale (ma non l'unico abbiamo visto) dell'intelletto è l'inferenza, e cioè la capacità per negazione di andare all'indietro partendo da a che non è b etc...
(la dimostrazione per assurdo dei greci è infatti uno dei momenti più alti della storia dell'umanità).

5) differenza tra mondo e noumeno

a mio avviso il mondo può essere quella competenza dell'uomo intellettuale, ossia qualcosa che rimane dall'uso del'insieme degli strumenti critici che l'intelletto ci ha disposto, compresa la fantasia.
E' chiaro che è una competenza fenomenologica.
E' chiaro che si dibatte tra universale e particolare.

il noumeno non potremo mai sapere cosa è: molti come hegel, leibniz o desargues ma anche peirce e altri desumono che non possa che essere qualcosa che permetta lo stesso intelletto, ossia Dio.
è la famosa dimostrazione per analogia con la perfezione (quasi geometrica-matematica) e la bellezza dell'universo.

tutto ciò però non c'entra quasi nulla con l'esitenza, e cioè con l'animalità dell'uomo che va ben oltre il fatto di "possedere" l'intelletto, e che in fin dei conti si risolve veramente solo autobiograficamente.
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Vecchio 05-11-2013, 07.58.27   #193
sgiombo
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Riferimento: L'esistenza

Ulysse:
Caro Sgiombo,
Si possono fare tutte le critiche razionali circa la conoscenza scientifica che si credono opportune,

Sgiombo:
Meno male (se no saremmo in piena dittatura! Peraltro non é che ne siamo molto lontani...).



Ulysse:
ma c’è un fatto che è difficile ammettere…se non impossibile… ed è che la comunità degli scienziati avrebbe intrapreso e persisterebbe nello studio/ricerca/indagine di un qualcosa di cui supporrebbe la non esistenza…o anche solo ne dubiterebbe.
In una tale supposizione nulla, o quasi nulla, avrebbe fatto!...Perchè lavorare invano?

Sgiombo:
La "comunità degli scienziati" (oggi!) per lo più é poco o punto ferrata filosoficamente, non si pone certi problemi e non si rende conto dei limiti e delle condizioni di verità della scienza (che pratica); ma se vi fossero ricercatori che invece si pongono questi problemi filosofici e dispongono di un' adeguata consapevolezza dei limiti e delle condizioni del sapere scientifico (in passato ce ne sono certamente stati e di egregi) questo non li intralcerebbe affatto -anzi!- nelle loro ricerche.



Ulysse:
Quindi, prima occorre risolvere il problema della esistenza/non esistenza della “cosa”,…il che la filosofia fa, e poi, quando ne sia stabilita l’esistenza, se ne intraprende lo studio: così vanno le cose normalmente…se non si è pazzi!

A me pare, quindi, che l’intrapresa scientifica abbia superato e superi “tout court” la fase della possibile “non esistenza” dell’universo …cioè della cosa che studia….e si dedichi direttamente al suo studio.
Così dalle origini!

Sgiombo:
Come dire che fare ricerca scientifica é fare ricerca scientifica e fare filososfia (in generale; e in particolare della scienza) é fare filosofia (cioé un' altra cosa).

Mi sembra ovvio!

Però l' intrapresa scientifica non ha affatto "superato" i problemi (eminentemente filosofici!) della natura della "cosa che studia" (i contenuti materiali dell' esperienza fenomenica): li studia (descrive il loro divenire) e basta, senza porsi il problema (in quanto intrapresa scientifica; anche se fare della filosofia non é vietato a priori a nessuno, nemmeno agli scienziati) se si tratti di fatti reali anche in quanto non percepiti o di meri insiemi di sensazioni fenomeniche ("esse est percipi"; Berkeley), come per la cronaca personalmente penso; dando per scontata (fra l' altro, oltre ad altre condizioni indimostrabili della conoscenza scientifica) la loro intersoggettività, che non é affatto dimostrabile ma solo credibile ingiustificatamente, per fede).



Ulysse:
Infatti i filosofi "che hanno dubitato" nulla hanno concluso…sula via di una concreta conoscenza dell’universo!

Sgiombo:
Per dirla brutalmente: e non glie ne poteva fregare di meno!

Cioé in quanto filosofi (ma ci sono anche stati filosofi scienziati o scienziati filosofi, in tempi almeno per certi versi migliori dell' attuale) il loro interesse ed impegno non consisteva nella ricerca "di una concreta conoscenza dell’ universo"!



Ulysse:
Forse che, invece, Galileo o Newton o Einstein o altri, ecc… si sono peritati di dimostrare l’esistenza della cosa intorno alla quale intendevano enunciare le loro teorie e leggi?

Ma nemmeno per sogno!

Hanno trovato una cosa chiamata “ab antico” UNIVERSO in cui tutti erano e siamo realisticamente immersi, e si sono buttati…. fideisticamente o meno che fosse… ad elaborarne teorie e leggi.

Sgiombo:
Certo, la loro grandezza é unicamente (o meglio sostanzialmente: per esempio quella di Galileo é anche letteraria, quella di Einstein anche politica) in quanto scienziati.
Ma contrariamente alla generalità dei loro attuali successori erano molto interessati anche alla filosofia.


Ulysse:
Se avessero, pur per un attimo, dubitato della sua esistenza, della esistenza della cosa sotto indagine, si sarebbero persi in una “inutile e vana” dimostrazione di esistenza…magari indimostrabile a priori…sarebbero diventati filosofi e addio scienza.

Sgiombo:
Ma chi l' ha detto?!?!?!

Innanzitutto le questioni filosofiche sono interessantissime!

E inoltre la consapevolezza critica (filosofica) di condizioni e limiti della conoscenza scientifica può casomai giovare alla ricerca, non certo impediirla (e per quale mai motivo?!?!?!)



Ulysse
:
Invece, pur con tutte le possibili critiche di metodo, l’opera scientifica è tutt’ora un corpo di conoscenze ineguagliabile…congruente e predittivo circa la “cosa” indagata, proprio a dimostrazione, sia pure a posteriori che la cosa esiste.

Quindi la dimostrazione di esistenza, pur da te ritenuta impossibile, è comunque avvenuta e ad ogni momento avviene…sia pure a posteriori…e l’accusa di “fideismo” a chi persegue l’indagine, la ricerca, circa l’universo fisicamente reale ed esistente …fallisce!

Sgiombo:
No!

L' opera scientifica non dimostra afftto né a priori né a posteriori l' esistenza della "cosa" intesa come realtà dei fenomeni distinta dal loro essere percepiti e persistente anche allorché non lo sono (fra l' altro questa ultima asserzione é autocontraddittoria: sarebbero contemporaneamente -percepiti- e non sarebbero -percepiti-).

La predittività della scienza può essere solo constata di volta in volta a posteriori, mentre per il futuro e universalmente non può essere dimostrata (Hume) ma solo creduta indimostrabilmente, letteralmente "per fede".

Io non accuso proprio nessuno di "fideismo" (anche perché dovrei accusare anche me stesso!), ma semplicemente mi rendo conto che la conoscenza scientifica é possibile e vera solo se sono vere determinate condizioni indimostrabili (essere vere né essere false). E questa critica non fallisce affatto!

Ultima modifica di sgiombo : 05-11-2013 alle ore 18.09.39.
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Vecchio 05-11-2013, 08.14.03   #194
sgiombo
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Citazione:
Originalmente inviato da ulysse

Ma non intendo affatto, né ho speranza, che la scienza determini un paradiso in terra o che faccia l'uomo migliore.

La "speranza" è semplicemente che un qualche straordinario trovato scaturente dalla indagine scientifica salvi l'umanità dalla minacce di un ecosistema sempre più ostile!

Ma ormai mi sa che non ci resta che pregare!

Confessione-shock, da parte di uno scientista dichiarato!


A me pare che non sia l' ecosistema "sempre più ostile" a minacciarci, ma noi uomini a distruggerlo, segando il ramo sul quale siamo appollaiati (e aspettare una qualche "bacchetta magica tecnologica" vorrebbe dire perdere la sfida in partenza: la scienza rebus sic stantibus -organizzazione sociale capitalistica- non può certamente essere sufficiente a risolvere positivamente il problema, anzi rischia soprattutto di contribuire a peggiorare le cose)!

E credo che ci sia ancora da lottare per cercare di salvarci come specie (e comunque varrebbe la pena farlo per lo meno per "vendere cara la pelle").

Ultima modifica di sgiombo : 05-11-2013 alle ore 18.11.53.
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Vecchio 05-11-2013, 08.55.01   #195
albert
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Riferimento: L'esistenza

Citazione:
Originalmente inviato da sgiombo
Ovviamente ci terrei molto anch' io al fatto che ci capissimo.

Per questo devo manifestare una perplessità e chiederti una spiegazione.
Che significa (che cosa intendi per) lasciar perdere l' esistenza "reale", intesa in senso "metafisico", per introdurne una concezione più "leggera" utile per discorrere?

A me sembra che l' esistenza (reale, certo, nel senso di "non meramente pensata, immaginata come ipotesi o come libero parto di fantasia pura: letteratura romanzesca, teatro, cinema, ecc.; e anche metafisica, se per fisica si intende l ' insieme delle sensazioni materiali in divenire facenti parte della propria esperienza fenomenica cosciente immediatamente esperita) di altre esperienze coscienti, di soggetti ed oggetti delle esperienze fenomeniche (“propria” e “altrui”; che se esistessero dovrebbero necessariamente essere diverse dai “contenuti immediati di esse” in quanto si assumerebbe il persistere della loro esistenza anche nelle fasi di “silenzio percettivo”) semplicemente non possa essere né dimostrata, né tantomeno mostrata.

Appunto: l’esistenza (nel senso “classico” che abbiamo tutti usato fino ad ora) non può essere né dimostrata né mostrata. Domanda: ma allora ci interessa? Se la risposta è “no” dobbiamo comunque dare un significato al termine “esistenza”, che ricorre molto spesso nei nostri discorsi. E potrebbe essere quello che propongo.

Citazione:
Originalmente inviato da sgiombo
Dunque mi sembra che si possa solo optare per una delle seguenti scelte reciprocamente alternative:

…..

c) Affermarne fideisticamente l’ esistenza, “uscendo” (o meglio: pretendendo, tentando di uscire) dal solipsismo con un mero atto di fede (che potrebbe anche significare ingannarsi e in realtà illudersi di uscirne senza farlo realmente).

L’ unico significato sensato che saprei dare alla proposta di introdurre un concetto più “leggero” di esistenza” è di identificarlo “perfettamente”, per filo e per segno con la terza opzione.
Altro modo di intendere l’ esistenza di qualcosa che trascenda i dati fenomenici immediati di coscienza (le sole “cose” indubitabili, di cui possa aversi certezza; ovviamente se e quando accadono) proprio non riesco a vedere.

Se vogliamo dire che sotto c’è un atto di fede, mi può andare bene. Ma secondo me non ce ne sarebbe nemmeno una stretta necessità. E, come già detto, anche se secondo me questa concezione non può essere definita “solipsistica” (ma sono i soliti giochini con le definizioni), il solipsismo non ci dovrebbe fare paura.

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Vecchio 05-11-2013, 09.15.08   #196
sgiombo
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Albert:
Appunto: l’esistenza (nel senso “classico” che abbiamo tutti usato fino ad ora) non può essere né dimostrata né mostrata. Domanda: ma allora ci interessa? Se la risposta è “no” dobbiamo comunque dare un significato al termine “esistenza”, che ricorre molto spesso nei nostri discorsi. E potrebbe essere quello che propongo.



Sgiombo:
Io però non vedo in cosa la proposta effettivamente consista (personalmente mi interessa, certo!).



Albert:
Se vogliamo dire che sotto c’è un atto di fede, mi può andare bene. Ma secondo me non ce ne sarebbe nemmeno una stretta necessità. E, come già detto, anche se secondo me questa concezione non può essere definita “solipsistica” (ma sono i soliti giochini con le definizioni), il solipsismo non ci dovrebbe fare paura.

Sgiombo:
Ma credere che esista solo l' esperienza cosciente (personalmente) percepita si é sempre chiamato "solipsismo", senza giochi di parole (non fa paura nemmeno a me).

E se non é possibile dimostrare e men che meno mostrare che esista altro, l' unico modo per superarlo é un arbitrario atto di fede.


Per allungare il messaggio auguro ogni bene a tutti i frequentatpri del forum.

Ultima modifica di sgiombo : 05-11-2013 alle ore 11.30.59.
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Vecchio 05-11-2013, 10.21.16   #197
albert
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Riferimento: L'esistenza

Citazione:
Originalmente inviato da ceccodario
Ti invito a prendere "più sul serio" la tua posizione filosofica:
se hai detto che le entità che esistono in senso primario e assoluto sono gli atti della percezione, allora significa che la sfera soggettiva in cui tali atti sono "collocati" sarà una sfera ontologica primaria e indipendente, sei d'accordo?
A questo punto ti chiedo: che statuto ontologico dai agli oggetti percepiti? Premesso che in sè e per sè non esistono, essi stanno al di fuori della sfera delle percezioni o sono immamenti al soggetto? L'atto del percepire è distinto dall'oggetto percepito oppure sono un tutt'uno? E' una precisazione molto importante perchè queste due possibilità danno origine a due tesi abbastanza diverse: la prima sarebbe una posizione "trascendentalista" (alla Kant o Husserl per intendersi) nella quale le percezioni costituiscono, danno forma agli oggetti (che sono trascendenti al soggetto) e quindi gli atti del percepire sono condizione necessaria ma non sufficiente affinchè gli oggetti percepiti esistano; la seconda soluzione sarebbe di tipo "idealista" (alla Berkley o Fichte) dove gli oggetti percepiti non sarebbero altro che immagini mentali immanenti al soggetto che dunque nel percepire creerebbe ex nihilo i vari fenomeni. Quale delle due strade scegli?

Da un certo punto di vista mi lusinga questo cercare di ricondurre la posizione che propongo a precedenti illustri, d’altro canto non mi sembra del tutto appropriato, come ben dice paul11, che ha inteso benissimo:

Citazione:
Originalmente inviato da paul11
A mio parere si sta mischiando nella discussione l'atto del percepire e l'atto del pensare; l'aspetto ontologico, fenomenologico ed epistemologico.
L'esercizio di Albert, se ho ben inteso, è primariamente epistemologico o gnoseologico, e cioè COME costruiamo conoscenza da quell'informazione data dalla percezione sensoriale.
Come quegli input esterni sensoriali o se vogliamo in analogia di un emulatore di un cervello/mente collegato ad apparecchi esterni dà input alle memorie dell'emulatore le quali a sua volta deve organizzarle.

In fondo i dati che le varie sonde, satelliti, il telescopio Hubble o una comune macchina fotografica digitale è quella di avere dei sensori che prelevono dall'ambiente onde elettromagnetiche e costituiscono informazioni immagazzinate che poi possono essere elaborate.

Il conforto del dato o se vogliamo la giustificazione che sia vero quel dato è l'evidenza sociale di una linguaggio comune.Se da solo vedessi un albero, magari potrei aver dei dubbi sulla mia percezione. Ma assodato che il termine albero identifica nel linguaggio di una socialità di persone una determinata cosa, se altri lo vedono e lo chiamano albero e non ad esempio automobile, allora è già una tautologia.
Se non fosse così che una realtà quantomeno oggettiva( intesa come una standardizzazione data dalle frequenze che i nostri organi di senso riescono a prelevare dall'esterno e trasformarle in informazione nel cervello) viene percepita non so come riusciremmo a dialogare, a farci capire.
In estrema sintesi, è a partire da percezioni sensoriali comuni e da regole semantiche e sintattiche che persino un emulatore ha nel suo linguaggio macchina che poi viene ricodificato nel linguaggio umano, che noi immagazziniamo quelle percezioni come informazioni e questo ancora prima che nasca il pensiero laddove quest'ultimo è un pescare dalle memorie del data base determinate informazioni in funzione di un ordine impartito affinchè venga elaborato per uno scopo.
L'esercizio di Albert può aver diversi scopi.....
Dividere gli input sensoriali e fisici da quelli astratti del pensiero immaginativo e quindi togliere ridondanze.
Fare ordine sulla definizione del concetto di realtà in quanto l'immaginazione o astrazione può alterare la nozione della percezione fisica e quindi il rapporto soggetto/oggetto.
ecc..

Sono tematiche legate alla filosofia della mente che interessano la neurobiologia e il cognitivismo con parecchie implicazioni(ad esempio l'intelligenza artificiale) di concetti e diverse interpretazioni (ad esempio internalisti ed esternalisti, ma quì sto correndo troppo...)

La tua risposta però è stata:

Citazione:
Originalmente inviato da ceccodario
Il titolo del topic è "L'esistenza", quindi siamo in ambito ontologico; credo che il tentativo di albert, ed è stato il tentativo di molti illustri filosofi, sia far dipendere l'esistenza, quindi l'ontologia (ciò che c'è) dalla conoscenza (dalla gneoseologia); ed è proprio questo ciò che contesto. Io non nego affatto che per conoscere sia necessario percepire, bensì nego che "x esiste se e solo se ha a che fare con le mie percezioni": c'è sempre un qualcos'altro che non-esiste-e-ancora-non-è-percepito. Non faremmo due passi nell'esperienza quotidiana senza questo presupposto ontologico.

Ecco, su questo invece non sono d’accordo. Il fatto che c’è “qualcos'altro che non-esiste-e-ancora-non-è-percepito” non mi crea nessun problema, perché la mia definizione di esistenza è “dinamica”, niente vieta di rivedere ogni momento la propria posizione, anche se sono confidente che non dovrà cambiare in modo eccessivo per il principio di coerenza della realtà (vedi anche la discussione sul principio di identità). Non vedo perché il “presupposto ontologico” di cui parli sia indispensabile per l’esperienza quotidiana.
L’idea di “esistenza” proposta andrebbe benissimo per un simulatore della mente umana, certo non ha il dettaglio che servirebbe per costruirlo, ma in linea di massima credo che potrebbe funzionare.
Certo che guarda all’aspetto epistemologico e non a quello ontologico, ma, dal mio punto di vista, l’ontologia non interessa, è un gioco sterile, magari appassionante, ma sterile.
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Vecchio 05-11-2013, 10.22.57   #198
albert
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Riferimento: L'esistenza

Citazione:
Originalmente inviato da ceccodario
La posizione trascendentalista presuppone l'intenzionalità perchè il soggetto per rivolgersi a degli oggetti trascendenti (anche se non ancora costituiti, esistenti), deve intenzionalmente "mirarli" per uscire dall'immanenza in cui è situato in modo da conferire loro esistenza; quindi anche se apparentemente da un punto di vista "comportamentistico" io che picchio su uno spigolo è un'azione non intenzionale, non lo è da un punto di vista ontologico perchè il mio "io" si rivolge dalla sfera immanente, all'oggetto spigolo che è al di fuori di esso, ti torna? Il soggetto "idealistico" invece è caratterizzato da un'intenzionalità "al quadrato" poichè ha il potere di creare gli oggetti, i fenomeni che sono tutti immanenti ad esso.
Può essere intenzionale l’atto della “creazione” dell’oggetto, con cui elaboro l’entità “oggetto”. Secondo me l’atto della percezione invece non è intenzionale.
Citazione:
Originalmente inviato da ceccodario
Infine ti pongo un controesempio leggermente diverso da quello dell'America: secondo il tuo punto di vista i dinosauri (che sono cronologicamente antecedenti agli esseri umani pensanti) esistevano prima che fossero stati scoperti, e quindi pensati? Io sono convinto che sposando questa prospettiva devi per forza negare la loro esistenza prima che fossero stati pensati. Se l'esistenza dipende dal pensare/percepire, allora ciò che non è pensato/percepito non esiste (sia per il trascendentalista che per l'idealista).
Ma, dal mio punto di vista, l’esistenza, come ogni altro concetto, è relativa al soggetto pensante, in particolare a me stesso. Per me i dinosauri esistono, certo, ed “esistevano prima”, nel senso che nella visione che mi creo del passato essi sono compresi. Per un essere umano vissuto dopo la scomparsa dei dinosauri (ovvio) e prima della loro “scoperta” non potevano esistere
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Vecchio 05-11-2013, 16.46.38   #199
maral
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Citazione:
Originalmente inviato da green&grey pocket
1) scambiare la denotazione con la connotazione.

sì credo che sia questo il problema di fondo (anche in altri topic)
Mi dispiace, non mi è chiaro se non mi definisci cosa è la denotazione e cosa è la connotazione

Citazione:
Originalmente inviato da paul11

A mio parere si sta mischiando nella discussione l'atto del percepire e l'atto del pensare
Non credo che sia veramente possibile separare nettamente l'atto del percepire dall'atto dl pensare, ogni percepire implica un pensare e viceversa. Ovviamente possiamo mantenerci su un livello di pensiero astratto che esclude gran parte del percepito per facilitarne il controllo, ma questa esclusione si ripresenta poi inevitabilmente come dato emotivo se non ne siamo consapevoli

Citazione:
Ossia non c'è io senza oggetto e viceversa.
Questo è quanto da sempre vado sostenendo

Citazione:
la cosa che impariamo a distinguere piano piano è che l'io non coincide con l'oggetto, è ciò che chiamiamo principio del terzo escluso.
Questa chiara distinzione tra oggetto e io che va via via determinandosi la ritengo un'esigenza dell'apparire consciente, non della realtà in sé, ma della realtà per come appare alla luce della coscienza che ne attua un riconoscimento. L'io si riconosce in tal modo poiché qualcosa gli appare come altro da sé, proprio come il mondo si riconosce interpretandosi come io soggetto creatore di rappresentazioni.
Citazione:
Come afferma kant le categorie non sono ontologiche ma fenomenologiche come ci appaiono appunto.
Niente da obiettare in merito

Citazione:
Ma è il nostro intelletto che appunto unisce queste differenze percepite in insiemi sempre più complessi.
Credo piuttosto che il nostro intelletto attui piuttosto una semplificazione operativa per se stesso, tale da rendere più controllabile quanto gli si presenta. La stessa categoria concettuale di uva è una semplificazione delle infinite modalità diverse con cui un certo tipo di realtà mi appare fenomenologicamente. Parlare di uva è già un parlare metafisico, fenomenicamente l'uva non esiste, se non come una sorta di idea riassunto più o meno efficace, una molteplicità che si lascia dire come uno.

Citazione:
4) differenza ippogrifo-cavallo

L'uomo non è solo linguaggio, ma da esso dipende funzionalmente nella costruzione di un suo io, il problema di questa nominazione è che essendo fatta di tante piccole sub-unità, rischia anche di dimenticarsi in quale fatto evento esse erano state determinate.
Sì, stiamo parlando dell'uomo, l'uomo dimentica e dimentica persino il suo dimenticarsi, ma noi siamo uomini, è di noi quindi che stiamo parlando, quindi siamo noi che dimentichiamo e dimentichiamo anche il nostro dimenticarci. Per questo non abbiamo alcuna preminenza di giudizio su altri uomini e su altre culture in cui si ricordano cose diverse o in modo diverso. Noi non siamo osservatori angelici resi tali dai portentosi occhiali obiettivanti della scienza, noi non siamo esenti dalle fantasticherie, anche se diciamo (dobbiamo dire e credere) che le nostre fantasticherie funzionano e dobbiamo dire e credere che abbiamo in mano il bisturi che con precisione millimetrica sa scindere la realtà dalla fantasia, il diamante dall'incrostazione. Noi siamo uomini e come tutti gli uomini rappresentiamo il mondo in forma mitologica anche se persuasi che la nostra rappresentazione in cui appaiono (sempre meno) cavalli sia la realtà vera dello stare delle cose.

Citazione:
l'ippogrifo esiste come forma di fantasia per l'io, si capisce che se al posto di ippogrifo ci metto qualsiasi altra cosa il passo dalla metafisica è breve.
L'ippogrifo esiste come elaborazione di uno stato emozionale da cui la presa di coscienza dell'essere umano sul mondo non può prescindere. Il fatto che l'ippogrifo non mi appare come mi appare un cavallo dipende da un contesto culturale che ammette certe modalità di lettura semantica e ne esclude altre affinché una lettura sia possibile, ossia un'attribuzione di comprensione semantica al nostro esistere nel mondo.

Citazione:
Non a caso la separazione di "unità percepite" il più piccole e ridotte numericamente possibile è utilissima alla scienza nel caso di una deduzione ossia una inferenza ad alto impatto dimostrativo.(sgiombo richiama giustamente il rasoio d'occam)
E' utilissima alla rappresentazione scientifica del mondo che non è la realtà del mondo, ma una modalità di lettura del mondo.

Citazione:
E già! lo strumento principale (ma non l'unico abbiamo visto) dell'intelletto è l'inferenza, e cioè la capacità per negazione di andare all'indietro partendo da a che non è b etc...
(la dimostrazione per assurdo dei greci è infatti uno dei momenti più alti della storia dell'umanità).
La dimostrazione per assurdo ha per riferimento il principio logico di identità. Possiamo prendere una regola logica (quindi linguistica) come regola ontologica? Su questo argomento avevo aperto una discussione a cui rimando.

Citazione:
5) differenza tra mondo e noumeno

a mio avviso il mondo può essere quella competenza dell'uomo intellettuale, ossia qualcosa che rimane dall'uso del'insieme degli strumenti critici che l'intelletto ci ha disposto, compresa la fantasia.
E' chiaro che è una competenza fenomenologica.
E' chiaro che si dibatte tra universale e particolare.

il noumeno non potremo mai sapere cosa è: molti come hegel, leibniz o desargues ma anche peirce e altri desumono che non possa che essere qualcosa che permetta lo stesso intelletto, ossia Dio.
è la famosa dimostrazione per analogia con la perfezione (quasi geometrica-matematica) e la bellezza dell'universo.

tutto ciò però non c'entra quasi nulla con l'esitenza, e cioè con l'animalità dell'uomo che va ben oltre il fatto di "possedere" l'intelletto, e che in fin dei conti si risolve veramente solo autobiograficamente.
D'accordo, ma perché identificare l'esistenza con l'animalità (biologica) dell'uomo? Cosa ci autorizza a questa asserzione? Non è forse anche questa una pretesa del tutto intellettuale e culturale? Una sorta di moda dei tempi che dettano un modo con cui è buona norma dover pensare?
Si dice che l'essere umano in fondo è un animale, l'animale in fondo è una macchina biologica, non c'è quindi nessuna supremazia dell'uomo sull'esistente. D'accordissimo, nessuna supremazia, ma perché non ribaltiamo i termini, perché non affermiamo che qualsiasi macchina biologica (se non l'universo intero in ogni forma in cui si manifesta) ha una coscienza che lo anima. Perché tutto l'esistente per essere creduto come tale deve essere ridotto a macchina e non innalzato ad anima? Da dove nasce questa esigenza di fede meccanicistica?
Io un sospetto ce l'avrei e non è un bel sospetto.
maral is offline  
Vecchio 05-11-2013, 19.37.40   #200
sgiombo
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Originalmente inviato da maral
(a green&grey pocket) Mi dispiace, non mi è chiaro se non mi definisci cosa è la denotazione e cosa è la connotazione

Molto semplicisticamente:

Denotazione = oggetto indicato da una (o più) parola (per esempio un certo astro che si trova vicino all' orizzonte alla sera ed al mattivo é la denotazione della parola "Venere" intesa -connotata- come il secondo pianeta del sistema solare).

Connotazione = significato attribuito a una parola (per esempio con le parole "stella della sera" e con le parole "stella del mattino" si connota diversamente -intendendolo in due diverse accezioni; e magari credendo erroneamente di denotare due diversi oggetti, come accadeva comunemente fino a "qualche tempo fa"- lo stesso pianeta Venere).

Ci possono essere parole che hanno connotazione ma non denotazione (reale), come "ippogrifo" (a meno che non si intenda una statua o un dipinto, o anche un mero oggetto di pensiero, un concetto fantastico; cioé nel caso si intenda con essa il presunto, inesistente animale in carne e ossa). Oltre che singoli oggetti indicati da più parole con (almeno in parte) diverse connotazioni (ma un' unica denotazione), come appunto il pianeta Venere di cui sopra connotato come "stella della sera" e/o come "stella del mattino".
sgiombo is offline  

 



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