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Vecchio 25-08-2008, 14.33.41   #1
emmeci
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Data registrazione: 10-06-2007
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"Tu, Natura, sei la mia dea"

L’esaltante e grifagna esclamazione di Edmund nel Re Lear shakespeariano, con la quale il vilain pretende di giustificare anzi glorificare i crimini compiuti contro il fratello ed il padre per innalzare sé stesso, sancisce il tragico equivoco di millenni di storia che si sono appellati alla natura come all’incorrotto specchio della perfezione, ciechi al male abissale che essa nasconde. Dalla Grecia al cristianesimo, all’Europa dei secoli della ragione, la parola natura sembra circondarsi di un’aureola di santità mentre – al di fuori di qualunque seria indagine filosofica ma quasi per un partito preso – essa è usata, esaltata, identificata come la semplice e incorrotta virtù, come il ricordo di un’età dell’oro, come un ideale al quale aspirare fra le nebbie e i tradimenti della civiltà…Aristotele, cristianesimo, rinascimento, giusnaturalismo, fino ai trionfali successi del positivismo e dell’ideologia darwiniana, col richiamo all’adattamento come molla dell’evoluzione: e arriviamo alla favola o alla ballata dei diritti umani che non si districa dalla retorica e dal gioco delle parti. Perché la natura non è un ideale, non è il mondo buono e bello di cui si compiacque il Signore, anzi si può giudicarla cattiva qui e in excelsis: nelle scenografiche battaglie stellari e nei cespugli di un pianeta che ospira predatori e predati; dunque non perdonarla perché si sa che non può avere il senso del bene e del male, quando l’unico merito che potrebbe avere è di aver prodotto una specie che ha avuto sentore di questo discrimine e può vincere il concetto di una natura virginale e senza peccato, di una natura che può essere giudicata, nella sua beata innocenza, cattiva.
Ingiuste parole verso un’ingiusta interpretazione della natura? Forse, anche se hanno lo scopo di rivoltare un concetto abusato, di affermare che la natura deve essere superata, e che è questo l’unico motivo di gloria che può avere quest’ultima specie, l’uomo, e ne ha determinato il balzo evolutivo essenziale…..Una reale transizione di fase che Darwin non poteva prendere in considerazione perché non rappresentava un regale insediamento dell’uomo sul trono della natura ma piuttosto una ripulsa e un’abdicazione – costi quello che costi in termini di religione, cioè anche se siamo costretti a mutare la Genesi in quel punto che ha condizionato millenni la storia, cioè là dove Dio sembra mostrarsi soddisfatto di aver creato il mondo così come è, e di giudicarlo buono: un mondo governato da leggi crudeli o da un’indifferenza che può diventare in ogni momento un'orrida spietatezza.
(E, per tornare alla ballata dei diritti dell’uomo e dissipare eventuali equivoci: i diritti non sono quelli formulati, sia pure con nobiltà, dai francesi del 1789, dai padri pellegrini o dall’assemblea dell’ONU, cioè non sono doni di grazia o decaloghi scolpiti una volta per sempre, ma norme che possono e debbono essere costantemente riviste e anche allargate, cioè nostre invenzioni e forse l’ombra di un inesauribile dovere morale e una responsabilità che non si chiude mai).
emmeci is offline  
Vecchio 26-08-2008, 11.46.56   #2
albert
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Riferimento: "Tu, Natura, sei la mia dea"

Citazione:
Originalmente inviato da emmeci

E, per tornare alla ballata dei diritti dell’uomo e dissipare eventuali equivoci: i diritti non sono quelli formulati, sia pure con nobiltà, dai francesi del 1789, dai padri pellegrini o dall’assemblea dell’ONU, cioè non sono doni di grazia o decaloghi scolpiti una volta per sempre, ma norme che possono e debbono essere costantemente riviste e anche allargate, cioè nostre invenzioni.

Caro emmeci, sono assolutamente d'accordo. Forse ha ragione Koli quando dice che non sei così lontano dal pensiero debole
Di solito chi crede nella verità assoluta per prima cosa cerca di definire dei principi assoluti, leggi universali a cui attenersi, decaloghi scolpiti una volta per sempre.
albert is offline  
Vecchio 26-08-2008, 13.42.40   #3
S.B.
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Data registrazione: 24-04-2006
Messaggi: 486
Riferimento: "Tu, Natura, sei la mia dea"

Non posso che sottoscrivere la tua riflessione emmeci, il concetto di natura, di naturale, mi é sempre parso come un pretesto per dare autorità a certe idee.
Come per chi dice: 'ma questo é contro natura!' E quindi? Perché la natura dovrebbe essere un criterio in base al quale giudicare bene/male, giusto/ingiusto?
La natura é indifferente, non ha una volontà buona, non é un modello di perfezione, non sancisce diritti. E' l'uomo stesso che, spaventato dalla storia, dal progresso della civiltà, da questo legno storto che é, cerca rifugio in non-luoghi, utopie perfette quanto pericolose.
Unicamente per la paura di se stesso.
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Vecchio 26-08-2008, 14.21.43   #4
emmeci
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Riferimento: "Tu, Natura, sei la mia dea"

Ti dirò, Albert (ma il chiarimento può essere indirizzato anche a S.B.) quale potrebbe essere il paradosso o forse il mistero della verità: è proprio perché non la conosciamo che la verità assoluta c’è – mentre se la conoscessimo diventerebbe ipso facto una verità relativa: quindi noi siamo in cerca di essa con le nostre forze conoscitive e morali, pur senza possibilità di poterla mai afferrare.
Giudica tu se questo è pensiero debole o forte: per me vi è contenuta non solo la storia dell’uomo, ma la storia del mondo – solo che si riesca a interpretarlo non come oziosa natura ma come un organismo vivente. Del resto quel pullulare di mitiche figure in forma di costellazioni che riempivano i cieli del nostro passato rappresentavano un’animazione dell’universo, che Giordano Bruno, nello “Spaccio della bestia trionfante”, porta davanti a Giove perché decida quali costellazioni possano rimanere nel vocabolario degli uomini e quali no, in base alle virtù che esse richiamano: prima delle quali è proprio la Verità e ultima, assolutamente da respingere, l’Ozio. Poiché l’ozio, per il filosofo degli eroici furori, rende gli uomini simili ai bruti ed è la bestia che dev’essere inesorabilmente spacciata. Un elogio per chi va in cerca della verità anche in questo forum, pur sapendo che non la potrà raggiungere, così come va in cerca del proprio destino, sia esso di vita o di morte.
emmeci is offline  
Vecchio 28-08-2008, 15.59.08   #5
emmeci
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Riferimento: "Tu, Natura, sei la mia dea"

Caro S.B., non voglio lasciarti senza risposta, anzi vorrei tornare su un punto per me decisivo in questa critica rivolta agli adoratori della natura, cioè all’ambito del diritto – oggi largamente di moda nella versione “diritti universali dell’uomo”. Potrei per esempio chiamare a rapporto, e sentire che cosa dicono, due mostri sacri come Thomas Hobbes e Hans Kelsen: un assertore e un negatore dei fondamenti naturali del diritto.
Per la verità in Hobbes l’idea dello stato di natura come stato razionale da porre alla base di ogni diritto, come sostenuto da tutti i giusnaturalisti, rischia di offuscarsi in quanto sembra richiamare piuttosto uno stato di guerra derivante dal diritto di tutti su tutto, al quale però – egli risponderebbe - si è rimediato con l’istituzione di un potere sovrano (per altri sarà soprattutto l’idea di un patto capace di garantire una convivenza). Kelsen - forse il maggior giurista del Novecento - non credeva invece nell’esistenza di un diritto naturale depositario di inalienabili valori, ma nella realtà di leggi istituite dai singoli stati, leggi che sono dunque un prodotto della storia e specchio di ideologie e tendenze sociali.
Oggi – per una comprensibile reazione ai parti mostruosi degli stati totalitari - si rischia nuovamente di cadere nell’errore di pensare che i diritti rispecchino qualcosa di naturale, precisi come un decalogo. No (parlo da filosofo non da giurista!), i diritti sono stati creati o inventati dall’uomo e quindi hanno una storia: nascono, si trasformano e possono anche morire.
Questo non vuol dire che sia lecito infrangere quelli che oggi chiamiamo “diritti umani”, ma credere anzi che possano essere allargati al di là delle formule stilate dalle conventicole del 1789, dai padri pellegrini o dalle assemblee dell’ONU. E se il filosofo vuole cercare quale sia il movente che sta alla base di ogni diritto, cioè di diritti vecchi e nuovissimi, direi (facendo, se mi consenti, un balzo nella morale) che sia un “aprirsi agli altri”, che è quello che fondamentalmente costituisce o dovrebbe costituire la specie uomo. Che fa il bambino (e prima di lui addirittura il feto) se non aprirsi agli altri, anche se questo significa all’inizio solo soddisfare un metabolismo? E che valore possono avere i tentativi di promuovere anzi rendere obbligatorio il rispetto dei nostri diritti, se questi sono al servizio di popoli diversi per genoma, educazione, cultura, magari risolvendosi – come tante volte si è dato il caso – in una sopraffazione dei diritti dell’altro? Tutto, infatti, ha una storia (e qui Albert comincerà a sentire odore di spiritello), una storia che si perde nella preistoria e nelle ere che l’uomo ha impiegato a formarsi, condizionato sì dalla natura ma da una natura che è in continuo travaglio, nella quale emergono dapprima i diritti degli atomi e dei fotoni, poi dei vegetali e degli animali (specialmente in quelli che assomigliano a società più che a branchi), alla fine i diritti della nostra specie in cui il bisogno di aprirsi agli altri si risolve talora – metaforicamente - nella volontà di allontanarli da sé o di dominarli in termini di potere….E così questo principio vale, sì, ma solo originariamente per tutte le specie anzi per ciò che diciamo la vita, o forse per la sostanza dell’intero universo, che trova in quell’aprirsi il principio dei suoi movimenti e – perché no? - di un'evoluzione che forse non terminerà mai.
emmeci is offline  

 



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