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Vecchio 07-12-2008, 10.33.54   #1
La_viandante
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Filosofia: conoscenza o errore cognitivo?

Come ogni uomo anche il filosofo è immerso nella realtà del suo tempo e piuttosto che poter dire la descrive da spettatore esterno esso descrive come questa realtà dal suo interno lo plasma e viene restituita in teorie, ipotesi, filoni del pensiero, l’uomo non può uscire da se stesso e dare di sé descrizione oggettiva, come invece è possibile in laboratorio, dove la descrizione della parte di realtà osservata riesce a raggiungere il miglior livello di oggettività.
La filosofia risente dei limiti del pensiero, e dunque della percezione di sé rispetto al resto del mondo, il pensiero riceve e riflette l’immagine del mondo che esperisce e ne trae delle rappresentazioni in linguaggio.
Ora se teniamo presente la nostra difficile situazione, l’incertezza economica, le crescenti problematiche poste dalla globalizzazione, le perdite di identità locali e le lotte per la supremazia di una delle tante parti in gioco, da quelle religiose (islam, cristianesimo, ebraismo, induismo … etc ) a quelle atee (sinistre, destre, capitalismi, liberalismi, protezionismi, utilitarismi), a quanto più vi possa venire in mente, in questo surplus di ideologie e scontri di pluralismi l’uomo ha due possibilità, aggrapparsi ad un fondamentalismo o perdersi nel relativismo -radicale-.
Il relativismo sembra a me dunque solo una risposta psicologica, più che una descrizione della realtà, l’impossibilità di pervenire ad una verità la negazione dell’esistenza di una verità lungi dall’essere una conoscenza di come le cose stiano effettivamente è una modalità di reazione, un aggiustamento cognitivo una specie di illusione ottica come in un quadro di Escher, non è così che si aggiusta la visione facendo di realtà inconciliabili la realtà tutta fatta di tante verità ognuna sullo stesso piano e nessuna superiore alle altre, la verità esiste ed è opponibile alla falsità, non fosse altro che se vigesse la più completa anarchia non sarebbe anarchia, se il piano del dialogo non vertesse sulle evidenze e sulle verità verterebbe sulla imposizione e sulla forza bruta, non esiste altra maniera di dirimere questioni al di fuori della verità fattuale, che dipana ogni eventuale dubbio ma esisterebbe solo la guerra del più forte sul più debole.

È dunque alla falsità cognitiva che va opposta l’evidenza che il relativismo altro non è che un autoinganno, una immagine della realtà che crea un equilibrio illusorio tra parti inconciliabili.
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Vecchio 07-12-2008, 21.15.58   #2
VanLag
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Riferimento: Filosofia: conoscenza o errore cognitivo?

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Originalmente inviato da La_viandante
Come ogni uomo anche il filosofo è immerso nella realtà del suo tempo e piuttosto che poter dire la descrive da spettatore esterno esso descrive come questa realtà dal suo interno lo plasma e viene restituita in teorie, ipotesi, filoni del pensiero, l’uomo non può uscire da se stesso e dare di sé descrizione oggettiva, come invece è possibile in laboratorio, dove la descrizione della parte di realtà osservata riesce a raggiungere il miglior livello di oggettività.
La filosofia risente dei limiti del pensiero, e dunque della percezione di sé rispetto al resto del mondo, il pensiero riceve e riflette l’immagine del mondo che esperisce e ne trae delle rappresentazioni in linguaggio.
Ora se teniamo presente la nostra difficile situazione, l’incertezza economica, le crescenti problematiche poste dalla globalizzazione, le perdite di identità locali e le lotte per la supremazia di una delle tante parti in gioco, da quelle religiose (islam, cristianesimo, ebraismo, induismo … etc ) a quelle atee (sinistre, destre, capitalismi, liberalismi, protezionismi, utilitarismi), a quanto più vi possa venire in mente, in questo surplus di ideologie e scontri di pluralismi l’uomo ha due possibilità, aggrapparsi ad un fondamentalismo o perdersi nel relativismo -radicale-.
Il relativismo sembra a me dunque solo una risposta psicologica, più che una descrizione della realtà, l’impossibilità di pervenire ad una verità la negazione dell’esistenza di una verità lungi dall’essere una conoscenza di come le cose stiano effettivamente è una modalità di reazione, un aggiustamento cognitivo una specie di illusione ottica come in un quadro di Escher, non è così che si aggiusta la visione facendo di realtà inconciliabili la realtà tutta fatta di tante verità ognuna sullo stesso piano e nessuna superiore alle altre, la verità esiste ed è opponibile alla falsità, non fosse altro che se vigesse la più completa anarchia non sarebbe anarchia, se il piano del dialogo non vertesse sulle evidenze e sulle verità verterebbe sulla imposizione e sulla forza bruta, non esiste altra maniera di dirimere questioni al di fuori della verità fattuale, che dipana ogni eventuale dubbio ma esisterebbe solo la guerra del più forte sul più debole.

È dunque alla falsità cognitiva che va opposta l’evidenza che il relativismo altro non è che un autoinganno, una immagine della realtà che crea un equilibrio illusorio tra parti inconciliabili.
Ma il relativismo serve per vivere. Guai se affrontassimo i momenti della vita dando sempre lo stesso peso agli stessi valori. L’unico riferimento costante su cui possiamo contare nella vita siamo noi stessi, ma anche questo riferimento evolve e muta. In questo contesto non c’è nulla di più dannoso che definire un assoluto che abbia pesi e misure stabiliti a priori.

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Vecchio 07-12-2008, 21.57.56   #3
albert
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Riferimento: Filosofia: conoscenza o errore cognitivo?

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Originalmente inviato da La_viandante
... in questo surplus di ideologie e scontri di pluralismi l’uomo ha due possibilità, aggrapparsi ad un fondamentalismo o perdersi nel relativismo -radicale-.
Il relativismo sembra a me dunque solo una risposta psicologica, più che una descrizione della realtà, l’impossibilità di pervenire ad una verità la negazione dell’esistenza di una verità lungi dall’essere una conoscenza di come le cose stiano effettivamente è una modalità di reazione, un aggiustamento cognitivo una specie di illusione ottica come in un quadro di Escher

Non mi pare che ci sia nessuna argomentazione precedente che giustifichi il "dunque". Perché mai il relativismo dovrebbe essere una "specie di illusione ottica"???
albert is offline  
Vecchio 07-12-2008, 22.03.40   #4
freedom
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Riferimento: Filosofia: conoscenza o errore cognitivo?

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Originalmente inviato da La_viandante
È dunque alla falsità cognitiva che va opposta l’evidenza che il relativismo altro non è che un autoinganno, una immagine della realtà che crea un equilibrio illusorio tra parti inconciliabili.
Condivido.

In altre parole come possiamo fidarci di qualcosa che percepiamo e rielaboriamo se ignoriamo (anche se non completamente) i meccanismi stessi della percezione e della rielaborazione?

Purtroppo brancoliamo nel buio.
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Vecchio 07-12-2008, 23.22.33   #5
Noor
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Riferimento: Filosofia: conoscenza o errore cognitivo?

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La filosofia risente dei limiti del pensiero, e dunque della percezione di sé rispetto al resto del mondo, il pensiero riceve e riflette l’immagine del mondo che esperisce e ne trae delle rappresentazioni in linguaggio.
Lucida constatazione.
Sarebbero da indagare proprio quei limiti conosciuti innanzitutto,dunque il riflesso operato dalle percezioni,le rappresentazioni che opera il linguaggio e confrontarlo con ciò che effettivamente si esperisce..
invece di rimanere all'interno di una stretta logica radicata che oscilla da una forma di credenza fenomenologica, ad un sofismo speculatorio spacciato per reale.
Non si è mai molto distanti da una forma di teismo non consapevolizzato,
non riconosciuto.

Ultima modifica di Noor : 08-12-2008 alle ore 08.40.40.
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Vecchio 09-12-2008, 21.58.43   #6
La_viandante
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Riferimento: Filosofia: conoscenza o errore cognitivo?

Citazione:
Ma il relativismo serve per vivere. Guai se affrontassimo i momenti della vita dando sempre lo stesso peso agli stessi valori. L’unico riferimento costante su cui possiamo contare nella vita siamo noi stessi, ma anche questo riferimento evolve e muta. In questo contesto non c’è nulla di più dannoso che definire un assoluto che abbia pesi e misure stabiliti a priori.
Forse è il caso di chiarire meglio, non intendo mettere in discussione le sfere private dio ognuno, le scelte che ciascuno fa riguardo sé stesso e la sua vita appartengono senz’altro alla sua personale competenza e decisionali. Fuori da ogni dubbio, ma il problema si pone quando si tratta della sfera pubblica, è in questo ambito che, constatavo, la strategia che si è fino ad ora opposta a quella assolutistica religiosa ha dimostrato il suo fallimento.
Il pensiero debole si è già dimostrato fallimentare, e constatavo che è proprio inutile contrapporre una posizione relativista ad una assolutista, la verità a priori con cui oggi dobbiamo infatti fare i conti ha strada libera perché non esiste ormai nulla nel pensiero occidentale che possa opporvisi.
Le radici cristiane che hanno cercato e continueranno a tentare di inserire nella costituzione europea trovano nel loro assolutismo la forza giusta per esser contrapposta all’altro assolutismo, l’islam, ecco perché tanti atei trovano conveniente supportare la chiesa e i suoi dettami perché solo un assolutismo può contrapporsi ad un altro.
Del resto mi pare che addirittura il relativismo si sia dimostrato il migliore alleato dell’assolutismo, l’attuale papa, da teologo e filosofo qual è ha dimostrato come sul piano della ragione la stessa possa esser messa in crisi col relativismo, (che mostra di apprezzare molto e sa usare benissimo quando reclama la possibilità che tra le tante voci pubbliche anche la fede debba trovare spazio e confronto), ma quando sul piano prettamente umano, materiale razionale ogni certezza può dalla ragione stessa essere smantellata ecco che salta fuori il teologo a porre come fondamento a tutto, punto di riferimento e fonte di certezza dio.
Fino qui è solo una considerazione sulla utilità della posizione relativista rispetto alla situazione che ci siamo trovati ad affrontare, insomma al livello puramente pragmatico ha fallito.
Ma come fornire anche la prova che oltre che fallimentare il pensiero debole è anche un errore percettivo?

Albert infatti dice
Citazione:
Non mi pare che ci sia nessuna argomentazione precedente che giustifichi il "dunque". Perché mai il relativismo dovrebbe essere una "specie di illusione ottica"???
Al di là del fatto che per immagine intendo qualcosa di più che la semplice visione ottica, quanto piuttosto una weltanschauung.
Non sono l’unica a pensare del relativismo che sia una evoluzione diretta della sofistica, nella quale l’unica vittoria che si ottiene è solo sul piano della dialettica, della persuasione, dell’usare il linguaggio in maniera tale da far dire alle parole tutto ed il loro contrario.
Ma alla fine, dopo aver svuotato il linguaggio della sua semantica quando ogni parola arriva a significare tante di quelle cose da non significare più nulla può essere considerato come descrizione della realtà? O non si tratta piuttosto di aver annullato la realtà e la capacità del linguaggio di poterla descrivere?

(a proposito mi è piaciuto molto quel tuo scritto su Bush e Mosca che dimostra molto bene le ambiguità del linguaggio e che concludi con “Il funzionamento della società moderna si basa in gran parte sull’arte della programmazione dei computer, l’unico campo in cui non valgono asserzioni confuse o implicite e non ci possono essere fraintendimenti” Ecco quello che intendo portare avanti è un tipo di discorso che verta anche sull’ecologia del linguaggio, un tentativo di riportare ogni parola al suo significato, fuori dalle estreme relativizzazioni che finiscono per rendere ogni dialogo reale tale e quale ad uno teologico, cioè privo della corrispondenza tra significato e significante altro che stanza cinese poi, se lì almeno il messaggio in uscita un senso ce l‘ha anche se chi lo compone non ha nessuna conoscenza dei segni che sta mettendo assieme in risposta qui abbiamo in uscita solo segni privi di ogni semantica sia per chi li emette che per chi li riceve)
Insomma il linguaggio può anche essere un labirinto e noi possiamo anche guardare a realtà contraddittorie e riformularle nel nostro pensiero come un tutto indistinto, ma questo non può che essere un errore induttivo, intendo, se A è A non può anche essere non A, in altri termini, la libertà o è libertà o non lo è, non può anche non esserlo, come in certi discorsi di nostri politici come la Bindi che sostiene il paradosso che il governo deve garantire la libertà alla scelta della vita (sempre in tema di discorsi sul fine vita) quando la traduzione esatta di questa frase è in assenza di possibilità della scelta contraria, un obbligo alla vita, una scelta obbligata tutt’altro che libertà dunque. Una visione che ritenga possibile la libertà essere anche non libertà a me pare possa essere possibile solo in una erronea percezione di ciò che è e ciò che non è. Il relativismo appunto.
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Vecchio 09-12-2008, 23.40.11   #7
odos
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Riferimento: Filosofia: conoscenza o errore cognitivo?

ciao Viandante, ci faresti una sintesi di cosa secondo te sostiene il relativista?

Relativismo, come dire, si dice in tanti modi. Io sono relativista, ma non credo di sostenere ciò che tu credi sostenga un relativista.

Io ad esempio credo esistano molte certezze, ma i fondamenti di queste certezze sono imperscrutabili. Di conseguenza non attribuisco le certezze alle cose, ma le faccio dipendere dalle persone che le articolano.

Un esempio, la matematica è una fonte inesauribile di certezze, ma fondarla è impossibile. I suoi fondamenti sono tutti nostri, di noi che articoliamo la matematica. Senza imparare in modo acritico le sue premesse la matematica non esisterebbe per nessuno. Allo stesso modo io credo che senza un fondo di credenze acritiche sostenute da nostri simili non ci sarebbero le verità che articoliamo con certezza.

Questo è un modo di essere relativista che non è nè anarchico nè debole come lo intendete voi.

Tu cosa intendi esattamente con relativismo per dire che è un autoinganno?
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Vecchio 11-12-2008, 00.07.24   #8
VanLag
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Originalmente inviato da La_viandante
Le radici cristiane che hanno cercato e continueranno a tentare di inserire nella costituzione europea trovano nel loro assolutismo la forza giusta per esser contrapposta all’altro assolutismo, l’islam, ecco perché tanti atei trovano conveniente supportare la chiesa e i suoi dettami perché solo un assolutismo può contrapporsi ad un altro.
Del resto mi pare che addirittura il relativismo si sia dimostrato il migliore alleato dell’assolutismo, l’attuale papa, da teologo e filosofo qual è ha dimostrato come sul piano della ragione la stessa possa esser messa in crisi col relativismo, (che mostra di apprezzare molto e sa usare benissimo quando reclama la possibilità che tra le tante voci pubbliche anche la fede debba trovare spazio e confronto), ma quando sul piano prettamente umano, materiale razionale ogni certezza può dalla ragione stessa essere smantellata ecco che salta fuori il teologo a porre come fondamento a tutto, punto di riferimento e fonte di certezza dio.
Fino qui è solo una considerazione sulla utilità della posizione relativista rispetto alla situazione che ci siamo trovati ad affrontare, insomma al livello puramente pragmatico ha fallito.
Ma come fornire anche la prova che oltre che fallimentare il pensiero debole è anche un errore percettivo?
L’assolutismo nella sua staticità è il male, questo è fuori dubbio. Il relativismo, lasciato a se stesso è caos, ma se gli si da un obbiettivo comune e non trascendente come, ad esempio, il miglior benessere di tutti gli uomini, potrebbe funzionare. Quale sia il miglior benessere di tutti gli uomini deve nascere dalle convenzioni tra gli uomini e dalla ragione. Se fatica a nascere è perché l’illusione del trascendente è ancora forte nonostante le conquiste della ragione. Ma questa è un’anomalia più italiana che altro. D’altro canto solo 4 secoli fa Galileo Galilei fu condannato dall’Inquisizione che in Italia bloccò la scienza per secoli. Il papa cristiano può dire ciò che vuole …. Lui è l’erede di quell’impero del male che è stato pluri condannato dalla storia.

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Vecchio 11-12-2008, 10.03.20   #9
La_viandante
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Citazione:
Tu cosa intendi esattamente con relativismo per dire che è un autoinganno?
Avevo precisato di starmi riferendo al relativismo radicale, ma devo aver creato frantendimenti col resto del discorso richiamando il solo relativismo
Per radicale intendo non quel genere di verità vera solo nell’ambito in cui questa viene rilevata, ma delle verità messe tutte sullo stesso piano tanto che, per dire la relatività può essere barattata con la transustanziazione.


Citazione:
Un esempio, la matematica è una fonte inesauribile di certezze, ma fondarla è impossibile.
Esatto, se non vado errata questo viene chiamato non fondazionismo giusto? Bene l’errore tipico di tanti dei nostri intellettuali ultimamente è sovrastimare sia questo che il portato teorico dell’osservazione (si dice sottodeterminazione? O Duhem dice qualcos‘altro ancora?) che sarebbero cose importanti in filosofia ma irrilevanti nella scienza, ma l’eccessiva importanza data da alcuni porta ad equiparare le certezze come le chiami tu, matematiche a quelle di fedi religiose.
Mi pare che troppi giochino o si ingannino soltanto nel creare questo errore da creare la necessità di portare tutto al suo originario significato
La_viandante is offline  
Vecchio 11-12-2008, 11.32.27   #10
arsenio
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Originalmente inviato da La_viandante
Come ogni uomo anche il filosofo è immerso nella realtà del suo tempo e piuttosto che poter dire la descrive da spettatore esterno esso descrive come questa realtà dal suo interno lo plasma e viene restituita in teorie, ipotesi, filoni del pensiero, l’uomo non può uscire da se stesso e dare di sé descrizione oggettiva, come invece è possibile in laboratorio, dove la descrizione della parte di realtà osservata riesce a raggiungere il miglior livello di oggettività.
La filosofia risente dei limiti del pensiero, e dunque della percezione di sé rispetto al resto del mondo, il pensiero riceve e riflette l’immagine del mondo che esperisce e ne trae delle rappresentazioni in linguaggio.
Ora se teniamo presente la nostra difficile situazione, l’incertezza economica, le crescenti problematiche poste dalla globalizzazione, le perdite di identità locali e le lotte per la supremazia di una delle tante parti in gioco, da quelle religiose (islam, cristianesimo, ebraismo, induismo … etc ) a quelle atee (sinistre, destre, capitalismi, liberalismi, protezionismi, utilitarismi), a quanto più vi possa venire in mente, in questo surplus di ideologie e scontri di pluralismi l’uomo ha due possibilità, aggrapparsi ad un fondamentalismo o perdersi nel relativismo -radicale-.
Il relativismo sembra a me dunque solo una risposta psicologica, più che una descrizione della realtà, l’impossibilità di pervenire ad una verità la negazione dell’esistenza di una verità lungi dall’essere una conoscenza di come le cose stiano effettivamente è una modalità di reazione, un aggiustamento cognitivo una specie di illusione ottica come in un quadro di Escher, non è così che si aggiusta la visione facendo di realtà inconciliabili la realtà tutta fatta di tante verità ognuna sullo stesso piano e nessuna superiore alle altre, la verità esiste ed è opponibile alla falsità, non fosse altro che se vigesse la più completa anarchia non sarebbe anarchia, se il piano del dialogo non vertesse sulle evidenze e sulle verità verterebbe sulla imposizione e sulla forza bruta, non esiste altra maniera di dirimere questioni al di fuori della verità fattuale, che dipana ogni eventuale dubbio ma esisterebbe solo la guerra del più forte sul più debole.

È dunque alla falsità cognitiva che va opposta l’evidenza che il relativismo altro non è che un autoinganno, una immagine della realtà che crea un equilibrio illusorio tra parti inconciliabili.

Chi ha detto che il relativismo è una “verità” filosofica? La filosofia si guarda bene dall'assolutizzare il relativismo: cadrebbe nello stesso errore che critica. Il relativismo può essere inteso come il contrario del dogmatismo:andrebbe relativizzato e deciso caso per caso. Avevo già proposto uno tra gli ultimi saggi di Jervis, dove critica il relativismo che potrebbe far sconfinare nelle pseudoscienze a scapito delle scienze vere e sperimentali; ad esempio si potrebbe affermare che tutto è relativo, che per spiegare certi fenomeni va bene, se si crede, sia l'astronomia che l'astrologia, ecc. Quindi se si assolutizza il relativismo, si esce dai confini della filosofia. Può essere un strumento, come lo è il dialogo, ma nessuno si sognerebbe di dire che un dialogo sia risolutivo, scientifico, ecc. con tutti i tranelli del linguaggio! E' solo vero che può essere una forma democratica da usare per prendere certe decisioni, per negoziare con vantaggio di entrambi, per, appunto, far notare che ci potrebbero essere distorte cognizioni da revisionare,rivedere, che forse sono passate inosservate, ecc.

Mi sembra che conformemente all'attuale spirito del tempo ci sia una certa resistenza nel voler discernere tra le forme della “verità”, così come ad ammettere che la “verità” non è una sola ma dipende dalle nostre soggettive percezioni interpretative. Chi ricorda le tre verità del film classico “Rashomon” molto citato a tal proposito?

La filosofia può discernere tra
la Verità (o realtà, in tale contesto, se si vuole; certi filosofi assumono indifferentemente i due termini) assoluta delle illusioni metafisiche, la verità scientifica falsificabile teorizzata da Popper, la verità espressa attraverso il rapporto del linguaggio con le vicende del mondo di cui oggi la filosofia ipotizza una possibile teoria generale, la realtà-verità fenomenologica, la realtà percettiva sensoriale, ecc.
La verità anche inconsapevolmente distorta con le trappole del pensiero e che si riflette nell'espressione linguistica, le varie manifestazioni della menzogna, certe verità essenziali per un problema eppure sottaciute in discorsi tenuti anche da esperti, ecc.
Per certe categorie e modalità del linguaggio mi riferirei ancora alla retorica aristotelica che distingue il “vero” delle scienze dal “verosimile” argomentativo in cui ricadono anche le scienze dello spirito (filosofia e psicologia non falsificabili e perciò fuori dalle scienze della natura.
Alla verità dialogica di Socrate oggi ci s'ispira anche per confrontarsi cooperativamente e per indagare il sé e le sue contraddizioni. Alla luce della sua lezione d'ironista (colui che s'interroga) si ammette che non ci sono traguardi eterni, che tutto va messo in discussione ed è da rigiocare ogni giorno.
Fino alle recente discussioni sulle interpretazioni del relativismo e sul fallibilismo di fronte alla chiusura degli assolutismi. Ma sono questi temi che ho già proposto in questo forum nel corso del tempo.
Certi argomenti richiederebbero di essere affrontati con mente aperta e ove possibile sotto l'aspetto filosofico, scientifico, retorico-linguistico, psicologico, a volte perfino letterario.
Evidenziando opportunamente qualche aspetto da chiarire dopo attenta lettura e comprensione della globalità di alcuni discorsi e non tanto per voler comunque e per forza scoprire i punti vulnerabili.

arsenio is offline  

 



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