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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 29-01-2009, 11.53.56   #1
La_viandante
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Ontologia fenomenologica

Abbiamo come dato acquisito della conoscenza ormai la distinzione tra noumeno e fenomeno, la cosa in sé forse non sarà mai conoscibile ma la sua apparenza e come noi la esperiamo ha una sua reale esistenza?
Le neuroscienze ci dicono che la realtà, così come ci appare è una creazione, un insieme di stimoli sensoriali che creiamo in un nuovo, ma possiamo dire qualcosa di certo su questo?
La mia opinione è che certamente possiamo, e che se così non fosse non avrebbe alcun senso la nostra percezione, ce l’ha invece perché ha costituito un vantaggio evolutivo, ha consentito che non ci estinguessimo.
Se percepiamo il pericolo e lo riusciamo ad evitare è perché la nostra percezione è utile quindi reale, se così non fosse non avrebbe nessun senso nemmeno cercare di capire come funziona il mondo, ma il fatto stesso che di là dei nostri possibili errori dati da erronee interpretazioni, riusciamo nonostante tutto a creare cose come la tecnologia, trovare cure per le malattie e tanto altro, vuol anche dire che l’utilità conferma la realtà di quello che “sentiamo” la sua concretezza. Non solo ma segna il limite di demarcazione anche tra cosa è reale e cosa non lo è
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Vecchio 29-01-2009, 17.39.08   #2
nexus6
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Riferimento: Ontologia fenomenologica

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Originalmente inviato da La_viandante
Abbiamo come dato acquisito della conoscenza ormai la distinzione tra noumeno e fenomeno, la cosa in sé forse non sarà mai conoscibile ma la sua apparenza e come noi la esperiamo ha una sua reale esistenza?
Le neuroscienze ci dicono che la realtà, così come ci appare è una creazione, un insieme di stimoli sensoriali che creiamo in un nuovo, ma possiamo dire qualcosa di certo su questo?
La mia opinione è che certamente possiamo, e che se così non fosse non avrebbe alcun senso la nostra percezione, ce l’ha invece perché ha costituito un vantaggio evolutivo, ha consentito che non ci estinguessimo.
Se percepiamo il pericolo e lo riusciamo ad evitare è perché la nostra percezione è utile quindi reale, se così non fosse non avrebbe nessun senso nemmeno cercare di capire come funziona il mondo, ma il fatto stesso che di là dei nostri possibili errori dati da erronee interpretazioni, riusciamo nonostante tutto a creare cose come la tecnologia, trovare cure per le malattie e tanto altro, vuol anche dire che l’utilità conferma la realtà di quello che “sentiamo” la sua concretezza. Non solo ma segna il limite di demarcazione anche tra cosa è reale e cosa non lo è
Stiamo discutendo sempre sulla medesima cosa, in tante salse differenti. Sembra un po' lo “spirito del tempo”, presi come siamo dalle pretese assolutistiche del relativismo e da quelle assolutistiche dei vari assolutismi vecchi e nuovi.

Ti dirò che comprendo molto bene quello che scrivi, il baconiano e pragmatico criterio di realtà come utilità, come dominio della natura. E' la più classica difesa degli scienziati contro certi filosofi: “ok, continuate pure a destrutturare, che intanto noi già siamo andati sulla luna e fra un po' scopriamo il bosone di Higgs!”

Sono d'accordo su questo, non c'è dubbio che molti parlino di ciò che non conoscono. Nondimeno sento tutto il mistero di un'-alterità- irriducibile alle pretese della scienza. Ne abbiamo discusso nel thread “sui fondamenti della scienza” ed una delle posizioni che è emersa, e con cui sostanzialmente concordo, afferma proprio che la straordinaria predittività della scienza sta su di un altro piano rispetto al mondo in sé, alla “realtà”; in questo senso la scienza e le teorie scientifiche sarebbero equidistanti da tale -alterità-. Non è un concetto semplice, me ne rendo conto, ma nulla toglie al valore della scienza! Anzi la libera da aloni dogmatici e nocivi e le permette un rapporto migliore con le discipline non attualmente considerate “scienza”. Si tratta di comprendere che essa riguarda solo le rappresentazioni che abbiamo di quello che chiamiamo “mondo”, di ciò che possiamo percepire direttamente od indirettamente e nulla dice sulle mistiche “cose in sé”.

Dunque ben vengano i vari criteri con cui ordiniamo la conoscenza e discriminiamo tra varie proposte ed interpretazioni; ma non permettiamo che criteri puramente pragmatici assumano pretese assolutistiche e “totalitarie” nell'esaurire ogni mistero sul mondo che ci appare dinnanzi.

Infine pericoloso, a mio parere, è affermare che è reale solo ciò che utile, se ho capito bene; non concordo su questo, è come lasciare la filosofia in mano agli ingegneri, mi sembra inconcepibile e, ripeto, socialmente pericoloso. Da ciò derivano, ad esempio, proprio le nefandezze contro la scienza, tipo il paventato taglio di fondi alla ricerca di base e cose del genere.

E... un'opera d'arte è irreale?

Saluti.
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Vecchio 30-01-2009, 11.29.40   #3
chlobbygarl
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Originalmente inviato da La_viandante
Le neuroscienze ci dicono che la realtà, così come ci appare è una creazione, un insieme di stimoli sensoriali che creiamo in un nuovo, ma possiamo dire qualcosa di certo su questo?
dipende quali neuroscienze, tu riporti una mozione ad oggi minoritaria in seno alle neuroscienze.Se le medesime parlassero in modo unitario e non metaforico di 'creazione della realtà' molte cose sarebbero diverse.
Quello che spesso le neuroscienze invece affermano congiuntamente è che la modalità interattiva rispetto a quella realtà è una nostra costruzione: bada bene, tra le due proposizioni evidenziate in neretto potrebbe non esserci alcuna differenza !

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Originalmente inviato da La_viandante
La mia opinione è che certamente possiamo, e che se così non fosse non avrebbe alcun senso la nostra percezione, ce l’ha invece perché ha costituito un vantaggio evolutivo, ha consentito che non ci estinguessimo.
"che non ci estinguessimo" a cosa è utile però?
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Originalmente inviato da La_viandante
Se percepiamo il pericolo e lo riusciamo ad evitare è perché la nostra percezione è utile quindi reale, se così non fosse non avrebbe nessun senso nemmeno cercare di capire come funziona il mondo, ma il fatto stesso che di là dei nostri possibili errori dati da erronee interpretazioni, riusciamo nonostante tutto a creare cose come la tecnologia, trovare cure per le malattie e tanto altro, vuol anche dire che l’utilità conferma la realtà di quello che “sentiamo” la sua concretezza. Non solo ma segna il limite di demarcazione anche tra cosa è reale e cosa non lo è
Il fatto è che nella stessa teoria darwiniana molti attributi, fenotipici e genotipici, non sembrano utili all'evoluzione e non di rado per farli quagliare con quella teoria è necessario approntare modelli paradossali, come ad ex il 'modulo di dio', per il quale la scienza pur negando la verità sperimentale dell'esistenza di dio conferma la validità antropologico/evolutiva di almeno l'idea della sua esistenza!


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Originalmente inviato da nexus6
Infine pericoloso, a mio parere, è affermare che è reale solo ciò che utile, se ho capito bene; non concordo su questo, è come lasciare la filosofia in mano agli ingegneri, mi sembra inconcepibile e, ripeto, socialmente pericoloso. Da ciò derivano, ad esempio, proprio le nefandezze contro la scienza, tipo il paventato taglio di fondi alla ricerca di base e cose del genere.
E... un'opera d'arte è irreale?
Attenzione nexus!Per dissentire da un concetto di realtà=utilità asfittico ne pre-supponi un altro parimenti riduttivo, vale a dire quello per cui un'opera d'arte potrebbe apparire a taluni irreale poichè la sua utilità diretta sarebbe tecnicamente incommensurabile:ma ciò è vero solo nel contesto culturale di cui volevi evidenziare la implausibilità!
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Vecchio 30-01-2009, 13.02.18   #4
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Originalmente inviato da chlobbygarl
Attenzione nexus!Per dissentire da un concetto di realtà=utilità asfittico ne pre-supponi un altro parimenti riduttivo, vale a dire quello per cui un'opera d'arte potrebbe apparire a taluni irreale poichè la sua utilità diretta sarebbe tecnicamente incommensurabile:ma ciò è vero solo nel contesto culturale di cui volevi evidenziare la implausibilità!
Lei dice:
"riusciamo nonostante tutto a creare cose come la tecnologia, trovare cure per le malattie e tanto altro, vuol anche dire che l’utilità conferma la realtà di quello che “sentiamo” la sua concretezza. Non solo ma segna il limite di demarcazione anche tra cosa è reale e cosa non lo è."

La pura utilità tecnica, dunque, non ci fa sentire solo le cose nella loro concretezza, ma discrimina il reale dall'irreale. Le opere d'arte non hanno utilità tecnica, almeno non direttamente (sì, questo è quello che ho presupposto), ma non per questo sono irreali. Ho sfruttato/assunto il suo concetto di realtà ovvero, come hai detto, mi sono posto nel contesto culturale di cui volevo evidenziarne l'implausibilità per mostrare come alcune conseguenze siano assurde.

Poi è chiaro che in un altro contesto culturale, in cui ad esempio l'arte sarebbe la sola ad avere valore conoscitivo, dunque anche necessaria utilità sociale, la mia domanda provocatoria non servirebbe a nulla. Semmai lì chiederei: E... le cose puramente tecniche sono irreali perché non propriamente artistiche? D'altronde vattelapesca a definire “arte”: tutto e nulla può esserlo.

Per mostrare come una posizione porti a conseguenze che reputiamo errate non la si assume per poi mostrarne l'assurdità?
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Vecchio 30-01-2009, 19.59.43   #5
chlobbygarl
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Originalmente inviato da nexus6
La pura utilità tecnica, dunque, non ci fa sentire solo le cose nella loro concretezza, ma discrimina il reale dall'irreale. Le opere d'arte non hanno utilità tecnica, almeno non direttamente (sì, questo è quello che ho presupposto), ma non per questo sono irreali.
Non voglio sottilizzare, nè dilungarmi in esegesi oziose ma l'approccio mostrato alla questione "arte", immagino in buona fede, è - oltrechè inanzitutto emblematico e per questo a mio avviso degno di soffermar-vi-ci-si - proprio quanto basta a chi lo desidera per stilare categorie di utilità "tecnica" che prescindono dall'esame profondo dei fenomeni:l'arte senza utilità tecnica è proposizione che o è un'ovvietà - e come tale sottolineerebbe il discrimine che separa arte e tecnica (e anche qui non sarebbe automatico...) - o semplicemente introduce 3 classi di concetti, peraltro indefinite, che pongono la creazione artistica in subordine rispetto alle altre attività umane secondo il concetto di utilità.Il 'vizio' cioè non sta in quello che tu ipotizzi come verosimile a carico di un certo contesto culturale che scegli poi di condannare, ma in quello che fai trasparire essere il tuo convincimento a prescindere da tale contesto, quindi ben prima.

la domanda sull'arte non sembri cioè porla per strategia dialettica, mentre dà l'impressione di scaturirti così come mamma l'ha fatta!

l'arte è ovviamente una manifestazione del pensiero, dunque se vale il cogito ergo sum, vale anche il cogitare artando come proprietà dell'essere.

Io ribalterei in realtà l'analisi, dicendo che la tecnica è in larga parte inutile e che iniziare con "utilità tecnica" una ricerca sul reale appare quanto mai problematico.
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Vecchio 30-01-2009, 22.55.15   #6
Giorgiosan
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....presi come siamo dalle pretese assolutistiche del relativismo .

Non capisco quali siano le pretese assolutistiche del relativismo, a me non sembra che il relativismo pretenda di essere assoluto.

Il relativismo è un atteggiamento pragmatico.

Ciao
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Vecchio 31-01-2009, 10.14.54   #7
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Infine pericoloso, a mio parere, è affermare che è reale solo ciò che utile,
Meglio precisare il senso prima che il dibattito verta su qualcosa che non è
Il senso da dare alla frase dell’utilità che segna anche la differenza tra ciò che è reale e ciò che non lo è è da intendersi ove esistano più interpretazioni, facciamo l’esempio di un sintomo, dal medico si avrà una diagnosi e relativa cura, se in altra sede, es, da un mago ci verrà detto che abbiamo il malocchio e dobbiamo fare alcuni rituali anti malocchio possiamo in questo frangente vedere come il farmaco prescritto sia utile e i rituali magici no, ecco dove bisogna intendere il discrimine (elimino la tipica obiezione dell‘effetto placebo inserendo come necessaria la serietà della malattia e non un sintomo psicosomatico), poi ovviamente anche la ricerca pura è reale, anche se avrà applicazione o meno non per questo non è reale, così come l’opera d’arte perché è attraverso i sensi che rivela la sua realtà. Sensi che, come avevo detto in precedenza sono quelli che ci danno modo di appurare se una cosa è reale o meno.
L’utilità è insomma a ulteriore conferma, dimostrazione.
Citazione:
E' la più classica difesa degli scienziati contro certi filosofi
Io direi che è l’unica risposta possibile da dare, quando spesso sento filosofi insistere su una certa urgenza che dovrebbero avere gli scienziati di risolvere i problemi che la filosofia pone, credo che la scienza sia sotto attacco da troppi fronti, da spiritualisti vari, dall’esoterismo al magistero cattolico ad estremismi cristiani d’America ed islamici, agli estremismi ambientalisti ed animalisti, alle sociologie che pretendono di giudicare la scienza sulla base delle presunte ripercussioni sulla società, alle scienze umane che pretendono di abbassare al loro livello di incertezza le scienze avvalendosi di epistemologie deviate, l’elenco non si esaurisce qui, potrebbe continuare ma non è un thread sulle scienze quanto su uno degli aspetti che troppo spesso si sentono messi in discussione, l’esperienza, i nostri sensi che intercettano le evidenze, per cui in tanti si sentono da questo legittimati a negare l’esistenza delle evidenze.
Di là tu partendo dal “fatto” che i fatti siano carichi di teoria, piuttosto che dire che non esistano i fatti puri hai quasi lasciato intendere che non esistano fatti tout court, ecco questo è un nichilismo tipico dei nostri tempi che annullano ogni possibilità di conoscenza, conoscenza che ovviamente non si esaurisce con le scienze, né queste lo pretendono.
Probabilmente esiste un filone di pensiero scientista che esclude la possibilità di ogni conoscenza al di fuori delle scienze dure, ma se pure esistono metodi di conoscenza validi, a mio parere non lo saranno mai altrettanto precisi come quello scientifico, senza con questo voler affermare che la scienza spieghi tutto. Il mistero c’è e resterà sempre altrimenti se si avesse la pretesa di conoscere oramai tutto la scienza avrebbe cessato di esistere. Il fatto stesso che esiste ancora è la prova che essa stessa ritiene ci sia ancora tanto di quel mistero da dover tentare di svelare.

X Chlobby
Citazione:
la modalità interattiva rispetto a quella realtà è una nostra costruzione:
Non sono certa di aver capito, cosa intendi per modalità interattiva?
Io intendo qualcosa di ovvio ossia che osservando un oggetto di fronte a noi questo viene ricreato dalle sinapsi nel nostro cervello attraverso gli impulsi che arrivano dai nostri sensi e ricreato in un concetto, questo è il nuovo che intendo, una distanza tra la cosa in sé e la nostra creazione nella mente, tutto qui. Ma in questa creazione c’è abbastanza aderenza alla cosa da permetterci di .. Andare sulla luna e creare un pc come questo su cui parliamo.

Citazione:
"che non ci estinguessimo" a cosa è utile però?
Anche qui non capisco la domanda, se prendi il punto di vista delle api il fatto che non ci siamo estinti noi è per loro una catastrofe, ma il vantaggio evolutivo è utile alla sopravvivenza.
Citazione:
Il fatto è che nella stessa teoria darwiniana molti attributi, fenotipici e genotipici, non sembrano utili all'evoluzione e non di rado per farli quagliare con quella teoria è necessario approntare modelli paradossali, come ad ex il 'modulo di dio', per il quale la scienza pur negando la verità sperimentale dell'esistenza di dio conferma la validità antropologico/evolutiva di almeno l'idea della sua esistenza!
Vero esistono caratteri che non incontrano la selezione non perché siano necessariamente dei vantaggi quanto piuttosto non significativi né per la sopravvivenza né per esser spazzati via. E sul modulo dio non so cosa dire, perché è anche possibile che credenze errate abbiano tuttavia contribuito alla sopravvivenza per ragioni altre, per aver ad esempio tenuto coeso un gruppo intorno ad una identità, una religione, rendendolo più forte, cooperativo, quindi hai ragione, non solo per la sua utilità evolutiva una credenza si può dire reale.
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Vecchio 31-01-2009, 13.51.03   #8
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Meglio precisare il senso prima che il dibattito verta su qualcosa che non è
Il senso da dare alla frase dell’utilità che segna anche la differenza tra ciò che è reale e ciò che non lo è è da intendersi ove esistano più interpretazioni, facciamo l’esempio di un sintomo, dal medico si avrà una diagnosi e relativa cura, se in altra sede, es, da un mago ci verrà detto che abbiamo il malocchio e dobbiamo fare alcuni rituali anti malocchio possiamo in questo frangente vedere come il farmaco prescritto sia utile e i rituali magici no, ecco dove bisogna intendere il discrimine (elimino la tipica obiezione dell‘effetto placebo inserendo come necessaria la serietà della malattia e non un sintomo psicosomatico), poi ovviamente anche la ricerca pura è reale, anche se avrà applicazione o meno non per questo non è reale, così come l’opera d’arte perché è attraverso i sensi che rivela la sua realtà. Sensi che, come avevo detto in precedenza sono quelli che ci danno modo di appurare se una cosa è reale o meno.
L’utilità è insomma a ulteriore conferma, dimostrazione.
I (nostri?) sensi ci danno modo di appurare se una cosa sia reale o meno? E' buono che precisi poiché se l'utilità è “solo” a ulteriore conferma della realtà, ovvero se i sensi stanno a monte, i raggi X, gli elettroni e quant'altro non potrebbero essere considerati reali, ma non credo tu non li considereresti tali e nemmeno io, in quanto tendo a considerarli “reali” allo stesso modo della sedia, del tavolo o delle galassie, anche se ci sono posizioni filosofiche che negano la realtà dei primi “enti”.

Da parte mia questa tua precisazione sui farmaci non ha mutato di una virgola quanto avevo capito su ciò che avevi scritto; il discrimine tra realtà ed irrealtà sarebbe l'utilità come criterio principe, il fare/risolvere qualcosa. Ma questo criterio di realtà personalmente non lo accetto, soprattutto quando viene indebitamente esercitato al di fuori dei limiti di applicazione di quei criteri pragmatici, come ad esempio la metafisica.

Inoltre, e spero non venga considerata una bestemmia, i popoli che noi consideriamo primitivi avevano la loro medicina, i loro sistemi per spiegare il mondo e molti dei principi attivi alla base delle loro sostanze “portentose” sono quelle alla base delle nostre medicine. Dunque discriminare la realtà dalla irrealtà con la mera utilità può essere molto problematico se consideri che anche in parte delle spiegazioni della medicina moderna potrebbero essere annidate favole, procedimenti che ostacolano le cure o cose non vere, ovvero che si riveleranno tali. Se a questo punto mi ribatti: “ma comunque la medicina moderna è enormemente più potente ed utile di quella antica”, io ti rispondo certamente!, chiedendoti però: “cosa vuol dire che un qualcosa è più utile ovvero, secondo il tuo criterio, più reale di un'altra cosa?”
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Vecchio 31-01-2009, 13.53.05   #9
nexus6
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Ontologia fenomenologica?

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Io direi che è l’unica risposta possibile da dare, quando spesso sento filosofi insistere su una certa urgenza che dovrebbero avere gli scienziati di risolvere i problemi che la filosofia pone, credo che la scienza sia sotto attacco da troppi fronti, da spiritualisti vari, dall’esoterismo al magistero cattolico ad estremismi cristiani d’America ed islamici, agli estremismi ambientalisti ed animalisti, alle sociologie che pretendono di giudicare la scienza sulla base delle presunte ripercussioni sulla società, alle scienze umane che pretendono di abbassare al loro livello di incertezza le scienze avvalendosi di epistemologie deviate, l’elenco non si esaurisce qui, potrebbe continuare ma non è un thread sulle scienze quanto su uno degli aspetti che troppo spesso si sentono messi in discussione, l’esperienza, i nostri sensi che intercettano le evidenze, per cui in tanti si sentono da questo legittimati a negare l’esistenza delle evidenze.
Di là tu partendo dal “fatto” che i fatti siano carichi di teoria, piuttosto che dire che non esistano i fatti puri hai quasi lasciato intendere che non esistano fatti tout court, ecco questo è un nichilismo tipico dei nostri tempi che annullano ogni possibilità di conoscenza, conoscenza che ovviamente non si esaurisce con le scienze, né queste lo pretendono.
Probabilmente esiste un filone di pensiero scientista che esclude la possibilità di ogni conoscenza al di fuori delle scienze dure, ma se pure esistono metodi di conoscenza validi, a mio parere non lo saranno mai altrettanto precisi come quello scientifico, senza con questo voler affermare che la scienza spieghi tutto. Il mistero c’è e resterà sempre altrimenti se si avesse la pretesa di conoscere oramai tutto la scienza avrebbe cessato di esistere. Il fatto stesso che esiste ancora è la prova che essa stessa ritiene ci sia ancora tanto di quel mistero da dover tentare di svelare.
Non posso concordare che sia la scienza stessa a definire/ritenere ciò che è mistero in quanto non ancora scoperto e studiato da essa. Come se fosse lei che potesse concedere le briciole agli altri. Questo è un atteggiamento dogmatico (è il medesimo alla base delle religioni) e per di più fallace filosoficamente, poiché non puoi sapere cosa sia qualcosa o se esista prima di studiarla direttamente od indirettamente o percepirla con i tuoi strumenti e metodi ovvero non puoi affermare necessariamente che un qualcosa non esista o appartenga alle “fantasie” solo perché non rientra sotto strumenti e metodi suddetti. La tua mi pare, ma potrei sbagliare ed in caso mi dirai, la semplice definizione di un atteggiamento scientista, anche se ti periti di dire: “conoscenza che ovviamente non si esaurisce con le scienze, né queste lo pretendono” e “senza con questo voler affermare che la scienza spieghi tutto”; a questo sostituisci o lasci passare: “non spiega tutto, ma... potrà farlo, poiché è il miglior metodo di conoscenza”. In modo nascosto sembra tu voglia dire questo, ma ripeto potrei sbagliarmi, anzi ti invito a precisare.

In ogni caso, combatto contro questo atteggiamento poiché è proprio quello che, secondo me, contribuisce all'alzata di scudi contro la scienza da parte di filosofi e società. I filosofi non discutono sostanzialmente intorno alla scienza, poiché poco la comprendono; ciò contro cui parlano è l'immagine della scienza distorta dai suoi difensori a spada tratta, le cui argomentazioni pur se paiono ragionevoli sono dogmatiche ovvero indiscutibili.

Tipico di questo atteggiamento neopositivista è la pretesa di fare affermazioni scientifiche sulla metafisica e l'ontologia, dunque la pretesa di esaurire anch'esse con i metodi fenomenologici ed ipotetici della scienza. Perfino Popper il razionalista non sarebbe stato disposto ad abbracciare queste tesi, e fu proprio lui infatti ad aprire un proficuo dialogo scienza-metafisica. L'atteggiamento prudente ed agnostico riguardo alla metafisica si sostituisce negli scientisti con quello dogmatico e ribadisco, odioso, dei bigotti credenti.

Se poi ho frainteso quanto hai detto, meglio; ciò che ho scritto servirà comunque.

Sinceramente non ho capito poi come pretenderesti di fondare questa “ontologia fenomenologica”. A me pare proprio un semplice ossimoro. In effetti è possibile giustificare molteplici tipi di realismo scientifico, così come di “irrealismo”, assunti al pari da scienziati, lasciando stare i filosofi. Che i nostri sensi “intercettino le evidenze” questo è un truismo, come dicono appunto i filosofi o una banalità, come dice la gente comune. Tutto sta nell'argomentare cosa siano queste “evidenze”.

Ciao.

p.s. Non ho affatto detto di là che non esistano i fatti tout court, ma la banalità (su cui ormai c'è ampio accordo) che non esistono “fatti puri”, appunto. Questa cosa i dogmatici della scienza la prendono solo come un attacco ad essa (è proprio un sintomo per comprendere chi hai davanti, secondo me), anche se si tratta semplicemente di capire cosa sia la scienza, come operi, con quali strumenti ed entro quali limiti.
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P.s.

@Viandante: gli elettroni prima di tornarci utili erano irreali?

Ed, inoltre, un certo fenomeno non ripetibile, magari unico, che non presenta regolarità e dunque per definizione non studiabile con la scienza è necessariamente irreale? O lo escludi a priori? E come? (Stesse domande che ho posto: QUI).


@Chlobbygarl: non essere così “paranoico” : intendevo proprio ciò che ho detto!


@Giorgio: Anch'io credo che il relativismo sia buona cosa, ma non il nichilismo che pare essere sottostante, poiché credo, come La Viandante, che possano esistere criteri per discriminare e giustificare una credenza piuttosto che un'altra. La differenza con lei è che mi rendo conto che questi criteri siano pragmatici, utili, relativi a certi ambiti di applicazione e non ho la pretesa di estenderli a discriminare ciò che sia reale da ciò che non può aspirare ad esserlo. Sento che ciò appartenga ad un altro piano non riducibile alle pretese tecniche, né al grado o meno di intersoggettività delle conoscenze.
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