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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 01-02-2009, 11.35.49   #1
nevealsole
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Modalità dell’essere: essere su… (facebook)

Riflettevo ultimamente sull’evoluzione dei nostri modi di ‘manifestarci’ al prossimo e mi piaceva condividere con voi queste riflessioni e ascoltare le vostre a riguardo.
Il punto di partenza della riflessione è stato la dilagante, per così dire, moda del ‘social network’ in rete.
Il social network, per come lo interpreto io, è una forma di pubblicità a se stessi che nasce per esigenze perlopiù lavorative (far conoscere chi si è ad una pluralità di persone) e sconfina, oggi, nel più generale fenomeno della pubblicità di se stessi, semplicemente.
Uso il termine ‘pubblicità’ perché è proprio un rendersi pubblici, teoricamente tramite i contatti con i propri amici ma, di fatto, verso una pluralità di soggetti classificabili come amici solo ad un occhio distratto o molto superficiale… almeno per chi – come me – non crede ai grandi numeri nei rapporti umani autentici.
Lo scambio di idee, opinioni e confronti per il piacere di pensare insieme, su questo forum, l’abbiamo sempre realizzato.
La mia perplessità non è, pertanto, sull’utilità del mezzo internet quale strumento di pensiero e condivisione di opinioni. Quanto a questo non ho altro da dire se non che lo uso, lo approvo e ne traggo vantaggio.
Continuo a pensare che, comunque, una profonda differenza vi sia, come già detto in passato, tra un pensiero ‘anonimo’ se non per un nickname e – proprio per questo – libero e percepito senza pregiudizio e, un pensiero direttamente riferibile a noi stessi, ‘firmato’ per così dire.
L’origine della mia riflessione è facebook, come detto. Credo che chi sa di cosa sto parlando sappia anche come funziona. Nome e cognome, una foto, alcune caratteristiche personali, test più o meno superficiali per determinare gusti e preferenze,l’appartenenza a gruppi collettivi nati anch’essi con finalità perlopiù pubblicitarie, i contatti ovvero la lista di ‘amici’ e poi te stesso e tutto quello che ti viene in mente di raccontare.
Non esserci, oggi, è pressoché impossibile. Sembra quasi una ‘auto-emarginazione’.
Esserci è comunque non autentico.
Ed infatti, salvo voler apparire antipaticamente selettivi, tra i contatti ci finisce di tutto, dall’amico dell’amico visto mezza giornata alla compagna delle elementari che ti rubava sempre la merenda, al politico locale in cerca di consensi.
Dinanzi a ciò, mi sono detta, ho il coraggio di esprimere me stessa? La mia risposta è stata no.
Quello che faccio qui, e ho fatto molto di più in passato, ovvero raccontarmi, mi è sembrato -paradossalmente - impossibile in un contesto ‘pubblico’ di corrispondenza faccia pensiero. Senza che ciò corrisponda ad un’incapacità di esprimere le mie idee, cosa che faccio tranquillamente in contesti personali reali. Trovo semplicemente inquietante farlo quasi fosse un comizio.
Ecco, noto che per molti non è così, e il social network diventa un modo per far conoscere al prossimo tutto ma proprio tutto della propria esistenza, comprese – che so – le foto del matrimonio della zia Adelina che si è sposata nel 927, per dire…
Mi sono chiesta cosa ci sia dietro a tutto questo, se non ci sia un problema di timore di non esistenza.
Mi sono chiesta se oggi, per sentire di esistere, di debba essere ‘visibili’, far sapere che abbiamo amici, che facciamo cose, che la nostra vita è ricca e piena di esperienze che – prima ancora di essere elaborate a livello individuale – sono partecipate in modo collettivo.
Mi sono chiesta se non sia mutato il nostro modo di condividere: non condividere i pensieri astratti, i ragionamenti, ma condividere i fatti, gli stati momentanei, le immagini.
E mi sono chiesta, e vi chiedo, il perché.
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Vecchio 03-02-2009, 13.09.14   #2
La_viandante
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Domande importanti le tue e che già hanno la risposta che è vera, il bisogno di sentirsi esistere,di apparire per poter esser e al contempo nemmeno essere, essere pur non essendo, ma da dove nasce?
Credo di non saper fare una analisi sociologica, non ne ho gli strumenti ma immagino che siamo in un periodo di profonda trasformazione dove ogni credenza ogni certezza sta diventando sempre più evanescente e il mezzo, internet contribuisce a operare questa trasformazione, e da qui il bisogno di ricrearsi una nuova identità, ancorarsi all'apparenza per non lasciarsi travolgere dal lento disgregarsi delle certezze.
Devo dirlo, non amo Facebook neppure i blog in genere dove un diario, i propri pensieri più intimi divengono pubblici, questo offrire l'interiorità al voyerismo diffuso, non mi piace per niente. Nel mondo virtuale apprezzo i luoghi di discussione come questi su argomenti più diversi anche profondi ma fatti di argomenti, probabilmente è solo una mia resistenza al nuovo, forse a breve questa novità mi piacerà di più, ci farò l'abitudine, ma al momento se mi è difficile riuscire a capirne i perchè ancora meno mi piace questo must dell'essere obbligatoriamente pubblici.
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Vecchio 05-02-2009, 11.07.14   #3
La_viandante
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Riferimento: Modalità dell’essere: essere su… (facebook)

Ho proprio ieri iniziato la lettura di Zygmunt Bauman (consumo dunque sono) e si occupa proprio del Social networking unendolo per alcune caratteristiche ad altre due realtà moderne, egli vede in questo nuovo modo di interagire una necessità adolescenziale di conformismo ma non nel suo complesso non è riducibile a questo.
Esamina altri aspetti come la mercificazione di se stessi, il dover essere bravi a proporre se stessi come merce, ma sono ancora alle prime pagine, aggiungerò qualche altra annotazione non appena avrò aggiunto qualche tassello in più.
La_viandante is offline  
Vecchio 07-02-2009, 16.52.00   #4
arsenio
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dll'alienazione ... ....

Citazione:
Originalmente inviato da nevealsole
Riflettevo ultimamente sull’evoluzione dei nostri modi di ‘manifestarci’ al prossimo e mi piaceva condividere con voi queste riflessioni e ascoltare le vostre a riguardo.
momentanei, le immagini.
E mi sono chiesta, e vi chiedo, il perché.

… … al feticismo della soggettività.

“Alienazione” indicò una dolorosa rinuncia all’identità in un sistema privo di creatività e di senso. Depersonalizzazione pure letteraria: Pirandello la esprime nei malvissuti in cerca di propri autonomi valori.
L’essere viene sostituito dalla merci, perché chi non ha nulla è nulla e l’uomo sociale esiste solo nelle opinioni altrui, ; giudicato “normale” perché conforme anche se assurdo.
Dove non ci sono soggetti esistono solo false coscienze che cercano l’identità fuori da se stesse, e il pensiero perde in spessore e in dialettica.
Ne discende oggi la solitudine globale della grande Rete, non –luogo di pur non isolate monadi. Risposta impropria per esigenze vere. Il contatto è totale ma privo della profondità e responsabilità concessa dal guardarsi negli occhi. Aleatori e spesso conclusivi sono i riscontri incarnati che illuminano verità individuali adombrate, e ripropongono i costi della vita reale. Anche un ipermaschio davanti a una donna sicura di sé perde ruolo.
Surrogato di una realtà sfuggita, ansiogena e indesiderata. Sostituisce bisogni narcisistici, residue affettività incluse.
Le visite li social netiworking sono aumentate dieci volte, per un “feticismo della soggettività” (li termine è di Zigmunt Bauman). Che è tutt’altro che l’individuazione di una compiuta personalità. I soggetti si sono ridefiniti quali oggetti in offerta, pronti ad adattarsi alla rapida volubilità delle tendenze.
Nel virtuale si rappresenta l’idea di se stessi, credibile perché in contesto di connivente reciprocità. Tuttavia anche nella vita si recita: siamo poveri attori discrepanti con l’impressione che vogliamo dare (Goffman) e l’altro interessa solo come proprio autoriflesso.
Ma la vita non è questa: è osservarla, pensarla, raccontarla, accettare anche chi diverge dai percorsi abituali svelando alternative. E il feeling passa sempre attraverso contatti corporei. E’ l’essere intimi con qualcuno, aprirgli il proprio mondo interiore, svelargli fantasie, sogni, paure, emozioni nascoste. Ma la nostra società oscura le dimensioni dell’espressività sentimentale. Nella cyber-vita della rappresentazione immaginale perlopiù si condivide un minimalismo sentimentale e consolatori, emozioni banalizzate, compiaciute esperienze edonistiche. Perlomeno nel virtuale pubblico sono rare le confidenze a quattr’occhi.
Dell’esibito privato dei social neworking non so ancora la natura, così come mi lascia scettico il pianto spettacolarizzato di politici e affini; comunque apprezzo di più certe commozioni manifestate in raccoglimento nella propria stanza.
Inoltre solo le donne possiedono il linguaggio dei sentimenti. E in tale capacità possono risultare vincenti nella scrittura virtuale. Ma non sempre riescono ad estrinsecarlo o non lo ritengono opportuno in un microcosmo che replica la società di fuori. In un anonimato possono vigere norme implicite e si deve andare dove vanno tutti, si rinuncia pure ad approfondire questioni importanti e generali che riguardano la vita, i rapporti con gli altri e con noi stessi. Per appartenenza si evitano le inquietudini di una realtà proteiforme e ambigua, dissonante con una sola verità con verità altre. I partecipanti tendono all’uniformità intercambiabile.
Né la connessione perpetua e iperattiva permette riflessioni molto profonde e indagate, e la frenesia spesso serve a controllare lo stress e le ansie del nostro tempo.
Il medium conta, ma anche il suo uso. Un filosofo è un uomo etico che apprende il suo tempo col pensiero. Inserito in processi discorsivi per reinquadrare proprie credenze e pregiudizi, work in progress. Evitando pure una filosofia dissacratrice e irriverente. Ma per tale collaborazione si deve essere almeno in due.

Splendido argomento
Mirabilmente delineato
ciao
arsenio is offline  
Vecchio 08-02-2009, 10.18.32   #5
nevealsole
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la nostra vita è una scenografia

Sto leggendo anche io il testo di Bauman, proprio in queste ore.
Proprio leggendo Bauman ed il raffronto tra la società dei produttori, ormai scomparsa, e la società dei consumatori di cui tutti - volenti o nolenti - facciamo parte mi è venuto alla mente un paragone tra la vita 'virtuale' e la scenografia.
E tornando all'argomento facebook stamani mi è sembrato che la nostra vita sia costruita lì sempre più come una scenografia: al colpo d'occhio da lontano appare bellissima e definita, ma va osservata 'alla distanza'.
Perché la scenografia è piatta, e dietro... non c'è niente.
Mi riservo anche io di approfondire appena conclusa la lettura.
Grazie per gli interventi... e per il consiglio di lettura
nevealsole is offline  
Vecchio 08-02-2009, 13.56.57   #6
Giorgiosan
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Riferimento: Modalità dell’essere: essere su… (facebook)

Face book è un mezzo per comunicare.

Ognuno ci va con le proprie intenzioni: affari, narcisismo, sollievo dalla solitudine, politica, vanità, ricerca di un partner, esibizionismo... e chi più ne ha più ne metta.
Face book rispecchia il mondo umano nel male e nel bene.

C'è sempre un poco di "bigottismo" e di "spirito puritano" nel gridare allo scandalo.

O qualcuno pensa che si dovrebbe moralizzare la rete?

Ho ascoltato spesso delle lamentatio sulla scomparsa di luoghi tradizionali di socializzazione: "...una volta c'erano le osterie, c'erano i caffe, i circoli culturali..".

Beh, oggi c'è "Face book" c'è "Second life" ecc. ecc. e siamo solo agli inizi.

E piace ai giovani, è il loro nuovo mondo, quello della moltiplicazione dei contatti, dei rapporti virtuali, dello scambio di musica e di informazioni...anche di merci..perché no.

Se qualcuno ritiene di essere più saggio, ebbene, porti le sue briciole di saggezza in "Second life", in "Face book", in rete insomma.
Non avrà accoglienza diversa da quella che avrebbe nel mondo non virtuale.

Preferisco riflettere sull'esistenza e sul mondo in un luogo più adatto alla riflessione... oggi, ....ma ieri l'altro sarei andato con entusiasmo in Face book o in Second life...dove vado qualche volta.

Ultima modifica di Giorgiosan : 09-02-2009 alle ore 07.03.37.
Giorgiosan is offline  
Vecchio 08-02-2009, 20.14.45   #7
nevealsole
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Sì ma...

Citazione:
Originalmente inviato da Giorgiosan
Face book è un mezzo per comunicare...

C'è sempre un poco di "biggottismo" e di "spirito puritano" nel gridare allo scandalo.

O qualcuno pensa che si dovrebbe moralizzare la rete?


No, non bigottismo. Voglia di capire quel qualcosa in più.
Cerco di approfondire il concetto.
Scrivo qui da qualche anno, mi è capitato di incontrare qualcuno che conoscevo solo sul forum. Magari non siamo diventati grandi amici, però è stata una bella sensazione quella di parlare con qualcuno escludendo le frasi di circostanza.
E la confidenza di base acquisita, dal mio punto di vista, avrebbe garantito la nascita di una amicizia 'seria', se si fosse trattato di persone della stessa mia città.
Differentemente, su facebook - che uso e per vari aspetti apprezzo - c'è un gruppo, nato credo non a caso, intitolato più o meno così 'ma che mi addi a fare se per strada non mi saluti', dove 'addi' sta per 'inserisci tra i tuoi contatti'.
Ovvero, per spiegare meglio ancora, alle volte mi sono sentita una figurina da mettere sull'album e non un'amicizia da coltivare. Ovvio non con tutti, ovvio che ci sono anche gli amici veri.
Ovvio che il mezzo è specchio della società, e Bauman descrive la società... una società che a me spaventa terribilmente... perché io dal 'con-tatto' non posso prescindere, pur essendo talvolta la prima a mettere la distanza...e ritengo che sia un problema sociale, prima che individuale quello di 'mettere la distanza', tra noi e gli altri e, ripeto, vorrei capirne il perché.
nevealsole is offline  
Vecchio 08-02-2009, 21.51.11   #8
Giorgiosan
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Riferimento: Sì ma...

Citazione:
Originalmente inviato da nevealsole
No, non bigottismo. Voglia di capire quel qualcosa in più.
Cerco di approfondire il concetto.
Scrivo qui da qualche anno, mi è capitato di incontrare qualcuno che conoscevo solo sul forum. Magari non siamo diventati grandi amici, però è stata una bella sensazione quella di parlare con qualcuno escludendo le frasi di circostanza.
E la confidenza di base acquisita, dal mio punto di vista, avrebbe garantito la nascita di una amicizia 'seria', se si fosse trattato di persone della stessa mia città.
Differentemente, su facebook - che uso e per vari aspetti apprezzo - c'è un gruppo, nato credo non a caso, intitolato più o meno così 'ma che mi addi a fare se per strada non mi saluti', dove 'addi' sta per 'inserisci tra i tuoi contatti'.
Ovvero, per spiegare meglio ancora, alle volte mi sono sentita una figurina da mettere sull'album e non un'amicizia da coltivare. Ovvio non con tutti, ovvio che ci sono anche gli amici veri.
Ovvio che il mezzo è specchio della società, e Bauman descrive la società... una società che a me spaventa terribilmente... perché io dal 'con-tatto' non posso prescindere, pur essendo talvolta la prima a mettere la distanza...e ritengo che sia un problema sociale, prima che individuale quello di 'mettere la distanza', tra noi e gli altri e, ripeto, vorrei capirne il perché.



Secondo me la solitudine è una condizione sociale frequente oggi, più di ieri, per molti motivi.
Gli adolescenti ne sono terrorizzati. Il cellulare continuamente in attività è soprattutto un mezzo per fuggire dalla solitudine, e lo stesso vale
per i "luoghi" della rete.
Avere molti contatti deve dare la l'impressione di non essere soli.

Credo che la solitudine non piaccia a nessuno, ma nonostante questo direi che mettere la giusta distanza sia una cosa saggia, prima dei con-tatti.
E più l'esperienza esistenziale cresce più si capisce la saggezza della giusta distanza.

Avere amici è ciò che vi è di più bello, consolante e significativo nella vita...e credo che tutti la pensino così...un'altra delle mie ovvietà.

Mi domando: se tutti la pensiamo in questo modo perchè e così difficile farsi degli amici?
O è difficile solo per me?

Il post che ho scritto non era tanto una risposta al tuo, quanto mettere le mani avanti, nel timore che qualcuno dicesse: o tempora o mores.
Giorgiosan is offline  
Vecchio 09-02-2009, 19.34.10   #9
paolo pil
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Italia

L’argomento proposto è interessante, e – per me – anche piuttosto complicato.
Condivido ed apprezzo i pareri riportati qui sopra. E non credo proprio di poter aggiungere molto.

Personalmente, non sono iscritto a facebook; forse perché non ho amici.
Non critico chi lo usa, né avrei argomenti (seri) per farlo, salvo i soliti.
Ho però la sensazione che, più rapidamente di quanto non si possa immaginare, possa diventare un luogo ineludibile, pena – sono d’accordo – l’auto-emarginazione (che certamente dovrò affrontare, con rassegnazione).

Ho idea – sia pur vaga – che facebook rappresenti anche la evoluzione più recente di un processo di semplificazione dei costumi che ha origini – provo a dire – “televisive”.

Lo sdoganamento di una certa banalità – in ambito nazionale, almeno – viene dalla televisione commerciale, e poi da quella pubblica appiattita su logiche di concorrenza economica.
E’ triste, ma è così. Non occorre farne un dramma.
Noi utenti siamo vittime, ben inteso. Non carnefici.

Oggi, non ha più senso – lo si vede bene – idolatrare (o criticare con piglio da intellettuale) i vari Tronistii, i vari Emilii Fede, o le belle vallette, o peggio ancora i comici tristi di italia uno. Si tratterebbe di una critica di qualcosa che non esiste. La critica di un cadavere.

La attualità è virata piuttosto verso una trasposizione del totem televisivo dentro un sistema sfaccettato (visto che si parla di facebook); un sistema“personalizzato” che consente a tutti noi di vedere tanti piccoli televisorini (tante piccole italia uno, tanti piccoli totem) per ciascun aderente al network.
Un sistema (questa è la vera novità) che consente a ciascuno di noi di fondare la propria (piccola) rete televisiva, a immagine e somiglianza di quella antica che non c’è più. Quasi come fossimo dei piccoli Berlusconi, dico solo per facile (e non creduta) battuta.

Da tempo – diciamo da due anni – non guardo più la televisione, e in fondo in fondo mi sento un po’ più solo. Mi manca un po’ quello specchio e quella piazza. Mi manca persino il presentatore Corrado.

Ma sento che, pur ricominciando a guardarla, mi sentirei sempre solo: si tratterebbe di ricominciare a guardare una foto sbiadita del totem-focolare-ipnotico di un tempo, evocativa – oramai – di vecchiaia, oltreché (confermativa) di solitudine.
Niente di vivo, di contemporaneo, insomma. Tutto anacronistico.
Invece, iscrivendomi a facebook – ammettendo che io abbia degli amici di facebook – forse troverei pace.
Una pace contemporanea. O più sinteticamente una pace temporanea.

Farei dei test che dicono quanto io sono interessante, come se fossi l’invitato speciale in un programma di AmandaLear, mi iscriverei a gruppi, e userei il titolo di quel gruppo (tipo:“ vuoi andare a quel paese da solo, o hai bisogno del tom tom?”) come il comico televisivo usava le sue battute, fin dai tempi del Drive-in (che oggi puzzerebbe di cadavere, ovviamente). Battute che piacciono, a grandi e piccini. Facebook sarebbe, insieme a me, il co-autore.


In altre parole: la tv non si può più guardare, stante il mefistofelico odore di vecchiaia che promana. Sebbene ancora ci attiri.
Guardiamo allora un sistema di micro-tv dove ciascuno ha la propria.
Ciascuno ne è il regista, il produttore, lo sceneggiatore, l’autore.
E – soprattutto – dove ciascuno di noi può giocare a fare la valletta, il forzuto, il latin lover: basta che pubblichi foto aderenti a quel modello (le uniche che abbiamo, le uniche che possediamo); faccia i test e aderisca ai gruppi-truppa, e si circondi di tanti tanti amici vallette, tornisti, velisti ect. dotati – se possibile – di buone foto del proprio profilo.

Questa – per come la vedo io – è una possibile ragione-“macro” del proliferare, in Italia, di facebook presso i 25-45enni. (mi pare che altrove si sia diffuso ben prima, con altri ritmi, del tutto disallineati rispetto alla crisi della tv commerciale; per di più per altri scopi, precisamente riconducibili – mi dicono – al cd. dating, ossia al prendere gli appuntamenti/dare i propri riferimenti/et similia).
Esistono poi ragioni “micro”, e sovra-nazionali, tipo: farsi gli affari degli altri, pettegolezzo, spionaggio di ex fidanzati/e, et cetera. Sule quali ho ancora meno da dire.


Con facebook siamo meno soli, televisivamente parlando.
Con facebook abbiamo la prima vera occasione di diventare quello che più amiamo: tramutare noi stessi una nuova italia uno.
paolo pil is offline  
Vecchio 10-02-2009, 11.05.03   #10
doxa
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Riferimento: Modalità dell’essere: essere su… (facebook)

Scusa nevealsole ma non riesco a capire il senso della tua domanda/e.
Poiché non abbiamo termini di paragone,dato che, mezzi di comunicazione e spostamento veloci
sono recenti, le analisi sociologiche non possono che essere incomplete.
Non riesco a capire!”contesti, anonimato, superficialità, mancanza di “corrispondenza faccia-pensiero,in facebook, luogo ove in realtà per auto pubblicità si è sovraesposti., mentre ti trovi a tuo agio, riuscendo a comunicare più intimamente, in un forum come questo, dove si é anonimi.
Ora delle due l’una:
-devi avere un contatto diretto per comunicare “l’intimo”,e questo forum non é il luogo ideale
dato che nessuno sa nulla di nessuno, basta dare un’occhiata ai dati personali dei partecipanti,
per comprendere quanto si sia anonimi, oppure,
-non devi avere un contatto diretto per comunicare “l’intimo”, e facebook, per tua definizione,
sembra essere il luogo ideale, dato che puoi venire a conoscenza di informazioni molto ampie
riguardanti la persona con la quale comunichi..
Temo che i paradossi nascano da una mancata definizione condivisa dell’idea che passa sotto il nome di amicizia. Dal canto mio non so dirti esattamente cosa sia( e probabilmente non mi interesse nemmeno dato che sono un solitario e amo l’anonimato), però penso di poter dire quello
che credo non sia: non sia un “luogo” esclusivo, non sia antisociale, non assuma connotati
piccolo-borghesi, non sia “luogo” entro il quale scaricare sulle persone,delle quali si ama la compagnia, grovigli esistenziali, fobie, paure e problemi, stati interiori che non devono essere
utilizzati per tediare gli amici, o si corre il rischio di averne molto pochi, che non sembra essere
quello che la maggior parte delle persone vuole.
Anche la definizione, esseri sociali, entro la quale amiamo collocarci non aiuta, direi che siamo gregari e molto spesso,solo per necessità.
Per arsenio.
Se l’apparire è figlio del feticismo della soggettività( a proposito il contrario qual è, forse totemismo dell’oggettività, e quali di questi due stati dell’essere hanno connotati più marcatamente egoisti?) come puoi sostenere che dove non vi sono soggetti esistano solo false coscienze?Delle due l’una : o siamo soggetti e abbiamo false coscienze o siamo oggetti e abbiamo vere coscienze, ma non mi risulta di oggetti con coscienza.... e se queste false coscienze cercano la propria identità fuori da se stesse come possono i pensieri perdere in spessore e in dialettica che per definizione richiedono confronto?
E come puoi sostenere che queste monadi sperse per il web manchino di profondità(termine orribile) e di responsabilità?...forse che i tuoi scritti, che se non erro sono molti, e quelli di altre migliaia di persone siano tutti da considerarsi superficiali e privi di responsabilità? Poiché se cosi fosse dovresti definire cosa intendi per comunicazione non superficiale e responsabile.
…insomma il web come compimento di soggettività narcisiste con ego ipertrofici incapaci di comunicazione dirette, che però sono disposte a diventare merce in vendita al primo offerente che capita, stravagante alchimia. E cosi anche la vita reale;” attori discrepanti”( cosa voglia dire …) vengono definiti gli uomini che cercano; e l’altro, assume identità solo come auto-riflesso, non capisco: o sono un oggetto che si auto-definisce pensandosi in se stesso, o sono un soggetto che si definisce pensandosi negl’altri. E come faccio a pervenire a una dimensione compiuta di me, se auto-pensandomi mi privo del confronto con la realtà( gli altri)?.
Certo, un sistema c’è, si diventa sociologi.
Infine il filosofo puro è uomo che cerca la dimensione ultima degl’enti indagati, sorta di dimensione oltre la quale non vi é più nulla da dire o da indagare, l’etica non rientra per obbligo in tale ricerca, poiché non necessaria, anzi limite. Salute a tutti
doxa is offline  

 



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