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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 04-07-2009, 08.58.39   #11
Noor
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Riferimento: Un Dubbio che non posso avere...

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Originalmente inviato da Il_Dubbio
la "manifestazione" si attui a poli contrapposti,
la divisione avviene nell'atto della manifestazione.

Nel pensiero però ritornano ad essere uniti ma nello stesso tempo divisi;
Il pensiero, quindi, potrebbe essere anche la manifestazione della coscienza ma dove l'unità è sia divisa che unita. Chi li riunisce? Io credo che a operare questa cucitura sia il dubbio che infatti diventa certezza che questo pensiero unitario esista anche durante la sua manifestazione di divisione.
Certo,la dualità,la polarità emerge soltanto nella manifestazione. Sin qui..
Il punto è che il pensiero è anch’egli manifestazione duale,opera dunque soltanto nella divisione.
Così il anche il dubbio,se con ciò intendiamo la domanda razionale del pensiero che esige una risposta razionale della stesso.
Ciò elide tutte le tue seguenti considerazioni..
C’è forse un fraintendimento su ciò che sia l’intuizione..
questa opera come un balzo quantico e non in modo relazionato al pensiero,ma soltanto quest’ultimo gliene è servo,se ben utilizzato,ovvero senza produrre logicità astratte conseguenti.
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Vecchio 04-07-2009, 10.32.02   #12
Il_Dubbio
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Riferimento: Un Dubbio che non posso avere...

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Originalmente inviato da Noor
Il punto è che il pensiero è anch’egli manifestazione duale,opera dunque soltanto nella divisione.
Così il anche il dubbio,se con ciò intendiamo la domanda razionale del pensiero che esige una risposta razionale della stesso.
Ciò elide tutte le tue seguenti considerazioni..

No, perché? Il dubbio non è un'operazione razionale è una constatazione. Razionalmente io tendo a scegliere, perché, per esempio, mi sembra una più reale dell'altra o perché una mi sembra più realizzabile per certi scopi ecc, nel dubbio non vi è una scelta vi è una constatazione che due supposte realtà divise sono speculari.
Qualche scettico potrebbe a ragione dire: se qualcosa non esiste non potrebbe sapere che non esiste, mentre solo se esiste avrebbe la possibilità di accertarsi che esiste. Quindi solo se io esisto posso intuire che potrei non esistere mentre se io non esisto non potrei intuire che non esisto. Sembra quindi solo una delle due metà più importante (ovvero l'esistere).
Nell'unità invece entrambe sono importanti, infatti io risponderei allo scettico che se l'esistente non avesse interiormente l'altra metà speculare (non esistente) allo stesso modo non potrebbe essere cosciente di esistere cioè non esisterebbe comunque.
Nel dubbio invece queste realtà si riuniscono. Una pietra anche se fosse esistente per noi (per esempio) non potrebbe saperlo per se stesso perché in lui non esisterebbe il dubbio che possa non esistere. Ecco perché ti chiedevo se l'universo sa di esistere... solo nel pensiero umano (non so se il pipistrello è dubbioso, non ci metto la mano sul fuoco) il dubbio opera la grande cucitura che serve per ricreare una coscienza ovvero l'unità.
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Vecchio 04-07-2009, 11.42.27   #13
Il_Dubbio
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avevo detto questo:se io esisto posso intuire che potrei non esistere mentre se io non esisto non potrei intuire che non esisto.

correggo: solo se io esisto posso intuire che potrei non esistere mentre se io non esisto non potrei intuire che esisto.
il resto è invariato...

In sostanza nel mio dubbio amletico essere e non essere sono una cosa sola e solo se entrambi coesistono nell'unità è possibile la coscienza. Dire quindi che la coscienza esista o non esista è priva di senso. Se per esempio io dicessi che non esisto (sempre per rispondere allo scettico) sarebbe ugualmente valida se in me si unisse l'idea dell'esistente. Mentre quando vivono da soli non vi è coscienza.
Quindi il dubbio che non posso avere è che esista l'unione che mi rende cosciente. Un dubbio che porta all'unica certezza sostenibile: la coscienza.

Chiaramente, come dicevo in altro post, il contenuto del mio dubitare è secondario. Non potrei dire neanche che il pensiero operi quell'unione metafisica a cui si aspira poiché nel mio pensiero c'è l'unità ma anche la divisione... e questo non è un particolare trascurabile.
Io non so cosa possa essere l'unità senza la divisione. Non so quale ragionamento razionale potrei fare per credere che l'unità sia una sostanza diversa dalla somma delle sue parti... ma a quel dubbio non sono ancora arrivato! Per ora mi accontento di questa certezza che nel cammino verso l'unione, operata dal mio dubbio, ritrovo la coscienza e che questo pensiero è indubitabile.

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Vecchio 04-07-2009, 17.45.39   #14
Noor
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Originalmente inviato da Il_Dubbio
Una pietra anche se fosse esistente per noi (per esempio) non potrebbe saperlo per se stesso perché in lui non esisterebbe il dubbio che possa non esistere. Ecco perché ti chiedevo se l'universo sa di esistere... solo nel pensiero umano (non so se il pipistrello è dubbioso, non ci metto la mano sul fuoco) il dubbio opera la grande cucitura che serve per ricreare una coscienza ovvero l'unità.

Io non so cosa possa essere l'unità senza la divisione. Non so quale ragionamento razionale potrei fare per credere che l'unità sia una sostanza diversa dalla somma delle sue parti...
Ho compreso il processo dialettico che porta alle tue conclusioni..
Ma l’unità di cui parlo e a cui accenni alla fine del tuo ragionamento,non è figlio di questo processo dialettico del pensiero…
è questo il punto.
Difatti arrivi alla conclusione che non sai quale ragionamento razionale possa condurti a quell’unità che non è somma delle sue parti.
Nessuno, ti avevo risposto ,perchè non potresti in quanto il pensiero opera solo per contrapposizione duale,per questo accennavo alla mente noetica che non è dualistica,ma è intuizione aduale..
E’ proprio quella la coscienza, che è unità e non contiene opposti:
la non-coscienza non v’è che sul piano formale.,dunque la coscienza è tutto.
Ed è tramite la coscienza che il mondo “appare” e possiamo star qui a parlare.
Dunque non ha nessun senso chiedersi della non coscienza,poiché ciò che non è,è soltanto una negazione della mente,non una realtà possibile.
Non è comunque una conclusione logica ciò che fornisco,ma è ciò che la mente noetica sa da sempre perché lo può esperire e dopo lo trasferisce al pensiero:capisci qual è il processo?
Ma un’affermazione non dialettica non è oggi accettabile dalla comunità filosofica..
ma la verità è senza tempo ed è verificabile (non col pensiero dunque),e può coincidere oggi ciò che affermava già Parmenide,certi mistici, o gli Indu..
Solo di ciò sto parlando:nè di banchi di scuola,nè di processi logici..
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Vecchio 04-07-2009, 20.26.19   #15
Gaffiere
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Caro Noor, direi che la figura di Parmenide è davvero paradossale, così vicino all'India e tuttavia così abissalmente distante. Possiamo e vogliamo ricondurlo (e aggiungo: ridurlo) al Vedanta, al Brahman Nirguna? Bene, io credo però che la genialità di questo pensatore stia ben oltre: con lui le parole "essere" e "nulla" acquisiscono definitivamente, una volta per tutte quella radicalità che le sapienze, i linguaggi e le tradizioni pre-ontologiche non potevano possedere. Cosa significa la creazione del mondo in Genesi, nell'Antico Testamento? Forse che lo spirito divino ha dato forma e ordine al caos? E' solo il cristianesimo che inizia a parlare esplicitamente di creatio ex nihilo. E cosa può essere la morte prima di concepire il nulla come assoluta negatività, nihil absolutum? Il divenir altro non è ancora compreso come divenir niente da parte di ciò che diventa altro: morire non significa andare nel niente, ma abbandonare questa terra per andare altrove, morire sapendo d'andare nel nulla è tutt'altra cosa. Il senso di tali parole, cioè, prima di questa testimonianza, rimane nell'assoluta ambiguità. Parmenide evoca questo spazio tremendo, in cui iniziano a consumarsi la sofferenza inaudita del vivente, ma anche le costruzioni e le distruzioni massime, proprio perchè la distanza tra i due termini è infinita, non ultermente ampliabile, sicchè edificare e annientare cominciano a significare il portare e lo spingere da e verso l'assoluta (e non ulteriormente prolungabile) presenza e assenza.
Ma evoca anche l'estrema salvezza, perchè testimonia la legge oppositiva non smentibile: e questo cambia molte cose, perchè allora quell'essere non è banalmente quel certo essere che si oppone al nulla (il Dio della tradizione metafisico-teologica occidentale, il Brahman..), ma ogni essere, la totalità di ciò che si oppone al nulla, che significhe e che è questo opporsi! Che è, ed è necessario che sia, ed è impossibile che (vi sia un momento in cui) non sia.
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Vecchio 04-07-2009, 21.41.44   #16
Il_Dubbio
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Originalmente inviato da Noor
Ma l’unità di cui parlo e a cui accenni alla fine del tuo ragionamento,non è figlio di questo processo dialettico del pensiero…
è questo il punto.

Non è figlio; chiaramente è l'unità che antecede il processo dialettico, ma non è banale che tale processo arrivi alla stessa conclusione senza per questo dover comprendere tale unità.

Il_Dubbio is offline  
Vecchio 05-07-2009, 09.08.04   #17
Noor
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Originalmente inviato da Gaffiere
direi che la figura di Parmenide è davvero paradossale, così vicino all'India e tuttavia così abissalmente distante. Possiamo e vogliamo ricondurlo (e aggiungo: ridurlo) al Vedanta, al Brahman Nirguna? Bene, io credo però che la genialità di questo pensatore stia ben oltre: con lui le parole "essere" e "nulla" acquisiscono definitivamente, una volta per tutte quella radicalità che le sapienze, i linguaggi e le tradizioni pre-ontologiche non potevano possedere.

quell'essere non è banalmente quel certo essere che si oppone al nulla (il Dio della tradizione metafisico-teologica occidentale, il Brahman..), ma ogni essere, la totalità di ciò che si oppone al nulla, che significhe e che è questo opporsi! Che è, ed è necessario che sia, ed è impossibile che (vi sia un momento in cui) non sia.
.
Ridurre Parmenide ad un idealismo monista razionalista,forse sarà ancora un errore,perché lo confina comunque ad un ragionamento dualista e polare,ma così anch’egli ancora si porge..
Andare oltre potrebbe accadere in ogni lettura non assolutista ,ma ancora dialettica,che possa contenere la sintesi di ogni visione,anche la contraddizione che opera ogni affermazione definita rispetto ad un’altra..
Comunque sia è l’Advaita che risolve totalmente il dilemma tra monismo e dualismo,abbandonando la pretesa razionalista superandola con l’esperienza.
Bisognerebbe sempre partire dall’assunto che il campo dell’esperienza umana è sempre maggiore di qualsiasi riduzionismo razionale del pensiero.
Intuendo dunque che la realtà è dialetticamente inafferrabile,abbiamo già superato Parmenide..
Solo l’Advaita Vedanta trova una sintesi che abbraccia ogni polarità,ogni visione,ed è una conclusione unitiva,armonizzante e risolvente,riassorbendosi nel Brahman Saguna (e non dunque nel Brahman Nirguna,come porgi).
Si tratta di ricostruire l’esperienza della realtà prima di ogni nome e forma,ancor prima del momento in cui l'abbiamo trasformata in linguaggio,facendone solo un costrutto mentale e che non è dunque più la realtà,l’esperienza della stessa.
In sintesi ,per dirla coi taoisti:”Il Tao che può essere nominato non è il vero Tao.”L’unico logos infine è il Silenzio,ma è un silenzio “che parla”.
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Vecchio 05-07-2009, 09.19.54   #18
Il_Dubbio
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Originalmente inviato da Crono80
Tornando per un istante ancora sulla lumaca aggiugerei che lei non ha bisogno di predicare categorie contraddittorie ad un soggetto per capire che c'è o per avere una prova logico-ontologica della propria esistenza.
Lei c'è e basta. Le sue sensazioni grezze sono la stessa cosa (o quasi, ma per un ameba lo sarebbero in toto) della sua esistenza.


Ciao

non ti ho risposto subito perché non capivo la tua obbiezione, sembra che però noor l'abbia capita. Comunque ritorniamo alla lumaca: lui riconoscerà un suo amico (che per esempio gli porta da mangiare) da un suo nemico che per esempio potrebbe attaccarlo, ma non avrà il dubbio che nel suo amico potrebbe celarsi un suo nemico e viceversa. Comprendere che si è alla presenza di un amico è poter dubitare che quello sia un vero amico. La categoria "amico" quindi, nella lumaca, non ha senso, non esiste. Lo scettico potrebbe sempre dire che non esiste la categoria "amico", essendo solo una creazione del linguaggio dell'uomo. Potrebbe anche essere vero che il linguaggio aiuti a creare forme e concetti non esistenti, ma creandole le dona esistenza... ed in effetti avevo detto che l'unità è formata dalle due forme antitetiche "esistente-non esistente", quindi qualsiasi cosa può essere creata dal nulla nel pensiero perché l'esistente ha il suo antitetico non esistente e solo se le due coesistono non sono dubitabili (chiaramente quando parlo di non dubitabilità mi riferisco al pensiero non al suo contenuto).

non so se ho risposto alla tua obbiezione
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Vecchio 05-07-2009, 14.47.56   #19
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Originalmente inviato da Noor
Ridurre Parmenide ad un idealismo monista razionalista,forse sarà ancora un errore,perché lo confina comunque ad un ragionamento dualista e polare,ma così anch’egli ancora si porge..
Andare oltre potrebbe accadere in ogni lettura non assolutista ,ma ancora dialettica,che possa contenere la sintesi di ogni visione,anche la contraddizione che opera ogni affermazione definita rispetto ad un’altra..
Comunque sia è l’Advaita che risolve totalmente il dilemma tra monismo e dualismo,abbandonando la pretesa razionalista superandola con l’esperienza.
Bisognerebbe sempre partire dall’assunto che il campo dell’esperienza umana è sempre maggiore di qualsiasi riduzionismo razionale del pensiero.
Intuendo dunque che la realtà è dialetticamente inafferrabile,abbiamo già superato Parmenide..
Solo l’Advaita Vedanta trova una sintesi che abbraccia ogni polarità,ogni visione,ed è una conclusione unitiva,armonizzante e risolvente,riassorbendosi nel Brahman Saguna (e non dunque nel Brahman Nirguna,come porgi).
Si tratta di ricostruire l’esperienza della realtà prima di ogni nome e forma,ancor prima del momento in cui l'abbiamo trasformata in linguaggio,facendone solo un costrutto mentale e che non è dunque più la realtà,l’esperienza della stessa.
In sintesi ,per dirla coi taoisti:”Il Tao che può essere nominato non è il vero Tao.”L’unico logos infine è il Silenzio,ma è un silenzio “che parla”.

E perchè mai la realtà dovrebbe sfuggire ad un'approccio dialettico? Che l'advaita sia in grado di risolvere il dilemma di finito e infinito è un'affermazione da prendere con le pinze (e molte).
Gaffiere is offline  
Vecchio 05-07-2009, 17.27.36   #20
Noor
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Originalmente inviato da Gaffiere
E perchè mai la realtà dovrebbe sfuggire ad un'approccio dialettico? Che l'advaita sia in grado di risolvere il dilemma di finito e infinito è un'affermazione da prendere con le pinze (e molte).
Scusami Gaffiere ma..ho detto:

Bisognerebbe sempre partire dall’assunto che il campo dell’esperienza umana è sempre maggiore di qualsiasi riduzionismo razionale del pensiero.
Intuendo dunque che la realtà è dialetticamente inafferrabile,abbiamo già superato Parmenide..


Non solo Parmenide posso aggiungere adesso,se lo collochiamo dentro il monismo razionale idealista.
(D’altronde altro posto,nella filosofia occidentale,non vedo quale possa prendere ,oggi.)
Credo di avere dunque già risposto.
Se poi vuoi dirmi che così non è chiaro,chiedi pure e perché.

PS Bisognerebbe pur sempre considerare che qualsiasi chiedere della mente presuppone un’opinare ,e questa contiene,ben che vada, una verità relativizzata ad un argomento.
Un argomento non è realtà.
Dunque anche la metafisica ,non essendo un argomento (per quanto ancora qualcuno lo legga come un ramo della filosofia…)ma la realtà stessa,non può essere discussa.
Tutt’al più si offrono punti di visione,che in assoluto,se sono realtà,non possono che coincidere: la Vita non può che coincidere che con se stessa,dunque nel Gioco tutto è previsto..anche l’opinare e il contrapporsi,ma che scuote solo il pensiero e non la realtà che mai cambia.
Noor is offline  

 



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