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Vecchio 10-07-2009, 22.07.49   #51
Il_Dubbio
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Originalmente inviato da epicurus

Su questo siamo perfettamente d'accordo, non mi avevo espresso compiutamente sulla questione. L'unico problema è trovare un equilibrio tra la mia libertà e la solidarietà verso il prossimo, ma questo è un problema pratico (non filosofico) che deve esser risolto a seconda del contesto, usando buonsenso e ragionevolezza.


Ammettiamo per ipotesi che: io sto troppo comodo a casa con le mie cose, e con il mio denaro tento di starci ancora più comodo. Non sto danneggiando nessuno, tutti i miei soldi sono guadagnati. Però scatta una molla, c'è la possibilità che io possa aiutare i bambini che non solo non stanno comodi a casa loro, ma che rischiano di morire di fame. Devo scegliere. Mi potrei accontentare di fare l'elemosina per appagare questo disagio che nasce. Ma non basta...il disagio incomincia a crescere sempre di più, fino a che sono al 50% e 50%. Arrivati a questo punto mi posso accontentare, sto aiutando gli altri e nello stesso tempo mantengo quello che ho (anche se in modo più limitato rispetto a prima). Ho raggiunto l'equilibrio! E' questa la tua ragionevolezza?

Per Albert:

se io avessi un mucchio di soldi (magari) e non stessi aiutando nessuno di quelli che muoiono di fame, li starei danneggiando oppure no?
Se li sto danneggiando potresti dirmi praticamente come deve essere il mio comportamento etico...?
Se invece non li sto danneggiando vorrei comprendere perché danneggerei mia moglie se la pedinassi. Cosa cambierebbe?

Il_Dubbio is offline  
Vecchio 11-07-2009, 09.04.38   #52
Noor
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Riferimento: Una base per l'etica

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Originalmente inviato da z4nz4r0
Ma come sorge questo imperativo? Non è forse un sentimento che ti preme ad aiutarlo? Non è forse tuo esclusivo interesse quello di curarti da quel genere di pena* che tu provi nel vederlo in difficoltà? Ma allora è perché non vuoi patire che devi aiutarlo: ti conviene farlo!


*Un genere di pena che, sì, possiamo facilmente abituarci ad ignorare (come di fatto avviene in molti casi) ma con tutta probabilità sconveniente nel lungo termine (ed è proprio quest'ultimo fatto ad aver esercitato la necessaria pessione per il sorgere di ciò che al giorno d'oggi si è evoluto per noi e per molti altri animali come sentimento di empatia).
Credo che vi sia una solidarietà che è frutto di compassione da distinguere dal sentimento di pena.
Pena è quella anche di colui che uccide il cavallo per non vederlo più soffrire: è un'empatia egoistica in fondo: poichè mi fa star male vederlo così,decido ciò che non mi fa star più male..
Diverso atteggiamento è quello della compassione,ove l'empatia si gioca su un piano "impersonale": si coglie la sofferenza dell'altro che è dell'umano,che è mia;si coglie che non vi è più distanza ,interesse tra me e l'altro.
E' sofferenza che si addolcisce nell'unità con l'altro:non è più la pena per l'altro che viene fuori (che mostrerebbe in fondo soltanto un non-amore verso le proprie inadeguadezze e difficoltà emotive) ma vero amore che va al di la del sè-altro da sè:è questa la compassione.
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Vecchio 12-07-2009, 07.36.08   #53
albert
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Riferimento: Una base per l'etica

Citazione:
Originalmente inviato da epicurus
Se col termine "danneggiare" ti riferisci ad un concetto così ampio che, potremo dire, include il danneggiamento attivo (quello che comunemente chiamiamo "danneggiamento") e il danneggiamento passivo (quello che comunemente chiamiamo "solidarietà"), allora non ho nulla da obiettare.

Sì, intendo il concetto di danneggiare in modo estremamente ampio

Citazione:
Originalmente inviato da epicurus
Se nei miei comportamenti prendo in considerazione solo e assolutamente me stesso, allora sono egoista; mentre se prendo in considerazione anche valori, emozioni e desideri altrui allora non lo sono più.

D’accordo con te sul fatto che negli uomini si possano individuare comportamenti egoistici e comportamenti altruistici. Però quello che ho messo in evidenza è l’interesse personale, che taluni possono perseguire pensando a sè stessi e basta, altri, più sofisticati, perseguono tenendo in considerazione, secondo le tue parole, valori, emozioni e desideri di altri, ottenenendo in questo modo un vantaggio personale perché si instaurano con gli altri relazioni migliori.

Citazione:
Originalmente inviato da epicurus
Io direi che la cosa rilevante della distinzione altruismo/egoismo si trova ad un secondo livello. Non dobbiamo guardare di chi sono i valori/desideri/credenze/etc. che mi spingono ad agire -- perché come ho già detto è ovvio che siano i nostri ed è logicamente inevitabile che sia così -- ma dobbiamo guardare cosa e chi riguardano i nostri valori/desideri/credenze/etc.. Come dicevo, dobbiamo concentrarsi su quest'ultimo livello. Per usare un linguaggio per alcuni più preciso (ma forse più criptico): non dobbiamo considerare quali sono i parametri (valori/desideri/credenze/etc) responsabili delle azioni, ma dobbiamo prendere in esame i parametri dei parametri responsabili delle nostra azioni.

D’accordo. Secondo me l’affermazione che in ultima analisi tutto si riconduce all’interesse personale, più o meno mediato, è a un livello più alto della distinzione altruismo/egoismo. E mi piace pensare che a questo livello ci sia un solo motore, l’interesse personale, piuttosto che una contrapposizione interesse personale/amore per gli altri.

Citazione:
Originalmente inviato da epicurus
Nella vita ci sono moltissime persone che fanno i furbetti, commettendo da piccoli imbrogli a gravi reati, per avvantaggiarsi. Nella vita vera non vale l'argomento "se tutti facessero come me allora...", perché non è vero che se io uccido per rubare del denaro, allora tutti poi uccideranno per rubare il denaro. Se guardo il vantaggio puro e semplice, molte volte conviene comportarsi in modo non etico. E' vero che dobbiamo considerare anche le sanzioni e le pene, ma alcune volte il pericolo è minimo o addirittura inesistente.

Questo è un punto molto delicato. Ci sono sicuramente delle situazioni in cui il comportamento non-etico paga. Perché molti si comportano eticamente in queste situazioni (e così credo farei anch’io)? Secondo me si deve introdurre un nuovo aspetto, il fatto che comportarsi “bene” è bello, è soddisfacente da un punto di vista che potremmo chiamare estetico.

Citazione:
Originalmente inviato da epicurus
Quindi, al contrario tu, io concepisco l'etica come una dimensione in cui si è liberi e si aiuta il prossimo, e si aiuta il prossimo non per interessi personali, ma perché lui sta soffrendo e io devo lenire la sua sofferenza (anche se non amo tale persona, come suggeriva Noor... anche se il termine 'amore' può essere sicuramente esteso per comprendere ciò che intendo io qui, ma non mi piace estendere/tirare troppo le parole).

Ma, come ha detto anche z4nz4ro, perché devo lenire la sua sofferenza? In ultima analisi per interesse personale. L’altruismo esiste, ma alla lunga è riconducibile all’interesse personale.
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Vecchio 12-07-2009, 07.41.08   #54
albert
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Citazione:
Originalmente inviato da epicurus
[...] io concepisco l'etica come una dimensione in cui [...] si aiuta il prossimo, e si aiuta [...] non per interessi personali, ma perché lui sta soffrendo e io devo lenire la sua sofferenza

Citazione:
Originalmente inviato da z4nz4r0
Ma come sorge questo imperativo? Non è forse un sentimento che ti preme ad aiutarlo? Non è forse tuo esclusivo interesse quello di curarti da quel genere di pena che tu provi nel vederlo in difficoltà? Ma allora è perché non vuoi patire che devi aiutarlo: ti conviene farlo!

Perfettamente d’accordo: è proprio questo il genere di considerazioni che mi ha indotto a pensare che sia conveniente riportare ogni comportamento all’interesse personale.
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Vecchio 12-07-2009, 10.23.51   #55
emmeci
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Così, siamo tornati al millenario problema dell’egoismo-altruismo, che ha agitato i filosofi, senza riguardo per le loro tendenze positivistiche, idealistiche o libertarie. Infatti si può ricordare che fu Comte a coniare il termine “altruismo” per designare “il cardine della morale positivistica” esplicitamente spiegata come un “vivere per gli altri”, mentre fu il solipsista Stirner ad assumersi il compito di affermare un egoismo talmente esteso da spiegare l’amore per gli esseri umani “perché così mi piace”. Ma forse ad Albert piacerà di più il teorema di J.Kalin che mi pare suoni: “per ogni persona x e ogni azione y, x dovrebbe moralmente fare y se e solo se y va nell’interesse di x”, che è poi quello di quegli evoluzionisti duri e puri per i quali se un’ape o, presumibilmente, un uomo si sacrifica per salvare altri è perché ha fatto un raffronto fra il numero dei suoi geni e il loro.
Sarà così, anche se non mi spiego quella sensazione che ogni tanto ci prende di vederci staccati da noi, sì, di scorgerci da lontano come se fossimo altri, assunti – per un poco – in un altro universo….
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Vecchio 12-07-2009, 20.26.23   #56
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Originalmente inviato da Noor
Credo che vi sia una solidarietà che è frutto di compassione da distinguere dal sentimento di pena.
Pena è quella anche di colui che uccide il cavallo per non vederlo più soffrire: è un'empatia egoistica in fondo: poichè mi fa star male vederlo così,decido ciò che non mi fa star più male..
Diverso atteggiamento è quello della compassione,ove l'empatia si gioca su un piano "impersonale": si coglie la sofferenza dell'altro che è dell'umano,che è mia;[...]
Non riesco proprio a concepire la distinzione che proponi.
Inoltre, non ho ben capito, vorresti forse suggerire che la sofferenza di quello che ci è più simile ispira più compassione rispetto alla sofferenza quantitativamente uguale o maggiore di un'entità senziente che ci somiglia dimeno?



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Originalmente inviato da albert
Perfettamente d’accordo: è proprio questo il genere di considerazioni che mi ha indotto a pensare che sia conveniente riportare ogni comportamento all’interesse personale.
(Diciamo ogni comportamento oltre una certa complessità, "dettati" da effettive intenzioni).
Tanto che attribuendo in modo appropriato desideri e credenze possiamo facilmente prevedere i comportamenti di entità enormemente complesse. Questa strategia (l'attribuire desideri e credenze allo scopo di prevedere il comportamento di entità di una certa complessità) è chiamata, dal filosofo della mente Daniel Dennett, "atteggiamento intenzionale".

[Assumiamo diversi atteggiamenti a seconda di ciò con cui ci troviamo ad avere a che fare; ad esempio quando dobbiamo pevedere il comportamento di entità relativamente semplici possiamo assumere l'atteggiamento fisico: conoscendo sufficientemente le proprietà dei suoi componenti e la loro configurazione ad un certo istante t. possiamo prevedere, entro una certa soglia d'errore abbastanza piccola, l'evoluzione di un sistema abbastanza semplice. Ma quando il sistema ha una certa complessità, tentare di prevedere il suo comportamento in base alla conoscenza dei suoi costituenti "elementari" è, a tutti i fini pratici, impossibile.]



Citazione:
Originalmente inviato da emmeci
“per ogni persona x e ogni azione y, x dovrebbe moralmente fare y se e solo se y va nell’interesse di x”
...Dovrebbe ragionevolmente, e in unltima analisi - una lunga analisi - direi che si, è morale un comportamento ragionevole.
Citazione:
Originalmente inviato da emmeci
, che è poi quello di quegli evoluzionisti duri e puri per i quali se un’ape o, presumibilmente, un uomo si sacrifica per salvare altri è perché ha fatto un raffronto fra il numero dei suoi geni e il loro.
Nessun evoluzionista "duro e puro" direbbe mai una tale castroneria!
Le spiegazioni evoluzionistiche sono sempre parecchio complesse e francamente credo che, nella maggioranza dei casi, caricature come quella che hai fatto derivino dalla mancanza di un impegno opportuno nel tema.
Ovviamente si tratta di predisposizioni che sono biologiche in certi casi, culturali in altri casi, favorevoli alla persistenza di un genoma nel primo caso, di una cultura nell'altro caso.

Detto in maniera abbondantemente semplicistica, i geni, nel fare loro interesse (in senso lato), dotano i loro veicoli (noi ad esempio) di particolari percettività/emozioni/sentimenti, in modo che questi ultimi, nel perseguire il loro interesse (autentico) - e cioè curandosi dei propri sentimenti - fanno indirettamente anche l'interesse dei loro geni.
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Vecchio 12-07-2009, 23.28.07   #57
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Originalmente inviato da z4nz4r0
Non riesco proprio a concepire la distinzione che proponi.
Inoltre, non ho ben capito, vorresti forse suggerire che la sofferenza di quello che ci è più simile ispira più compassione rispetto alla sofferenza quantitativamente uguale o maggiore di un'entità senziente che ci somiglia dimeno?
Nessuna distinzione tra le entità:era solo un esempio come un'altro.
Per il resto capisco la tua difficoltà che,da come raccolgo, non è solo tua:
non serve parlare del rosso a chi conosce il blu ma non il rosso.
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Vecchio 13-07-2009, 13.43.35   #58
Bub
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Ma come si fa ad indicare cosa va nel nostro interesse senza usare un qualche schema che dà un certo valore alle cose? Ad esempio "guadagnare molti soldi" va nel nostro interesse? "vivere in povertà" va nel nostro interesse? "Uccidere" va nel nostro interesse?
Io capovolgerei le cose, non è l'interesse a fondare la morale, ma buona parte della morale a fondare l'interesse.
Un giudizio di ciò che è bene (per noi o per gli altri) deve inevitabilmente precedere anche la valutazione di cosa va nel nostro interesse.
Non si può fondare ciò che è bene a partire da quel che va nel nostro interesse perché questo giudizio (ciò che va nel nostro interesse) deve fondarsi inevitabilmente su ciò che è bene secondo noi.

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Ma come sorge questo imperativo? Non è forse un sentimento che ti preme ad aiutarlo? Non è forse tuo esclusivo interesse quello di curarti da quel genere di pena* che tu provi nel vederlo in difficoltà? Ma allora è perché non vuoi patire che devi aiutarlo: ti conviene farlo!

Anche qui la catena non si può arrestare a questo “ti conviene farlo” perché provare pena non implica ancora un vero giudizio negativo su questo stato di cose. Che provi pena è vero, ma perché ti conviene non provarla? Ossia perché ti conviene evitare la pena? La convenienza deve comunque fondarsi su un qualche giudizio individuale di valore dato a cose, sentimenti, azioni e persone che non può trovare un vero fondamento psicologico ulteriore secondo me da nessuna parte.

La cosa complicata a mio avviso è riuscire a capire se i giudizi morali base sono semplicemente preferenze personali o se vanno in una certa misura distinti da queste. In entrambi i casi però non si riesce a trovare un fondamento psicologico ulteriore all’agire umano che superi questi giudizi base.
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Vecchio 13-07-2009, 19.24.37   #59
chlobbygarl
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Ma come sorge questo imperativo? Non è forse un sentimento che ti preme ad aiutarlo? Non è forse tuo esclusivo interesse quello di curarti da quel genere di pena* che tu provi nel vederlo in difficoltà? Ma allora è perché non vuoi patire che devi aiutarlo: ti conviene farlo!
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Perfettamente d’accordo: è proprio questo il genere di considerazioni che mi ha indotto a pensare che sia conveniente riportare ogni comportamento all’interesse personale.
La pena è un sentimento che contiene già in sè il concetto di "altro", per questo motivo non la si può definire essenzialmente afferente ad un interesse personale.Per lo stesso motivo la discussione è inficiata : se la discriminante sono i sentimenti e i comportamenti ad essi conseguenti personalmente vantaggiosi , diventa pressochè indecidibile quanta parte abbia l'altro come entità in sè nella eziologia di quel sentimento e quanta invece ne abbia il mio singolo sè, cui riferire ogni mia azione secondo causalità ontologica.

D'altra parte, uscendo dall'etica del codice della strada, non ogni sentimento che pure muova dal vincolo del primum non ledere qui proposto e che contenga anche la nozione di 'altro' basta a definirsi 'etico' : l'esempio classico e definitivo è quello dello staccare la spina ad un sofferente; chi decide in tal caso qual'è il sentimento di pena più degno da cui far derivare l'ethos migliore?Quale etica condivisa è possibile in quel caso (di questo parliamo credo, una base si presuppone massimamente estendibile, per l'etica)?Posto che dio e l'aldilà non sono dimostrabili e allo stesso tempo non sono indimostrabili, chi decide in modo inappellabile cosa è etica e cosa no in quel caso?

O torniamo alla consueta aberrazione per la quale solo un non credente può avere un'etica da condividere (con chi non crede..)?O ancora, fondiamo i sentimenti solo su evidenze razionali?Razionali a chi?

Chi decide insindacabilmente quanto sia oggettivo il sentimento con il quale osserviamo gli eventi?Se io attraverso la strada e vedo un ferito gravissimo che ove sopravvivesse passerebbe una vita in carrozzella o intubato, e quindi NON lo soccorro, osservo il primum non ledere?
chlobbygarl is offline  
Vecchio 14-07-2009, 10.37.11   #60
Bub
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Originalmente inviato da chlobbygarl
Chi decide insindacabilmente quanto sia oggettivo il sentimento con il quale osserviamo gli eventi? Se io attraverso la strada e vedo un ferito gravissimo che ove sopravvivesse passerebbe una vita in carrozzella o intubato, e quindi NON lo soccorro, osservo il primum non ledere?

Può darsi però che due persone che agiscono diversamente in questa situazione partono da una stessa base etica: magari la differenza consiste nella loro base di conoscenza. Chi soccorre il ferito magari può reputare più probabile una guarigione, mentre chi non lo soccorre più probabile una interminabile degenza. Il nostro agire ovviamente dipende oltre che da certe motivazioni anche da cosa crediamo vero o falso, più probabile o meno probabile.

Ultima modifica di Bub : 15-07-2009 alle ore 08.41.56.
Bub is offline  

 



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