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Vecchio 17-08-2009, 12.33.29   #11
Sesbassar
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Riferimento: Aut fides aut ratio?

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Originalmente inviato da La_viandante
Correggimi se ho inteso male quello che vuoi dire ma mi pare tu voglia dare dimostrazione di come in te la fede è nata attraverso un atto razionale, e dunque la ragione è il tramite per giungere alla fede.

non ho detto niente di tutto questo

mi sembra di essermi spiegato abbastanza bene precedentemente, ma proverò ad essere ancora più chiaro:
i sentimenti non sono del tutto irrazionali, in parte nascono da precise esperienze fatte, che non li determinano (altrimenti avremmo la fabbrica dei sentimenti pronta all'uso), ma che aiutano a suscitarli;
le esperienze non sono irrazionali, sono eventi che ci sono capitati: la fede religiosa, analogamente agli altri sentimenti umani ma con un referente tutto speciale quale è Dio, nasce in seguito ad un'esperienza, non ad un ragionamento (altrimenti sarebbe conoscenza non fede);

quello che intendo non è dire che la fede è spiegabile razionalmente in tutto e per tutto, ma che è possibile per me credente dire ad un non credente: guarda, l'esperienza di fede è simile all'esperienza degli affetti; questa analogia può però essere compiuta solo da me in quanto ho presente tutt'e due i tipi di sentimento: l'analogia serve al mio interlocutore per avere un'idea di ciò di cui parlo;

questo non vuol dire chebisogna basare il proprio approccio alla vita solo sulla fede nel soprannaturale, sarebbe fideismo (e Giovanni Paolo II è stato chiaro nel considerarlo un errore), ma che la propria attività razionale è permeata dalla fede che si sta vivendo, e che al di fuori di essa non è possibile pensare (per il credente);
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Vecchio 17-08-2009, 13.03.59   #12
Franco
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Riferimento: Aut fides aut ratio?

Sesbassar,

il corsivo sarà tuo.

Certo, il linguaggio è fondamentale, e qui in Riflessioni soprattutto quello concettuale.

A questo punto mi sembra necessario ripetere il concetto fondamentale del mio ultimo intervento:

- il tuo interevento é centrato sulla nozione di analogia ed è tra l'altro un'analogia caratterizzante il poderoso movimento della teologia cristiana contemporanea tanto protestante quanto cattolica.

Trattasi di un'analogia scorretta giacchè fondata sull'identificazione altrettanto scorretta di fede come fiducia e fede come credenza nella realtà di un ente in quanto tale.


Che analogia non equivalga ad identità é indiscutibile nell'economia del nostro discorso. T' invito pero' a leggere con attenzione. Cio' che é scorretto nel tuo discorso è proprio la pertesa di spiegare "il rapporto con il divino" in base ad un sentimento umano indiscutibilmente reale.

Meno astrattamente:

"credere in un Dio trascendente è il riporre la propria fiducia in una persona della quale si ritiene l'esistenza a causa di un esperienza spirituale"

-Se è certo che un essere umano possa nutrire un sentimento di fiducia "verso" un altro essere umano, non è altrettanto certo che lo stesso essere umano possa nutrirlo verso un ente il cui esser-reale è un punto interrogativo. Nel primo caso il sentimento di fiducia è pieno tanto di soggetto quanto di oggetto. Soggetto e oggetto del sentimento sono qui irrefutabilmente reali.

Quanto citato per ultimo è proprio ciö che una certa ragione non puo' accettare. Un grosso problema è che la fede, anche quella intesa come fiducia, deve esperimersi con il linguaggio della ragione. Quanto citato per untimo puo' anche essere letto conme un gioco del linguaggio verbale e della fantasia.

Nel dettaglio:

- Credere in un Dio trascendente. Trascendente rispetto a cosa? Cos'è qui il credere ? e cosa ha a che fare questo tipo di credenza con la fiducia posta nella stessa frase? Sono forse la stessa cosa?

Credere in un dio trascendente è riporre la fiducia. Non ci siamo. Asserirlo significherebbe proprio porre quell'identificazione che vorresti attribuirmi.

Credere in un Dio trascendente è riporre la fiducia. Qui c'è molta fede e posta in modo per nulla chiaro.

Credere in Dio trascendente è ripore la fiducia. Che tipo di fede è in gioco in queste parole? Credere il Dio Trascendente è riporre la fiducia? Sono la stessa cosa? Sono o non sono la stessa cosa? Come faccio a riporre la fiducia in un ente trascendente, vale a dire in une ente che necessita di essere creduto come realmente -essente? Queste sono solo alcune dlle domande che rendono assai problematica anche solo la posizione della tua analogia.

"la fede antropologica è di sicuro differente dalla fede religiosa, poichè la seconda si riferisce al Totalmente Altro, il quale non è conoscibile come le persone che ci stanno accanto, semplicemente esse indicano un'apertura del "credente" che è simile per tutt'e due i casi..."

-Le fede antropologica differisce sicuramente da quella religiosa perchè il suo oggetto è indiscutibilmente reale.

-la fede antropologica differisce da quella religiosa perchè la seconda si compone tra l'altro di un linguaggio adatto alla sfera dell'ente reale. Cosa sarebbe infatti il totalmente altro? E perchè mai dovrebbe esser-personale e tri-personale? E perchè mai il totalmente altro dovrebbe essere di forma religiosa? Chi lo afferma e con quale "diritto"?

Franco

Ultima modifica di Franco : 17-08-2009 alle ore 13.27.48.
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Vecchio 17-08-2009, 14.02.27   #13
Sesbassar
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Riferimento: Aut fides aut ratio?

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Originalmente inviato da Franco
Sesbassar,

- il tuo interevento é centrato sulla nozione di analogia ed è tra l'altro un'analogia caratterizzante il poderoso movimento della teologia cristiana contemporanea tanto protestante quanto cattolica.

Trattasi di un'analogia scorretta giacchè fondata sull'identificazione altrettanto scorretta di fede come fiducia e fede come credenza nella realtà di un ente in quanto tale.


Che analogia non equivalga ad identità é indiscutibile nell'economia del nostro discorso. T' invito pero' a leggere con attenzione. Cio' che é scorretto nel tuo discorso è proprio la pertesa di spiegare "il rapporto con il divino" in base ad un sentimento umano indiscutibilmente reale.

Meno astrattamente:

"credere in un Dio trascendente è il riporre la propria fiducia in una persona della quale si ritiene l'esistenza a causa di un esperienza spirituale"

-Se è certo che un essere umano possa nutrire un sentimento di fiducia "verso" un altro essere umano, non è altrettanto certo che lo stesso essere umano possa nutrirlo verso un ente il cui esser-reale è un punto interrogativo. Nel primo caso il sentimento di fiducia è pieno tanto di soggetto quanto di oggetto. Soggetto e oggetto del sentimento sono qui irrefutabilmente reali.

Quanto citato per ultimo è proprio ciö che una certa ragione non puo' accettare. Un grosso problema è che la fede, anche quella intesa come fiducia, deve esperimersi con il linguaggio della ragione. Quanto citato per untimo puo' anche essere letto conme un gioco del linguaggio verbale e della fantasia.

Perfetto; mi sembra che il nodo del problema sia: la conoscenza di Dio è dissimile da ogni altro tipo di conoscenza che l'uomo può avere; il punto è proprio che l'iniziativa, nella prospettiva credente, non è dell'uomo: l'uomo viene interpellato, e risponde; la fede non è solo un moto dell'uomo ma è già un dono di Dio;
non è l'uomo che conosce, ma Dio si fa conoscere: è questa l'esperienza a cui mi riferisco; l'interpellante è diverso da ogni interpellante di questo mondo, concordo, fatto sta che io mi sono sentito interpellato, e successivamente, in base all'approfondimento della religione cattolica ho deciso che essa era la più adatta a attuare ciò che ho provato;
Se il punto di partenza fosse l'uomo avresti pienamente ragione, il tuo ragionamento, come quello di tutti gli altri che ti hanno preceduto, fila eccome; il punto di partenza però non è l'uomo, ma Dio.
Il non credente ora ha tutto il diritto di replicare: ma di questo Dio tu supponi l'esistenza non ne sei certo; come non sono certo che la mia famiglia mi ami: me lo aspetto da loro, ma la sfera degli affetti non può venire provata;
la credenza in Dio non parte da me, ma da Dio che si propone;
successivamente a questa esperienza potrò ragionare per capire che cosa fosse: nel mio caso ho deciso di rifarmi alla religione cristiana, poichè l'ho ritenuta la più adatta;
la ragione serve come discrimine per dire: dopo questa esperienza, che cosa ha senso per la mia vita e che cosa no? per evitare credenze assurde come le superstizioni, le quali mi pare di averlo già detto nascono da una fede senza la ragione (e questo vale per ogni fede, anche non cristiana o cattolica);

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Originalmente inviato da Franco
Nel dettaglio:

- Credere in un Dio trascendente. Trascendente rispetto a cosa? Cos'è qui il credere ? e cosa ha a che fare questo tipo di credenza con la fiducia posta nella stessa frase? Sono forse la stessa cosa?

Credere in un dio trascendente è riporre la fiducia. Non ci siamo. Asserirlo significherebbe proprio porre quell'identificazione che vorresti attribuirmi.

Credere in un Dio trascendente è riporre la fiducia. Qui c'è molta fede e posta in modo per nulla chiaro.

Credere in Dio trascendente è ripore la fiducia. Che tipo di fede è in gioco in queste parole? Credere il Dio Trascendente è riporre la fiducia? Sono la stessa cosa? Sono o non sono la stessa cosa? Come faccio a riporre la fiducia in un enet trascendente, vale a dire in une ente che necessita di essere creduto come realmente -essente? Queste sono solo alcune dlle domande che rendono assai problematica anche solo la posizione della tua analogia.

"la fede antropologica è di sicuro differente dalla fede religiosa, poichè la seconda si riferisce al Totalmente Altro, il quale non è conoscibile come le persone che ci stanno accanto, semplicemente esse indicano un'apertura del "credente" che è simile per tutt'e due i casi..."

-Le fede antropologica differisce sicuramente da quella religiosa perchè il suo oggetto è indiscutibilmente reale.

-la fede antropologica differisce da quella religiosa perchè la seconda si compone tra l'altro di un linguaggio adatto alla sfera dell'ente reale. Cosa sarebbe infatti il totalmente altro? E perchè mai dovrebbe esser-personale e tri-personale? E perchè mai il totalmente altro dovrebbe essere di forma religiosa? Chi lo afferma e con quale "diritto"?

Che Dio è trascendente significa proprio che il modo di conoscerlo è diverso da quello di conoscere ogni altra persona;
Io affermo semplicemente che è Dio che si è fatto conoscere prima a me: le modalità di questo incontro non sono definibili in termini umani, e, ripeto, per questo si usa l'analogia, non per nascondersi, ma per "gettare" un ponte a chi altrimenti non avrebbe modo di capire di cosa sto parlando;

Dopo l'incontro primigenio (in teologia chiamato fides qua) sta a me decidere a che tradizione rifarmi (o se non rifarmi ad alcuna tradizione): questa scelta si basa sul mio giudizio a proposito della aderenza o meno del contenuto di fede propostami da tale tradizione (in teologia chiamata fides quae) alla mia esperienza;

infine, capisco la differenza tra fede come fiducia e fede come credenza,e non le confondo; la mia credenza (che non può avere prove tangibili, empiriche) si basa in modo analogo alla fede come fiducia, ovvero pur essendone diversa (come giustamente è stato notato, per differenza di referente), essa presenta lo schema incontro-esperienza-fiducia; la differenza sta nel tipo di incontro, ed è per questo che la dichiaro un'analogia, e non un'identità;

mi rendo conto che il punto di vista del credente non sia facile da capire, poichè in ultima istanza non si può capire e determinare del tutto l'esperienza di fede (e questo dovrebbe essere chiaro a tutti i credenti che pretendono di basare il funzionamento dell'intera società su assunti di fede), altrimenti vi chiederei una cosa impossibile, cioè diventare credenti a comando quello che vi chiedo è piuttosto di riflettere e capire che l'esperienza è simile, anche se non uguale, e che piuttosto che essere una definizione è uno strumento per capirci...
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Vecchio 17-08-2009, 14.36.58   #14
Noor
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Riferimento: Aut fides aut ratio?

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Originalmente inviato da epicurus
La fede religiosa è prima di tutto credenza/belief, solo successivamente può essere fiducia/trust, e questa è una semplice costatazione concettuale. Intendo dire che prima si deve credere/believe nell'esistenza di Dio e solamente dopo ci si può fidare/trust di lui (è evidente che non può essere il contrario per ragioni, mi ripeto, concettuali-grammaticali).

Questa asserzione è una credenza di chi non ha avuto l’esperienza…
Faccio allora un altro esempio..magari più banale per divenire più comprensibile..
Così come il bambino soltanto per cieco amore si fida della madre,
allo stesso modo, per Amore verso altra Madre (che innanzitutto è l’Ignoto in cui tuffarsi e non credenza in altra esistenza diversa da ciò che si è!)
precedendo ogni ragione (ciò mostrando su tutto un’apertura che è domanda irrazionale poiché richiama soltanto una risposta di silenzio verbale)
sboccia naturalmente da sé nello stesso momento e non conseguentemente,
(proprio perché d’amore e non di ragione è nutrita)
la fiducia-fede.
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Vecchio 17-08-2009, 19.56.05   #15
Franco
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Riferimento: Aut fides aut ratio?

Sesbassar,

il corsivo sarà ancora tuo.

"mi rendo conto che il punto di vista del credente non sia facile da capire, poichè in ultima istanza non si può capire e determinare del tutto l'esperienza di fede (e questo dovrebbe essere chiaro a tutti i credenti che pretendono di basare il funzionamento dell'intera società su assunti di fede), altrimenti vi chiederei una cosa impossibile, cioè diventare credenti a comando quello che vi chiedo è piuttosto di riflettere e capire che l'esperienza è simile, anche se non uguale, e che piuttosto che essere una definizione è uno strumento per capirci...



No, il punto di vista del "cerdente" non é cosi' difficile da comprendere. "Basta" analizzarlo con un certo rigore.

"Perfetto; mi sembra che il nodo del problema sia: la conoscenza di Dio è dissimile da ogni altro tipo di conoscenza che l'uomo può avere; il punto è proprio che l'iniziativa, nella prospettiva credente, non è dell'uomo: l'uomo viene interpellato, e risponde; la fede non è solo un moto dell'uomo ma è già un dono di Dio;
non è l'uomo che conosce, ma Dio si fa conoscere: è questa l'esperienza a cui mi riferisco; l'interpellante è diverso da ogni interpellante di questo mondo, concordo, fatto sta che io mi sono sentito interpellato, e successivamente, in base all'approfondimento della religione cattolica ho deciso che essa era la più adatta a attuare ciò che ho provato;"


Non cosi' perfetto. Il nodo del problema é la tua analogia. Analogia che è insostenibile, e lo ripeto. Una certa ragione non puo' accettarla perchè è inaccettabile.

Se tu m'avessi detto:" ho fiducia in Dio cosi' come altri esseri umani hanno fiducia in una determinata specie di UFO avrei replicato con :" bella analogia". Il credere fiducioso in "Dio" è simile, analogo al credere fiducioso in a determinata forma di UFO. Tra fiducia in un altro essere umano e fiducia in "Dio" o in determinata specie di UFO si da un abisso incolmabile in termini di analogia. Le due "esperienze " sono incomparabili.


"Perfetto; mi sembra che il nodo del problema sia: la conoscenza di Dio è dissimile da ogni altro tipo di conoscenza che l'uomo può avere; il punto è proprio che l'iniziativa, nella prospettiva credente, non è dell'uomo: l'uomo viene interpellato, e risponde; la fede non è solo un moto dell'uomo ma è già un dono di Dio;"

In base a cosa puoi asserirlo? Come puoi affermare che la conoscenza di "Dio" è dissimile da ogni altro tipo di conoscenza? Conosci forse ogni tipo di conoscenza umana? Ti è stato forse semplicemente insegnato cosi? Anche qui si nasconde un giudizio di valore di tipo gnoseologico. La tua asserzione puo' ad esempio essere resa nella maniera seguente: la conoscenza di "Dio" è dssimile in quanto essenzialmente superiore ad ogni altro tipo di conoscenza umana.

Cio' che il credente dovrebbe imparare fare quando intende comunicare la propria esperienza è l'uso di un linguaggio concettuale corretto: cio' che dovrebbe dire dinanzi alla famiglia umana è: credo ( non nel senso della fiducia) che la consocenza di "Dio" sia dissimilie da ogni altra esperienza umana. Far leva sulla formula di "prospettiva" del credente non serve a molto dinanzi al tribunale di una certa ragione. Cio' che il credente effettivamente fa è invece proprio lo scambio arbitrario della fede come credenza con la fede come fiducia.

Cio che il credente puo' dire con diirtto è di credere nel dono, cosi come di credere nella chiamata.

Trattasi di un grande trucco, uno dei piü grandi trucchi della storia.

Cio che segue è una serie di variazioni sul tema di questo trucco.


"non è l'uomo che conosce, ma Dio si fa conoscere: è questa l'esperienza a cui mi riferisco; l'interpellante è diverso da ogni interpellante di questo mondo, concordo, fatto sta che io mi sono sentito interpellato, e successivamente, in base all'approfondimento della religione cattolica ho deciso che essa era la più adatta a attuare ciò che ho provato;
Se il punto di partenza fosse l'uomo avresti pienamente ragione, il tuo ragionamento, come quello di tutti gli altri che ti hanno preceduto, fila eccome; il punto di partenza però non è l'uomo, ma Dio."


Ciö che puoi dire è che credi che sia "Dio" a farsi conoscere e che credi che l'interpellante sia diverso da ogni interpellante di questo mondo.

Chiesto per inciso: " a cosa pensi esattamente quando dici "questo mondo"? Quali sarebbero i limiti di "questo mondo"? Quali sarebbero i limiti di questo mondo rispetto a cui si differenzierebbe l'eccellenza dell'intrerrogante che identifichi con "Dio"?

Il tuo linguaggio, almeno nella misura in cui è stato posto fin qui, è fortemente super-stizioso. Gli oggetti, le cose, gli enti, le esperienze cui si riferisce stanno sopra, super-stanno in quanto "coperti" dallo scambio apparentemente non identificabile del linguaggio che si riferisce al reale con il linguaggio che si riferisce ad un "immaginario" spacciato per reale.

Franco

-

Ultima modifica di Franco : 17-08-2009 alle ore 20.20.46.
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Vecchio 17-08-2009, 22.08.46   #16
Giuppe
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Riferimento: Aut fides aut ratio?

Citazione:
Originalmente inviato da Sesbassar
Recentemente, a causa dei miei studi in seminario mi sono trovato a leggere varie posizioni di autori atei, tra cui Paolo Flores D'Arcais, Michel Onfray, per citare i più recenti, e il pensiero di fondo che traspare (o che è più che esplicito) nei diversi autori è l'irrazionalità della fede.


questi autori che tu citi hanno una visione della realtà abbastanza ristretta.

come si fa a bollare la fede come irrazionale quando:
1)la nostra realtà si scontra agli estremi con l'irrazionale e quindi col concetto di non-senso o infinito irrisolvibile.
2)quando poi sappiamo che abbiamo solo cinque sensi e che l'universo è infinto ed è infinitamente distinto,
3)quando sappiamo che la razionalità che usiamo e propio frutto dei nostri stessi sensi e quindi costruita sulla parte di universo che riusciamo a vedere.
4)quando sappiamo che ogni cosa che percepiamo è sempre una misura approssimata.

a me sembra invece (sulla base dei motivi che ho espresso qua sopra) davvero irrazionale credere fortemente nella nostra razionalità come fonte pura di ogni verità.

Anzi mi dovessi sforzare di dire la cosa più razionale possibile, forse direi che infinite cose sono possibili.

Credere che Dio esiste secondo me non è per niente irrazionale.

Anzi secondo i ragionamenti che ho fatto all'inizio mi sembra molto razionale(direi molto intuitivo) credere negli spiriti e nelle vite su altri piani.

Ultima modifica di Giuppe : 17-08-2009 alle ore 22.39.07.
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Vecchio 17-08-2009, 22.48.59   #17
Noor
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Riferimento: Aut fides aut ratio?

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Originalmente inviato da Franco
Come puoi affermare che la conoscenza di "Dio" è dissimile da ogni altro tipo di conoscenza? Conosci forse ogni tipo di conoscenza umana?
Gli oggetti, le cose, gli enti, le esperienze cui si riferisce stanno sopra, super-stanno in quanto "coperti" dallo scambio apparentemente non identificabile del linguaggio che si riferisce al reale con il linguaggio che si riferisce ad un "immaginario" spacciato per reale.-


Non bisogna conoscerle tutte le conoscenze per poter asserire che quella mistica è diversa,ad esempio,da qualsiasi percezione senziente.
Altro punto da considerare: bisognerebbe accordarsi a quali mezzi di conoscenza si fa riferimento: a quella diretta,quindi non prodotta da inferenza,e che non comporti molti ragionamenti , deduzioni…o ad altri?

Vedo che parli spesso di reale..dando così per scontato che tutti si riferisca alla stesso punto prospettico o di visione..
anche questa ,vedi,può essere una credenza o se preferisci,una superstizione..
Credo che possa nascere proprio da questo punto tanta confusione nel comprendersi..
In metafisica,ad esempio,per reale si può intendere ciò che è sempre uguale a se stesso e che sottende il fenomeno-manifestazione e non esserne lo stesso (e che dunque nella sua impermanenza sostanziale,non ha nessun valore assoluto di reale,quanto soltanto essere una sovrapposizione mentale allo stesso..)
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Vecchio 18-08-2009, 10.49.36   #18
emmeci
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Riferimento: Aut fides aut ratio?

Riprendo il punto, messo in rilievo da Epicurus, che con la tua scelta – Sesbassar - hai limitato non solo il compito della ragione, ma anche la fede: la quale nelle sue origini e nei suoi sviluppi va ben oltre i confini del cattolicesimo. Perché è evidente che non c’è una sola religione al mondo, e la scelta può non essere così ovvia ma perfino fonte di aspre battaglie, come è stata ed è ancora qui e là nel mondo. Secondo: tutte le religioni sono storiche, e storia significa in qualche misura mutazione per non dire vita e morte.
In conclusione: proprio il tuo fare appello alla ragionevolezza sembra minare alle basi una certezza esclusiva, quale potrebbe venire dal lampo che coglie sulla via di Damasco, superando il bisogno di un forum. Certo tu potresti dire, come san Tommaso, che filosofia e religione hanno un unico scopo: quello di conoscere la verità, anche se, in confronto a quella della rivelazione, la via del filosofo è tanto più tormentosa e più lunga – come probabilmente ha voluto avvertire la Viandante. Eh sì, questo devo riconoscerlo anch’io Sesbassar, ma che ci vuoi fare? Il compito di un forum filosofico non è quello di un seminario e forse neppure quello di condurre sulla via di Damasco, ma di continuare a cercare….
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Vecchio 18-08-2009, 20.10.45   #19
Franco
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Noor,

il corsivo sarà tuo.

"Vedo che parli spesso di reale..dando così per scontato che tutti si riferisca alla stesso punto prospettico o di visione..
anche questa ,vedi,può essere una credenza o se preferisci,una superstizione..
Credo che possa nascere proprio da questo punto tanta confusione nel comprendersi.."


Spesso si fa "confusione nel comprendersi" perché non ci si legge ed ascolta con attenzione.

Il mio discorso è ben piü articolato, Noor. Il modo in cui mi hai citato è proprio cio che determina le "confusioni nel comprendersi".


Sesbassar:

"Perfetto; mi sembra che il nodo del problema sia: la conoscenza di Dio è dissimile da ogni altro tipo di conoscenza che l'uomo può avere; il punto è proprio che l'iniziativa, nella prospettiva credente, non è dell'uomo: l'uomo viene interpellato, e risponde; la fede non è solo un moto dell'uomo ma è già un dono di Dio;"

Franco:

In base a cosa puoi asserirlo? Come puoi affermare che la conoscenza di "Dio" è dissimile da ogni altro tipo di conoscenza? Conosci forse ogni tipo di conoscenza umana? Ti è stato forse semplicemente insegnato cosi? Anche qui si nasconde un giudizio di valore di tipo gnoseologico. La tua asserzione puo' ad esempio essere resa nella maniera seguente: la conoscenza di "Dio" è dssimile in quanto essenzialmente superiore ad ogni altro tipo di conoscenza umana.

Noor:

Non bisogna conoscerle tutte le conoscenze per poter asserire che quella mistica è diversa,ad esempio,da qualsiasi percezione senziente.
Altro punto da considerare: bisognerebbe accordarsi a quali mezzi di conoscenza si fa riferimento: a quella diretta,quindi non prodotta da inferenza,e che non comporti molti ragionamenti , deduzioni…o ad altri?




Mi hai letto con attenzione Noor? Ti chiedo pertanto, se intendi continuare lo scambio con me in questa discussione, di entrare nel merito di quanto scrivo, ma con piu' attenzione.

Il "Dio" di sesbassar è in fin dei conti sempre lo stesso: il "Dio" uno e trino, creatore del cielo e della terra(Il Mondo), che chiama e dona la fiducia. E' sempre lo stesso, ma lo ripeto, in un ente siffatto si puo' solo credere e non primariamente nel senso della fiducia. Il mio discorso non voleva tanto porre l'accento sulla diversitä dell'esperienza mistica, che è diversa dalle altre esperienze anche solo nella misura in cui è "creduta" come tale, quanto sul giudizio di valore gnoseologico che si nasconde nei ragionamenti come quelli di sesbassar.

Franco
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Vecchio 19-08-2009, 08.45.21   #20
Sesbassar
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Originalmente inviato da emmeci
Riprendo il punto, messo in rilievo da Epicurus, che con la tua scelta – Sesbassar - hai limitato non solo il compito della ragione, ma anche la fede: la quale nelle sue origini e nei suoi sviluppi va ben oltre i confini del cattolicesimo. Perché è evidente che non c’è una sola religione al mondo, e la scelta può non essere così ovvia ma perfino fonte di aspre battaglie, come è stata ed è ancora qui e là nel mondo.

Limitato? Non mi sembra di limitare: limiterei se andassi in cerca di una definizione; come giustamente rilevi la fede va oltre la determinazione cattolica (ci sono diverse religioni a comprovarlo), io parlo nello specifico della religione cattolica ma non pretendo che il modo con cui vivo la fede io possa essere l'unico modo, appunto perchè sono un essere umano finito, mentre la fonte della fede è molto più grande di me; l'infinito posso viverlo (è ciò che i cristiani hanno chiamato santità) ma non definirlo del tutto (altrimenti non sarebbe più infinito )

Citazione:
Originalmente inviato da emmeci
In conclusione: proprio il tuo fare appello alla ragionevolezza sembra minare alle basi una certezza esclusiva, quale potrebbe venire dal lampo che coglie sulla via di Damasco, superando il bisogno di un forum. Certo tu potresti dire, come san Tommaso, che filosofia e religione hanno un unico scopo: quello di conoscere la verità, anche se, in confronto a quella della rivelazione, la via del filosofo è tanto più tormentosa e più lunga – come probabilmente ha voluto avvertire la Viandante. Eh sì, questo devo riconoscerlo anch’io Sesbassar, ma che ci vuoi fare? Il compito di un forum filosofico non è quello di un seminario e forse neppure quello di condurre sulla via di Damasco, ma di continuare a cercare….

Per quel che mi riguarda non ho postato il topic per condurre sulla via di Damasco, ma appunto per avere un confronto su ciò che vivo... il che mi pare legittimo se non sbaglio!

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Originalmente inviato da franco
Il "Dio" di sesbassar è in fin dei conti sempre lo stesso: il "Dio" uno e trino, creatore del cielo e della terra(Il Mondo), che chiama e dona la fiducia. E' sempre lo stesso, ma lo ripeto, in un ente siffatto si puo' solo credere e non primariamente nel senso della fiducia. Il mio discorso non voleva tanto porre l'accento sulla diversitä dell'esperienza mistica, che è diversa dalle altre esperienze anche solo nella misura in cui è "creduta" come tale, quanto sul giudizio di valore gnoseologico che si nasconde nei ragionamenti come quelli di sesbassar.

Intendiamoci (come fino ad ora non mi pare abbiamo fatto ) : la mia scelta di fede (il Dio unitrino della rivelazione cristiana) è per l'appunto una scelta di fede; una scelta fatta con il cuore come ogni scelta di fede (anche quelle umane);
da quello che scrivi mi sembra di capire che pensi che io voglia fondare a priori la scelta di fede grazie alla ragione; ebbene, questo non si può fare e sono il primo a dirlo: quello che ho voluto dire finora è che dopo la scelta di fede la ragione non va buttata nel cestino come se fosse un inutile supellettile che ormai non serve più; la ragione del teologo è diversa da quella del filosofo perchè a ispirare il ragionamento del teologo vi è la scelta di fede che ha fatto all'inizio (nel mio caso la rivelazione cristiana), questo però non impedisce al teologo di cercare di migliorare l'intelligenza del mistero che vive (senza esaurirlo chiaramente);
la ragione non arriva alle soglie della fede per poi lasciare che faccia lei, perchè l'approccio del credente non parte da una speculazione razionale per arrivare ad un abbandono fideista, piuttosto dovremmo vederla al contrario: la fede parte al di fuori dell'uomo e giunge all'uomo, il cui discrimine tra credenza assurda, e credenza ragionevole è proprio la razionalità; questo non significa che solo la teologia cattolica sia ragionevole (come sopra notato), ma che tutte le teologie dovrebbero vivere di questo connubio: fede-ragione (poi c'è chi vi rinuncia, ma è un affare suo);
chiedere al credente di rinunciare alla ragione equivale a chiedergli di credere che il gatto nero porti sfortuna: ovvero credere in un'assurdità bella e buona...
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