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Vecchio 23-10-2009, 18.12.07   #1
emmeci
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La storia è tutto

Forse tutti ricordano quello che Francis Fukuyama – professore di economia politica alla Johns Hopkins University di Washington e, a partire dal 2010-11, docente presso la prestigiosa Stanford University di Palo Alto - scrisse nel saggio “La fine della storia e l’ultimo uomo”: stiamo assistendo (era il 1992) non soltanto alla fine della guerra fredda o al superamento di un particolare periodo della storia postbellica, ma alla fine della storia come tale, ovvero siamo al termine dello sviluppo ideologico dell’umanità, dove inizia l’universalizzazzione della democrazia liberale occidentale come forma finale di governo umano. Una dichiarazione netta e senza sfumature, che sembrava addirittura preannunciare non la fine della guerra fredda ma di tutte le guerre, se non dell’evoluzione dell’uomo, segnata finora da tante fatiche e dalle miserie della politica.
Ora, vent’anni dopo la caduta del muro, è stato chiesto a Fukuyama che cosa è ancora valido di quelle parole. “Ovviamente – è la risposta - esistono alternative alla democrazia liberale, quali la repubblica islamica dell’Iran o l’autoritarismo cinese, ma non credo che molti siano convinti che queste siano forme di civiltà superiori a quelle che esistono in Europa, negli Usa, in Giappone e nelle altre democrazie sviluppate, tutte società che assicurano ai cittadini un alto livello di prosperità e di libertà personale”.
Forse Fukuyama ha ragione quando riconduce il successo delle democrazie liberali alle condizioni che assicurano ai cittadini, e tuttavia un filosofo potrebbe pensare a qualcosa di più profondo e determinante, se si tiene conto di quel concetto di “fine della storia” al quale è stato fatto ricorso. Perché è proprio qui il punto: che attraverso le democrazie liberali si può essere indotti a comprendere che la storia non è una soluzione fra altre, ma che è tutto, e non c’è alternativa, in quanto le altre forme politiche puntano su principi anti-storici, che dovrebbero imporre alla storia un marchio inalterabile e per così dire assoluto. La storia, nelle democrazie occidentali, è in divenire costante e non promette a nulla e a nessuno un potere immortale. D’altra parte, che cosa si può sottrarre ad essa? Né la filosofia né la scienza, e neppure la religione: anche le religioni, anche dio sono storia.
Forse Fukuyama aveva un concetto - come dire - asfittico della storia: un concetto legato al vocabolario in uso nelle scuole o nei circoli politici e militari – e non quello che ne fa qualcosa di immenso, più luminoso e nello stesso tempo tragico per chi ci vive dentro. Tanto che perfino chi crede nell’assoluto – lo si chiami o non lo si chiami dio – che cos’ha perché possa cercarlo se non una vita e una morte, dunque proprio la storia?
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Vecchio 25-10-2009, 09.11.00   #2
La_viandante
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Riferimento: La storia è tutto

Due sono a mio parere i punti deboli del pensiero di Fukuyama, ma in collegamento tra loro, il riscontrare nella storia un andamento teleologico, vedendo però come elemento fondamentale il libero mercato.
Stiglitz ha dimostrato come il mercato non sia realmente libero ma pilotato, paesi che erano in via di sviluppo hanno visto il loro fallimento per le politiche operate dal fondo monetario internazionale, e se in un ideale scenario di mercato davvero libero si potesse ravvisare un finalismo, credo non lo potremo mai verificare.
Credo che le guerre non siano affatto finite, se quelle con le armi forse potranno finire non finiranno quelle ideologiche, oggi mi pare di vedere lo scontro tra diverse visioni in antagonismo tra loro, gli individualismi, i razionalismi e diversi tipi di umma, quel genere cioè di identità comunitarie, transnazionali, islamico nel caso del termine usato, ma anche altre religioni propongono la stessa identità non individualistica, ma comunitaria. Presto nello scenario globale vedremo questo genere di scontro sempre con maggiore evidenza, la storia non è ancora finita col punto dello stato liberale democratico globale. Credo anzi che siamo in un momento di esaurimento di ogni ideologia e la creazione di qualcosa del tutto nuovo, forse sincretismi tra tradizioni millenarie e postmodernismi, ancora molto difficile da analizzare soprattutto perché i nostri strumenti sono oramai obsoleti.
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Vecchio 26-10-2009, 14.51.44   #3
emmeci
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Riferimento: La storia è tutto

Alla Viandante. Certamente sai che il primo antagonista del concetto di fine della storia è stato lo scienziato politico, pure lui statunitense, Samuel P.Huntington, che nel 1996 replicò con il libro “Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale”, nel quale sosteneva che le identità culturali e religiose sarebbero state la fonte primaria di conflitto nel mondo post-guerra fredda. E se il concetto che mette in primo piano la cultura potrebbe trovare illustri anticipazioni e conferme in precedenti periodi della filosofia europea, si può apprezzare il modo come Huntington dà ad esso un senso preciso, e non vagamente moderno, in un senso che mi pare collimi col tuo: “La mia ipotesi – dice - è che la fonte di contrasti fondamentali nel nuovo mondo in cui viviamo non sarà sostanzialmente né economica né ideologica ma sarà legata alla cultura (civilization). Si dovrebbe chiarire che cosa Huntington poteva intendere per cultura (certamente essa comprendeva una somma di valori fra cui la religione), estendendosi ben al di là di quelli di un più o meno libero mercato.
Il futuro? Di fronte all’immensità sfuggente del concetto di tempo, mi pare che si possa tornare alla strategia di una doppia verità: perché mentre al livello per così dire infimo della storia tutto si infrange in uno sprofondare dalle civiltà ai popoli, alle comunità, ai gruppi e agli individui e con questi al pullulare di caotici pensieri, umori e scelte morali e immorali, al livello massimo al quale tende ostinatamente il nostro essere, sembra balenare la misteriosa cifra dell’assoluto. Anche se per noi, viandanti di una storia che non accenna a finire, la luce dell’assoluto è ancora solamente tenebra.
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Vecchio 26-10-2009, 16.32.54   #4
Giorgiosan
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Riferimento: La storia è tutto

Se la storia è solo una raccolta di "casi", se gli avvenimenti sono casuali, la sua utilità mi sfugge perchè è solo una interminabile, infinita registrazione di cronache.
Mi riferisco a tutte le storie, compresa quella evoluzionistica.

Occorre che la si sottoponga ad una teleologia, che vi sia una finalità quale che sia. Allora le cronache polverizzate diventano storia e la storia diventa conoscenza anche del futuro, diventa una scienza predittiva che è la più alta forma del conoscere.
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Vecchio 27-10-2009, 10.34.36   #5
emmeci
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Riferimento: La storia è tutto

A Giorgiosan. Sono d’accordo nel riconoscere una profonda connessione fra storia ed evoluzione: l’evoluzione, comunque la si concepisca, è la storia dell’universo. Però è dubbioso che si possa intravedere un fine - sacro o profano - di questa storia, e comunque sarebbe presunzione dire di conoscerlo, a meno di arrogarsi il diritto profetico che una chiesa concede solo a sé stessa. Questo vuol dire che un fine non c’è? Credo che tutti abbiamo dentro una tensione o un anelito verso un fine assoluto, anche se questo significa irrapresentabile e indefinibile, che è ciò che lo mantiene puro e intatto davanti alla nostra mente, perché se non fosse così sarebbe non assoluto ma relativo. Questa è la logica dell’assoluto, che potrebbe essere racchiusa nel comandamento che dice: non avrai altro Dio fuori di me. L’altro – cioè il Dio dei tanti attributi, il Dio dei catechismi, il Dio delle chiese, non è l’assoluto ma il relativo: perché dell’assoluto non possiamo dire nulla – e neppure, in verità, chiamarlo Dio.
Ed è per questo che è impossibile ipotizzare un termine della storia, se essa non si lascia sfuggire né popoli, né umanità, né culture e nemmeno le religioni, perché se ci potessimo porre – come tu auspichi - questo ultimo fine di un'ascesa al divino, essa diventerebbe proprio quello che tu non vorresti, cioè non storia ma cronaca, con tanto di colpo di grazia finale, o di quell’apocalissi gaudiosa che è al fondo di tutte le bibbie e di tutti i rosari.

Vedi dove ci ha condotto l’argomento laicissimo di Fukuyama sul fine della storia? Chi sa, forse questo imprevedibile e strano percorso rappresenta un punto a tuo favore, Giorgiosan.
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Vecchio 27-10-2009, 14.37.02   #6
espert37
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Riferimento: La storia è tutto

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Originalmente inviato da emmeci
A Giorgiosan. Sono d’accordo nel riconoscere una profonda connessione fra storia ed evoluzione: l’evoluzione, comunque la si concepisca, è la storia dell’universo. Però è dubbioso che si possa intravedere un fine - sacro o profano - di questa storia, e comunque sarebbe presunzione dire di conoscerlo, a meno di arrogarsi il diritto profetico che una chiesa concede solo a sé stessa. Questo vuol dire che un fine non c’è? Credo che tutti abbiamo dentro una tensione o un anelito verso un fine assoluto, anche se questo significa irrapresentabile e indefinibile, che è ciò che lo mantiene puro e intatto davanti alla nostra mente, perché se non fosse così sarebbe non assoluto ma relativo. Questa è la logica dell’assoluto, che potrebbe essere racchiusa nel comandamento che dice: non avrai altro Dio fuori di me. L’altro – cioè il Dio dei tanti attributi, il Dio dei catechismi, il Dio delle chiese, non è l’assoluto ma il relativo: perché dell’assoluto non possiamo dire nulla – e neppure, in verità, chiamarlo Dio.
Ed è per questo che è impossibile ipotizzare un termine della storia, se essa non si lascia sfuggire né popoli, né umanità, né culture e nemmeno le religioni, perché se ci potessimo porre – come tu auspichi - questo ultimo fine di un'ascesa al divino, essa diventerebbe proprio quello che tu non vorresti, cioè non storia ma cronaca, con tanto di colpo di grazia finale, o di quell’apocalissi gaudiosa che è al fondo di tutte le bibbie e di tutti i rosari.

Vedi dove ci ha condotto l’argomento laicissimo di Fukuyama sul fine della storia? Chi sa, forse questo imprevedibile e strano percorso rappresenta un punto a tuo favore, Giorgiosan.

La storia è tutto, è tradizione, è il binario dove viaggia la nostra evoluzione.
Quindi,a mio avviso,prendendo atto che l'uomo si è prefissa una meta,traducibile in felicità e beatitudine, usando l'intelletto di cui è dotato,e riuscire a scartare ciò che lo fa deragliare, adottando invece ciò che lo aiuta a rimanere su detto binario, avrebbe la possibilità di prosegire tenendosi per mano,avvicinandosi più facilmente alla meta che si è prefissata,
Mi sapreste indicare voi una fonte migliore dove attingere sapere o giuste norme univesalmente condivisibili?
Un amichevole buon pomeriggio espert37
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Vecchio 27-10-2009, 18.05.44   #7
Atha
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Riferimento: La storia è tutto

Personalmente credo che la storia sia lo specchio del tutto, dove ancora possiamo vedere solo in modo offuscato l'essenza delle dinamiche dell'esistenza.
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Vecchio 27-10-2009, 18.27.11   #8
Giorgiosan
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Riferimento: La storia è tutto

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Originalmente inviato da emmeci
A Giorgiosan. Sono d’accordo nel riconoscere una profonda connessione fra storia ed evoluzione: l’evoluzione, comunque la si concepisca, è la storia dell’universo. Però è dubbioso che si possa intravedere un fine - sacro o profano - di questa storia, e comunque sarebbe presunzione dire di conoscerlo, a meno di arrogarsi il diritto profetico che una chiesa concede solo a sé stessa. Questo vuol dire che un fine non c’è? Credo che tutti abbiamo dentro una tensione o un anelito verso un fine assoluto, anche se questo significa irrapresentabile e indefinibile, che è ciò che lo mantiene puro e intatto davanti alla nostra mente, perché se non fosse così sarebbe non assoluto ma relativo. Questa è la logica dell’assoluto, che potrebbe essere racchiusa nel comandamento che dice: non avrai altro Dio fuori di me. L’altro – cioè il Dio dei tanti attributi, il Dio dei catechismi, il Dio delle chiese, non è l’assoluto ma il relativo: perché dell’assoluto non possiamo dire nulla – e neppure, in verità, chiamarlo Dio.
Ed è per questo che è impossibile ipotizzare un termine della storia, se essa non si lascia sfuggire né popoli, né umanità, né culture e nemmeno le religioni, perché se ci potessimo porre – come tu auspichi - questo ultimo fine di un'ascesa al divino, essa diventerebbe proprio quello che tu non vorresti, cioè non storia ma cronaca, con tanto di colpo di grazia finale, o di quell’apocalissi gaudiosa che è al fondo di tutte le bibbie e di tutti i rosari.

Vedi dove ci ha condotto l’argomento laicissimo di Fukuyama sul fine della storia? Chi sa, forse questo imprevedibile e strano percorso rappresenta un punto a tuo favore, Giorgiosan.


Non credo alla fine dell'universo: lo vedo come una "placenta" dall'infinita, necessaria, eterna fecondità.
Mentre posso ipotizzare la fine di questo mondo e la fine della storia umana, in accordo con ipotesi scientifiche e degli altri luoghi nei quali è generata la vita.

L'evoluzione è un corollario di questa concezione: dove qualcosa è generato inevitabilmente si evolve verso la maturità e poi la senectudine.
L'unica costante della vita e dell'universo è la morte.

Ora pensare che la morte rappresenti la teleologia della vita non mi persuade proprio ma se qualcuno ne è persuaso allora per lui il fine dell'universo è produrre morte; anche questa è una teoria teleologica.

Non si può evitare la teleologia. Lo stasso Darwin pone come sottotitolo de l'Evoluzione della specie: la preservazione delle razze favorite nella lotta per la sopravvivenza: non è l'enunciazione di un fine dell'evoluzione?

Senza teleologia non si può fare storia: è necessario selezionare e raccogliere le infinite cronache lungo una qualche teoria.

Non ho citato la mia personale teleologia cristiana, né ho parlato di catechismi, di Bibbia, di rosari ecc. ecc. ....ma il tema ha per te un fascino irresistibile ed anche quando non è necessario lo introduci col relativo disprezzo.

Verifica i post precedenti vedrai che ho scritto cose "laiche" a differenza di te.

Ultima modifica di Giorgiosan : 27-10-2009 alle ore 23.02.01.
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Vecchio 28-10-2009, 11.03.19   #9
emmeci
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Riferimento: La storia è tutto

Tanto per restare sull’arena laica, in cui sembra che tu - Giorgiosan - voglia metterti, lasciamo perdere queste scaramucce tra scienza e fede e facciamo un tuffo nella vera filosofia, per esempio nello storicismo di Max Weber. Il quale visse perfino con affanno, se non con ripercussioni neuropsichiche, il problema dei criteri cui devono sottostare, rispetto a quelle naturali, le scienze storico-sociali, le quali debbono destreggiarsi fra soggettività e oggettività, cioè contemperare la loro qualità di scienze impegnate a seguire e comprendere vicende di uomini aggrappati a mutevoli istinti, concetti e moralità, con la purezza “avalutativa” di scienze razionali. Giudizi di valore applicate alle scienze storiche – egli dice - introducono in esse questioni di fede, che sono estranee alla dignità della scienza: anche se poi egli dovette rendersi conto che questa è una richiesta impossibile da realizzare e che forse proprio quell’avalutatività è da intendersi come apertura a tutto ciò che è pensabile come storia costituendo il supremo valore, il solo che sembra accostarsi a quello che diciamo assoluto, obbligando a un percorso di ricerca infinita, cioè di una storia che non ha fine, o - si potrebbe anche dire – di una storia che supera quella dell’evoluzione fisica ed è talmente libera da dover porsi di volta in volta solo dei fini minori in confronto a quell'assoluto.
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Vecchio 03-11-2009, 16.58.06   #10
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Ma hai ragione, Giorgiosan a sostenere l’importanza di una teleologia: i filosofi della storia non hanno mai potuto liberarsi da questa prospettiva anche quando essa sembra andar contro a uno storicismo integro e puro. E penso che la difficoltà venga soprattutto dal fatto che la parola storia non richiama un anonimo e neutro passato - come il “non si può rendere il fatto non fatto” di Eschilo o il dantesco “capo ha cosa fatta” - ma stringe insieme un passato e un futuro, cioè un fatto e un da farsi, in una dialettica che comprende memoria e creazione.
L’importanza della memoria nella determinazione di ciò che è umano - individualità e collettività, dall’insorgere di impulsi biologici al delinearsi di scelte e comportamenti - può essere difficilmente negata. Leggo che l’autorevole rivista “Cell” dà nel suo ultimo numero rilievo a un esperimento che ha permesso di individuare nel moscerino della frutta, il gruppuscolo di neuroni che formano la memoria: 12 cellule nervose il cui riconoscimento è stato reso possibile da una manipolazione a mezzo laser, che ha introdotto in essi un falso ricordo spingendo il moscerino a non riconoscere l’odore della frutta che gli è geneticamente consono. Una scoperta che, se si dimostrerà valida anche per l’uomo, permetterà interventi di grande importanza, anche se nell’uomo la corrispondente struttura nervosa coinvolge 40.000 contro i 300 del moscerino, come avvertono i responsabili dell’esperimento Nicola Mercuri direttore del Laboratorio di neurologia sperimentale dell’Irccs Santa Lucia di Roma e Pietro Pietrini neuroscienziato molecolare e ordinario all’Università di Pisa.
Dunque la memoria è essenziale per l’identità dell’uomo e per dargli stabilità nel mondo: ma altrettanto se non maggiormente importante è ciò che ho chiamato creazione, cioè la capacità di superare una prospettiva fondata sulla memoria, quindi coinvolgere neuroni in grado di trasformare il pensiero di ciò che è in quello di ciò che dev'essere e di produrre idee e azioni capaci di rivoluzionare la storia.
Sì, la storia è tutto, ma perché è sempre più che soltanto storia: ad alcuni è potuta persino apparire come una metafisica, ossia un aldilà della storia: qualcosa che non si accontenta di essere soltanto storia.
(Vedi che neanche a me basta un'arena laica. Anzi).
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