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Vecchio 01-02-2010, 22.54.14   #71
Leporello
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Riferimento: Principio d’identità e sue possibili applicazioni (mente-cervello)

Chiedo scusa se soltanto adesso mi inserisco in questa discussione, ma per me questo è un momento "caldo"; quindi, quando riesco a trovare un po' di tempo, lo dedico alla lettura dei post che scrivete... e se trovo un po' di tempo in più (come è successo questa sera) metto giù due parole (spero) di senso compiuto ed intervengo.

Andiamo a noi.

Tutto ciò che esiste è intelligibile, concepibile, pensabile (se, infatti, esistesse qualcosa al di là della nostra possibilità di concezione non potremmo dire assolutamente nulla di essa); ho riassunto così il celebre brano del de anima di Aristotele (cfr., III, 429a).
Ora, per essere intelligibile, una realtà deve essere non-contraddittoria, perché il contraddittorio è, magari, dicibile ma sicuramente non-pensabile (per esempio: “monte-valle” oppure “circolo-quadrato”, le quali espressioni si possono pronunziare “solo con la bocca”, ossia sono flatus vocis, ma non sono realtà intelligibili, appunto perché il predicato di essi nega il soggetto, non lasciando nulla da pensare).
Inoltre, perché qualsivoglia entità possa essere pensata è necessario che sia “determinata”, cioè abbia una sua identità, un suo “modo” di essere (il modo di essere determinato possiamo anche chiamarlo “misura di essere”; infatti, ciascuna cosa, per essere, deve essere in un dato modo, ossia deve essere “così e così”, in quanto il puro essere-in-sé-e-per-sé è impensabile; ciò significa che ciascun ente deve essere determinato, ossia deve avere una misura di essere: “deve essere secondo la misura del suo essere”); infatti, se tale identità o modo di essere non ci fosse ci sarebbe il puro nulla dice Hegel, e quindi mancherebbe ciò che si dovrebbe pensare: la realtà se non è identificata o, meglio, determinata in qualche modo, non c’è, non esiste! E poiché la causa della determinazione è la “forma”, che negli enti coincide con l’atto (infatti, ogni essere in atto è determinato, è qualche cosa, ossia "è proprio ciò che è"), essa, da un lato, è ciò che dà a ciascuna realtà la propria verità, e, dall’altro, è anche il fondamento dell’ente e della possibilità della sua conoscenza, ossia della sua conoscibilità (se non ci fosse la forma, infatti, non si potrebbe conoscere alcunché, poiché l’intelletto, quando conosce, assume la forma in atto di ciascuna realtà, e facendo ciò conosce la realtà stessa; l’idea o concetto, infatti, non sono altro che la forma “in me” della cosa “fuori di me”).
Il principio di identità afferma proprio che: «ogni ente ha una natura determinata che lo costituisce tale», cioè: «ogni ente è se stesso e non altro» (i medievali dicevano: «indivisum in se et divisum a quolibet alio [indiviso in se stesso e distinto da qualsiasi altro]»).

Come risulta la verità di tale principio?
La risposta è semplice: la verità del principio di identità è immediatamente evidente! Infatti, non si può pensar nulla senza pensarlo come qualcosa di determinato (Aristotele, e con lui Tommaso d’Aquino, affermava che «ogni cosa è vera in quanto possiede la forma propria della sua natura», e poiché la forma, come abbiamo ricordato, è il principio di determinazione, ogni cosa è vera in quanto è determinata, ossia è “questa cosa qui”: possiede una/la sua forma); e si badi, non solo non è possibile affermare o negare alcunché senza supporre il principio di identità-determinazione, ma non è neppure possibile dire una parola con significato; poiché, se io pronuncio una parola con significato, intendo dire, e quindi pensare, qualche cosa di determinato. Chi non accetta, o semplicemente rifiuta, il principio di identità non potrebbe dire assolutamente nulla e sarebbe «simile ad un tronco» (cfr., ARISTOTELE, Metafisica, Γ, 1006a).
Il principio di non-contraddizione deriva immediatamente da quello di identità-determinazione, come fa vedere Aristotele nel IV libro della Metafisica (ossia nel libro Γ).
Egli formula il principio di non-contraddizione in questi termini: «è impossibile che la stessa cosa convenga e insieme non convenga, sotto lo stesso aspetto, a una medesima realtà»; cioè, è impossibile che un ente sia e insieme non sia, è impossibile che sia tale (per es.: rosso, lungo due metri, albero, ecc.) e insieme non sia tale (si badi: ogni cosa, ogni ente, è “tale” in forza della forma che possiede; quindi, è il possesso della forma a far sì che il singolo ente sia tale o tal altro; ma la forma posseduta è quella in atto, ossia quella che si ha “hic et nunc”, non quella che si tende a raggiungere).
Aristotele fa vedere come, negando questo principio, non si riesca più a dare significato a quel che si dice, poiché, se ciò che si dice ha un significato determinato, non potrà questo significato esser tolto; ma se uno dicesse che una cosa è “uomo” e insieme “non-uomo”, verrebbe proprio a toglier significato al termine “uomo” e, mentre pensa “uomo”, non penserebbe più nulla. In questo modo il principio di non-contraddizione è ricondotto a quello di identità-determinazione.
Ed ora si può vedere in che senso il principio di non-contraddizione sia primo, ossia immediatamente evidente, non derivato da altri, e in che senso derivi dal principio di identità.
- Il PRINCIPIO DI IDENTITÀ esprime l’esigenza implicita in ogni nozione (o, che è lo stesso, nella suprema nozione che è quella di essere);
- il PRINCIPIO DI NON-CONTRADDIZIONE esprime l’esigenza implicita in ogni proposizione: il principio di non-contraddizione è quindi la prima proposizione, derivante dalla prima nozione.
Il principio di identità, dunque, -come ha fatto emergere Calogero già negli anni '20- è il principio della logica noetica, e il principio di non-contraddizione è il principio della logica dianoetica.
Sembra chiaro, inoltre, che ci sia dipendenza del principio di non-contraddizione da quello di identità-determinazione, che è poi la dipendenza della proposizione dalla nozione.

Gaetano T.
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Vecchio 02-02-2010, 10.44.52   #72
Il_Dubbio
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Riferimento: Principio d’identità e sue possibili applicazioni (mente-cervello)

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Originalmente inviato da Leporello
Ed ora si può vedere in che senso il principio di non-contraddizione sia primo, ossia immediatamente evidente, non derivato da altri, e in che senso derivi dal principio di identità.

Grazie di essere intervenuto, condivido molta parte del tuo discorso.
L'unica cosa che mi lascia perplessa è questa affermazione.
Ma vediamo cosa dici dopo:
Citazione:
Originalmente inviato da Leporello
- Il PRINCIPIO DI IDENTITÀ esprime l’esigenza implicita in ogni nozione (o, che è lo stesso, nella suprema nozione che è quella di essere);
- il PRINCIPIO DI NON-CONTRADDIZIONE esprime l’esigenza implicita in ogni proposizione: il principio di non-contraddizione è quindi la prima proposizione, derivante dalla prima nozione.

Mentre il principio di identità (o meglio esprimibile con il p. di determinazione) è evidente ed esprime, come tu dici, l'esigenza implicita di ogni nozione, il principio di non contraddizione deriva dall'evidenza della nozione. Tale proposizione però non è più evidente come la nozione.
Citazione:
Originalmente inviato da Leporello
Il principio di identità, dunque, -come ha fatto emergere Calogero già negli anni '20- è il principio della logica noetica, e il principio di non-contraddizione è il principio della logica dianoetica.
Sembra chiaro, inoltre, che ci sia dipendenza del principio di non-contraddizione da quello di identità-determinazione, che è poi la dipendenza della proposizione dalla nozione.

Si d'accordo, ma la dipendenza della proposizione dalla nozione non mi sembra una dipendenza "evidente", chiara, esplicita, solare ecc.

Ritorniamo indietro. Aristotele dice: è impossibile che la stessa cosa convenga e insieme non convenga, sotto lo stesso aspetto, a una medesima realtà.

Questo però è un ragionamento sul principio di identità. Non è evidente che le cose convengano e insieme non convengano, sotto lo stesso aspetto, a una medesima realtà.
L'unica cosa evidente è dato dall'atto di dire: "è proprio ciò che è".

E' vero che la questione che io pongo in questo caso sembrerebbe molto sottile, ma non credo vada trascurato; qualora esista una sottile differenza bisogna comprendere di che differenza si tratta.
Quando pongo A e dico A=A non sto cambiando i connotati ad A e se pongo A significa che pongo A. Se io non ponessi A (non avessi la possibilità di mettere in "evidenza" A) ogni mio discorso sarebbe inutile e non esisterebbe alcuna possibilità di poter ragionare su A. Quindi la non-contraddizione pare si basi sull'assenza di A,ma se non esistesse A non esisterebbe alcun contraddittorio. Quindi solo se pongo A io posso parlare di A e questa è l'unica evidenza visto che in sua assenza mancherebbe qualsiasi contraddizione.
La contraddizione perciò non è evidente perché in assenza dell'evidenza data da A non si potrebbe dire nulla su A. La sola contraddizione quindi non sarebbe evidente e quindi la non-contraddizione non è una proposizione evidente o come tu dici immediatamente evidente.

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Vecchio 02-02-2010, 20.37.00   #73
Giorgiosan
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Originalmente inviato da Il_Dubbio
L'evidente per me significa cosciente di quella cosa, a prescindere che sia vera o falsa.

Presumo che tu voglia dire: per me è evidente ciò di cui sono cosciente a prescindere dalla verità o falsità di quello di cui sono cosciente.

E’ così?
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Vecchio 02-02-2010, 23.51.04   #74
Il_Dubbio
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Originalmente inviato da Giorgiosan
Presumo che tu voglia dire: per me è evidente ciò di cui sono cosciente a prescindere dalla verità o falsità di quello di cui sono cosciente.

E’ così?


Voglio ricordare il motivo per cui sono entrato qui (qualche anno fa) e cosa mi ha spinto ad iscrivermi.
In quel tempo avevo alcuni punti di riferimento: meccanica quantistica a livello amatoriale (ma non per questo del tutto “banale”) e coscienza. Sulle mie conoscenze di questi due oggetti ne ho discusso, prima di entrare qui, sia con altri filosofi (o pensatori sopraffini) sia con altri fisici, oltre alle, chiaramente,tante personali letture. Ritengo di aver superato già parecchie prove. Questo non significa che ciò che io penso su queste due “discipline” sia ad un punto di arrivo, altrimenti non mi sarei iscritto e non avrei cercato un contatto.
Per esempio non ho mai compreso nulla, o quasi, sul tema che vede come protagonista il “tempo”.
La ritengo una grossa incognita (per taluni casi penso che, in definitiva, non esista o sia un'illusione).

Dopo questa premessa veniamo alla domanda.

Secondo me la coscienza si identifica molto bene con il principio di identità. Non solo posso essere cosciente delle cose (o meglio delle rappresentazioni che presumo siano cose), ma anche delle rappresentazioni di proposizioni. Cioè io sono cosciente anche del principio di non-contraddizione. Per me è evidente il principio di non-contraddizione, ma solo nel senso che ne ho preso coscienza in quanto discussione.
Il punto è un altro e siccome leggo anche altri argomenti in cui però non partecipo in modo attivo, tenterò di rispondere con le parole di Sesbassar in “Dio non esiste”

<<Il mio problema non sono le conclusioni a cui giungete ragazzi: quelle le rispetto, fanno parte del vostro percorso da intellettuali.
La mia domanda è: da che premesse partite?>>

Condividendo le parole di Sesbassar, confermo che le premesse sono alla base di ciò che diciamo. Sono gli assiomi di cui anche tu parlavi. Un assioma, in questo caso specifico, è: io sono io.
La proposizione effettivamente non vuol dire molto di più della “nozione” IO (come Leporello insegnava e da cui traggo il termine) .Essa, nel mio modo di pensare, è il singolo bit di informazione.

Bada bene però, non è ancora un'informazione tale che possa veicolarsi dentro un macchina che non abbia la capacità di comprenderla (girerebbe a vuoto). Sola quando diventa “io sono io” è possibile che la macchina (coscienza) la comprenda.
Questo è un elemento importante, è una premessa. Ogni bit di informazione non ha alcun valore in una macchina che non sappia riconoscerla come informazione.
L'evidenza quindi è la presa di coscienza di un'informazione.
La presa di coscienza dell'IO (io sono io) o la presa di coscienza della proposizione “io non sono non-io” (contraddizione) sono due informazioni.
La differenza tra le due informazioni è che la prima è un assioma indiscutibile (indubitabile) da cui partono le altre discussioni, la seconda invece è evidente solo in quanto è posta come discussione, cioè è soltanto una discussione evidente. Come la discussione sul sesso degli angeli: è evidente che se ne discute, ma le premesse sono dubitabili (ovvero il sesso degli angeli).
Nel caso specifico del principio di non- contraddizione l'informazione su cui si discute è sulla evidenza del non-io. Essa, si comprende bene, non è evidente, non veicolerebbe dentro alcuna macchina; quindi non è informazione assiomatica, è un'informazione su cui si può però discutere.
Il principio di non- contraddizione quindi è uno pseudo principio che non ha alcuna possibilità di essere discusso all'interno di un modello che preveda come assioma: l'evidenza.

Una domanda che mi ha sempre fatto pensare fatta da Penrose nel libro “La mente nuova dell'imperatore”faceva così: se la coscienza non sembra avere alcuna importanza al fine della conoscenza che l'uomo ha del mondo, perchè l'evoluzione non l'ha eliminata?

Questa è una domanda che si fa un evoluzionista (Penrose non rinnega certo la teoria evoluzionista anche se la mette sotto altre “superbe” teorie fisiche) e a cui bisogna dare una risposta. Io non sono un evoluzionista nel senso che non credo nell'evidenza della teoria (ma qui dilungherei a dismisura dall'argomento) però almeno bisognerebbe comprendere se la coscienza abbia o meno importanza al fine della nostra conoscenza del mondo. Secondo me il principio di identità è la dimostrazione che la coscienza ha un potere sulla conoscenza del mondo. E' un assioma a cui non è possibile rinunciare, altrimenti i singoli bit girerebbero a vuoto, dentro noi stessi, senza mai essere riconosciuti come informazioni.
Questa risulta essere la prima e fondamentale premessa su cui si fonda ogni tipo di conoscenza umana.
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Vecchio 03-02-2010, 11.10.12   #75
Giorgiosan
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Dopo questa premessa veniamo alla domanda.

Secondo me la coscienza si identifica molto bene con il principio di identità. Non solo posso essere cosciente delle cose (o meglio delle rappresentazioni che presumo siano cose), ma anche delle rappresentazioni di proposizioni. Cioè io sono cosciente anche del principio di non-contraddizione. Per me è evidente il principio di non-contraddizione, ma solo nel senso che ne ho preso coscienza in quanto discussione.
Il punto è un altro e siccome leggo anche altri argomenti in cui però non partecipo in modo attivo, tenterò di rispondere con le parole di Sesbassar in “Dio non esiste”

<<Il mio problema non sono le conclusioni a cui giungete ragazzi: quelle le rispetto, fanno parte del vostro percorso da intellettuali.
La mia domanda è: da che premesse partite?>>

Condividendo le parole di Sesbassar, confermo che le premesse sono alla base di ciò che diciamo. Sono gli assiomi di cui anche tu parlavi. Un assioma, in questo caso specifico, è: io sono io.
La proposizione effettivamente non vuol dire molto di più della “nozione” IO (come Leporello insegnava e da cui traggo il termine) .Essa, nel mio modo di pensare, è il singolo bit di informazione.

Bada bene però, non è ancora un'informazione tale che possa veicolarsi dentro un macchina che non abbia la capacità di comprenderla (girerebbe a vuoto). Sola quando diventa “io sono io” è possibile che la macchina (coscienza) la comprenda.
Questo è un elemento importante, è una premessa. Ogni bit di informazione non ha alcun valore in una macchina che non sappia riconoscerla come informazione.
L'evidenza quindi è la presa di coscienza di un'informazione.
La presa di coscienza dell'IO (io sono io) o la presa di coscienza della proposizione “io non sono non-io” (contraddizione) sono due informazioni.
La differenza tra le due informazioni è che la prima è un assioma indiscutibile (indubitabile) da cui partono le altre discussioni, la seconda invece è evidente solo in quanto è posta come discussione, cioè è soltanto una discussione evidente. Come la discussione sul sesso degli angeli: è evidente che se ne discute, ma le premesse sono dubitabili (ovvero il sesso degli angeli).
Nel caso specifico del principio di non- contraddizione l'informazione su cui si discute è sulla evidenza del non-io. Essa, si comprende bene, non è evidente, non veicolerebbe dentro alcuna macchina; quindi non è informazione assiomatica, è un'informazione su cui si può però discutere.
Il principio di non-contraddizione quindi è uno pseudo principio che non ha alcuna possibilità di essere discusso all'interno di un modello che preveda come assioma: l'evidenza.

Una domanda che mi ha sempre fatto pensare fatta da Penrose nel libro “La mente nuova dell'imperatore”faceva così: se la coscienza non sembra avere alcuna importanza al fine della conoscenza che l'uomo ha del mondo, perchè l'evoluzione non l'ha eliminata?

Questa è una domanda che si fa un evoluzionista (Penrose non rinnega certo la teoria evoluzionista anche se la mette sotto altre “superbe” teorie fisiche) e a cui bisogna dare una risposta. Io non sono un evoluzionista nel senso che non credo nell'evidenza della teoria (ma qui dilungherei a dismisura dall'argomento) però almeno bisognerebbe comprendere se la coscienza abbia o meno importanza al fine della nostra conoscenza del mondo. Secondo me il principio di identità è la dimostrazione che la coscienza ha un potere sulla conoscenza del mondo. E' un assioma a cui non è possibile rinunciare, altrimenti i singoli bit girerebbero a vuoto, dentro noi stessi, senza mai essere riconosciuti come informazioni.
Questa risulta essere la prima e fondamentale premessa su cui si fonda ogni tipo di conoscenza umana.

Hai detto molte cose, mi limito per ora a rilevarne alcune poi commenterò anche le altre:
-se per te è evidente ciò di cui sei cosciente a prescindere dalla verità o falsità di quello di cui sei cosciente allora tutto è evidente.

-evidenza non può essere un assioma, un termine "solitario" è inadeguato ad essere un assioma, ... deve essere predicato qualcosa di evidenza.
L'assioma è la proposizione prima da cui parte una scienza.

Se il tuo assioma è : che è evidente ciò di cui sei cosciente a prescindere dalla verità o falsità di quello di cui sei cosciente allora, come sopra, tutto è evidente.

Il significato attribuito dagli stoici ad assioma è: ciò che è vero o che è falso e quindi non è il tuo significato, se l'assioma è ciò che è evidente....a prescindere dal vero o dal falso

Ultima modifica di Giorgiosan : 03-02-2010 alle ore 18.51.18.
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Vecchio 03-02-2010, 19.11.02   #76
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Hai detto molte cose, mi limito per ora a rilevarne alcune poi commenterò anche le altre:
-se per te è evidente ciò di cui sei cosciente a prescindere dalla verità o falsità di quello di cui sei cosciente allora tutto è evidente.

-evidenza non può essere un assioma, un termine "solitario" è inadeguato ad essere un assioma, ... deve essere predicato qualcosa di evidenza.
L'assioma è la proposizione prima da cui parte una scienza.

Se il tuo assioma è : che è evidente ciò di cui sei cosciente a prescindere dalla verità o falsità di quello di cui sei cosciente allora, come sopra, tutto è evidente.

Il significato attribuito dagli stoici ad assioma è: ciò che è vero o che è falso e quindi non è il tuo significato, se l'assioma è ciò che è evidente....a prescindere dal vero o dal falso

Per assioma, in questo contesto, ho voluto intendere "premessa" (come era la richiesta di Sesbassar nella sua domanda). Possiamo scegliere un altro termine se quel significato ti porta a ricordare cose diverse da quelle che qui si vogliono intendere.

Poi la cosa più importante che rilevo da quello che hai detto: secondo me non è vero che tutto è evidente.
Già nei post precedenti ho scritto che il non-io non è evidente. Pensa al fatto di dover pensare a te stesso mentre non pensi. Ciò è privo di significato, quindi il non-io, e quasi tutte le negazioni, sono prive di evidenza. Io non sono cosciente quando sono non-io (ammesso che abbia senso) quindi il non-io non può mai essere evidente.
Ho ricordato, sempre nei post precedenti, l'esempio della morte: noi non sappiamo cosa essa sia... per noi non è evidente cosa sia la morte. Noi discutiamo (ragioniamo) sulla morte ma non ne siamo coscienti.
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Vecchio 03-02-2010, 20.01.52   #77
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Quando stavo per postare ho visto la tua risposta. La voglio leggere attentamente ... intanto posto:

Vorrei farti la storia del principio di contraddizione, del principio d’identità, di evidenza, di tautologia perché il conoscere è sempre un conoscere storicizzato.
Nessuno può collocarsi fuori della tradizione perché questa tradizione la si mangia e la si beve fin dalla nascita volenti o nolenti. Quando hai imparato a scrivere ed a leggere hai cominciato ad imbibirti di storia della letteratura , di storia della filosofia, storia delle scienza ecc. ecc. ..ed ancor prima di imparare a leggere ed a scrivere.
Il nostro essere è un essere storico e mi riferisco non solo alla cultura ma anche alla natura: neanche la natura umana rimane invariata.
Noi siamo la nostra storia fino ad oggi…questo è il tempo.

Così per ogni termine filosofico, per la logica, per la metafisica conoscendo la sua storia cioè il suo sviluppo ne puoi afferrare il significato, sapendo da dove viene e dove va. Perché la vita, ogni cosa e tutto sono in divenire.
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Vecchio 03-02-2010, 22.58.14   #78
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Ed ora si può vedere in che senso il principio di non-contraddizione sia primo, ossia immediatamente evidente, non derivato da altri, e in che senso derivi dal principio di identità.
Grazie di essere intervenuto, condivido molta parte del tuo discorso.
L'unica cosa che mi lascia perplessa è questa affermazione.
Ma vediamo cosa dici dopo:

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- Il PRINCIPIO DI IDENTITÀ esprime l’esigenza implicita in ogni nozione (o, che è lo stesso, nella suprema nozione che è quella di essere);
- il PRINCIPIO DI NON-CONTRADDIZIONE esprime l’esigenza implicita in ogni proposizione: il principio di non-contraddizione è quindi la prima proposizione, derivante dalla prima nozione.
Mentre il principio di identità (o meglio esprimibile con il p. di determinazione) è evidente ed esprime, come tu dici, l'esigenza implicita di ogni nozione, il principio di non contraddizione deriva dall'evidenza della nozione. Tale proposizione però non è più evidente come la nozione
Ho evidenziato in grassetto ciò che mi sembra bebba essere chiarito meglio in ciò che hai scritto.
Il principio di non-contraddizione sostiene che in ogni asserto/proposizione/affermazione/giudizio/etc (chiamiamolo come più ci piace, l'importante è che ci intendiamo), cioè nella formula "A=B", il predicato "B" non può affermarsi e negarsi contemporaneamente e sotto il medesimo riguardo.
Ecco perchè dicevo, nel brano che hai quotato, che esso "esprime l’esigenza implicita in ogni proposizione", in quanto, in ogni proposizione, non può affermarsi e negarsi contemporaneamente e sotto lo stesso aspetto un/il predicato.

Il principio di identità o determinazione (che si riferisce, invece, al concetto, come dire, "nudo e crudo", senza affermare o negare nulla di esso; concetto che potremmo indicare come l'eventuale soggetto della proposizione/affermazione/giudizio/etc.) afferma che quando penso qualcosa (quando, cioè, ho in testa una nozione, un concetto, un'idea), penso sempre qualcosa di determinato.

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Il principio di identità, dunque, -come ha fatto emergere Calogero già negli anni '20- è il principio della logica noetica, e il principio di non-contraddizione è il principio della logica dianoetica.
Sembra chiaro, inoltre, che ci sia dipendenza del principio di non-contraddizione da quello di identità-determinazione, che è poi la dipendenza della proposizione dalla nozione.
Sì d'accordo, ma la dipendenza della proposizione dalla nozione non mi sembra una dipendenza "evidente", chiara, esplicita, solare ecc.

Ritorniamo indietro. Aristotele dice: è impossibile che la stessa cosa convenga e insieme non convenga, sotto lo stesso aspetto, a una medesima realtà.

Questo però è un ragionamento sul principio di identità. Non è evidente che le cose convengano e insieme non convengano, sotto lo stesso aspetto, a una medesima realtà.
L'unica cosa evidente è dato dall'atto di dire: "è proprio ciò che è".

E' vero che la questione che io pongo in questo caso sembrerebbe molto sottile, ma non credo vada trascurato; qualora esista una sottile differenza bisogna comprendere di che differenza si tratta.
Quando pongo A e dico A=A non sto cambiando i connotati ad A e se pongo A significa che pongo A. Se io non ponessi A (non avessi la possibilità di mettere in "evidenza" A) ogni mio discorso sarebbe inutile e non esisterebbe alcuna possibilità di poter ragionare su A. Quindi la non-contraddizione pare si basi sull'assenza di A, ma se non esistesse A non esisterebbe alcun contraddittorio. Quindi solo se pongo A io posso parlare di A e questa è l'unica evidenza visto che in sua assenza mancherebbe qualsiasi contraddizione.
La contraddizione perciò non è evidente perché in assenza dell'evidenza data da A non si potrebbe dire nulla su A. La sola contraddizione quindi non sarebbe evidente e quindi la non-contraddizione non è una proposizione evidente o come tu dici immediatamente evidente.
Leggendo quanto ho appena quotato, debbo dire onestamente che non "vedo" dove stia il problema.
Infatti, la questione inerente al principio di non-contraddizione non sta nel fatto che io ponga o non ponga A, quanto piuttosto nel fatto che, posto A (infatti, se non lo pongo non posso affermare nulla di lui, e quindi non posso neppure applicare il principio stesso... in quanto -ripeto- il principio di non contraddizione è quello che regola ogni affermazione/proposizione/giudizio/asserzione...), mi chiedo: "di A posso affermare e negare contemporaneamente e sotto il medesimo aspetto B?".

Spero di essere stato più chiaro, adesso.

Gaetano T.
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Vecchio 04-02-2010, 11.29.07   #79
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Originalmente inviato da Leporello


Leggendo quanto ho appena quotato, debbo dire onestamente che non "vedo" dove stia il problema.

Il problema sta nella negazione.

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Originalmente inviato da Leporello
Infatti, la questione inerente al principio di non-contraddizione non sta nel fatto che io ponga o non ponga A

E fin qui il concetto è evidente: io pongo A

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Originalmente inviato da Leporello
quanto piuttosto nel fatto che, posto A (infatti, se non lo pongo non posso affermare nulla di lui, e quindi non posso neppure applicare il principio stesso... in quanto -ripeto- il principio di non contraddizione è quello che regola ogni affermazione/proposizione/giudizio/asserzione...), mi chiedo: "di A posso affermare e negare contemporaneamente e sotto il medesimo aspetto B?".

Io semplifico. Io pongo A e dico che A=A

Io posso solo affermare A. Non posso, in ogni caso, negare A.
Il principio di non-contraddizione, come tu dici, sembra chiederci: possiamo negare ed affermare contemporaneamente?
La mia risposta è stata NO, in quanto la negazione non si pone su un piano di evidenza.
Probabile che anche così non risulti chiaro:
Ammettiamo per ipotesi che io ponga A e tu ponga B. Ognuno di noi afferma o A o B. L'identità fra A e B è solo supposta. Io posso continuare in eterno ad affermare A e tu in eterno ad affermare B.
Io non posso negare A e tu non puoi negare B.

Ma ragioniamo in maniera differente facendo altri casi.
Io dico: quella cosa è quella cosa e la chiamo A. Posso negare quella cosa e affermarla contemporaneamente? Non mi sembra, in quanto se io la negassi non potrei nemmeno indicare quella cosa. Cioè io non starei indicando nulla, ed anche se indicassi il nulla e lo chiamassi A non potrei negare quest'unica evidenza.

E' la negazione che non si pone su lo stesso piano di evidenza di una affermazione. L'unica affermazione evidente poi è soltanto quella che indica quella cosa; non posso negare, con la stessa evidenza, qualcosa che non ho ancora indicato.
Il_Dubbio is offline  
Vecchio 04-02-2010, 14.37.00   #80
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Originalmente inviato da Il_Dubbio
Per assioma, in questo contesto, ho voluto intendere "premessa" (come era la richiesta di Sesbassar nella sua domanda). Possiamo scegliere un altro termine se quel significato ti porta a ricordare cose diverse da quelle che qui si vogliono intendere.

Poi la cosa più importante che rilevo da quello che hai detto: secondo me non è vero che tutto è evidente.
Già nei post precedenti ho scritto che il non-io non è evidente. Pensa al fatto di dover pensare a te stesso mentre non pensi. Ciò è privo di significato, quindi il non-io, e quasi tutte le negazioni, sono prive di evidenza. Io non sono cosciente quando sono non-io (ammesso che abbia senso) quindi il non-io non può mai essere evidente.
Ho ricordato, sempre nei post precedenti, l'esempio della morte: noi non sappiamo cosa essa sia... per noi non è evidente cosa sia la morte. Noi discutiamo (ragioniamo) sulla morte ma non ne siamo coscienti.

Se chiami gli assiomi, premesse, ipotesi, postulati cambia poco quello che conta è la funzione che hanno.

Se dici che:

L'evidente per me significa cosciente di quella cosa, a prescindere che sia vera o falsa.

allora tutto quello che entra nella tua coscienza è evidente....e poi a prescindere che sia vera o falsa

E' insostenibile.
Giorgiosan is offline  

 



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