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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 04-06-2011, 13.41.45   #1
Nikolaj Stavrogin
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Definizione: semantica dizionariale e enciclopedica, U. Eco

Il problema di delimitare il significato di un termine, di stabilirne i limiti e i contorni, insomma di darne una chiara definizione, è da sempre un problema cruciale nella filosofia. Nella storia della semiotica è stato trattato soprattutto da Hjelsmev e Greimas, che elaborano un modello poi definito "a tratti", per cui una parola è scomponibile in unità elementari di significato, dal numero limitato.

Ad esempio: "UOMO" = "ANIMALE" + "MASCHIO".

Ma davvero i sottotermini elementari ci dicono qualcosa di più sul primo termine? Ci dice, in particolare, qualcosa sul suo uso?

Se già Wittgenstein notava, nelle Ricerche Filosofiche, che esistono termini problematici, come quella di gioco, dove i confini non sono limitato e dove la non-limitabilità è parte stessa del valore posizionale e pragmatico della parola inserita nel linguaggio, Umbero Eco elabora una semantica detta "enciclopedica", contrapposta a quella precedente detta "dizionariale". In particolare, riprendendo la teoria della semiosi di Peirce, Eco propone di considerare come definizione di un termine tutti gli interpretanti del termine stesso. Così il significato di /uomo/ è definito da "animale" e "maschio", ma anche dalle parti del suo corpo, "braccia" e "gambe", dai suoi aspetti sociali (capacità di interagire e organizzarsi in gruppi), la sua dimensione psicologica, la storia della sua evoluzione, le illustrazioni che lo rappresentano, le fotografie, le pitture. Così ampliamo a dismisura il termine stesso e vediamo in quante e quali occorrenze esso è utilizzato e interdefinito.

Può essere utile una teoria così plastica della semantica? Come può influenzare il discorso filosofico, che è tutt'oggi (perlomeno leggendo molti post in questo forum) ancorato ad un bisogno di definizione più rigido e preciso?
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Vecchio 04-06-2011, 17.43.45   #2
Il_Dubbio
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Riferimento: Definizione: semantica dizionariale e enciclopedica, U. Eco

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Originalmente inviato da Nikolaj Stavrogin
Può essere utile una teoria così plastica della semantica? Come può influenzare il discorso filosofico, che è tutt'oggi (perlomeno leggendo molti post in questo forum) ancorato ad un bisogno di definizione più rigido e preciso?

Io faccio questa analogia (e mi fermerò). Quando penso ad un concetto penso ad un cerchio limitato da un perimetro e contenente un'area.

I nostri concetti quindi sono come i cerchi, idealmente hanno un perimetro e un'area (quindi definizione rigida e precisa), ma in realtà non esistono, sono solo idealizzazioni. Non esistono cerchi che abbiano un perimetro e un'area, come non esistono concetti ben definiti e rigidi. Ma se noi non avessimo la possibilità di immaginare qualcosa che in realtà non esiste non potremmo parlarne. Come non potremmo usare i cerchi, non potremmo usare i termini e i concetti che, di fatto, non hanno contorni ben delineati.
Quando, per finire, parliamo del concetto di Uomo, ad esempio, dovremmo in teoria fare come per il concetto di cerchio. Proporre una definizione più precisa possibile in modo da essere in grado di riconoscere un uomo da qualcos'altro proprio come riconosciamo (dalla definizione) un cerchio da un quadrato. In realtà però l'uomo non può essere descritto perfettamente anche se, inconsciamente, utilizziamo lo stesso metodo che utilizziamo per i cerchi e i quadrati ma al contrario, mentre il concetto di uomo è una idealizzazione di ciò che vediamo, i cerchi e i quadrati sono una idealizzazione di ciò che non potremmo vedere.

La cosa buffa (che mi vien da dire) è che è più facile descrivere rigorosamente ciò che in realtà non esiste che descrivere ciò che riteniamo esistente. E' molto probabile che sia la nostra capacità di astrazione a esigere concetti precisi per ogni termine e non il contrario cioè che esitano concetti precisi che non riusciamo pensare come astrazioni.
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Vecchio 04-06-2011, 20.17.24   #3
Nikolaj Stavrogin
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Riferimento: Definizione: semantica dizionariale e enciclopedica, U. Eco

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Originalmente inviato da Il_Dubbio
Io faccio questa analogia (e mi fermerò). Quando penso ad un concetto penso ad un cerchio limitato da un perimetro e contenente un'area.

D'accordo, ma entriamo nel pratico, parliamo di possibilità. Fino a che punto credi che la delimitazione delle aree dei termini da definire sia possibile? Conoscerai, credo, l'esempio della parola gioco di Wittgenstein: cosa hanno in comune il tennis, il calcio, gli scacchi, il poker, e nascondino?

E poi, definire i perimetri, i contorni, i limiti, non è un rischio? Non si rischia di autocastrare le pluralità di funzioni e usi propri del nostro linguaggio? Isolare i termini e analizzarli come entità autonome è utile per la comunicazione?

E' proprio dalla constatazione pratica dei limiti della semantica a dizionario che voglio indagare nuovo modi di intendere le definizioni.

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Originalmente inviato da Il_Dubbio
Quando, per finire, parliamo del concetto di Uomo, ad esempio, dovremmo in teoria fare come per il concetto di cerchio. Proporre una definizione più precisa possibile in modo da essere in grado di riconoscere un uomo da qualcos'altro proprio come riconosciamo (dalla definizione) un cerchio da un quadrato.

Quindi, per te, la definizione di un termine è subordinato alla finalità della differenziazione? Mi servono contorni ben limitati cosi chè posso distinguere un termine da un altro? Questo vale se consideri i termini come entità isolate, e non come valori all'interno di enunciati. In quest'ultimo caso la prospettiva cambia e - credo - la necessità di operare distinzioni così nette scompare in un buon numero di casi.
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Vecchio 04-06-2011, 21.40.53   #4
Il_Dubbio
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Originalmente inviato da Nikolaj Stavrogin
D'accordo, ma entriamo nel pratico, parliamo di possibilità. Fino a che punto credi che la delimitazione delle aree dei termini da definire sia possibile? Conoscerai, credo, l'esempio della parola gioco di Wittgenstein: cosa hanno in comune il tennis, il calcio, gli scacchi, il poker, e nascondino?

E poi, definire i perimetri, i contorni, i limiti, non è un rischio? Non si rischia di autocastrare le pluralità di funzioni e usi propri del nostro linguaggio? Isolare i termini e analizzarli come entità autonome è utile per la comunicazione?

Non conosco l'esempio della parola gioco di Wittgenstein. Comunque la cosa comune a tutti i giochi che hai scelto, a naso, sembra la vittoria. Nei giochi c'è chi vince e chi perde.
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Originalmente inviato da Nikolaj Stavrogin
E' proprio dalla constatazione pratica dei limiti della semantica a dizionario che voglio indagare nuovo modi di intendere le definizioni.

Anch'io mi sono chiesto qualcosa di simile con il concetto di "principio" (che trovi ancora nella prima pagina ). Anche i principi sono specie di definizioni un po' particolari in quanto, secondo la mia indagine, delimitano un significato particolare e lo estendono all'infinito. Se il significato di un principio fosse troppo vago, sarebbe difficile poterlo sostenere per ogni caso possibile. Quindi un principio deve per necessità essere ben definito in modo da poterlo verificare nella pratica.


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Originalmente inviato da Nikolaj Stavrogin
Quindi, per te, la definizione di un termine è subordinato alla finalità della differenziazione? Mi servono contorni ben limitati cosi chè posso distinguere un termine da un altro? Questo vale se consideri i termini come entità isolate, e non come valori all'interno di enunciati. In quest'ultimo caso la prospettiva cambia e - credo - la necessità di operare distinzioni così nette scompare in un buon numero di casi.

In un certo senso solo così noi distinguiamo i principi con i quali poi ci confrontiamo giornalmente.

Comunque la cosa più originale ( ) che ho scritto mi sembra quella che ho scritto dopo- la ripeto con alcune piccole correzioni: è più facile descrivere rigorosamente ciò che in realtà non esiste che descrivere ciò che riteniamo esistente. E' molto probabile infatti che sia la nostra capacità di astrazione a esigere concetti precisi per ogni termine e non il contrario cioè che esistano concetti precisi che non riusciamo a pensare come astrazioni.

In pratica esisterebbero le "astrazioni" e queste ci permettono di pensare ai concetti. Però mentre alcuni concetti nascono astratti e sono sempre e solo astratti altri sono pratici ma per essere rigorosi bisogna pensarli molto astratti. In questa seconda possibilità non esistono concetti rigorosi, ma astrazioni rigorose di concetti non rigorosi. In soldoni (riprendendo l'esempio del concetto di uomo) noi siamo in grado di comprendere il concetto di uomo anche senza una definizione rigorosa di uomo in quanto a essere rigorosa è l'astrazione. Siccome però non esiste una definizione rigorosa di uomo ci rimane l'astrazione. Al contrario, nella definizione di cerchio, la rigorosità della definizione non ci restituisce l'astrazione corrispondente, che però esiste (e senza la quale probabilmente non sarebbe stato possibile la definizione). Quindi è l'astrazione il nostro punto di riferimento.

Ti lascio riflettere, sperando di essere stato chiaro (ma ormai sono anni che dico le stesse cose, ma nessuno mi capisce... )
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Vecchio 05-06-2011, 17.32.55   #5
Aristippo di Cirene
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Originalmente inviato da Nikolaj Stavrogin
[...]Umbero Eco elabora una semantica detta "enciclopedica", contrapposta a quella precedente detta "dizionariale". In particolare, riprendendo la teoria della semiosi di Peirce, Eco propone di considerare come definizione di un termine tutti gli interpretanti del termine stesso. Così il significato di /uomo/ è definito da "animale" e "maschio", ma anche dalle parti del suo corpo, "braccia" e "gambe", dai suoi aspetti sociali (capacità di interagire e organizzarsi in gruppi), la sua dimensione psicologica, la storia della sua evoluzione, le illustrazioni che lo rappresentano, le fotografie, le pitture. Così ampliamo a dismisura il termine stesso e vediamo in quante e quali occorrenze esso è utilizzato e interdefinito.

Può essere utile una teoria così plastica della semantica? Come può influenzare il discorso filosofico, che è tutt'oggi (perlomeno leggendo molti post in questo forum) ancorato ad un bisogno di definizione più rigido e preciso?


Di solito si distigue tra definizioni reali e definizioni cognitive.
La caratterizzazione minima di definizione reale è la seguente: ciò che un termine DOVREBBE significare, indipendentemente da quello che significa per i singoli soggeti che lo usano.
Questo significa che la definizione reale del metallo x, ad esempio, è quella che mi da la sua composizione molecolare ecc.. e non invece quella che darei io, in completa ignoranza della composizione molecolare di x. Infatti qualcun altro sarebbe in grado di fornire una definizione molto diversa dalla mia, magari perché in vita sua ha visto solo un pezzetto di x sotto la luce di qualche lampada blu, ecc.
Ora, in questo caso possiamo dire che l'interpretante che viene in me evocato dalla presenza di x non corrisponde alla definizione reale di x.
Questa poi è la versione priva dell'ontologia platonista. Infatti un'altra versione sostiene che la definizione reale sia una entità astratta con la quale i parlanti entrano in contatto quando colgono il significato di un termine.
Ci sono varie argomentazioni per sostenere una visione realista, ma ci sono anche molte obiezioni. Ad esempio si cerca di chiamarla in causa quando si vuole rendere conto della nostra capacità di comunicare: come facciamo a comunicare se utilizziamo stessi termini ma con definizioni diverse? (è indubbio che ognuno di noi ha diverse rappresentazioni collegate ad ogni termine, e molte di queste rappresentazioni non possono avere funzioni comunicative perché fanno parte del nostro personale insieme di esperienze, credenze ecc.)

Ovviamente le definizioni cognitive sono invece quelle che costituiscono le rappresentazioni mentali dei soggetti che utilizzano determinati termini.
Ma poi non è detto che tra i soggetti debba esservi una variabilità rappresentazionale tale da compromettere la comunicazione. Ad esempio, le caratteristiche necessarie e sufficienti della definizione del termine y possono benissimo rimanere invariate al variare di tutta una serie di aspetti secondari e soggettivi che non sono cruciali per la comunicazione.

Da quello che ho capito, Eco sostanzialmente propone una teoria congnitiva. Certamente a livello cognitivo i concetti sono vaghi, interconnessi con moltissimi altri concetti, liberi di oscillare..
Se noi vogliamo rendere conto della semantica del linguaggio ordinario allora questa è la via da seguire. Ossia vedere in che modo noi riusciamo a dare rilevanza - in base al contesto comunicativo - ai diversissimi interpretanti legati ad un singolo termine.
Ma, come dici giustamente tu, in contesti conoscitivi sembra rimanga importante fornire definizioni in termini classici, ossia in termini di condizioni necessarie e sufficienti, dal numero finito.

Tutto questo per dire che una visione cognitivista dei concetti non è necessariamente opposta ad una visione realista. Quindi in generale una teoria come quella di Eco mi sembra utile soltanto per descrivere come noi categorizziamo il mondo, come utilizziamo i termini, come ci comprendiamo ecc.. Ma poi dovremmo stabilire anche come dovremmo utilizzare i termini, quali siano le definizioni appropriate e perché.

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Originalmente inviato da Il_Dubbio
Non conosco l'esempio della parola gioco di Wittgenstein. Comunque la cosa comune a tutti i giochi che hai scelto, a naso, sembra la vittoria. Nei giochi c'è chi vince e chi perde.

Vero, (mi intrometto) però tale caratteristica è propria anche di cose che comunemente non chiameremmo giochi, come la guerra ad esempio. Quindi, per una cosa x, la caratteristica del prevedere un vincitore rappresenta magari una condizione necessaria per essere chiamata "gioco", ma non sufficiente.

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Originalmente inviato da Il_Dubbio
è più facile descrivere rigorosamente ciò che in realtà non esiste che descrivere ciò che riteniamo esistente. E' molto probabile infatti che sia la nostra capacità di astrazione a esigere concetti precisi per ogni termine e non il contrario cioè che esistano concetti precisi che non riusciamo a pensare come astrazioni.

Questa è una osservazione interessantissima.. Secondo me le cose stanno così perché nel fornire la definizione di un oggetto esistente noi dobbiamo tener conto di caratteristiche date dall'oggetto stesso e soprattutto dai concetti che il linguaggio ordinario ha già ad esso collegati. Diciamo che abbiamo maggiori vincoli. Invece, quando diamo una definizione puramente stipulativa tutto ciò non si pone. Ad esempio, io adesso ti do la definizioe di "sdfsdf": quella particolare sequenza di stati umorali che ha il seguente ordine: ansia, voglia di qualcosa di buono, rabbia, e che si consumi nel giro di massimo 15 minuti.
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Vecchio 05-06-2011, 20.13.00   #6
ulysse
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Riferimento: Definizione: semantica dizionariale e enciclopedica, U. Eco

LA LINGUA E' VIVA...E COME UN ORGANISMO: EVOLVE!
Il linguaggio è un organismo vivente...in effetti si dice lingua viva ...per dire di una lingua effettivamente parlata in un certo momento ed in un determinato luogo.
Però il termine "lingua viva" lo si usa anche in contrapposizione alle lingue morte...che a volte tanto morte non sono in quanto le si usa comunque in determinati contesti.

Il perseguire una qualche normazione dei significati semantici è intento lodevole al fine di non permettere alla lingua di spaziare nell'iperuranio e contenere e limitare i significanti, le relative corrette pronuncie e adeguato, costante spelling.
Cose tutt'oggi tanto più in pericolo con l'uso sfrenato di SMS anche da parte di chi ancora non ha padronanza del linguaggio vero.

Noto però che, in pratica, piuttosto che nell'accorpamento ed esplicazione di significati da contenere nello stesso significante...magari distorcendolo.... i vocabolari, i dizionari, le enciclopedie, ecc... si ampliano con l'introdurre sempre nuovi significanti, in specie con le acquisizioni da altre lingue...in paricolare, oggi, dall'inglese.
Ciò...specie per una lingua debole quale è la nostra...debole perchè non siamo all'avanguardia nelle nuove e avanzate scoperte e applicazioni... come lo era un tempo la nostra musica, filosofia, scienza e tecnologia o diplomazia.
Forse l'italiano può ancora imporsi nella moda o nella estetica?...o ancora la Francia è prevalente?

Comunque è l'uso, la vita, il comune variabile sentire, la moda esplodente nella evoluzione delle arti (come: libri, film, TV, internet, ecc...) e poi il sapere acquisito o da acquisire, la conoscenza...la VISION globale e di ciascuno. Tutto che definisce e mantiene vivo il linguaggio con relativo perimetro di significato, purtroppo spesso indefinito e approssimato, in relazione ad ogni significante: la lingua cresce e si struttura con sempre piu' ampie esigenze nei dizionari e nelle enciclopedie.

Infatti l'artista, il filosofo, lo scienziato, incalzati dalle originali significanze del loro pensiero o dei loro trovati si scontrano spesso costretti entro significanti insufficienti e imprecisi ...per cui distorcono, estendono, inventano significanti con significati sottratti e scippati da campi diversi: abbiamo, ad es., i casi opposti dell'onomatopeico linguaggio inglese/USA e del precisissimo tedesco con significanti direttamente composti ab origine.

Forse noi siamo in mezzo!

Il linguista, qualunque sia l'idioma, difficilmente può influire e interferire con la sempre frenetica evoluziuone...piu' spesso può solo prenderne atto... ricercare, rilevare ed esplicare i significanti con relativi significati che sempre più evolvono...o, semplicemente, sono privi di significato.

Tuttavia l'equilibrio andrebbe cercato nel non esagerare nel voler realizzare un rapporto uno a uno fra significante e significato. Il rischio è di introdurre un numero enorme di significanti con dizionari giganteschi (vedi lingua tedesca...in specie nel linguaggio tecnico) e sarebe anche velleitario

Oppure è meglio rassegnarsi a significanti che esprimono significati diversi e approssimati a seconda del contesto d'uso...per cui non si può prescindere dall'attribuire al "significante generale", esteso anche ai più svariati campi, la parola "attributo" che ne delimita il perimetro d'uso: eclatante è il citato significante "gioco" che deve essere accompagnato dai piu svariati attributi ad hoc come calcio, oca, basket, rugby, pelota, golf...ecc...se si vuol sapere o esprimere di cosa veramente si parla o a cosa ci si riferisce.

Comunque, pur nell'ambito di certe regole, definire i ragruppamenti, gli insiemi, prevedere i nuovi apporti, disporli ad albero a contenuto di significato derescente e delimitarne i perimetri dei significati, è fatica di Sisifo ben nota a chi si dedica a classificazioni di oggetti con relative codifiche richiamanti il riferimento all'utilizzo, alla morfologia, al significato funzionale, all'appartenenza, all'ubicazione, alla fornitura, ecc...

Per quanto... nel linguaggio comune e persino specialistico... molte parole hanno mantenuto invero significati costanti e non equivocabili...
Mi riferisco a significanti comuni alla scienza ed alla filosofia.
Fra essi mi limito a citare: postulato, assioma, principio, fondamento adduzione, induzione, a-priori, antinomia, teoria, legge, ecc...

Significanti appunto che, se pur invarianti e in uso da tempo, millenni quasi, di essi non sempre cogliamo od interpretiamo appieno il signigficato...almeno io!
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Vecchio 06-06-2011, 08.48.12   #7
Il_Dubbio
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Originalmente inviato da Aristippo di Cirene

però tale caratteristica è propria anche di cose che comunemente non chiameremmo giochi, come la guerra ad esempio. Quindi, per una cosa x, la caratteristica del prevedere un vincitore rappresenta magari una condizione necessaria per essere chiamata "gioco", ma non sufficiente.

Si, ma la domanda era diversa. Mi si domandava da cosa erano accomunati i giochi elencati. Cioè era implicito che, chi mi ha posto la domanda, volesse attribuire ai giochi caratteristiche comuni. Questo non significa che un altro termine come "guerra" non abbia le stesse caratteristiche. Ma è qui che entra in "gioco" l'astrattezza del termine che è molto più rigida di un elenco infinito di caratteristiche.
Anche il gioco del poker se fatto dentro alcuni limiti rimane un gioco, quando il giocatore incomincia a "giocarsi" la casa e la moglie il gioco perde il significato di gioco per assomigliare a quello di guerra (cioè diventa una tragedia).


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Originalmente inviato da Aristippo di Cirene
Questa è una osservazione interessantissima.. Secondo me le cose stanno così perché nel fornire la definizione di un oggetto esistente noi dobbiamo tener conto di caratteristiche date dall'oggetto stesso e soprattutto dai concetti che il linguaggio ordinario ha già ad esso collegati. Diciamo che abbiamo maggiori vincoli. Invece, quando diamo una definizione puramente stipulativa tutto ciò non si pone. Ad esempio, io adesso ti do la definizioe di "sdfsdf": quella particolare sequenza di stati umorali che ha il seguente ordine: ansia, voglia di qualcosa di buono, rabbia, e che si consumi nel giro di massimo 15 minuti.


Bisogna anche vedere il contesto in cui il termine viene proposto. Prendiamo per esempio la tragedia giapponese e il termine tsunami. Oggi questo termine viene usato nelle più disparate situazioni, non so per esempio tsunami politico, tsunami economico ecc.
Secondo me questa ramificazione è dovuta alla caratteristica dell'astrattezza. Se noi volessimo circoscrivere esattamente ogni termine allo scopo di descrivere perfettamente il mondo che ci circonda perderemmo la caratteristica dell'astrattezza che è rigida si, ma non è descrivibile. Siccome però ogni termine lo sentiamo rigido (comprensibile) tentiamo la via della descrizione. Sarebbe come ho detto il precedenza: è la nostra capacità di astrazione a esigere concetti precisi per ogni termine e non il contrario cioè che esistono concetti precisi che non riusciamo a pensare come astrazioni.

E' chiaro che noi esigiamo concetti precisi, per cui li ricerchiamo.
La questione per esempio del concetto di gioco. Anche la guerra potrebbe rappresentare un gioco. Pensa se il nostro capo del governo e quello francese mettessero una scommessa (un caffè) su chi avrà ragione sulla questione libica. Intanto fanno la guerra mandando i soldati ad ammazzarsi. Alla fine vince il governatore francese quindi il nostro capo del governo "paga" la scommessa. Questo è un gioco sulle vite delle persone, ma chi muove le persone (e le fa uccidere) in realtà sta giocando per vincere un caffè.
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Vecchio 06-06-2011, 10.28.05   #8
CVC
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La semantica è una materia interessante ma ha l'inconveniente di rendere
troppo legati alla lingua di appartenenza. Si presenta il problema della
difficile e a volte impossibile traducibilità di alcuni termini in altre
lingue cui fanno riferimento a loro volta autori importanti.
Quindi nasce il dilemma: per avere una corretta visione semantica bisogna
conoscere tutte le lingue o stabilirne una come migliore delle altre?
Le due ipotesi hanno un aspetto comune: sono entrambe irrealizzabili.
Ce ne sarebbe una terza, ossia quella di creare un linguaggio universale,
qualcosa di simile a ciò che, come si dice, avrebbe preceduto la torre di Babele.
Gli sperimentatori in tal senso, vedi Giuseppe Peano, non sembrano però aver
raccolto folle di seguaci.
Dovremo rassegnarci probabilmente e purtroppo al fatto che anche la semantica, per quanto importante e affascinante, ha dei limiti una volta uscita dai confini di una lingua determinata.

Ultima modifica di CVC : 06-06-2011 alle ore 13.25.35.
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Vecchio 06-06-2011, 12.09.44   #9
Aristippo di Cirene
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Originalmente inviato da Il_Dubbio
Si, ma la domanda era diversa. Mi si domandava da cosa erano accomunati i giochi elencati. Cioè era implicito che, chi mi ha posto la domanda, volesse attribuire ai giochi caratteristiche comuni. Questo non significa che un altro termine come "guerra" non abbia le stesse caratteristiche. Ma è qui che entra in "gioco" l'astrattezza del termine che è molto più rigida di un elenco infinito di caratteristiche.
Anche il gioco del poker se fatto dentro alcuni limiti rimane un gioco, quando il giocatore incomincia a "giocarsi" la casa e la moglie il gioco perde il significato di gioco per assomigliare a quello di guerra (cioè diventa una tragedia).


Si è vero. Io pensavo proprio al motivo per il quale Wittgenstein proponeva qesto controesempio del termine "gioco". Egli voleva mostrare l'inadeguatezza della teoria classica della definizione, quella dei tratti definitori necessari e sufficienti. Cioè una cosa è un frutto se e solo se soddisfa alcune caratteristiche necessarie e sufficienti per essere tale. L'essere commestibile è necessario, ma non sufficiente in quanto anche una bistecca è commestibile.
Cmq andando a rileggere W. ho scoperto che egli aveva già preso in considerazione (e scartato) la caratterstica della vittoria: "Oppure c'è dappertutto un perdere e un vincere, o una competizione fra i giocatori? Pensa ai solitari."

Però, effettivamente c'è un senso in cui anche nel solitario uno può perdere o vincere ().

Aldilà della reale efficacia del controesempio di W. Possiamo tranquillamente renderci conto che molte cose sono difficili da definire nonostante noi sappiamo bene come usarle.. Ma questo solo fin quando ci limitiamo al linguaggio ordinario. Già quando vogliamo discutere in filosofia della mente ad esempio ci si pone il problema di cosa sia la mente. A noi sembra di usare perfettamente il termine "mente" "mentale", ma non si è ancora riusciti a trovare un insieme di condizioni necessarie e sufficienti per definire una entità come "mentale". Quando lo scopo è la conoscenza, quindi, dobbiamo ricorrere a definizioni classiche. Come dici tu, anche a costo di imporre una struttura finita dove non c'è.. O addirittura, come accade nella logica fuzzy, rendendo conto proprio della struttura non netta di concetti vaghi.
Aristippo di Cirene is offline  
Vecchio 06-06-2011, 12.12.44   #10
Il_Dubbio
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Originalmente inviato da CVC
La semantica è una materia interessante

Ora farò un discorso tutto al contrario.

Io sono ignorante, cioè ignoro il concetto di "semantica". Vado su un dizionario e leggo una definizione: La semantica è quella parte della linguistica che studia il significato delle parole.

Benissimo, a questo punto la cosa mi è più chiara in quanto faccio largo uso delle parole e queste, per necessità, devono avere un "significato". Una parola, tipo semantica, che però non avesse un significato non potrebbe essere compreso. Se la semantica studia il significato delle parole quanto meno dovrebbe essere comprensibile il significato del termine semantica per essere certi che si possa o non si possa studiare il significato delle parole.

In virtù di questo ragionamento, non potremmo parlare nemmeno di semantica se non fosse chiaro il suo significato. Siccome è chiaro, ovviamente è possibile cercare la chiarezza negli altri termini.
In cosa consiste però la "chiarezza" di un significato? Questo rappresenta però il punto "oscuro" . Cioè sembra che noi si comprenda qualcosa in modo chiaro pur avendo tutta l'aria di essere oscura (incomprensibile). Questa apparente contraddizione mi permette di ipotizzare che la comprensione di un significato è legata ad una attitudine della mente all'astrattezza. Cosa sarà mai l'astrattezza? E' quel processo legato
all'autocoscienza che permette alla mente di srotolare l'immagine primordiale in tante immagini. Qui per immagini non intendo esattamente ciò che significa comunemente, vuole solo richiamare al nostro primo momento in cui il sé si è confrontato con fuori-da sé. Sarebbe come un inchiostro dentro una piccola carta che incomincia a scriversi e a srotolarsi fino a diventare una città di babele.
Secondo me, questo primo momento, può essere paragonato al big bang astrologico. Se il principio dell'entropia è giusto questo primo momento racchiude, come in un guscio, tutto ciò poi si esplica (o si disperde) nel tempo. Mentre noi tentiamo di delimitare i concetti, distinguerli ecc. non facciamo altro che separare ciò che è invero nato arrotolato proprio seguendo il principio dell'entropia. E' come colui il quale cerca di agguantare il vento avendo come risultato di allontanarlo maggiormente, aumentandone il volume.

Per dirla con una battuta la semantica è applicabile solo a se stessa, ma se si volesse applicarla agli altri termini farebbe la fine di colui che cerca invano di agguantare il vento.

n.b.
Forse sono stato un tantino poetico e poco filosofico
Il_Dubbio is offline  

 



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