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Vecchio 17-10-2011, 13.11.56   #1
CVC
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Bruce Lipton e l'epigenetica

L' epigenetica è quella branca della biologia che studia le mutazioni genetiche. Uno dei paladini di questa scienza è Bruce Lipton, che nel suo libro "la biologia delle credenze" ha affrontato il tema della coscienza sotto una nuova prospettiva. E' opinione comune che la coscienza sorga dall'animo della persona e che sia una funzione biologica di vigilanza insita in qualche modo nel nostro organismo fatto di cellule.
Lipton osserva come il progetto di ricerca scientifica denominato "Progetto Genoma Umano" con lo scopo di comprendere le funzioni dei geni appartenenti all'essere umano conclusosi nel 2003, non abbia confermato le attese di chi sosteneva che nell'essere umano ci fossero geni sufficenti da spiegare la complessità dell'organismo umano e del suo comportamento. I dati affermano che nell'organismo umano ci sono all'incirca lo stesso numero di geni che si trovano in un topo o in una pianta.
Gli esperimenti che hanno constatato la sopravvivenza delle cellule enucleate pare abbiano dimostrato che, dato che un organismo privato del proprio cervello morirebbe all'istante, il cervello della cellula si troverebbe nella membrana cellulare e non nel nucleo.
Lipton concentra la sua attenzione sulla membrana e sui recettori della membrana, gli organi sensoriali della cellula, e sostiene che essi controllano di fatto i geni, e che il comportamento cellulare sia modellato principalmente dalle sue interazioni con l'ambiente e non dal suo codice genetico.

Lipton vede quindi l'organismo umano come una specie di computer che scarica la coscienza dall'ambiente, nello stesso modo in cui i pc scaricano i programmi dal web.
La coscienza sarebbe quindi una parte dell'ambiente che viene inglobata in un organismo quando essa trova dei recettori cellulari che siano con essa compatibili. Da qui l'ipotesi che una volta giunta la morte fisica, la nostra coscienza rimarrebbe a far parte dell'ambiente, pronta ad entrare in un'altro organismo non appena essa trovi dei recettori cellulari ad essa compatibili.

Di sicuro queste sono conclusioni che ci portano un bel pò in là, però filosoficamente può essere interessante guardare alla coscienza come ad un qualcosa che viene assimilata da una persona (o più biologicamente parlando da un organismo) piuttosto che ad un qualcosa insito ad essa.
La domanda filosofica potrebbe appunto essere: siamo la nostra coscienza che se ne va a spasso per l'ambiente o siamo una parte di ambiente che abita un organismo?
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Vecchio 18-10-2011, 19.56.15   #2
variabile + fisso
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Riferimento: Bruce Lipton e l'epigenetica

In questo caso e in un certo senso, il buddismo sarebbe molto più credibile di tante altre religioni monoteiste.
Potrei dire che sono il prodotto di fattori esterni, sono l'ambiente che abita l'organismo, la mente non deve porsi quesiti metafisici prima ancora di aver compreso se stessa, forse poi non se li porrà nemmeno. Non sarà il CERN a darci risposte sulla natura intima delle cose, la vera tecnologia è insita in noi stessi.
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Vecchio 18-10-2011, 21.17.02   #3
Tempo2011
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Riferimento: Bruce Lipton e l'epigenetica

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Originalmente inviato da CVC
L' epigenetica è quella branca della biologia che studia le mutazioni genetiche. Uno dei paladini di questa scienza è Bruce Lipton, che nel suo libro "la biologia delle credenze" ha affrontato il tema della coscienza sotto una nuova prospettiva. E' opinione comune che la coscienza sorga dall'animo della persona e che sia una funzione biologica di vigilanza insita in qualche modo nel nostro organismo fatto di cellule.
Lipton osserva come il progetto di ricerca scientifica denominato "Progetto Genoma Umano" con lo scopo di comprendere le funzioni dei geni appartenenti all'essere umano conclusosi nel 2003, non abbia confermato le attese di chi sosteneva che nell'essere umano ci fossero geni sufficenti da spiegare la complessità dell'organismo umano e del suo comportamento. I dati affermano che nell'organismo umano ci sono all'incirca lo stesso numero di geni che si trovano in un topo o in una pianta.
Gli esperimenti che hanno constatato la sopravvivenza delle cellule enucleate pare abbiano dimostrato che, dato che un organismo privato del proprio cervello morirebbe all'istante, il cervello della cellula si troverebbe nella membrana cellulare e non nel nucleo.
Lipton concentra la sua attenzione sulla membrana e sui recettori della membrana, gli organi sensoriali della cellula, e sostiene che essi controllano di fatto i geni, e che il comportamento cellulare sia modellato principalmente dalle sue interazioni con l'ambiente e non dal suo codice genetico.

Lipton vede quindi l'organismo umano come una specie di computer che scarica la coscienza dall'ambiente, nello stesso modo in cui i pc scaricano i programmi dal web.
La coscienza sarebbe quindi una parte dell'ambiente che viene inglobata in un organismo quando essa trova dei recettori cellulari che siano con essa compatibili. Da qui l'ipotesi che una volta giunta la morte fisica, la nostra coscienza rimarrebbe a far parte dell'ambiente, pronta ad entrare in un'altro organismo non appena essa trovi dei recettori cellulari ad essa compatibili.

Di sicuro queste sono conclusioni che ci portano un bel pò in là, però filosoficamente può essere interessante guardare alla coscienza come ad un qualcosa che viene assimilata da una persona (o più biologicamente parlando da un organismo) piuttosto che ad un qualcosa insito ad essa.
La domanda filosofica potrebbe appunto essere: siamo la nostra coscienza che se ne va a spasso per l'ambiente o siamo una parte di ambiente che abita un organismo?
Più volte ho avuto modo di affermare in questo forum e in diverse occasioni che, secondo me, la coscienza non è altro che una peculiarità della nostra memoria globale. Per globale intendo la sommatoria dei patrimoni che vanno a formare la stessa, e che sono rappresentate da:
1°) Le esperienze che si porta dietro la materia con cui siamo formati.
2°) Le esperienze provenienti dai nostri avi.
3°) Quelle che facciamo noi durante la nostra vita. Perciò, se questa coscienza se ne va a spasso per il mondo, è solo perché siamo noi che andiamo a spasso per il mondo; giacché lei è una delle espressioni derivanti dalla nostra memoria, senza la quale non esisterebbe nessuna coscienza. Già nell'altro thread ho portato l'esempio del bambino che cresce, poiché la sua coscienza varierà in base alle sue esperienze.
Perciò, la coscienza di un bambino di due anni sarà differente da quella di uno di dieci, di venti di cinquanta ecc. Non conosco l'autore citato ma, secondo me, non andrà molto lontano con la sua teoria sulla coscienza in libertà.
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Vecchio 22-10-2011, 23.51.29   #4
CVC
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Originalmente inviato da variabile + fisso
In questo caso e in un certo senso, il buddismo sarebbe molto più credibile di tante altre religioni monoteiste.
Potrei dire che sono il prodotto di fattori esterni, sono l'ambiente che abita l'organismo, la mente non deve porsi quesiti metafisici prima ancora di aver compreso se stessa, forse poi non se li porrà nemmeno. Non sarà il CERN a darci risposte sulla natura intima delle cose, la vera tecnologia è insita in noi stessi.
Il problema è che noi siamo portati a pensare alla nostra coscienza come ad un entità autonoma, un qualcosa che è vincolata alla nostra identità e che è in qualche modo in competizione con l'ambiente.
L'uomo si preoccupa di rendere la propria esistenza quanto più confortevole possibile, e poco importa che ciò avvenga a scapito dell'ambiente. Noi tendiamo a pensare al nostro sè come fosse un'entità autonoma rispetto all'ambiente. Ma se proviamo a concepire il nostro sè come determinato dall'ambiente e non come un'entità di natura diversa rispetto al mondo che osserviamo con i nostri occhi, forse proveremmo un pò più di familiarità verso un mondo che maltrattiamo con disinvoltura ogni giorno dimenticandoci che è solo grazie ad esso che troviamo le condizioni necessarie alla vita. E se pensiamo quanto rare sono le condizioni che permettono la vita nello spazio conosciuto al di fuori dell'atmosfera, possiamo solo renderci conto di quanto siamo ingrati nei confonti del nostro ambiente. Proviamo affetto verso i nostri simili, persino verso alcuni animali o piante, ma ci lasciano spesso indifferenti le condizioni di salute del nostro pianeta. Siamo indifferenti nei confronti dell'ambiente perchè concepiamo il nostro sè come una natura diversa rispetto a quella dell'ambiente. Probabilmente solo nella ristrettezza delle necessarie condizioni vitali si riesce a pensare che il nostro sè e ciò che ci circonda siano della stessa natura.

Ultima modifica di CVC : 23-10-2011 alle ore 09.58.50.
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Vecchio 22-10-2011, 23.52.28   #5
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Più volte ho avuto modo di affermare in questo forum e in diverse occasioni che, secondo me, la coscienza non è altro che una peculiarità della nostra memoria globale. Per globale intendo la sommatoria dei patrimoni che vanno a formare la stessa, e che sono rappresentate da:
1°) Le esperienze che si porta dietro la materia con cui siamo formati.
2°) Le esperienze provenienti dai nostri avi.
3°) Quelle che facciamo noi durante la nostra vita. Perciò, se questa coscienza se ne va a spasso per il mondo, è solo perché siamo noi che andiamo a spasso per il mondo; giacché lei è una delle espressioni derivanti dalla nostra memoria, senza la quale non esisterebbe nessuna coscienza. Già nell'altro thread ho portato l'esempio del bambino che cresce, poiché la sua coscienza varierà in base alle sue esperienze.
Perciò, la coscienza di un bambino di due anni sarà differente da quella di uno di dieci, di venti di cinquanta ecc. Non conosco l'autore citato ma, secondo me, non andrà molto lontano con la sua teoria sulla coscienza in libertà.
L'autore citato non parla della coscienza in libertà ma della prospettiva che siano le interazioni ambientali a determinare il nostro comportamento fisiologico e non il DNA.

Ultima modifica di CVC : 23-10-2011 alle ore 12.56.11.
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Vecchio 23-10-2011, 21.29.46   #6
Tempo2011
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La domanda filosofica potrebbe appunto essere: siamo la nostra coscienza che se ne va a spasso per l'ambiente o siamo una parte di ambiente che abita un organismo?
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Più volte ho avuto modo di affermare in questo forum e in diverse occasioni che, secondo me, la coscienza non è altro che una peculiarità della nostra memoria globale. Per globale intendo la sommatoria dei patrimoni che vanno a formare la stessa, e che sono rappresentate da:
1°) Le esperienze che si porta dietro la materia con cui siamo formati.
2°) Le esperienze provenienti dai nostri avi.
3°) Quelle che facciamo noi durante la nostra vita. Perciò, se questa coscienza se ne va a spasso per il mondo, è solo perché siamo noi che andiamo a spasso per il mondo; giacché lei è una delle espressioni derivanti dalla nostra memoria, senza la quale non esisterebbe nessuna coscienza. Già nell'altro thread ho portato l'esempio del bambino che cresce, poiché la sua coscienza varierà in base alle sue esperienze.
Perciò, la coscienza di un bambino di due anni sarà differente da quella di uno di dieci, di venti di cinquanta ecc. Non conosco l'autore citato ma, secondo me, non andrà molto lontano con la sua teoria sulla coscienza in libertà.
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L'autore citato non parla della coscienza in libertà ma della prospettiva che siano le interazioni ambientali a determinare il nostro comportamento fisiologico e non il DNA.
Anche questa specifica contiene delle ipotesi che non condivido, poiché, secondo me, il DNA è un pilastro cui nessuno può sottrarsi, soprattutto nel mondo animale. Ti porto un esempio di cui ho già parlato in questo forum. Si tratterebbe dell'esperimento sull'ameba; di fatto, ponendo l'animaletto vicino a un cunicolo con all'interno un bivio, dove uno finirà con un vicolo cieco mentre l'altro la condurrebbe al suo cibo preferito, la stessa, trovandosi davanti a quello cieco, tornò indietro prendendo l'altro cunicolo, dove trovò il cibo. Prendendo l'animaletto unicellulare e riposizionandolo al punto di partenza, lo stesso prese direttamente il cunicolo che portava al cibo. Lo strabiliante è che, sezionando l'ameba in due, le stesse raggiunsero, senza esitazione, il cibo. Inoltre, quello che è più fantastico e che, dividendo l'ameba in quattro, tutte e quattro presero lo stesso percorso che portava al cibo. Punto di domanda: se l'ameba non avesse un comando incorporato, riconducibile al suo DNA, come potrebbe avvenire quell'apprendimento in modo così rapido, tramite il sistema enunciato dall'autore? Essendo che anche l'uomo appartiene al mondo animale, quello che ci capita dovrebbe avvenire per tutti gli altri animali o no? Non so se sono riuscito a rendere l’idea; casomai parliamone ancora.

Ultima modifica di Tempo2011 : 24-10-2011 alle ore 19.53.10.
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Vecchio 24-10-2011, 13.59.26   #7
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Originalmente inviato da Tempo2011
Anche questa specifica contiene delle ipotesi che non condivido, poiché, secondo me, il DNA è un pilastro cui nessuno può sottrarsi, soprattutto nel mondo animale. Ti porto un esempio di cui ho già parlato in questo forum. Si tratterebbe dell'esperimento sull'ameba; di fatto, ponendo l'animaletto vicino a un cunicolo con all'interno un bivio, dove uno finirà con un vicolo cieco mentre l'altro la condurrebbe al suo cibo preferito. La stessa, trovandosi davanti a quello cieco, tornò indietro per prendere l'altro cunicolo, dove trovò il cibo. Prendendo l'animaletto unicellulare e riposizionandolo al punto di partenza, lo stesso prese direttamente il cunicolo giusto che lo portò al cibo. Lo strabiliante è che, sezionando l'ameba in due, le due parti raggiungeranno, senza esitazione, il cibo. Quello che è più fantastico e che, sezionando l'ameba in quattro, tutte e quattro le parti presero lo stesso percorso che le avrebbe portate al cibo. Punto di domanda: se l'ameba non avesse un comando incorporato, riconducibile al suo DNA, come potrebbe avvenire quell'apprendimento in modo così rapido? Essendo anche noi appartenenti al mondo animale, quello che capita a noi dovrebbe avvenire per tutti gli altri animali o no? Non so se sono riuscito a rendere l’idea; casomai parliamone ancora.
Non si tratta di negare l'importanza del DNA ma di cercare di stabilire il fattore determinante di un comportamento. Prendendo il tuo esempio, si tratta di stabilire se l'ameba adotta il comportamento giusto (raggiungere il cibo) guidato principalmente dal DNA, che trova di per sè la giusta risposta agli stimoli ambientali, o se invece siano le informazioni ambientali ad indicare il comportamento giusto in accordo con la predisposizione del DNA. Da dove parte l'atto intelligente, dal patrimonio genetico contenuto nel nucleo della cellula o dalle informazioni che trovano compatibilità con gli organi di senso della membrana potendo così interagire con il DNA?
Come ho detto nel primo post di questo topic il progetto di ricerca genoma umano ha concluso che i geni contenuti nell'essere umano non sono sufficenti a spiegare la complessità del suo comportamento, quindi dovremmo ridimensionare l'importanza data al DNA nell'interpretazione di tale nostro comportamento.
Siamo esseri complessi, ma se tale complessità non trova spiegazioni che provengono dall'interno del nostro organismo dovremo concentrare la nostra attenzione su ciò che proviene da fuori. Tanto più che i ricettori delle nostre cellule non reagiscono solo a segnali fisici ma anche a campi energetici come la luce ed il suono. Se siamo in grado di percepire non solo segnali molecolari ma anche segnali energetici, si può provare a pensare che la nostra coscienza (l'oggetto di tale nostra complessità) possa in qualche modo derivare da una qualche fonte energetica presente nell'ambiente.
Non ti dico che questo sia il credo della mia vita, ma penso che finchè non abbiamo risposte definitive alle domande che ci poniamo, tanto vale essere aperti a tutte le alternative possibili. Almeno fino a quando non si possa confutare definitivamente tale loro possibilità
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Vecchio 26-10-2011, 20.15.50   #8
Tempo2011
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Riferimento: Bruce Lipton e l'epigenetica

Citazione:
CVC
Non si tratta di negare l'importanza del DNA ma di cercare di stabilire il fattore determinante di un comportamento. Prendendo il tuo esempio, si tratta di stabilire se l'ameba adotta il comportamento giusto (raggiungere il cibo) guidato principalmente dal DNA, che trova di per sè la giusta risposta agli stimoli ambientali, o se invece siano le informazioni ambientali ad indicare il comportamento giusto in accordo con la predisposizione del DNA.
Perdonami CVC, non so se sono riuscito a comprendere la domanda, poiché mi sembra normale che le informazioni ambientali ci aiutano a interagire su quello che dobbiamo eseguire e attuare, perché se così non fosse, l'ameba avrebbe continuato a sbattere contro la parete del cunicolo chiuso, mentre, invece, ricevendo un'informazione dall'ambiente, la stessa ha compreso che non era il caso di insistere; per cui non riesco a vedere l'attinenza: ambiente DNA.
Citazione:
Come ho detto nel primo post di questo topic il progetto di ricerca genoma umano ha concluso che i geni contenuti nell'essere umano non sono sufficienti a spiegare la complessità del suo comportamento, quindi dovremmo ridimensionare l'importanza data al DNA nell'interpretazione di tale nostro comportamento.
Se il Genoma umano avesse dato tutte le risposte al nostro comportamento, avremmo risolto tutti i problemi del mondo, poiché per cambiare il carattere delle persone disadattate, violente, brutte ecc. basterebbero impiantargli un DNA giusto e la cosa sarebbe fatta.
Citazione:
Siamo esseri complessi, ma se tale complessità non trova spiegazioni che provengono dall'interno del nostro organismo, dovremo concentrare la nostra attenzione su ciò che proviene da fuori.
Tanto più che i ricettori delle nostre cellule non reagiscono solo a segnali fisici ma anche a campi energetici come la luce e il suono. Se siamo in grado di percepire non solo segnali molecolari ma anche energetici, si può provare a pensare che la nostra coscienza (l'oggetto di tale nostra complessità) possa in qualche modo derivare da una qualche fonte energetica presente nell'ambiente.
Secondo me, noi si è la sommatoria di tutto quello che esiste: dentro di noi e fuori di noi. A mio modo di vedere è da qui che deriva l'enorme difficoltà d'interpretazione dell'essere umano e della sua unicità, poiché siamo immersi nel fiume in piena della casualità. Parlando di casualità va da se che tiro in ballo l'ambiente e la sua importanza nella formazione dell'essere umano. Affermato questo, per finire, ripeto che, secondo me, tutto è importante, per cui non possiamo escludere l'uno o l'altro solo perché non riusciamo a trovare le risposte giuste.
Citazione:
Non ti dico che questo sia il credo della mia vita, ma penso che finché non abbiamo risposte definitive alle domande che ci poniamo, tanto vale essere aperti a tutte le alternative possibili. Almeno fino a quando non si possa confutare definitivamente tale loro possibilità
Non lo è nemmeno per me; per il resto condivido.
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Vecchio 27-10-2011, 11.34.24   #9
nemesi1
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Riferimento: Bruce Lipton e l'epigenetica

Conosco poco il pensiero di Lipton e per questo chiedo a CVC di correggere le mie imprecisioni.
Mi sembra che, da un punto di vista biologico, sostenga che sia la membrana cellulare a filtrare le informazioni dall'esterno mediante la compatibilità dei recettori che si legano agli elettroni della materia. La cellula si viene così a modificare non per effetto di alterazioni del DNA (statisticamente rilevate con una percentuale bassissima), ma di tutte le informazioni che si ricevono dall'ambiente e che non influiscono sul DNA.
nemesi1 is offline  
Vecchio 28-10-2011, 09.12.52   #10
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Citazione:
Originalmente inviato da nemesi1
Conosco poco il pensiero di Lipton e per questo chiedo a CVC di correggere le mie imprecisioni.
Mi sembra che, da un punto di vista biologico, sostenga che sia la membrana cellulare a filtrare le informazioni dall'esterno mediante la compatibilità dei recettori che si legano agli elettroni della materia. La cellula si viene così a modificare non per effetto di alterazioni del DNA (statisticamente rilevate con una percentuale bassissima), ma di tutte le informazioni che si ricevono dall'ambiente e che non influiscono sul DNA.
Lipton sostiene che le informazioni ambientali influiscono sul DNA.
Le proteine sono il più importante componente di base degli organismi viventi.
Le mutazioni di forma delle proteine (date dall'alterazione delle loro cariche elettromagnetiche) sono i movimenti che azionano la vita.
Il dogma centrale della biologia attualmente riconosciuta è la convinzione del ruolo primario del DNA.
Secondo questo schema (chiamato primato del DNA) il flusso delle informazioni negli organismi biologici parte dal DNA (memoria a lungo termine della cellula), passa poi all'RNA che tramite la sintesi proteica converte l'informazione genetica in proteine. Quindi secondo questo schema il DNA è ritenuto la causa prima del comportamento.
Lipton invece afferma il "primato dell'ambiente". Secondo questo schema il flusso di informazioni parte dai segnali ambientali, attraverso delle proteine regolatrici (situate sulla membrana) passa al DNA, quindi all'RNA che sintetizza le proteine.
Pertanto le operazioni della cellula sarebbero modellate principalmente dalla sua interazione con l'ambiente, e non dal suo codice genetico.
CVC is offline  

 



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