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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 03-05-2012, 12.40.28   #31
il Seve
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Riferimento: Non Puo' Esistere Un Rimedio?

Citazione:
E’ una vita che sento dire che Severino è un heideggeriano o vicino alle posizioni di Heidegger, e mi irrita molto perché semplicemente Severino è agli opposti, e solo per equivoco si possono prendere delle idee da contesti diversi e dire che sono la stessa cosa.

Su questo metodo d’indagine di tipo genetico, ancorché molto diffuso, ma anche molto equivocato, io nutrirei forti dubbi.

Il metodo genetico è quello che così veniva chiamato ad esempio da Werner Jaeger, e che gli ha permesso di fare delle memorabili indagini su Aristotele, ricostruendo l’evoluzione del suo pensiero. Affine è il metodo genealogico implementato da Nietzsche a Foucault. Per darne un esempio cito il caso della genealogia della morale da parte di Nietzsche che è uno dei più noti. La morale non consta di valori eterni perché ha una sua genesi storica, che racconta tra l’altro di individui poco virtuosi e fortemente risentiti per la loro inferiorità, che edificano un sistema di lacci e lacciuoli che serva ad imbrigliare le forze sane degli uomini superiori. Ammesso che le cose siano andate così, domando se ciò dica ancora nulla sulla verità della morale… Rispondo di no. Ma non perché, come ho spiegato che si deduca da Kant nel thread Definire il concetto di libertà, ciò che accade nella realtà è altro da ciò che è valido in teoria (e quindi una teoria morale potrebbe essere sempre valida anche se nella pratica viene sistematicamente violata), ma perché se dovessimo portare a coerenza il metodo genealogico dovremmo constatare che viene anch’esso investito dalla sua stessa critica. Infatti, anche il metodo genealogico ha una sua origine storica e quindi non è una verità eterna. Perché dovremmo credergli? Ma Nietzsche non sarebbe Nietzsche se fosse così ingenuo da proporre una teoria che si lascia abbattere già per lo stesso fatto di non reggersi in piedi da sé. Infatti Nietzsche fa affidamento sul fatto che nessuno smentirebbe l’esistenza della storia, cioè del divenire, e quindi di conseguenza nessuno smentirebbe l’evidenza che le verità nascono nella storia e da circostanze tuttaltro che “nobili”. Quindi, nessuna verità è eterna, così come anche gli individui più virtuosi nascondono dei terribili lati oscuri, e così come anche le cucine dei migliori ristoranti non hanno un igiene da manuale.

Ora, in questo thread ero intervenuto precisando le idee di Severino. Ma, Giorgiosan, se mi fai la loro genesi storica, non è che si capisca cosa dicono quelle idee… Invece si capiscono se non sono sottoposte ad una genesi storica, ma appaiono in un contesto di non contraddittorietà. Infatti, anche la genesi storica intende non fare a pugni con se stessa e mantenersi nell’incontraddittorietà, ma cosa succede se viceversa pensiamo che la non contraddittorietà sia un prodotto storico? Succede che la genesi storica non può escludere di identificarsi al suo contrario. Tra l’altro non è un caso che ogni genesi storica (anche della giornata di ieri o dell’attimo appena passato) sia sempre un’interpretazione (un’ipotesi, una fede) di fatto e di diritto. Infatti, la storia è il divenire come passaggio dal nulla all’essere e viceversa, e quindi, essendo ogni passato andato nel nulla, le affermazioni sul passato sono affermazioni sul nulla e non possono avere verità. Anche perché ciò che crediamo che il passato ci lasci (rovine, monumenti, documenti, fossili, materiale organico, registrazioni, opere d’arte o d’uso quotidiano), è interpretato come traccia solo perché si basa anch’esso sulla presunta sopravvivenza del passato. Ad esempio, si basa sulla sopravvivenza ideale del passato, dato che si crede che il passato non sarebbe passato se sopravvivesse in carne e ossa. Ma la sopravvivenza ideale non si basa anch’essa su quel passato in carne e ossa che è andato nel nulla?

Si è visto come anche Severino faccia una ricostruzione storica dell’Occidente. Ma mentre le ricostruzioni genealogiche mirano a disseminare e dissolvere ogni senso dell’Occidente nelle varie tappe dello sviluppo storico perché sono convinte che esistono solo le differenze e vadano salvaguardate innanzitutto queste, Severino invece cerca di mostrare che le differenze sono differenze di un’identità comune, e che dunque ciò che è storico lo è sulla base di ciò che non è storico. Certo non vanno perse le differenze, ma proprio per questo non va persa l'identità comune. Fermo restando che Severino si rifà comunque ad un diverso senso della storia, del tempo, del divenire.

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Vecchio 03-05-2012, 14.15.31   #32
Aggressor
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Riferimento: Non Puo' Esistere Un Rimedio?

Mi è piaciuto il tuo discorso Gyta, ma prima di conferire concretezza a quell'unità dell'essere che non possiamo neanche esprimere in quanto esula dai modi e dalle categorie proprie degli enti che definiscono, separano delimitano per conoscere, io pongo a te lo stesso quesito che ho posto a Il Seve.

Cioè: se l'assoluto è in qualche modo reale non si perderebbe la necessità della vita degli enti?

Io credo piuttosto che l'assoluto non sia mai esplicitamente tale e che invece si realizza nella conoscenza che è sempre sguardo soggettivo, così la coscienza è un tutt'uno con gli enti o con l'ente, è sostanza (condivido anche ciò che hai detto sulla volontà sulla volontà), e come dici tu noi separiamo questi concetti finché è comodo alle operazioni particolari e tecniche.

L'apertura dell'universo dev'essere questa richiesta di un'assoluto che è "reale" solo finché non chiude il ciclo (come se non si realizzasse mai del tutto), e al contempo in quanto sostanza o essenza che ci forma esso incanala la sua sensatezza, cioè l'oggettività che possiede implicitamente, nei processi in cui siamo coinvolti (per quanto possa avere senso distinguere l'implicito dall'esplicito).


Per questo parlo della contingenza: se l'assoluto fosse già dato noi saremmo già dati e allora, dico io, noi non vivremmo, e sarebbe il nulla (o il tutto); ma poiché il dare presuppone un ricevere il reale è ciò che è stato percepito e così l'indeterminismo gnoseologico diviene ontologico.

L'assoluto non è un ente per noi, l'assoluto come asserisci tu Gyta non è sottoposto a determinazioni o limiti, ma così esso si indentifica anche col nulla e perde di realtà.
Infatti ciò che esiste per noi deve avere qualcosa in comune con noi -e la cosa comune e più universale che ci può essere è l'essenza-, ma l'inesprimibile, poiché noi viviamo nell'espressività, non ha un modo d'essere e dunque non presenta qualcosa in comune.
Poiché io credo che tutto abbia un modo d'essere ciò che è comune a tutti è d'avere un modo d'essere, ma allora l'essenza delle cose è l'idea (nel senso di universale) di "modo" o "forma" che di per sé è informe, e allora la sua realtà l'essenza (che stò accostando all'assoluto) la coglie realizzandosi nei differenti modi.


Tu scrivi "l'essere e il divenire sono la stessa cosa" e alla fine questa è anche la mia conclusione, l'ho solo detto a parole mie o con qualche puntualizzazione, ma forse il lingaggio è un po' troppo personale...
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Vecchio 03-05-2012, 20.53.23   #33
ulysse
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Citazione:
Originalmente inviato da Aggressor
Mi è piaciuto il tuo discorso Gyta, ma prima di conferire concretezza a quell'unità dell'essere che non possiamo neanche esprimere in quanto esula dai modi e dalle categorie proprie degli enti che definiscono, separano delimitano per conoscere, io pongo a te lo stesso quesito che ho posto a Il Seve.

Cioè: se l'assoluto è in qualche modo reale non si perderebbe la necessità della vita degli enti?
............................
Io credo che i filodsofi debbano avere il loro spazio ...ove parlare, parlare.....parlare...magari scrivere, ecc...
M non dovrebbero anche fare in modo che si capisca?
Io ho studiato filosofia al liceo...e ci capivo...poco, ma ci capivo!
Perchè ora, d'anni e d'esperienza carco ...non ci capisco? Non ci dovrebbe essere un rimedio?
Che so...gli enti, gli assoluti...eliminarli? e le categorie...gli esseri?...pure! s'è mai visto una categoria...un essere?
Beh forse un essere sì!...ma non così essere! ....molto meno.
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Vecchio 05-05-2012, 12.54.53   #34
Aggressor
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Riferimento: Non Puo' Esistere Un Rimedio?

Scusa Ulysse, ti "traduco" il mio dubbio e forse così sarà più chiaro a tutti.

Il fatto è questo, che se il determinismo ontologico fosse la verità allora è come se tutte le cose passate, presenti e future fossero già scritte. Questo tipo di concezione dell'universo porta a credere che esista questa sorta di Tutto (passato presente e futuro insieme che ho anche chiamato l'Assoluto) in cui noi siamo immersi col risultato che, non potendo inglobarlo (noi ne siamo una parte), non ne cogliamo l'interezza e con ciò ci "muoviamo" al suo interno per carpirlo e viviamo il tempo.

Quello che dico io è che non si vede la necessità che ci siano degli enti (parola più universale con la quale designo qualsiasi cosa sia esistente) che guardano questo Tutto già posto; cioè, dico io, questa visione delle cose non chiarisce il ruolo della coscienza (che se vai a vedere è praticamente lo stesso concetto di conoscenza).
Invece la coscienza e la conoscenza devono essere cose necessarie, non contingenti; la mia soluzione al problema è che il Tutto non sia già posto, non sia reale, esistente, non sia un ente; ciò che potrebbe essere contenuto nell'Assoluto (che è pure l'essere di Emanuele Severino per capirci) diviene reale, essente (e con ciò capace di influenzare gli altri oggetti) solo quando viene colto da qualcos'altro (cioè qualcuno lo conosce o lo "sente", ne ha coscienza).
La cosa particolare di questa visione delle cose è che riprendo questo punto fondamentale di Fichte: <<La concezione comune ci farebbe pensare che prima vengono gli oggetti e successivamente le funzioni compiute dagli stessi, ma Fichte è categorico nel rovesciare questa credenza. Ciò che viene comunemente chiamato "cosa", oggetto, non è altro che il risultato di un'attività>>.

Ci sono molti altri motivi per cui sostengo questo (per esempio una forma qualsiasi ha senso solo se è delimitata da un'altra, il Tutto non può essere delimitato e quindi è indeterminato e con ciò non "esiste"), ma la cosa interessante è che se ciò che esiste è la conoscenza, allora ciò che era un'indeterminismo gnoseologico diviene ontologico e il caso, la libertà o la contingenza tornano ad avere un loro grande senso che non è quello dell'ignoranza dell'uomo, ma della stessa natura.
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Vecchio 05-05-2012, 17.44.35   #35
Giorgiosan
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Citazione:
Originalmente inviato da il Seve
........................
Lasciamo perdere almeno per ora Nietzsche e la sua “Genealogia della morale” (nella quale, lo dico per inciso, egli snobba l’utilitarismo come mediocre sistema morale, sul quale giudizio avrei molto da ridire).

Le idee che esprime un filosofo sono sempre storicamente contestualizzate e lo sono anche esistenzialmente, vale a dire che la sue vicende e la sua vita non sono per niente indifferenti quando si cerchi di penetrare, di comprendere il suo mondo intellettuale.
E non lo è neppure l’indagine psicologica di cui, per esempio, Nietzsche fa largo uso nella sua Genealogia.
Si potrebbe forse leggere un testo, prescindendo da tutto questo, da tutto quello che inevitabilmente intuisci di un’opera, da tutte le allusioni culturali che individui?
Si dovrebbe prendere un testo nello stesso modo che è proprio del fondamentalismo, come fosse calato dal cielo e portatore di una verità non soggetta ad interpretazione, tal quale ad una equazione matematica?

Cogliere l’intenzione è fondamentale, e fino a quando non l’hai colta tutto il materiale di idee di un autore resta come sospeso nel vuoto.

Senza assolutizzare l’intenzione come hanno fatto Carlos Castaneda e Wayne Dyer, tuttavia essa è al centro dell’interpretazione del pensiero altrui, senza cogliere l’intenzione, per dire una ovvietà, non potresti neppure cogliere l’ironia (...come di Essere e tempo ... se non si coglie l'ironia e il sorriso non si può dire di aver "capito" Heidegger).

Se di Severino non si coglie l’intenzione la sua lettura diventa la lettura di un esercizio dialettico.
Mi domando come non si percepisca che Severino propone una teologia laica e razionale ricorrendo ad una riflessione svolta in termini metafisici.
Perché Severino è un metafisico!

Ultima modifica di Giorgiosan : 05-05-2012 alle ore 20.10.26.
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Vecchio 05-05-2012, 20.48.09   #36
ulysse
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Citazione:
Originalmente inviato da Aggressor
Scusa Ulysse, ti "traduco" il mio dubbio e forse così sarà più chiaro a tutti.
Ringrazio per l’attenzione!
Non deludo la tua fatica e vedo anch’io (sperimentalmente) di tradurre nel mio linguaggio.
Citazione:
Il fatto è questo, che se il determinismo ontologico fosse la verità allora è come se tutte le cose passate, presenti e future fossero già scritte.

Se posso dare un contributo… io non mi sogno nemmeno che fossero già scritte…anche se non studio filosofia: forse c’è in noi come una sorta di sapienza naturale che supera ogni filosofia!
Ma forse è una illusoria str******!
Citazione:
Questo tipo di concezione dell'universo porta a credere che esista questa sorta di Tutto (passato presente e futuro insieme che ho anche chiamato l'Assoluto) in cui noi siamo immersi col risultato che, non potendo inglobarlo (noi ne siamo una parte), non ne cogliamo l'interezza e con ciò ci "muoviamo" al suo interno per carpirlo e viviamo il tempo.
Quindi l’Assoluto starebbe ad indicare tutto l’universo coi suoi contenuti ed i suoi eventi passati, presenti e futuri: quindi un qualcosa (entità) che, concretamente, non esiste: non mi pare vero!
Citazione:
Quello che dico io è che non si vede la necessità che ci siano degli enti (parola più universale con la quale designo qualsiasi cosa sia esistente) che guardano questo “Tutto” già posto; cioè, dico io, questa visione delle cose non chiarisce il ruolo della coscienza (che se vai a vedere è praticamente lo stesso concetto di conoscenza).
Infatti nessuna necessità ci sarebbe se tutto fosse già scritto, ma non è vero che tutto è già scritto quindi la necessità della conoscenza col suo farsi c’è! Quanto alla coscienza forse non concordiamo: la coscienza è biologica, serve per acquisire conoscenza, ma non è conoscenza.
Comunque se tutto, nelle cose e negli eventi, fosse già presente e scritto nemmeno la capacità di coscienza servirebbe. Però se tutto fosse scritto, ma non noto, servirebbe usare l’ente “coscienza” (funzione) per leggere e acquisire l’ente “conoscenza”.
La "conoscenza" sarebbe una finalità della "coscienza", ma non solo.
Citazione:
Invece la coscienza e la conoscenza devono essere cose necessarie, non contingenti; la mia soluzione al problema è che il Tutto non sia già posto, non sia reale, esistente, non sia un ente; ciò che potrebbe essere contenuto nell'Assoluto (che è pure l'essere di Emanuele Severino per capirci) diviene reale, essente (e con ciò capace di influenzare gli altri oggetti) solo quando viene colto da qualcos'altro (cioè qualcuno lo conosce o lo "sente", ne ha coscienza).

In effetti la capacità di coscienza e la successiva acquisizione di conoscenza che poi in noi sarebbe “essente”…è necessaria e serve per interagire, se vogliamo o semplicemente accade, con gli altri enti: pare proprio così!
Citazione:
La cosa particolare di questa visione delle cose è che riprendo questo punto fondamentale di Fichte: <<La concezione comune ci farebbe pensare che prima vengono gli oggetti e successivamente le funzioni compiute dagli stessi, ma Fichte è categorico nel rovesciare questa credenza. Ciò che viene comunemente chiamato "cosa", oggetto, non è altro che il risultato di un'attività>>.
In effetti, Fichte ha ragione, tutto è il risultato di una attività…anche l’universo è il risultato del Big-Bang e di tante ulteriori attività fino ad oggi. Però è anche vero che se una qualche attività mi fornisce un’auto io poi, con essa, assolvo alla funzione di viaggiare…che però è essa stessa un’attività: non ci vuole poi tanto a capirlo!
Ma forse Fichte non aveva un’auto!
Citazione:
Ci sono molti altri motivi per cui sostengo questo (per esempio una forma qualsiasi ha senso solo se è delimitata da un'altra,
Veramente non saprei: io non sono morfologicamente delimitato da niente e nessuno, se non quando vado in autobus nelle ore di punta. E per tutti quelli che conosco è così!
A meno che “delimitato” non significhi un’altra cosa. Bisognerebbe chiederlo a Severino!
Comunque quello dei confini è sempre stato un problema: già le “cellule” non sarebbero “cellule” se l’evoluzione biologica non avesse inventato una membrana che le delimita.
Però le molecole che sarebbero andate a comporre la cellula c’erano…esistevano.
Mi pare, quindi, che “confine” posto a fare da discriminante all’esistere non funzioni così tanto bene!
Citazione:
il Tutto non può essere delimitato e quindi è indeterminato e con ciò non "esiste"), ma la cosa interessante è che se ciò che esiste è la conoscenza, allora ciò che era un indeterminismo gnoseologico diviene ontologico
Il sillogismo mi pare un po’ debole per quanto espresso prima.
Per il resto non lo so proprio: …con gli “.…ologico” non mi ci trovo tanto bene…ma se lo dici tu?!
Citazione:
e il caso, la libertà o la contingenza tornano ad avere un loro grande senso che non è quello dell'ignoranza dell'uomo, ma della stessa natura.
Quello che non capisco è perché metti in dubbio queste cose..a me pare ovvio!
Comunque la “conoscenza” (cioè il fatto che qualcosa sappiamo) esiste senz’altro...non del “tutto”, ma di una buona parte…così come esiste l’ignoranza (eccome!)…ma perché tiri in ballo la natura? non lo capisco!
Del resto ho cercato di evidenziare che non considero “conoscenza” e “ignoranza” come entità astratte, ma come fatti concreti
Certo che si nasce naturalmente ignoranti, ovviamente, poi man mano s’impara…chi più chi meno.
Quelli meno si dicono ignoranti, ma non sempre è per natura: è che non tutti ce ne hanno avuto voglia!
In qust’ultima parte ho un po’ scherzato: è che alcune parole mi sfuggono…per esempio indeterminismo…."gnoseologico" …"ontologico"…che ciazzecca?!
…e “contingenza”..significa “di questo momento”, ma che ci ha a che fare con “caso” e “libertà”?!
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Vecchio 06-05-2012, 11.24.00   #37
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Riferimento: Non Puo' Esistere Un Rimedio?

Contingente= opposto di necessità

Per quanto riguarda l'indeterminismo il fatto è questo. La meccanica quantistica suggerisce che alcune particelle non abbiano una posizione e/o una velocità determinate, che il risultato dei loro spostamenti sia da imputare, in parte, al "caso" (un po come se la natura tirasse dei dadi per decidere dove andranno certi oggetti); guarda l'esperimento della doppia fenditura ecc.

Ora, quello che si chiede la scienza prima di decretare definitivamente "la natura gioca a dadi con il mondo" è: ma non sarà che a noi sfuggono delle variabili o che comunque questa indeterminazione è il risultato dell'imprecisione dei nostri strumenti o addiruttura una caratteristica necessaria della conoscenza in sé? (Dopo tutto ogni volta che esperisco non vedo nè me, nè l'oggetto, ma una sintesi tra il mio io -il mio corpo- e l'oggetto, dunque non posso determinare la forma dell'uono o dell'altro).

Dunque=> Indeterminismo ontologico= l'essenza stessa delle cose o le cose non possiedono delle caratteristiche precise ma sono in uno stato di vaghezza, quasi un esistere e un non esistere, avere delle caratteristiche e non averle (sia ammette l'esistenza del caso quale fattore di causalità nei fenomeni fisici).

Indeterminismo della conoscenza (gnoseologico)= sono gli enti che esperiscono o comunque l'uomo a non possedere una visione del tutto determinata della natura a causa della limitatezza delle sue facoltà o conoscenze.


La visione di un Assoluto dato non è banale se si aderisce solo all'indeterminismo del tipo gnoseologico, e francamente anche io mi sono sempre detto che se la materia segue delle precise leggi fisiche e se, nonostante i sensi spesso ci ingannino, gli oggetti hanno una loro forma oggettiva, allora si potrebbe dire che il passato il presente e il futuro sono già scritti. Poi mi sono venuti i dubbi di cui sopra.


Quando parlavo della "delimitazione" di una forma intendevo portare un'immagine mentale come di un foglio bianco in cui non si distinguono oggetti, poi fai una linea, delimiti, ed ecco comparire 2 oggetti che, contrapponendosi, limitandosi a vicenda permettono ai loro modi di emergere; è questo il discorso di Ficthe "non esiste prima una delle due parti del foglio, l'altra, e poi il loro confronto, è il confronto a creare gli oggetti, è l'opposizione a dare senso". Come a dire che il magro non esisterebbe senza il ciccione, ci vuole sempre il termine di paragone e anzi, è il paragone a creare le caratteristiche, di per sé gli oggetti non sarebbero nulla.


Dovrei aver chiarito varie cose Ulysse, guarda che fai bene a dirmi che non mi faccio capire, dispiacerebbe anche a me se la filosofia non fosse a portata di tutti, però poi uno si abitua a esprimersi in un certo modo, si forma pure un linguaggio personale ed è un casino x)
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Vecchio 06-05-2012, 16.07.58   #38
il Seve
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Citazione:
Originalmente inviato da Giorgiosan
Le idee che esprime un filosofo sono sempre storicamente contestualizzate e lo sono anche esistenzialmente, vale a dire che la sue vicende e la sua vita non sono per niente indifferenti quando si cerchi di penetrare, di comprendere il suo mondo intellettuale.
E non lo è neppure l’indagine psicologica di cui, per esempio, Nietzsche fa largo uso nella sua Genealogia.
Si potrebbe forse leggere un testo, prescindendo da tutto questo, da tutto quello che inevitabilmente intuisci di un’opera, da tutte le allusioni culturali che individui?
Si dovrebbe prendere un testo nello stesso modo che è proprio del fondamentalismo, come fosse calato dal cielo e portatore di una verità non soggetta ad interpretazione, tal quale ad una equazione matematica?

Cogliere l’intenzione è fondamentale, e fino a quando non l’hai colta tutto il materiale di idee di un autore resta come sospeso nel vuoto.

Mi sembra che tu dia tutto questo come naturale. Ma naturale non lo è affatto, perché appartiene ad un certo modo di vedere le cose che non ne esclude altri. Se ne può ragionare una volta chiariti i fondamenti, ma così com’è, risponde certamente ad un modo diffuso di pensare, ma non è un insieme di dati assodati. Ad esempio, a proposito di fondamenti dici che è fondamentale cogliere l’intenzione. Ma a livello di una filologia avveduta, l’esistenza di qualunque intenzione è solo una finzione. Magari utile secondo una certa interpretazione o secondo certi scopi pragmatici, ma che ci sia un’intenzione dietro uno scritto, un monumento, o persino un comportamento visibile dai nostri occhi, non è né un dato sperimentato né una nozione dedotta da alcunché. Non è roba da metafisici perché ne convengono filosofi che vanno dalla fenomenologia al neopositivismo. Dalla sincronia tra la mia intenzionalità e il mio comportamento, non posso dedurre che dietro un comportamento simile da parte di qualcun altro vi sia un’intenzionalità da parte sua, perché già non appare per me che quella sincronia sia qualcosa di più, come un rapporto di causa ed effetto, o una necessità, figurarsi se dovessi dedurre l’intenzionalità degli altri dal presunto nesso che la legherebbe al loro comportamento. Infatti se incontrassi la perfetta replica robotica di un essere umano dovrei attribuire un’intenzionalità anche ad essa?

Che “Essere e tempo” contenga ironie, che Nietzsche avesse una psicologia o credesse nelle psicologie, che sia vissuto in contesto storico differente dal nostro o che sia persino esistito, sono interpretazioni senza un fondamento che non sia a sua volta un’altra interpretazione. Un gioco linguistico, per dirla con Wittgenstein. Utile per certi scopi, ma lontano da qualunque pretesa di verità. Stessa cosa si deve dire per chi affermasse che i cosiddetti libri di Severino presuppongono l’autore che è appunto Severino. O che certi fogli di carta ordinati costituiscano dei libri, e che certe macchie di inchiostro impresse su certi fogli siano interpretati come segni di un linguaggio che rimanda ad altri segni e da ultimo presumibilmente a significati che non sono a loro volta segni di altro. Che certe macchie interpretate come segni, siano coordinate a certi significati che sono le idee di una filosofia, ecc. ecc. Anche il nostro dialogo sul forum ha senso all’interno di un’interpretazione, frutto di un intreccio molto complesso di altrettante interpretazioni. E il gioco continua fino alle interpretazioni dominanti di credersi esseri umani, volontà, centri coscienti di forze che modificano le cose, all’interno della credenza suprema che la dimensione più certa che esiste è quella del divenire presente, letta attraverso le nostre più incedibili ed inveterate abitudini.

Ora, anch’io posso aderire a tutto questo mucchio di fandonie, e certamente vi si deve aderire quando si mira a certi scopi (ad esempio, nel fare un esame di filosofia) o si vuole rimanere all’interno di una certa interpretazione. Ma una volta adempiuti gli obblighi di legge interpretativi e preso nozione dei contenuti delle interpretazioni, si deve pur incominciare a discutere di questi contenuti in un contesto che tenti di mantenersi al di fuori di ogni interpretazione, altrimenti ognuno ha le sue interpretazioni e ci si capisce solo con chi ha le nostre. Detto questo, però, non smentisco affatto che tra le interpretazioni ve ne siano alcune più coerenti di altre. Ad esempio, per i motivi chiariti, è più coerente un’interpretazione che tenga conto della problematicità delle intenzioni, di una che le ammetta acriticamente. Oppure, in Severino mi sembra più coerente leggere la storia nichilistica dell’Occidente e il significato della tecnica come conseguenze delle sue idee più fondamentali piuttosto che come conseguenza dell’influenza di Heidegger. E così via.

A proposito di Severino e Heidegger, mi sembra che tu abbia accostato il senso della “cura” heideggeriana al “rimedio” così com’è pensato da Severino. (Ancora a proposito, a scanso di equivoci, dico subito che Severino (ma anche Heidegger) non propone alcun “rimedio” per l’Occidente perché ogni “rimedio” appartiene alla stessa famiglia del “male”.) Considerando quell’accostamento di termini, la mia impressione è che tu abbia capito che il termine “cura” significhi appunto “rimedio” come nell’accezione comune si intende la cura di una malattia. Se è così, è un grosso equivoco, perché “cura” significa “aver a che fare”, “occupazione per qualcosa”, “disposizione”, e ha poco a che vedere con il campo semantico di “rimedio”.

Citazione:
Mi domando come non si percepisca che Severino propone una teologia laica e razionale ricorrendo ad una riflessione svolta in termini metafisici.
Perché Severino è un metafisico!

Non lo si percepisce perché è Severino stesso a fornire i motivi per non interpretarlo né come teologo né come metafisico. E’ vero come scrivesti che bisogna leggere un autore “anche a prescindere dalle affermazioni letterali che possa aver fatto”, ma non per intuirne le intenzioni, ma per saggiare la consistenza delle motivazioni che sorreggono le sue tesi. Nei libri di Severino ci sono motivi a iosa per non considerarlo teologo perché nella sua filosofia Dio fa una brutta fine. E ci sono motivi a ufo per non considerarlo metafisico perché la metafisica (a cominciare dal suo etimo) indica lo schema di un divenire (physis) sovrastato (metà) da qualcosa di eterno. Concezione che Severino nega ogni tre parole.

Ripeto ancora una volta che ci sono dei tratti della filosofia di Severino che somigliano ad alcuni tratti della teologia cristiana. Ma innanzitutto non sono gli stessi, quindi la loro identificazione è un equivoco, e in secondo luogo, anche fossero “gli stessi” da un punto di vista puramente esteriore, sarebbero daccapo diversi perché appartengono a contesti e fondazioni diversi. Cosa dovremmo dire del marxismo che vuole redimere materialisticamente l’uomo dalle sue catene sia materiali che spirituali? Che è una forma larvata di cristianesimo? E di Cristo? Che è un altro uomo-Dio che ripete lo stesso schema abusato di morte e resurrezione alla maniera di Osiride, Dioniso, a tanti altri come si pensava nell’Ottocento e come ancora si pensa larghissimamente, ma solo in rete? Chiaramente anch’io posso essere scambiato per Brad Pitt perché entrambi di forma umana, ma ci vuole una tipa che debba essere così miope da non vedere palesemente che sono tanto meglio!

Saluti.
il Seve is offline  
Vecchio 06-05-2012, 21.48.18   #39
Giorgiosan
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Riferimento: Non Puo' Esistere Un Rimedio?

Citazione:
Originalmente inviato da il Seve
Mi sembra che tu dia tutto questo come naturale. Ma naturale non lo è affatto, perché appartiene ad un certo modo di vedere le cose che non ne esclude altri. Se ne può ragionare una volta chiariti i fondamenti, ma così com’è, risponde certamente ad un modo diffuso di pensare, ma non è un insieme di dati assodati.

Molti modi diffusi di pensare corrispondono molte volte a dei dati assodati.
L’affermazione implica che invece tu appoggi l’argomento su dati assodati
E chi ha mai detto che il mio modo di vedere le cose pretenda di escludere altri modi di vedere?
Non attribuirmi affermazioni che non ho fatto, ovvero non usare l’argomentazione cosiddetta “uomo di paglia”.
Citazione:
Originalmente inviato da il Seve
Ad esempio, a proposito di fondamenti dici che è fondamentale cogliere l’intenzione. Ma a livello di una filologia avveduta, l’esistenza di qualunque intenzione è solo una finzione.
E qui cominci a dare l’impressione di non conoscere il significato dei termini che usi:
la filologia è quella scienza che si occupa della lingua e della letteratura di un popolo con l’analisi dei suoi testi scritti, per esempio, una disciplina filologica “ripristina” l’originale significato delle parole e cerca di chiarire quale sia il senso originale di un testo.
Ci sono varie scuole o tendenze filologiche … ma non conosco nessuna scuola “avveduta” .
L’intenzione è un elemento extra-testuale per cui non può certo riguardare la filologia, riguarda il contesto comunicativo.
Citazione:
Originalmente inviato da il Seve
Magari utile secondo una certa interpretazione o secondo certi scopi pragmatici, ma che ci sia un’intenzione dietro uno scritto, un monumento, o persino un comportamento visibile dai nostri occhi, non è né un dato sperimentato né una nozione dedotta da alcunché.

Se una opera d’arte non sveglia in chi la fruisce lo stesso moto affettivo, la stessa dinamica psicologica, in una una parola la stessa intenzionalità che ha mosso l’autore, quell’opera d’arte resta “muta” e non la renderà “loquace” la sola comprensione intellettuale.
Che cogliere l’"intenzione" o più genericamente interpretare un testo, un monumento, o un comportamento riguardi la sperimentazione o la nozione dedotta da qualcosa non so proprio cosa significhi. Se vorrai spiegarlo ….

Citazione:
Originalmente inviato da il Seve
Non è roba da metafisici perché ne convengono filosofi che vanno dalla fenomenologia al neopositivismo.
Non vedo cosa c’entri nel discorso sull’"intenzione" quello che dici.
Cosa non è roba da metafisici e su cosa convengono filosofi che vanno dalla fenomenologia al neopositivismo, mi rimane del tutto oscuro.
Di passaggio, pur non avendo capito cosa vuoi dire, ho l’impressione che tu ti confonda parlando di fenomenologia perché di questa l"’intenzione" è un concetto fondativo.

(Continua... domani)

Ultima modifica di Giorgiosan : 07-05-2012 alle ore 07.01.19.
Giorgiosan is offline  
Vecchio 09-05-2012, 19.04.38   #40
gyta
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Riferimento: Non Puo' Esistere Un Rimedio?

Citazione:
L'assoluto non è un ente per noi, l'assoluto come asserisci tu Gyta non è sottoposto a determinazioni o limiti, ma così esso si identifica anche col nulla e perde di realtà.
(Aggressor)

Dovremmo sempre chiederci "per chi?" "per chi perde realtà?"
Il "nulla" è concetto di cosa? La "realtà" è concetto di cosa?"
Per cosa è "nulla"? Per cosa è "reale"? Per quale concezione a priori ipotizziamo quel nulla e quel reale?
Ovvero, qual'è il nostro modo di ragionare? Da dove parte, su cosa -su quale concezione- radica?

Citazione:
Questo tipo di concezione dell'universo porta a credere che esista questa sorta di Tutto (passato presente e futuro insieme che ho anche chiamato l'Assoluto) in cui noi siamo immersi col risultato che, non potendo inglobarlo (noi ne siamo una parte), non ne cogliamo l'interezza e con ciò ci "muoviamo" al suo interno per carpirlo e viviamo il tempo.
(Aggressor)

Oppure: che essendo noi* non una parte non ne cogliamo l'interezza
(e la intendiamo come movimento).


Citazione:
io credo che tutto abbia un modo d'essere ciò che è comune a tutti è d'avere un modo d'essere, ma allora l'essenza delle cose è l'idea (nel senso di universale) di "modo" o "forma" che di per sé è informe, e allora la sua realtà l'essenza (che stò accostando all'assoluto) la coglie realizzandosi nei differenti modi.


Tu scrivi "l'essere e il divenire sono la stessa cosa" e alla fine questa è anche la mia conclusione, l'ho solo detto a parole mie [..]
(Aggressor)

Sì, la intendo anch'io come realizzazione attraverso modalità differenti
o stati di 'coscienza' differenti.


*e qui dovremmo definire quel "noi"..
gyta is offline  

 



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