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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 18-12-2012, 22.02.24   #51
0xdeadbeef
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?

@ Sgiombo
Se ricordi, discutemmo piuttosto a lungo, sul "filosofico", circa il concetto di libero arbitrio. Se sei d'accordo
riprenderei un attimo l'argomento.
No, nemmeno io credo al libero arbitrio come ad un agire incondizionato. Credo, come Hume, che a muoverci sia
sempre e comunque quello che è il nostro interesse. Una volta ammesso questo però si deve ammettere che l'interesse
di una persona può non coincidere con quello di un altra persona (l'interesse da cui era mosso S.Francesco non
era, evidentemente, quello da cui era mosso Hitler).
Ora, io credo che una tale divergenza sia propria dell'uomo in quanto "diverso" dagli altri animali. Possiamo
chiamare questo "libero arbitrio"? Certamente, io credo, anche se non siamo disposti a chiamare questo: "libero
arbitrio", dovremmo essere se non altro disposti ad ammettere che l'interesse di un uomo può essere notevolissimamente
diverso da quello di un altro uomo, e questo è un fatto che non succede nel mondo animale canonicamente inteso.
Ovviamente, nell'uomo, possono intervenire fattori psicologici diversissimi. Certamente la società o comunque
l'ambiente socio-culturale nel quale ognuno di noi è immerso gioca un ruolo fondamentale. Come lo giocano le
passate esperienze di vita.
Però, ed è questo il punto che mi preme sottolineare, fin dove è possibile parlare di una "volontà" totalmente
condizionata da fattori esterni? Certamente non ne è possibile parlarne in sedi, ad esempio, come quella giuridica,
dove la "colpevolezza" non sarebbe tale se si ipotizzasse un uomo totalmente succube di tali fattori (prova ne
è la sempre maggiore indeterminatezza in cui si muove il "processo", ormai totalmente o quasi indirizzato da
elementi positivistici, se non "scientisti" nell'autentico senso del termine).
Dunque sono d'accordo con te quando affermi la necessità di un, per così dire, sano scetticismo in materia.
Però, ritengo, lo stesso scetticismo dovrebbe essere esplicato nei confronti di una scienza che quasi prova
a livellare i comportamenti individuali su di un piano nel quale la mancanza di una volontà distinguibile
accomuna i diversi soggetti nei loro diversi comportamenti.
Credo, in definitiva, che la scienza non dovrebbe dimenticare la propria "finitezza", e non ergersi a metafisica
che, come quella "tradizionale", pretende di offrire sempre e comunque risposte de-finitive (ovvero che la
finitezza eliminano). Credo insomma che concetti quali quello di "volontà" dovrebbero essere sempre tenuti
ben presenti, se non altro come aspetti problematici e ben difficilmente risolvibili.
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Vecchio 19-12-2012, 19.06.15   #52
sgiombo
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?

[quote=0xdeadbeef]
Credo, come Hume, che a muoverci sia
sempre e comunque quello che è il nostro interesse. Una volta ammesso questo però si deve ammettere che l'interesse
di una persona può non coincidere con quello di un altra persona (l'interesse da cui era mosso S.Francesco non
era, evidentemente, quello da cui era mosso Hitler).
Ora, io credo che una tale divergenza sia propria dell'uomo in quanto "diverso" dagli altri animali. Possiamo
chiamare questo "libero arbitrio"? Certamente, io credo, anche se non siamo disposti a chiamare questo: "libero
arbitrio", dovremmo essere se non altro disposti ad ammettere che l'interesse di un uomo può essere notevolissimamente
diverso da quello di un altro uomo, e questo è un fatto che non succede nel mondo animale canonicamente inteso.
Certamente la società o comunque
l'ambiente socio-culturale nel quale ognuno di noi è immerso gioca un ruolo fondamentale. Come lo giocano le
passate esperienze di vita.

Giulio (Sgiombo): Sono perfettamente d' addordo che ci sia un abisso (non letteralmente un salto di qualità ma comunque una gigantesca, incommensurabile differenza di quantità) fra la complessità, imprevedibilità o creatività (ovvero variabilità dipendentemente dalle esperienze pratiche e teoriche vissute) del comportamento umano e quella di tutti gli altri animali, primati filogeneticamente più affini compresi.

[quote=0xdeadbeef]
Ovviamente, nell'uomo, possono intervenire fattori psicologici diversissimi.
Però, ed è questo il punto che mi preme sottolineare, fin dove è possibile parlare di una "volontà" totalmente
condizionata da fattori esterni? Certamente non ne è possibile parlarne in sedi, ad esempio, come quella giuridica,
dove la "colpevolezza" non sarebbe tale se si ipotizzasse un uomo totalmente succube di tali fattori (prova ne
è la sempre maggiore indeterminatezza in cui si muove il "processo", ormai totalmente o quasi indirizzato da
elementi positivistici, se non "scientisti" nell'autentico senso del termine).

Giulio: Non comprendo la tua ultima affermazione fra parentesi.
Io penso che la poiché il comportamento umano é "comandato" dal cervello (che personalmente non credo si identifichi con la mente cosciente ma solo vi corrisponda) e il funzionamento di quest' ultimo dipende in parte dal genoma (a mio avviso in maniera sostanzialmente uguale, negli aspetti di attitudini e comportamento che sono comuni a tutti gli uomini, salvo casi decisamente patologici) e in parte da fattori aleatori epigenetici, ivi comprese con un ruolo particolarmente rilevante le esperienze di vita (secondo me sostanzialmente in toto per quanto concerne le differenze individuali di attitudini e comportamenti), si possa parlare di condizionamenti "interni" (cerebrali con i loro corrispondenti mentali), i quali però in ultima istanza non sono che condizionamenti "esterni" più o meno remoti (scusami per la mia solita contorsione nel discorrere, con un' inifnità di parentesi e proposizioni subuordinate: come vedi purtroppo non sono cambiato nemmeno in questo -oltre che per la passione per la bici- nel tempo in cui non siamo stati in contatto).

Citazione:
Originalmente inviato da 0xdeadbeef
Dunque sono d'accordo con te quando affermi la necessità di un, per così dire, sano scetticismo in materia.
Però, ritengo, lo stesso scetticismo dovrebbe essere esplicato nei confronti di una scienza che quasi prova
a livellare i comportamenti individuali su di un piano nel quale la mancanza di una volontà distinguibile
accomuna i diversi soggetti nei loro diversi comportamenti.
Credo, in definitiva, che la scienza non dovrebbe dimenticare la propria "finitezza", e non ergersi a metafisica
che, come quella "tradizionale", pretende di offrire sempre e comunque risposte de-finitive (ovvero che la
finitezza eliminano). Credo insomma che concetti quali quello di "volontà" dovrebbero essere sempre tenuti
ben presenti, se non altro come aspetti problematici e ben difficilmente risolvibili.

Giulio: Sono d' accordo.
Quello che più mi preme sottolineare é che se per libero arbitrio si intende incondizionatezza dell' agire (che secondo me é sinonimo di aleatorietà, banale casualità; allora:
1) Ciò non é conciliabile con il divenire ordinato secondo leggi universali e costanti (meccanicistiche oppure probabilistiche, cioé deterministicamente in un accezione forte oppure debole del termine) della realtà naturale nella quale l' agire umano accade, che é conditio sine qua non della sua conoscibilità scientifica.
2) Non ha senso dare valutazioni morali delle azioni umane: esse possono essere considerate buone oppure malvage solo se sono conseguenze (sul piano della conoscenza; ovvero se sono condizionate, determinate sul piano della realtà) dal modo di essere (buono oppure malvagio) di chi le compie (conseguente l' interazione fra il suo genoma e l' ambiente in cui é vissuto).
Se invece sono incondizionate, allora é esattamente come se al momento di compiere scelte si lanciasse una moneta e si decidesse se fare o non fare qualsiasi cosa a seconda che uscisse testa oppure croce: le azioni non dimostrerebbero (non sarebbero determinate da-) l' essere buono o cattivo di chi le compisse, ma solo il suo essere fortunato o sfortunato.
Secondo me quello che é necessario per conferire valore morale alle scelte ed azioni umane non é la loro incondizionatezza interna (o libero arbitrio), bensì la mancanza di coercizioni o impedimenti estrinseci.
A presto.

Giulio
P.S.: mi sono incasinato con la grafica delle citazioni e risposte (penso di avere rimediato discretamente attribuendo esplicitamente ciascuna considerazione od obiezione a chi la propone all' inizio della stessa.
sgiombo is offline  
Vecchio 20-12-2012, 14.32.15   #53
Aggressor
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Riferimento: Esiste qualcosa al di fuori dell'io?

Non mi ero accorto della domanda di Sgiombo

La mia proposta è quella di far coincidere ogni punto di vista con un osservatore, un pò come Leibniz, senza però pretendere che questi osservatori non si influiscano a vicenda, anzi, la loro determinazione sarebbe impossibile, secondo me, se non si delimitassero vicendevolmente (influenzandosi appunto, altrimenti credo che non avrebbero una forma definita o almeno in parte definita).

Ho parlato del problema dell'emergere della coscienza anche in questo forum, l'opinione più sensata mi pare sia di ammettere che non emerga a un certo punto dalla materia, ma che essa coincida con gli eventi (si tratta di una personale ipotesi mia credenza); e che le modalità delle sue manifestazioni particolari coincidano con gli eventi vissuti internamente dall'oggetto che ne è il protagonista. Io sento il mio patire e agire, perché le altre configurazioni materiali non dovrebbero, soprattutto se si tratta di "sistemi" complessi (=> mi riferisco alle teorie della coscienza elaborate da alcuni neuroscienziati, secondo cui sarebbe una manifestazione intriseca di qualunque sistema complesso, dove complesso vuol dire semplicemente=> un composto di più entità interagenti), come ogni entità fisica conosciuta?
Insomma, ogni atomo, particella, cellula ecc. sarebbe un osservatore, non solo gli animali e gli uomini. Mi pare che questo salvi la luna dal collasso e soprattutto che salvi una ipotetica ontologia da un surplus di tipi di entità (soggetti, oggetti=> solo soggetti/oggetti). Credo sia in qualche modo accettabile anche perché la scienza non sa dire molto riguardo all'emergere della coscienza, come pure non sa dire molto del limite tra materia viva e materia morta.

PS: in realtà le particelle elementari potrebbero non essere sistemi complessi, però stranamente manifestano particolari proprietà... inoltre un sistama non complesso per sé non conduce a nulla, solo più elementi (ammesso pure non complessi) portano a manifestazioni particolari, a eventi, o a delle realtà direi. Qui si tratta ancora di un idea personale che proverò a far intuire con questo esempio:

Se si immagina un universo composto da una singola sfera si possono pensare due cose: 1. c'è la sfera e un infinito vuoto oltre ad essa=> ma il vuoto inteso in questo senso è stato scaratato addirittura dalla fisica, il vuoto è qualcosa, allora questo pensiero è erroneo, stò immaginando la sfera e il vuoto e non solo la sfera. 2. c'è solo il contenuto della sfera=> ma da dove traggo che ogni punto del perimetro della sfera è equidistante dal centro?
Mi pare che un sistema non complesso sia per sé un nulla, e che solo l'interazione di più elementi generi una qualche realtà più o meno definita: interazione di più elementi=realtà= osservazione (anche nel senso di essere modificato dagli altri eventi, poter semplicemente partire o agire, e perchè no, dunque, "sentire").
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Vecchio 20-12-2012, 15.57.42   #54
CVC
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Citazione:
Originalmente inviato da 0xdeadbeef
@ CVC (dal post originario)
Io non credo sia una "evidenza" che la luna esista anche quando non la guardiamo...
Mi spiego. Se, come la semiotica ci insegna, ogni nostro pensiero, prima ancora che ogni nostro nominare, è
inscritto in un "segno", in una catena di significanti e significati, allora non possiamo dire che la luna
"esiste". Perchè "esistere" vuol dire venire alla luce, "scoprirsi", e ciò che viene alla luce è un qualcosa
che, solo secondariamente, noi nominiamo come "luna" (ovvero come un satellite della terra che...etc.).
Quindi, dal mio punto di vista, possiamo semmai dire che "qualcosa c'è" (alla maniera di Levinas); c'è oltre
noi, oltre il nostro nominare, oltre lo stesso nostro pensare. Ma, e questo è il punto fondamentale. non
potremmo dire che: "la luna esiste evidentemente anche quando noi non la guardiamo". Perchè l'"ex-sistere"
della luna, in quanto pensata e nominata come tale, è un "ex-sistere" che comincia NEL segno che un primo
interpretante ha posto appunto come "segno di qualcosa".
Questo è d'altronde, e pur se ho rimaneggiato a modo mio, lo stesso punto di vista che Severino contrappone
a Ferraris e Gabriel nel recente dibattito sul Nuovo Realismo.
Un saluto a tutti gli utenti di questo forum (in particolare a "Sgiombo", che credo di conoscere dai tempi del
"filosofico").
mauro
Il problema penso sia più a monte della semiotica, il problema è stabilire cosa si intendere per esistere. In senso attualistico l'esistenza sarebbe unicamente ciò che cade sotto la nostra coscienza nel presente, mentre i concetti statici, ossia i prodotti del pensiero (per esempio il pensare alla luna quando la luna non è percepita) sarebbero dei fatti secondari. Per questa corrente di pensiero la realtà dell'esistenza sarebbe l'atto del pensare e non il prodotto del pensiero. Questa posizione non mi soddisfa, perchè dev'esserci un trait d'union che unisca il pensare con il pensato. Non fosse altro perchè ciò che sto pensando è inevitabilmente correlato a ciò che ho pensato in precedenza tanto quanto è correlato a ciò che agisce attualmente sulla mia mente. In definitiva penso che la situazione sia sempre più complessa di ciò cui giungiamo con le nostre semplificazioni. Semplifichiamo per rendere quanto più possibile le cose plausibili con noi stessi, aspiriamo a quell'oggettività che ci proponiamo come fine ma che di fatto usiamo come mezzo. Il fine cui sempre giungiamo è quel "io penso" che scandisce il ritmo della nostra esistenza.
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Vecchio 20-12-2012, 15.58.59   #55
CVC
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Citazione:
Originalmente inviato da sgiombo
Sono d' accordo sulla distinzione fra le sensazioni e il giudizio circa le sensazioni (che per me é comunque anch' esso una sensazione, o insieme di sensazioni: lo si percepisce interiormente o mentalmente e lo si può anche formulare esteriormente o materialmente a voce o per iscritto).
Non credo nel libero arbitrio inteso come agire incondizionato (che peraltro ritengo sinonimo di "agire a casaccio", non tale da consentire una valutazione etica degli agenti: essi possono essere considerati buoni o cattivi solo se le loro azioni sono buone o rispettivamente cattive perché condizionate dalle loro qualità morali, e non tali incondizionatamente, cioé per puro caso: e allora sabebbero solo fortunati o sfortunati).
O meglio, sono scettico in proposito, ma credo che non sia compatibile con una qualche forma di determinismo (eventualmente anche "debole" o probabilistico-statistico), e dunque con la (possibilità della) conoscenza scientifica (vera), della quale ritengo che (una qualche forma de-) il determinismo sia una conditio sine qua non.
Anch'io sono scettico sulla possibilità di oggettivare chiaramente ciò che è bene e ciò che è male, ma ciononostante credo che interrogarsi costantemente sulla moralità sia quanto di più nobile un uomo possa fare. Il fatto che non si possa stabilire una volta per tutte ciò che è bene e ciò che è male non deve essere una scusa per smettere di indagare la propria anima, per correggerla giorno per giorno verso ciò che intendiamo come bene.
Nessuno può avere conoscenza del bene e del male, tuttavia c'è una distanza incolmabile che separa chi ci prova e chi no, chi indaga e chi no.
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Vecchio 20-12-2012, 16.01.09   #56
CVC
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Citazione:
Originalmente inviato da ulysse
Certo siamo avviati su un terreno coinvolgente, ma periglioso…di cui, per ora non possiamo che supporre/intravedere i fenomeni

Magari fra il cervello (attività neuronica) e la mente c’è un pò la relazione che intercorre fra il cane e la sua coda: un inseguire …indefinitamente!
I termini sono che il tessuto cerebrale, energeticamente alimentato, attiva e mantiene il processo di interazione neuronica con sinapsi, dendriti, assoni, ecc...dando luogo al pensiero conseguente le eccitazioni input/output.
A sua volta il pensiero emergente ha un feedback sul tessuto/struttura cerebrale.

Ma, come tu dici, c’è qualcosa di più che non un reciproco inseguimento coda-cane: il cervello di continuo rinforza e rielabora se stesso dalla nascita, anzi dal feto…fino ad età avanzata: è una reciproca continua sinergia!

Si formano via via, sin dall’origine, “per programma genetico”, le strutture fisiche adeguate al pensiero…ed il pensiero insorgente rinforza le strutture stesse: si dice che l’organo cerebrale sia plasmabile dalla più tenera infanzia…sempre meno con l‘avanzare dell’età tendendo a stabilizzarsi… ma non mai l’adattabilità fisica agli stimoli scompare, se non in tarda età coi neuroni degeneranti.
Comunque il cervello è quasi un muscolo: rinforza con l’uso e lo sforzo!
…e anche di più: rielabora le proprie strutture.

E’ constatato che i mistici hanno particolarmente sviluppate (irrorate] le zone cerebrali dedicate alla meditazione…come i monaci tibetani, ad esempio.
Oppure accade che sia fisicamente sviluppata e meglio irrorata, nei taxisti londinesi, la zona cerebrale dedicata alla memoria ...alle mappe stradali...magari, oggi, meno... con l’avvento del “navigatore”.

Quindi la scissione fra materia organizzata e mente non è così netta e definita: il meccanicismo funzionale energeticamente alimentato è pervasivo e nega la scissione.

L’articolo di “Le Scienze” dice questo: materia ed energia concorrono al pensiero e…viceversa. Il “come” è noto solo in parte…e lo si và scoprendo!
In mancanza di una tale fede la ricerca fallisce.

Ovvio che non è tutto così chiaro: a me pare che sia “genetico” il fatto che si va formando, fin dal feto, una struttura cerebrale adatta ad un funzionamento elucubrante…struttura che ancora si sviluppa e si perfeziona via via che nel bambino emerge la capacità motoria che la struttura cerebrale impara a coordinare con l’uso e la sperimentazione.
In contemporanea il pensiero stesso emerge sollecitato dallo stesso vivere,

Mi viene alla mente l’assioma di Bersani: “dalla salciccia non si ritorna al maiale!”
E invece sembra che nel cerebro-pensiero accada qualcosa del genere.

Il fatto è che l’esempio del computer di per sé non è confacente.
Lo sarebbe di più se pensassimo alla evoluzione che le strutture HW e SW…in reciproca sinergia… hanno avuto, dalla loro origine,

I primi rozzi HW gestivano rozzi SW…ma poi SW sempre più sofisticati hanno “prodotto” HW sempre più sofisticati (o viceversa) in un reciproco inseguimento… magari per salti…non certo “istante per istante” come invece avviene nel rapporto HW/SW cerebrale fin dal feto…o come è anche avvenuto nel processo evolutivo fin dai primi ominini…o dagli Australopithechi e fin da prima ancora…dall’emergere del pensiero…nel primo vivente pensante..

Nei nostri ragionamenti esiste, in effetti, un prima ed un dopo di tipo macro.
Ma nella “strutturazione cerebrale fisico-pensante” dal feto, al bambino, all’adulto, pur esistendo fasi prevalenti a seconda dell’età, non esiste invece un prima ed un dopo esiste un reciproco, continuo inseguimento ”istante per istante” accavallantesi in “contemporanea evoluzione!..

In effetti, ciò che chiamiamo pensiero e/o mente non è materia e neppure materia organizzata, ma non vedrei salti e scissioni nette… quì la materia, lì il pensiero: piuttosto è un emergere continuo come la luce dalla lampadina.
Il cervello, infatti non è un muratore: pietra su pitra…non aspetta che il modulo precedente sia completo, provato e sperimentato per iniziare il prossimo come faremmo noi ragionando!
E’ più emulo del nostro sentire ed emozionare…ove ormoni, spike, sinapsi, ecc… si accavallano e, nella confusione, costruiscono un pensiero o infiniti sentimenti, pensieri, schemi e castelli…. solo per prevalenze fenomentiche del processo.

Infatti è l’assioma di Bersani: dalla salciccia non emerge il maiale…e forse è così…ma solo se consideri lo “stato finale”…che del resto non è mai raggiunto!
Il pensiero, invece, è “un continuo farsi” che noi cogliamo solo allo stato “emerso”. L'ntelligenza è il grado di efficacia.

Ma il processo cerebrale persegue e risulta per le stesse leggi: magari vi hanno prevalenza le leggi chimico-elettro-magnetiche…piuttosto che la gravità.

In un universo costituito da 10 all’80 particelle…la varietà delle strutture e stati fisici risultanti non sono da meno che non quelle risultanti dal processo cerebrale: infatti si dice che il cervello sia la macchina biologica che, per complessità, può stare alla pari con quella dell’universo..il cui processo di trasformazione e ricostruzione è praticamente infinito: dai processi dell’universo emergono le più varie forme di energia.
Dal processo cerebrale (fenomeno dell’universo) emerge il pensiero: fosse una forma di energia?
Magari un giorno si arriverà a misurarlo!

In effetti è questo che la scienza cerca!
Mi rendo benissimo conto che, col dire che il “pensiero “emerge” dal processo cerebrale”, non offro che una spiegazione meccanicistica e funzionale quale quella che trovi nell’articolo citato.
Ed in verità come veramente emerga il pensiero dal processo cerebrale non lo so…al momento nessuno sa!
Ma rifiuto di dire che “il mondo della materia “da solo” “non può” spiegare…ecc….”
Se ciò dicessi…
1)- Col “non può”... distruggerei la speranza…la scienza non può!...Ma tante volte la scienza ha potuto…perché non potrebbe ora, o fra 10 o 100 o 1000 anni, proprio con la vita ed il pensiero?
2)- con quel “da solo” dovrei anche dire a cosa mi riferisco!?
…ad una mente superiore?…”un deus ex machina”…. che tutto risolve?

Il meccanicismo del processo cerebrale si è evoluto ed avviene come fenomeno eccitato dalle leggi dell’universo facendone emergere il “pensiero” che elabora concetti, teorie, schemi… e controlla e coordina gli eventi nel nostro percepirli e pensarli, ecc…

L’emergere del pensiero è certo un fatto straordinario, ma molto altro è straordinario in questo universo sia di noto che di ignoto.
Invero non ho indizi che le sue leggi siano disattese: l’articolo citato di “Le Scienze” e molto altro nelle scienze, parlano di processo cerebrale come fatto prettamente fisico.

Piuttosto, al limite, sarebbe più ragionevole pensare che una qualche legge universale ancora ci sfugga.
Cosa non poi così strana...dato che molto, ancora, dell’universo è ignoto.
Cito la teoria quantistica ancora oggi in sperimentazione…e poi ci sono le stringhe, le teorie M…ed il Caos!...ecc…
Perchè proprio l’organo cerebrale dovrebbe essere un “corpo alieno”?...e non viceversa?

Piuttosto, sospetto che i fumi della filosofia cartesiana ancora ci avvolgano.
Cartesio, con la sua “res cogitans”, poneva l’organo cerebrale fuori dal mondo!!!
E’ un fatto però che l’universo di Cartesio era assai più semplice che non il nostro: nessuna delle attuali grandi teorie allora esistevano e l’elettromagnetismo gli era inconcepibile.
Come stupirsi, quindi, che pensasse all’organo cerebrale, la cui funzionalità non poteva comprendere, come a qualcosa di alieno al di fuori delle leggi di natura?...a lui ignote?
Nella tua concezione materialistica dovresti spiegare una cosa. Se tutto ciò che è materia e che è prodotto dalla materia non si disperde ma muta, e se la coscienza è prodotta dalla materia, che fine fa la coscienza dopo la morte?
O se, in alternativa, il pensiero è un epifenomeno, cosa sono questi messaggi che ci scambiamo qui?
Epifenomeni? Qualche manciata di pixel buttati su uno schermo a cristalli liquidi? Impronte lasciate dal ticchettare delle nostre dita?

Per come la penso io la scienza può occuparsi solo dei fenomeni, ossia di ciò che si manifesta.
Il pensiero non è ne un epifenomeno ne un fenomeno, il pensiero è un qualcosa di oscuro che si manifesta unicamente attraverso ciò che produce.
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Vecchio 20-12-2012, 21.01.02   #57
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@ Sgiombo
Mi riferivo, a proposito della frase che hai detto di non capire, al processo giuridico.
La colpevolezza giuridica, è chiaro, poggia sul concetto di volontà, ma se questo concetto viene progressivamente
eroso a causa dell'emergere di una forma-mentis che, sempre più, considera come determinanti i fattori extra-
soggettivi, allora è lo stesso processo giuridico ad entrare in crisi, per così dire.
Dicevo, a tal proposito, che prova ne è l'"incartarsi" del processo su elementi positivistici (nel senso
fine-ottocentesco del termine; come dis-umanizzazione e scientificizzazione radicale) che alla fine hanno sempre
come risultato quello di allungare a dismisura i tempi processuali, e di gettare ombre pesantissime su qualsiasi
verdetto.
In realtà, ritengo, tutto il discorso sul processo giuridico (nonchè più modestamente sul nostro discorso in
genere) nasce da una aporia che sta drammaticamente emergendo. Perchè se, come affermi, il valore morale non
dipende più dall'incondizionatezza interna, ma dalla mancanza di coercizione e impedimento estrinseco (è la
celebre differenza che sussiste fra libertà "di" e libertà "da"), allora non sussiste più alcun valore morale,
né alcuna colpevolezza giuridica, perchè dalla montante scientificizzazione emerge che, appunto, non esiste
null'altro che il condizionamente estrinseco (non certo la sua mancanza...)
Insomma: non vedo come poter distinguere più l'azione "costretta" dall'azione volontaria. Con la conseguenza
che più nessuna "condanna" è pronunciabile.
un caro saluto
(non mi hanno pubblicato la risposta sull'ateismo. Forse perchè mi dilungo un pò su questioni "ciclistiche"
e sportive in genere...)
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Vecchio 21-12-2012, 13.36.19   #58
sgiombo
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Anch'io sono scettico sulla possibilità di oggettivare chiaramente ciò che è bene e ciò che è male, ma ciononostante credo che interrogarsi costantemente sulla moralità sia quanto di più nobile un uomo possa fare. Il fatto che non si possa stabilire una volta per tutte ciò che è bene e ciò che è male non deve essere una scusa per smettere di indagare la propria anima, per correggerla giorno per giorno verso ciò che intendiamo come bene.
Nessuno può avere conoscenza del bene e del male, tuttavia c'è una distanza incolmabile che separa chi ci prova e chi no, chi indaga e chi no.

Innanzitutto sono perfettamente d' accordo che interrogarsi costantemente sulla moralità sia quanto di più nobile un uomo possa fare.

Credo che non si possa stabilire oggettivamente (cioé dimostrare) ciò che é bene e ciò che é male (si può dimostrare cosa c'é o non c'é, quali mezzi si devono usare per raggiungere determinatii fini, non quali fini perseguire: questi li si sente, irrazionalmente).
Però credo che di fatto esistano tendenze comportamentali (e tendenze a valutare il comportamento umano, proprio ed entro certi limiti altrui) con vario grado di universalità, se così si può dire:
Alcune sono universalissime perché determinate dall' evoluzione biologica per mutazioni genetiche casuali e selezione naturale relativa (per esempio: non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te); altre sono più relativamente universali in quanto "storicamente modulate", generalizzate nell' ambito di determinate epoche storiche, contesti geografici, gruppi sociali (per esempio in certe culture l' uccisione di figli o schiavi, almeno a certe condizioni, non sono considerate immorali, in talune perfino l' infanticidio; certe categorie sentono l' obbligo di segreto professionale, cosa ben più seria della cosiddetta "tutela della privacy"); altre ancora sono condizionate dalle esperienze individuali (per esempio c' é chi é poligamo -anche di fatto nelle società in cui la poligamia é teoricamente vietata- e chi monogamo, chi ritiene perfino di non dovere avere altri rapporti di coppia nel caso rimanga vedovo).

Quel che volevo chiarire nel mio precedente intervento era però un' altra questione.
Cioé il fatto che secondo me una qualche forma di determinismo (sia pure debole: eventualmente statistico anziché meccanicistico) é una conditio sine qua non, oltre che della possibilità di conoscenza scientifica, anche della possibilità di valutazione morale delle scelte e comportamenti umani, che é invece incompatibile con il libero arbitrio (inteso non come mancanza di impedimenti o costrizioni estrinseche ma come incondizionatezza intrinseca, id est: indeterminismo): solo se uno fa qualcosa di buono perché é buono o di cattivo perché cattivo (essendo determinato nelle sue scelte dal suo modo di essere, conseguente la genetica -essenzialmente in quanto é comune a tutti, generalizzato nell' umanità- ma soprattutto le esperienze vissute, particolarmente in quanto é singolarmente, personalmente caratteristico) può essere considerato rispettivamente buono o mlavagio.
Se si fa quel che si fa per libero arbitrio (id est: indeterministicamente; id est: per puro caso, esattamente come se ogni volta che si dovesse compiere una scelta si gettasse una moneta), allora le nostre azioni non proverebbero nulla circa la nostra bontà o malvagità (ma casomai circa la nostra fortuna o sfortuna).
sgiombo is offline  
Vecchio 21-12-2012, 14.37.57   #59
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@ CVC
Certo che il problema è lo stabilire cosa si intende per "esistere": è proprio questo il punto dirimente.
Il problema però, per così dire, è che quando tu affermi: "la luna esiste anche quando non la guardiamo"
affermi un'esistenza di fatto. Quindi un modo particolare di esistenza (un altro è, ad esempio, quello riguardante
l'esistenza delle idee. Non a caso nella Scolastica medievale si parlava di esistenza reale ed esistenza nell'
intelletto).
Tuttavia un'esistenza "reale", nel senso cartesiano della "res extensa", non è plausibile. Perchè, come Kant
insegna, ciò che possiamo conoscere non è la "cosa in sè" (la cosa esterna a sè, come il termine "ex- sistentia"
suggerisce), ma solo il "fenomeno", ossia quella cosa filtrata dal soggetto - diciamo così per brevità.
Quindi, traducendo il tutto in termini semiotici (come ad. es. in Peirce) il problema dell'interpretante rimane.
Perchè non è possibile nemmeno pensare ad una cosa esterna a sè, ovvero ad una cosa in sè.
Non so se ti è capitato di leggere qualcosa sul recente dibattito circa il Nuovo Realismo. Nell'ambito di
questo dibattito, il filosofo tedesco Markus Gabriel ha affermato: "una volta ammesso che noi produciamo
qualcosa, non produciamo però il fatto consistente nell'essere produttori di qualcosa" (mi sembra che questo
possa, in qualche modo, richiamarsi al tuo: "la realtà dell'esistenza sarebbe l'atto del pensare, e non il
prodotto del pensiero" - che poi, io trovo, è assai simile al "cogito ergo sum").
All'affermazione di Gabriel, Severino ha risposto chiedendogli chiarimenti sul significato di quel "noi"; un
"noi" che, secondo Severino, richiama direttamente all'esistenza.
A tale richiesta, Gabriel ha risposto che il "noi" è un qualcosa che acquisisce senso solo all'interno di un
"campo di senso", e che l'esistenza stessa è definibile solo come: "apparizione in un mondo", ove con il termine
"apparizione" si intenda l'appartenenza di un oggetto ad un campo di senso.
Con questo voglio dire: se con "campo di senso" si intende un contesto (anche Severino è di questo avviso),
allora non ci siamo mossi di un solo millimetro dal "segno" semiotico. Perchè per il materialista Gabriel
"oggetto", o "fatto", è quel qualcosa che un certo contesto assume come tale. E il contesto, o campo di senso
che dir si voglia, è null'altro che ciò che una specifica cultura esprime, cioè un segno linguistico.
E dunque: come se ne esce? Se ne esce alla maniera delineata da Severino (con il quale sono assai raramente
d'accordo...). Ovvero recuperando il concetto di "trascendentalità" (da non confondersi, beninteso, con la
"trascendenza") che espresse Kant, e che è ripresa sotto un certo punto di vista anche da Heidegger.
ciao
0xdeadbeef is offline  
Vecchio 21-12-2012, 17.33.22   #60
sgiombo
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Citazione:
Originalmente inviato da 0xdeadbeef
@ Sgiombo
MAURO:
Mi riferivo, a proposito della frase che hai detto di non capire, al processo giuridico.
La colpevolezza giuridica, è chiaro, poggia sul concetto di volontà, ma se questo concetto viene progressivamente
eroso a causa dell'emergere di una forma-mentis che, sempre più, considera come determinanti i fattori extra-
soggettivi, allora è lo stesso processo giuridico ad entrare in crisi, per così dire.
Dicevo, a tal proposito, che prova ne è l'"incartarsi" del processo su elementi positivistici (nel senso
fine-ottocentesco del termine; come dis-umanizzazione e scientificizzazione radicale) che alla fine hanno sempre
come risultato quello di allungare a dismisura i tempi processuali, e di gettare ombre pesantissime su qualsiasi
verdetto.

GIULIO:
Quello che mi urta nel modo attuale di condurre i processi è lo strapotere della lobby degli psicologi (che mio avviso non fanno scienza ma nei casi migliori la loro disciplina sta alla conoscenza scientifica della psiche umana come l’ alchimia stava alla chimica ...per non parlare dei casi peggiori).
Un primo caso clamoroso fu quello di Pacciani, “diagnosticato” come il mostro di Firenze per un suo disegno: Picasso avrebbe dovuto essere un vero e proprio genocida…
Uno dei casi che più gridano vendetta alla coscienza di ogni uomo onesto è quello delle maestre di Rignano Flaminio perseguitate per anni e forsennatamente denigrate dai giornalisti (per i quali i potenti, anche se pluricondannati inappellabilmente sono sempre “presunti colpevoli”) senza che nessuno di essi abbia mai pagato nulla per le sue infami colpe (altro che arresti domiciliari con sicura imminente grazia da parte dell’ indegno abitatore del Quirinale!): la medicina legale, che è scienza, attraverso l’ autopsia, che è constatazione di FATTI aveva escluso qualsiasi rapporto sessuale, non solo violento, ma per anni le povere maestre sono state indegnamente perseguitate perché per i giudici inquirenti più che i fatti scientificamente provati contavano le chiacchiere degli psicologi (i quali ovviamente non hanno pagato nulla per tutto ciò).



MAURO:
In realtà, ritengo, tutto il discorso sul processo giuridico (nonchè più modestamente sul nostro discorso in
genere) nasce da una aporia che sta drammaticamente emergendo. Perchè se, come affermi, il valore morale non
dipende più dall'incondizionatezza interna, ma dalla mancanza di coercizione e impedimento estrinseco (è la
celebre differenza che sussiste fra libertà "di" e libertà "da"), allora non sussiste più alcun valore morale,
né alcuna colpevolezza giuridica, perchè dalla montante scientificizzazione emerge che, appunto, non esiste
null'altro che il condizionamente estrinseco (non certo la sua mancanza...)
Insomma: non vedo come poter distinguere più l'azione "costretta" dall'azione volontaria. Con la conseguenza
che più nessuna "condanna" è pronunciabile.

GIULIUO:
Ma io penso che nella stragrande maggioranza dei casi (alla faccia delle eventuali pretese degli psicologi) le azioni umane in generale e quelle criminali in particolare avvengano in totale assenza di qualsiasi coercizione (o impedimento, se di omissioni si tratta) estrinseco.

MAURO:un caro saluto
(non mi hanno pubblicato la risposta sull'ateismo. Forse perchè mi dilungo un pò su questioni "ciclistiche"
e sportive in genere...)

GIULIO:
Anche a me non hanno pubblicato le prime risposte che vi avevo mandato. Qui ci sono moderatori forse un po’ severi (di fatto frequento questo forum da una quindicina di giorni, anche le mia iscrizione risale a qualche anno fa); se penso a quello che avveniva nell’ altro da noi frequentato credo che sia un piccolo sacrificio accettabile di buon grado.
Stammi bene!
P.S. Anche stavolta mi sono incasinato con le citazioni per cui ho indicato a lettere maiuscole chi propone le considerazioni all' inizo delle stesse, per evitare confusioni

Giulio
sgiombo is offline  

 



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