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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 18-01-2013, 17.51.26   #11
Aggressor
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Riferimento: La Battaglia dei Giganti

Io proporrei come definizione comune di Essere l'idea di forma. Nel senso che ogni oggetto che può essere compreso e di cui possiamo effettivamente parlare si manifesta tramite una forma accidentale (=> in senso molto ampio, nel senso di qualcosa che è riconoscibile in quanto distinto, cioè pure diverso, e dunque fatto in un certo modo); la forma in senso universale è duque ciò che è comune tra e cose che esistono. In altre parole la "formalità" è ciò che secondo me meglio si accosta alla formula generalissima degli enti. Così intesa l'eistenza non ha nemmeno una forma particolare e in verità, per questo, non è da noi compresa se non per il tramite dell'apporto di un "particolare". In un certo senso l'Essere non esiste, se ciò che esiste ha una forma..


Scusate se mi sono intromesso, se volete fatemi sapere cosa ne pensate ciao
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Vecchio 18-01-2013, 21.43.12   #12
sgiombo
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Riferimento: La Battaglia dei Giganti

Oxdeadbeef (Mauro; userò d’ ora in poi i nomignoli -so che comunemente si dice nicknames, ma amo troppo la lingua italiana- perché spero che la cosa interessi anche altri frequentatori del forum):
Fammi capire bene una cosa (sulle altre che hai scritto). Secondo te gli "oggetti" esistono indipendentemente dalla coscienza o non esistono proprio? Mi spiego meglio: tu e i tuoi vicini di casa (oltre al loro gatto, e il particolare è importante più di quanto non si creda...) vedete un albero che esiste indipendentemente da voi o siete voi che lo "producete"?
Immagino che tu mi risponda con: no, noi non lo "produciamo", ma lo "interpretiamo", cioè interpretiamo un oggetto (il "qualcosa" di Hume) che chiamiamo "albero" e di cui sappiamo etc etc. Il gatto (ecco la sua importanza...) interpreterà quel "qualcosa"; quell'"oggetto"; vattelapesca come (certamente non lo chiamerà albero, nè di esso saprà le cose che sapete tu ed i vicini; ma magari ne saprà altre che voi ignorate...).

Sgiombo:
Credo (con Hume e, malgrado le grossissime divergenze su tutto il resto, con Berkeley che per primo l’ ha affermato) che “esse est percipi”.
Cioè che la realtà intrinseca dei nostri “contenuti sensibili di coscienza” (con Hume non solo di quelli materiali ma anche di quelli “interiori” o mentali), ciò che essi sono in sé e per sé, indipendentemente dalle interpretazioni che se ne possono dare, da ciò che se ne può dire (che può essere errato e falso), sia di natura fenomenica, che essi siano solo (insiemi di) sensazioni nell’ ambito della nostra coscienza.
Si può essere certi soltanto che essi si producono (per così dire da sé) dal momento che anche di noi “soggetti di essi” che saremmo esistenti anche allorché non li percepiamo, così come di ciò che ad essi corrisponderebbe e che sarebbe esistente anche allorché non accadono, e che spiegherebbe la relativa costanza e l’ intersoggettività del loro accadere (i loro “oggetti”) non è possibile avere certezza: si tratta di cose non constatabili, non apparenti alla coscienza (a la Kant: fenomeni), ma solo congetturabili (a la Kant: noumeno).
Una delle differenze più importanti fra le sensazioni materiali e mentali è l’ intersoggettività e una molto maggiore -non assoluta- indipendenza dal- (-le sensazioni interiori del-) -la nostra volontà delle prime, che fa congetturare (ma non dimostra: lo si può solo credere arbitrariamente, fideisticamente) che vi sia qualcosa di oggettivo (e non fenomenico) corrispondente ad esse, esistente anche allorché esse non esistono, che “le produce interagendo con noi” come soggetti (ammessa arbitrariamente anche la nostra esistenza di soggetti); mentre invece le seconde le possiamo “produrre” da noi “interagendo con noi stessi” (almeno presentemente; indirettamente interagendo con “cose oggettive” nel passato) e dunque molto più arbitrariamente e soggettivamente: l’ albero nel giardino e il gatto che lo vede sono in un certo modo che non dipende sostanzialmente da noi, mentre un albero o un animale immaginario, magari di una specie inesistente come una chimera, sono in un certo modo che dipende sostanzialmente da noi).
Dunque le sensazioni le sentiamo, non necessariamente le interpretiamo; io le interpreto come meri eventi fenomenici di coscienza; il senso comune, secondo me errando, cadendo incontraddizione, come entità reali in sé e per sé, esistenti anche allorché non accadono (le confonde con il noumeno).
Gli animali privi di linguaggio credo (fideisticamente, come lo credo degli altri uomini: sono molto “Humeiano”: “scettico relativo”, non: non-credente alcunché; bensì: consapevole dell’ arbitrarietà delle mie credenze) abbiano anche loro le loro sensazioni fenomeniche, ma non le interpretino, non ci pensino su, non esprimano giudizi su di esse.

Oxdeadbeef:
Una sola cosa ti chiedo, se puoi: facciamo questo ragionamento in forma dialogica, cioè con risposte possibilmente contenute (vale anche per me, che spesso esagero - vedi l'ultimissima risposta che ti ho dato).
E' molto più interessante (anche se la pubblicazione dei post con la moderazione la rende più difficile, ma d'altronde la moderazione è una scelta, a mio avviso, condivisibile).

Sgiombo:
Purtroppo non sono riuscito a superare la mia tendenza alla prolissità (ho cercato di agevolare la discussione mettendo fra parentesi ciò che non è essenziale, ma spiega meglio ciò che è essenziale, e può essere “saltato” se già inteso: ti invito a saltarlo nella lettura delle mie risposte e a leggerlo solo se non ti è chiaro quanto scrivo fuori parentesi).



Oxdeadbeef:
Quando affermo il termine "Essere" affermo un qualcosa che non deve essere visto necessariamente in termini metafisici. L'Essere, per come io lo interpreto, è un qualcosa di così generico (direi proprio il massimo della genericità, ma ci arriverò...) che "comprende" praticamente tutto; la metafisica come l'empirismo. Onde poterne parlare (mica è così facile anche il solo parlarne; pensa che Heidegger lo scriveva cancellato da una croce....), io ti propongo di definirlo come "significato primario e fondamentale, cui tutti gli altri significati possono essere ricondotti".

Sgiombo:
Purtroppo trovo alquanto oscura questa definizione di essere per il fatto che non ha determinazioni, si attaglia a qualsiasi cosa, nessuna esclusa (tranne il non-essere in quanto suo contrario; il che è altrettanto generico e indefinito). Poiché “omnis determinatio est negatio” (Spinoza) il fatto di non escludere nulla dal suo significato, di non negare nulla (salvo ovviamente il suo contrario) mi sembra deprivare il concetto stesso di alcun reale, effettivo, non chimerico significato (“essere significa ciò che è proprio di tutto ciò che è” mi sembra una tautologia).

Oxdeadbeef:
Da questo punto di vista, la sospensione del giudizio da parte di Hume lo colloca nel senso dell'Essere come "possibilità"

Sgiombo:
Secondo me Hume sospende il giudizio fra necessità (concatenazione causa-effetto, cioè effetti necessitati da cause) e possibilità (sequenze di eventi finora di fatto costanti ma contingenti, che nulla può dimostrare, né mostrare, che saranno costanti anche in futuro).
Fra necessità e possibilità in realtà Hume non si colloca (secondo me).

Oxdeadbeef:
(la possibilità è, in radice, possibilità che sia e/o che non sia), in quanto lascia aperta la porta a qualunque ipotesi (anche alla necessità, quando l'Essere come necessità non fa altrettanto - vedi in Hegel).

Sgiombo:
Non capisco (...e infatti c’è di mezzo Hegel!): per me la possibilità lascia aperta la porta all’ ipotesi dell’ essere (ma perché la maiuscola?) e del non essere (congiuntamente), ma non alla necessità (quest’ ultima lascia aperta la porta alla sola ipotesi dell’ essere oppure -disgiunzione!- a quella sola del non essere e non ad entrambe, e dunque è negazione della possibilità che le lascia aperte ambedue. Necessità e possibilità si escludono reciprocamente.

Oxdeadbeef:
Come ti accennavo, una concezione dell'Essere come "possibilità" non dà luogo ad alcuna metafisica (ed infatti in Hume non c'è accenno di metafisica).

Sgiombo:
Secondo me in Hume c’ è (anche se non esplicitamente proclamata, lasciata implicita) un' ontologia, quella empiristica per la quale tutto ciò di cui possiamo sapere che esiste (e che dunque a maggior ragione esiste) è costituito da sensazioni (fenomeniche).

Oxdeadbeef:
Ritieni che ci possa essere un significato primario e fondamentale al quale le diverse interpretazioni (tua, dei tuoi vicini e del gatto, cioè tutti i significati) dell'albero possano essere ricondotte? Tieni presente che con il termine "significato" io intendo la dimensione semantica del procedimento segnico, ovvero il riferimento del "pensato" (un segno non è necessariamente solo un segno linguistico) al suo oggetto. Ritieni, in altre parole, raggiungibile una così "pura" oggettività di quel qualcosa che chiami "albero" tanto da "mettere d'accordo" (diciamola così...) persino il gatto?

Sgiombo:
Ho qualche dubbio circa ciò che tu intendi per “interpretazione”, ma credo che nella coscienza di ciascuno di coloro che vedono l’ albero, compreso il gatto, ci sia un determinato insieme di sensazioni fenomeniche (uno per ogni coscienza), anche se non lo si può dimostrare (come d’ altra parte non si può dimostrare l’ esistenza di altre coscienze oltre alla propria).
E che le sensazioni materiali, come quelle costituenti l’ albero, siano intersoggettive, cioè se ci si colloca in determinati posti in certi momenti e si guarda nella giusta direzione, allora degli insiemi di sensazioni di ciascuno si può parlare intendendosi reciprocamente (non ha senso dire che sono fra loro uguali -o meno- per il semplice fatto che trovandosi in diverse coscienze non sono fra loro confrontabili).
Si può perciò ammettere che siano puntualmente ed univocamente corrispondenti, in particolare nei rapporti quantitativi esprimibili con numeri per lo meno di alcune loro componenti; è per queste caratteristiche -intersoggettività e misurabilità- che degli eventi (fenomenici) materiali si può avere conoscenza scientifica.
La denotazione del vocabolo “albero” è costituita da insiemi di sensazioni, in diverse coscienze, reciprocamente corrispondenti; ma il problema non si pone per il gatto che non usa vocaboli né per comunicare, né per pensare.
Quanto poi alle connotazioni (interpretazioni?) dei vocaboli (fra i parlanti, dotati di linguaggio verbale), possono essere le più varie (“un abete”, “una fonte di legname”, “un riparo dal sole”, “il posto dove ho baciato per la prima volta la mia donna”, varie combinazioni di tutte queste cose, ecc.).

A presto!

Giulio
sgiombo is offline  
Vecchio 18-01-2013, 21.53.19   #13
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@ Aggressor
Si tratta, a mio avviso, di trovare una definizione così generica da poter praticamente andar bene a tutti (gatto
compreso...).
Io legherei questa definizione alla linguistica (cioè alla catena significante-significato). Ma semplicemente
perchè ciò mi darà modo di legare l'interpretazione di Heidegger a quella di Gadamer, per finire infine sulla
semiotica di Peirce (e di Eco, se vogliamo divagare). Quindi è solo per una questione di comodità mia sullo
svolgimento della tesi (ti dico francamente che se chiamassi l'Essere "idea di forma" poi non saprei più come
legare la visione dei filosofi che ho menzionato).
Concordo con la tua affermazione per cui: "l'Essere non esiste", ma questa affermazione dovrebbe venire al
termine di una discussione che è, trovo, di notevole (o grandissima) difficoltà. Sennò non si capisce a cosa
possa riferirsi quell'"esistere", e grande diventa la tentazione di liquidare il concetto di Essere come un
residuo metafisico totalmente anacronistico.
Naturalmente puoi intervenire quando vuoi (io scrivo "@" qualcuno, ma è solo per fargli capire che rispondo
in particolare alle sue osservazioni)
un saluto
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Vecchio 19-01-2013, 23.32.43   #14
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@ Giulio
Con il termine "interpretazione" io intendo il muoversi all'interno di un "campo di senso" (scusa se insisto
con queste, che sono solo premesse, ma come ti dicevo è estremamente importante trovare un "terreno comune"
di discussione).
Evidentemente ognuno di noi ha un proprio campo di senso, che si allargherà ad altri (magari della stessa
lingua, o cultura) ma sempre rimanendo un qualcosa di legato ad un particolare "io".
Altrettanto evidentemente, il gatto si muoverà all'interno di un suo campo di senso (che magari si allargherà
ad altri gatti...): un campo di senso che, per noi umani, rimarrà estremamente difficile da "penetrare".
Sulla base di ciò ti ri-domando: allora posso considerare l'"albero" (non la chimera: non complichiamo
inutilmente...) come un qualcosa che non viene "prodotto" (la cosa mica è così semplice da definire: una
volta sentii uno dire: "quando muoio io finisce il mondo"), ma viene "interpretato" (l'interpretato può
riferirsi anche solo ad un pensiero, non necessariamente è il "parlato") sulla base di uno specifico campo
di senso?
Se, come io penso (riferendomi alle tue stesse affermazioni), risponderai di sì (l'"albero" non viene prodotto,
ma solo interpretato in riferimento a un campo di senso), allora il secondo passo è definire esattamente ciò
che si intende per "Essere".
Io ti propongo questa definizione: l'Essere è l'ipotetico interpretato (il significato) cui tutte le
interpretazioni (quindi anche quella del gatto) possono essere ricondotte (direi proprio di non preoccuparci
affatto di un suo significato "reale", almeno per il momento).
Scrivo (passo adesso ad argomenti di secondaria importanza) "Essere" perchè questo è "per me" (per il mio
campo di senso, che condivido però con altri) il problema fondamentale della filosofia. E', diciamo, solo una
forma di rispetto...
L'importanza del problema dell'Essere è in quel platonico: "cosa c'è di comune fra le cose corporee e quelle
incorporee (l'albero e la chimera, per stare al tuo esempio), posto che entrambe "sono"?"
Per rispondere alla domanda di Platone bisogna, io penso (naturalmente io "penso" all'interno del mio campo
di senso), riferirsi ad un ipotetico "interpretato comune", e quindi, magari, allargare il proprio campo di
senso a coloro che condividono l'idea di albero e di chimera.
L'interpretato (direi di cominciare a chiamarlo in maniera semiotica: "segno") comune nella sua massima, ed
ipotetica, estensione è appunto l'Essere.
Ipotetica però fino a un certo punto, ed è quello che vorrei mostrarti.
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Vecchio 20-01-2013, 22.15.04   #15
sgiombo
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Titolo un po’ ironico:
IL “CAMPO DI SENSO”, QUESTO SCONOSCIUTO (PER ME, GIULIO)

Oxdeadbeef:
Con il termine "interpretazione" io intendo il muoversi all'interno di un "campo di senso" (scusa se insisto con queste, che sono solo premesse, ma come ti dicevo è estremamente importante trovare un "terreno comune" di discussione).
Evidentemente ognuno di noi ha un proprio campo di senso, che si allargherà ad altri (magari della stessa
lingua, o cultura) ma sempre rimanendo un qualcosa di legato ad un particolare "io". Altrettanto evidentemente, il gatto si muoverà all'interno di un suo campo di senso (che magari si allargherà
ad altri gatti...): un campo di senso che, per noi umani, rimarrà estremamente difficile da "penetrare".
Sulla base di ciò ti ri-domando: allora posso considerare l'"albero" (non la chimera: non complichiamo
inutilmente...) come un qualcosa che non viene "prodotto" (la cosa mica è così semplice da definire: una
volta sentii uno dire: "quando muoio io finisce il mondo"), ma viene "interpretato" (l'interpretato può
riferirsi anche solo ad un pensiero, non necessariamente è il "parlato") sulla base di uno specifico campo
di senso?

Sgiombo:
Per la verità non ho capito bene che cosa sia un “campo di senso”.
E’ il significato dei vocaboli che uno conosce?
Sembrerebbe di no, dal momento che l’hanno (l’ avrebbero anche per me se comprendessi di cosa si tratta) anche gli animali privi di linguaggio.
E allora cos’ è? L’ insieme delle credenze di ciascuno?
Ma io non penso che gli animali privi di linguaggio credano in alcunché.
Certo immaginano ed hanno scopi. Per esempio un cane che sente da lontano il rumore dell’ auto del padrone immagina l’ arrivo di quest’ ultimo ed allo scopo di incontrarlo scende in strada.
Ma non formula predicati o giudizi, non dice né pensa: “sta arrivando il padrone”; semplicemente associa alla percezione (esterna, materiale) del rumore della macchina la percezione (interna, “mentale”) del ricordo o meglio dell’ immaginazione dell’ arrivo del padrone (il ricordo già presuppone predicati o giudizi, per lo meno implicitamente, circa ciò che è reale al presente e in passato, mentre l’ immaginazione è un’ impressione mentale immediata, esattamente come quella evocata dal del campanello nei celeberrimi esperimenti di Pavlov che provocava la salivazione dei cani condizionati: questi non esprimevano giudizi sull’ imminente arrivo del cibo, se non altro per il fatto che la salivazione non è un atto volontario; non decidevano di salivare giudicando imminente l’ arrivo del cibo, ma salivavano involontariamente immaginandolo).



Oxdeadbeef:
Se, come io penso (riferendomi alle tue stesse affermazioni), risponderai di sì (l'"albero" non viene prodotto, ma solo interpretato in riferimento a un campo di senso), allora il secondo passo è definire esattamente ciò che si intende per "Essere".

Sgiombo:
L’ albero non viene arbitrariamente confezionato da chi lo vede, come potrebbe esserlo una chimera immaginata (questo esempio mi sembra indispensabile per chiarire le mie convinzioni).
Ma potrebbe anche essere visto distrattamente senza pensarci, senza operare predicati o giudizi (anche solo mentali) su di esso, alla maniera degli animali non parlanti (per esempio se si è di passaggio assillati da preoccupazioni o dalla fretta di fare qualcosa).
Dare un senso all’ albero, per esempio quello di “fonte di legname”, o (credo sia la stessa cosa -?-) interpretarlo è un’ ulteriore, eventuale passo non necessariamente implicato nella sua visione; ma credo che lo sia perfino il semplice predicato: “esiste quest’ albero”, il quale è una serie di sensazioni interiori o mentali (di per sé; anche se può essere accompagnata dalla pronuncia o dalla scrittura) ulteriore (e non necessario, solo eventuale) rispetto alla serie di sensazioni esteriori o materiali costituenti la visione dell’ albero, che sono denotati dalla parola “albero”.
Queste ultime sono intersoggettive (mia interpreazione di intersoggettività: corrispondenza puntuale ed univoca fra i rispettivi insiemi di sensazioni potenzialmente in tutte le esperienze coscienti, alla sola condizione di mettersi nel posto giusto e guardare nella giusta direzione; e di non essere ciechi, ovviamente).



Oxdeadbeef:
Io ti propongo questa definizione: l'Essere è l'ipotetico interpretato (il significato) cui tutte le
interpretazioni (quindi anche quella del gatto) possono essere ricondotte (direi proprio di non preoccuparci
affatto di un suo significato "reale", almeno per il momento).

Sgiombo:
Cerco (come un cieco che si muove a tentoni) di capire.
Forse l’ essere è la condizione di (la realtà di; ciò che accade a) ciò che le parole denotano, indipendentemente (a prescindere) dalle diverse possibili connotazioni.
Resta per me la difficoltà derivante dal fatto che il gatto non designa le sue sensazioni costituenti la visione dell’ albero con un vocabolo; le ha, ma non formula predicati su di esse).
(Sulla risposta che ti avevo dato la volta scorsa devo ammettere che ho commesso un grosso errore: il significato di “ essere” è sì vago, ma non oscuro, quasi incomprensibile, come lasciavo intendere di credere; e questo per forza, giustamente, in quanto è la parola con il minimo di determinazione -unicamente quella di essere il contrario del non-essere- la più astratta di tutte, l’ “assolutamente astratta”, e dunque la meno determinata e precisa).



Oxdeadbeef:
Scrivo (passo adesso ad argomenti di secondaria importanza) "Essere" perchè questo è "per me" (per il mio campo di senso, che condivido però con altri) il problema fondamentale della filosofia. E', diciamo, solo una forma di rispetto...

Sgiombo:
Accidenti! (Lo dico assolutamente senza ironia o sarcasmo e con tutto il rispetto che provo per te, che non è poco) Un atteggiamento quasi religioso: ricordo che da bambino, quando ero credente, usavo l’ iniziale maiuscola non solo per Dio ma anche per i pronomi che gli (anzi: Gli) si riferivano: Egli, Suo, Lui, ecc.



Oxdeadbeef
:
L'importanza del problema dell'Essere è in quel platonico: "cosa c'è di comune fra le cose corporee e quelle incorporee (l'albero e la chimera, per stare al tuo esempio), posto che entrambe "sono"?"
Per rispondere alla domanda di Platone bisogna, io penso (naturalmente io "penso" all'interno del mio campo di senso), riferirsi ad un ipotetico "interpretato comune", e quindi, magari, allargare il proprio campo di senso a coloro che condividono l'idea di albero e di chimera.
L'interpretato (direi di cominciare a chiamarlo in maniera semiotica: "segno") comune nella sua massima, ed ipotetica, estensione è appunto l'Essere.
Ipotetica però fino a un certo punto, ed è quello che vorrei mostrarti.

Sgiombo
:
(Questo credo proprio di averlo capito bene): “essere” è la condizione (può essere correttamente e veracemente predicato) sia dell’ albero visto intersoggettivamente da chiunque si trovi nel giardino e guardi nella giusta direzione, sia dalle più diverse e fantasiose chimere che ciascuno può a suo arbitrio immaginare: sia le une che le altre sono; però sono in quanto ben diverse cose, le une reali, le seconde immaginarie.
Certo! Anche le apparenze, anche le immaginazioni, anche i sogni e le allucinazioni, anche le finzioni, direi perfino le deliberate mistificazioni e falsità sono reali (se accadono; reali in quanto tali: rispettivamente immaginazioni, sogni e allucinazioni, finzioni, deliberate mistificazioni e falsità).
sgiombo is offline  
Vecchio 21-01-2013, 11.25.04   #16
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Riferimento: La Battaglia dei Giganti

Mi pare che se cercate di capire cosa ci sia di comune anche tra le cose incorporee e quelle corporee una buona risposta sia quella che ho espresso prima: possedere una forma (indeterminata per noi in quanto entità noumenica, ma determinata al momento dell'approccio fenomenico che produce e caratterizza specificità).

Heiddeger potrebbe essere daccordo nel momento in cui ammette l'impossibilità di definire l'Essere, tanto che, come pure avevo scritto, deve tentare un approccio ad esso tramite le sue manifestazioni; infatti anche secondo ciò che ho scritto definirlo sarebbe impossibile poiché esso mancherebbe di una forma specifica in antitesi con gli enti-nel-mondo.

Il fatto che le rappresentazioni mentali e gli oggetti materiali (=> entità a se steanti, ammesso che esistano) siano accumunati dal possedere una forma (e anche qualsiasi altra entità spirituale che si possa immaginare), cioè una qualche, seppur vaga a volte, specificità che riesca a farci parlare di quelle cose in quanto distinte da "altro" (=> altre forme), mi ha pure fatto sempre pensare alla sostanziale comunanza di queste realtà. Cioè spesso si dice che materia e coscienza sarebbero sostanzialmente diverse, ovvero in qualche modo totalmente distinte nel loro essere più profondo, ed invece in questo, nel possedere una forma, esse sono identiche.

Qualcosa che non possiede una forma, è pure un'indeterminato e, secondo me, un infinito, allorché non si riesce ad imbrigliarne e restrigerne il contenuto.

è pure interessante andare a vedere cosa accadrebbe se si spogliasse un universo delle sue forme; la "formalità" rimarrebbe? Non credo in realtà che questa domanda abbia un senso, perché ciò che può rimanere, ciò che può essere ascritto o negato è l'ente, mentre l'Essere non può essere trattato come un oggetto.


Per tornare ad Heiddegger vorrei dire quanto segue: dal momento che l'Essere si realizza in una forma esso implicitamente acquista una "sensatezza" e probabilmente (su questo dovrò riflettere) rimanda necessariamente ad un progetto. Cioè una forma è qualcosa di iscritto in un campo di senso, altrimenti non sarebbe colto da alcuno e rimarrebbe un indeterminato. In altre parole (e più in generale) una forma è qualcosa di imbrigliato in un sistema di riferimento (perché solo in un sistema di riferimento le cose acquistano proprietà) e che rimanda ad un significato all'interno di esso (si può dire, credo, che impone l'esistenza di una svrastruttura ordinata), per cui l'esistenza di una forma porta con sé molto più di quanto non si possa pensare, e forse, per necessità, anche la progettualità di cui parla Heiddeger.


Un saluto a tutti, ciao
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Vecchio 21-01-2013, 14.16.00   #17
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@ Giulio
Un campo di senso è un "contesto" (così lo definisce Severino), o un "segno" (questa la definizione, che
preferisco, della semiotica).
Il "segno" (o campo di senso) è un qualcosa che ognuno di noi ha in sè (certo avrai pensieri tuoi, che
non condividi neppure con i tuoi familiari - è sbagliato pensare al "segno" come ad un vocabolo: esso può
essere un vocabolo come un pensiero). Il "segno" poi si allargherà (magari al tuo contesto familiare, o alla
cerchia dei tuoi colleghi di lavoro, fino ad arrivare ai tuoi connazionali ed oltre).
Insomma: quando parli con i tuoi familiari non hai sempre bisogno di specificare esattamente quel che intendi;
la medesima cosa avviene con i tuoi colleghi di lavoro; e questo perchè essi sono inseriti in un preciso
"segno", o contesto (lo stesso tuo), che gli permette di capire implicitamente quello che con altri hai
bisogno di specificare.
Sulla base di ciò, io credo sia perfettamente plausibile parlare di un "segno" (o contesto, o campo di senso)
anche per quel che riguarda gli animali (cani e gatti si muovono all'interno di una "semiotica" a loro
perfettamente comprensibile, e che anche noi riusciamo, relativamente e limitatamente, a comprendere).
Nell'esempio dell'albero e della chimera, il "segno" relativo all'albero sarà certo molto più allargato di
quello relativo alla chimera (la "cosa-albero" ha senz'altro un numero molto maggiore di traduzioni e di
pensieri che non la "cosa-chimera", comprensibile ai soli appartenenti alla cultura che ha espresso quell'
animale fantasioso).
Tanto per fare un altro esempio (come ti dicevo è importante "intenderci", ovvero porci all'interno del
medesimo segno o campo di senso), un appassionato di bonsai come me quando vede un bonsai non vede un "oggetto",
ma vede una sintesi dell'oggetto-bonsai e del soggetto-uomo che lo ammira (secondo la filosofia orientale).
Naturalmente, questo sarà comprensibile ad altri appassionati del bonsai (che cioè condividono il medesimo
segno), mentre lo sarà meno a coloro abituati a ragionare nei termini della distinzione netta di soggetto e
oggetto.
L'"Essere" così, semioticamente inteso, è l'ipotetico (ipotetico: è troppo "presto" per ragionare su questa
supposta ipoteticità) significato del "tutto" che abbraccia OGNI segno; OGNI campo di senso; compreso quello
degli animali (potrei pure dire dei vegetali e di chissà cosa, visto che il "segno" non è necessariamente
legato ad alcuna percezione sensoriale).
Concludo con un "appello": è necessario più quasi "intuire" ciò che voglio dire, che non aspettarsi una
spiegazione razionale. Questo perchè ogni parola che scrivo; ogni pensiero che intendo esporre; è già una
rappresentazione inscritta in un particolare segno (quanti di coloro che non appartengono al nostro segno,
leggendo quel che scriviamo, ci prenderebbero per pazzi?).
E' assolutamente impossibile "uscire" dal segno (così come inteso dalla semiotica di Peirce), in quanto già
il pensare significa porsi all'interno della catena significante-significato.
Se qualcosa non ti è chiaro, chiedi pure, ciao.
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Vecchio 21-01-2013, 18.49.24   #18
ulysse
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Vision o Weltanshauung...Campo di Senso!

Non ho letto molto attentamente quanto precede...quindi non pretendo che si legga quanto segue...magari leggerò in seguito.
Tuttavia mi pare che con l'espressione "campo di senso" la si faccia inutilmente complessa e filosofica.
Io uso "campo di senso" semplicemente come traduzione in "italico idioma" del significante inglese "Vision" o del significante tedesco "Weltanshauung...il cui significato sarebbe "personale visione del mondo e delle cose" che tutti noi viventi abbiamo anche se, a volte, non lo sappiamo.
Ovviamante per avere una campo di senso o una vision occorre avere un minimo di organo cerebrale pensante...come anche la mia gatta ce l'ha.

Per quanto si potrebbe discutere sul fatto che una albero ce l'abbia o meno ...il campo di senso!

Un campo di senso non è fisso e costante, ma evolve con le nostre esperienze astratte o concrete che siano.

Analoghe esperinze ed ambiente producono campi di senso (Vision) similari.
Io ed un cinese vissuto a Pechino difficilmente abbiamo campi di senso similari...forse è più similare quello di un bis*****ere di Las Vegas: ho visto molti film su Las Vegas!

Ovvio che con chi abbia campo di senso (Vision) simile o congruente col nostro ci troviamo meglio nel comunicare e non solo per questioni di lingua.

Quanto all'albero è ovvio che l'albero c'è, è di per sè una relatà e non compare nel nostro campo di senso solo per il nostro pensare e osservare.
Però non lo percepiamo in tutta la sua realtà: per quanto lo percepiamo in modo congruente...però qualcosa ci sfugge...o forse, può essere, che l'albero lo percepiamo completamente...per ciò che ci serve... ma certo mille e mille altre cose dell'universo, anche se a livello macro, non percepiamo o percepiamo solo parzialmente o distorto.

Generalizzando...in relazione alla realtà che percepiamo (universo percepito) non so se sia necessario ricorrere a Hume...certo per Hume alcune cose, per noi normali, erano strane assai e a quel tempo si poteva anche dubitare se la realtà la si percepisse per intero o meno...o, addirittura, che di per sè esistesse.

Oggi sappiamo che la realtà c'è, ma che non la percepiamo per intero: solo percepiamo quella parte che ci è necessaria e forse sufficiente per sopravvivere e per la quale si sono evolutivamente formati i nostri sensi... ed i sensi degli altri viventi.

Basti pensare all'elettromagnetismo: non vediamo le onde di bassa o altissima frequenza...ma quelle fra l'infrarosso e l'ultravioletto le vediamo benissimo...se non soffriamo di certe anomalie visive come il daltonismo o altro.

Qualcosa del genere accade con l'udito: io arrivo solo a poco oltre i 20.000 Hz, la mia gatta arriva ai 40.000 Hz circa: in relazione all'udito il campo di senso della gatta è doppio!
Ancora per gli odori: c'è un mondo di odori là fuori che ci sono sconosciuti, ma che la mia gatta conosce benissimo per cui la Vision (campo di senso) della gatta, in questo senso, è assai più estesa di quella di tutti noi.
Analogamente per il gusto, il tatto, ecc...

Esistono, poi, capacità percettive che noi non abbiamo in nessun modo: i pipistrelli, ad esempio, hanno una specie di radar..ecc....

In sostanza percepiamo solo ciò che evolutivamente i nostri sensi, per la nastra specie, hanno potuto acquisire e percepire per esigenze (necessarie e sufficienti) di sopravvivenza nel nostro ambiente antropico.

In un certo senso, la storia della creazione è vera...l'universo ci ha forgiati...noi e, in modo diverso, tutti i viventi...per quanto era ed è necessario per viverci...solo che non è stata questione di un giorno: l'evoluzione ci ha impiegato 3 o 4 miliardi di anni....con Try and Error continui...e forse i lavori sono ancora in corso.

In definitiva, la realtà dell'universo, là fuori, esiste e noi non la creiamo, ma ne siamo creati e condizionati... e la percepiamo...solo in parte però!

E' da dire che le protesi strumentali di cui la scienza ci ha dotati aumentano enormemente, e sempre più, il nostro campo di senso...Vision o Weltanshauung che dir di voglia.

O forse non era di questo che si parlava?
ulysse is offline  
Vecchio 21-01-2013, 19.27.24   #19
ulysse
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Citazione:
Originalmente inviato da 0xdeadbeef
Nel "Sofista", Platone ci parla della "Battaglia dei Giganti".
In essa si affrontano i "figli della terra", i quali affermano che ogni realtà è corpo. E gli dei, che invece sostengono l'esistenza reale dell'incorporeità.
Con questo mito Platone intende obiettare ai materialisti (che già c'erano...) che essi devono dire che cosa c'è di comune fra le cose corporee e quelle incorporee, posto che si dica che entrambe "sono" (le mie mani" sono"; ma anche le mie idee "sono").
In effetti gli atomisti (Leucippo) già c'erano prima di Platone!
Citazione:
Il mito platonico introduce, in altre parole, non "un", ma "il" problema filosofico per eccellenza. Quel problema cui sempre, a mio avviso, dobbiamo riferirci se vogliamo davvero fare "grande filosofia": il problema dell'Essere.
Quale ESSERE?...ma esiste l'ESSERE?...la mia impressione è che l'ESSERE non esista...esistono le cose...esiste l'universo...ma l'ESSERE?....

Qualcuno direbbe che è un "significante senza significato"...dov'è il problema?
Citazione:
A mio modesto parere, è ben difficile "liberarsi" dalla metafisica. Perchè ben difficile è rispondere alla domanda sul cosa distingua le cose corporee e le cose incorporee, visto che entrambe "sono".
Il pensiero, la mente, la coscienza, ecc...sono incorporee ed esistono: emergono dal processo cerebrale...dalla organizzazione della materia...per quanto non sappiamo come.... per ora!

Non è un problema filosofico di metafisica...piuttosto di neuroscienza.

Il dubbio è piuttosto in relazione all'energia: è corporea o incorporea?
Il fatto è che Platone ed i metafisici non la concepivano!...non sapevano ovviamente di eletromagnetismo o di gravità, ecc..

Io direi che l'energia è incorporea...o ci sono masse che si trasmettono?...firmioni?...gra vitoni?...ecc...

E la luce?...ecco questa potrebbe essere corporea...i fotoni hanno massa!?

Ma non credo che Platone l'avrebbe definita nell'ESSERE corporeo!

Del resto Platone non conosceva E=MC2
Se l'energia è incorporea ecco scritta la relazione... massa/energia... corporeo/incorporeo!...
O è troppo facile? c'è sotto qualcosa di più?
ulysse is offline  
Vecchio 21-01-2013, 20.09.25   #20
sgiombo
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Oxdeadbeef:
Un campo di senso è un "contesto" (così lo definisce Severino), o un "segno" (questa la definizione, che
preferisco, della semiotica).
Il "segno" (o campo di senso) è un qualcosa che ognuno di noi ha in sè (certo avrai pensieri tuoi, che
non condividi neppure con i tuoi familiari - è sbagliato pensare al "segno" come ad un vocabolo: esso può
essere un vocabolo come un pensiero). Il "segno" poi si allargherà (magari al tuo contesto familiare, o alla
cerchia dei tuoi colleghi di lavoro, fino ad arrivare ai tuoi connazionali ed oltre).
Insomma: quando parli con i tuoi familiari non hai sempre bisogno di specificare esattamente quel che intendi;
la medesima cosa avviene con i tuoi colleghi di lavoro; e questo perchè essi sono inseriti in un preciso
"segno", o contesto (lo stesso tuo), che gli permette di capire implicitamente quello che con altri hai
bisogno di specificare.
Sulla base di ciò, io credo sia perfettamente plausibile parlare di un "segno" (o contesto, o campo di senso)
anche per quel che riguarda gli animali (cani e gatti si muovono all'interno di una "semiotica" a loro
perfettamente comprensibile, e che anche noi riusciamo, relativamente e limitatamente, a comprendere).
Nell'esempio dell'albero e della chimera, il "segno" relativo all'albero sarà certo molto più allargato di
quello relativo alla chimera (la "cosa-albero" ha senz'altro un numero molto maggiore di traduzioni e di
pensieri che non la "cosa-chimera", comprensibile ai soli appartenenti alla cultura che ha espresso quell'
animale fantasioso).
Tanto per fare un altro esempio (come ti dicevo è importante "intenderci", ovvero porci all'interno del
medesimo segno o campo di senso), un appassionato di bonsai come me quando vede un bonsai non vede un "oggetto",
ma vede una sintesi dell'oggetto-bonsai e del soggetto-uomo che lo ammira (secondo la filosofia orientale).
Naturalmente, questo sarà comprensibile ad altri appassionati del bonsai (che cioè condividono il medesimo
segno), mentre lo sarà meno a coloro abituati a ragionare nei termini della distinzione netta di soggetto e
oggetto.


Sgiombo:
Mi sembra che il concetto di campo di senso presenti una certa “sfumatura dei contorni” (o incertezza dei limiti).
Talora è necessario esplicitare concetti o dare spiegazioni anche quando si parla con i propri familiari, e perfino quando si parla con i propri colleghi di questioni strettamente professionali.
Ci sono cultori del bonsai più o meno esperti e “introdotti nella materia”; forse anche appartenenti a diverse “scuole” di bonsaisti. Spero che la cosa sia evidente anche a proposito di questo esempio a me decisamente ignoto; oppure prendiamone uno più noto ad entrambi, come il motociclismo: c’ è chi sa tutto della distribuzione desmodromica e chi a malapena sa che è utilizzata quasi esclusivamente dalla Ducati (credo perfino ci sia chi segue le corse delle moto o possiede e utilizza una moto e conosce solo l’ abbreviazione “desmo” e non la parola per esteso); c’è chi è espertissimo del fuoristrada e chi non se ne è mai interessato (come me), ecc.
Si può dire che c' é un campo si senso generale di chi si interessa di motociclismo che può essere variamente suddiviso in numerosissimi sottoinsiemi variamente sovrapponentisi gli uni agli altri?
E quindi che ciascuno "possiede" (o parteciopa di) molti campi di senso in varia misura per l' uno o l' altro di essi?
(Cerco di capire ma non riesco ad evitare un' impressione di oscurità almeno in parte persistente).




Oxdeadbeef:
L'"Essere" così, semioticamente inteso, è l'ipotetico (ipotetico: è troppo "presto" per ragionare su questa
supposta ipoteticità) significato del "tutto" che abbraccia OGNI segno; OGNI campo di senso; compreso quello
degli animali (potrei pure dire dei vegetali e di chissà cosa, visto che il "segno" non è necessariamente
legato ad alcuna percezione sensoriale).


Sgiombo:
Già mi è difficile comprendere cosa sia un campo di senso per gli animali che non usano simboli verbali (i quali ultimi per lo meno semplificano notevolmente il problema: la “semiotica” -tu stesso impieghi le virgolette- non linguistica degli animali è qualcosa di comprensibile in qualche misura anche da noi -ne convengo- ma estremamente indefinita, oltre che limitata quantitativamente); circa vegetali e minerali non riesco proprio a capire come potrebbero disporre di un contesto di oggetti di coscienza intenzionali in assenza di coscienza, di sensazioni alle quali riferirsi nel loro comportamento (che non c’è) e ovviamente men che meno nel loro pensiero logico-linguistico (che è esclusivamente umano, nemmeno proprio delle altre specie animali cui pure posso concedere che si riferiscano intenzionalmente a sensazioni materiali immediatamente presenti o “mentali”, cioé ricordate o immaginate o anche sognate).



Oxdeadbeef:
Concludo con un "appello": è necessario più quasi "intuire" ciò che voglio dire, che non aspettarsi una
spiegazione razionale. Questo perchè ogni parola che scrivo; ogni pensiero che intendo esporre; è già una
rappresentazione inscritta in un particolare segno (quanti di coloro che non appartengono al nostro segno,
leggendo quel che scriviamo, ci prenderebbero per pazzi?).
E' assolutamente impossibile "uscire" dal segno (così come inteso dalla semiotica di Peirce), in quanto già
il pensare significa porsi all'interno della catena significante-significato.
Se qualcosa non ti è chiaro, chiedi pure, ciao.

Sgiombo:
Se non fosse autocontraddittorio mi definirei un “iper-razionalista”. Dunque “intuire” senza razionalizzare mi è pressoché impossibile.
Mi piacerebbe però che, tenuto conto di questa estrema difficoltà di comunicazione, della scarsa probabilità di riuscire a farmi capire le tue convinzioni, giungessi alla conclusione che vale comunque la pena di tentare (se riuscissimo a intenderci, bene, se a un certo punto ci rendessimo conto che stiamo perdendo tempo inutilmente -o se io personalmente non trovassi più interessante seguirti nell tue spiegazioni- potremmo serenamente interrompere la discussione).

A presto!
sgiombo is offline  

 



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