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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 26-01-2013, 01.14.33   #21
Giorgiosan
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Riferimento: Kant: chi sei?

Citazione:
Originalmente inviato da 0xdeadbeef
(sarà bene che io cominci a specificarti che "per me"
non si parla mai di "fatti", o di "oggetti", ma solo e sempre di interpretazioni), è la premessa necessaria
di ogni conoscenza. Perchè ogni conoscenza null'altro è se non interpretazione
Se non si parla mai di fatti ma solo e sempre di interpretazioni allora il dialogo diventa un monologo ed anche incoerente perché dici che ...

Citazione:
Originalmente inviato da 0xdeadbeef

Kant non crede in Dio (è bene essere chiarissimi su questo aspetto, che in troppi ancora male interpretano)

mi sembrava avessi detto che ci sono solo interpretazioni ... ma vedo che ci sono anche interpretazioni sbagliate ... cioè non corrispondenti o adeguate ai fatti?

Lasciamo perdere va

Ultima modifica di Giorgiosan : 26-01-2013 alle ore 11.35.33.
Giorgiosan is offline  
Vecchio 26-01-2013, 02.56.06   #22
leibnicht
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Interludio

Citazione:
Originalmente inviato da 0xdeadbeef
@ Giulio
A mio avviso, è improponibile parlare di "innatismo" in riferimento alla morale. Se non, come dicevo, nelle forme
debolissime che possiamo rilevare nella trasmissione genetica e nella sedimentazione archetipica (che poi
sono probabilmente la stessa cosa).
Un mio amico allevatore di cani, sostiene che è possibile "selezionare" non solo le caratteristiche fisiche
tipiche di una qualche razza, ma anche le caratteristiche comportamentali. Come? Appunto "selezionando" gli
esemplari che presentano più spiccatamente quelle caratteristiche, e facendoli poi accoppiare fra loro.
Dai due esemplari selezionati nascerà una cucciolata sulla quale si ripeterà l'operazione, e così via.
Insomma Giulio: questo esempio spiega, credo, la trasmissione genetica, ma la vogliamo estendere dai cani agli
esseri umani? Voglio dire: se anche è pensabile una "tendenda" del tipo che illustri (che la religione cristiana
sintetizza in: "ama il prossimo tuo come te stesso"), essa non è certamente comune a tutti gli esseri umani.
Anzi, direi proprio che non è affatto comune...
Se vi fosse una caratteristica innata come quella che dici, non avremmo assistito a quello che è stato forse
il secolo più crudele di tutta la storia dell'uomo: il 900. Non avremmo assistito ad "Auschwitz" (un Auschwitz
inteso nel senso, filosofico, che gli diede Adorno, e che significa il luogo "nel" quale la cultura muore;
il luogo "oltre" il quale l'unica parola possibile diventa: "mai più").
Ho citato solo un esempio (ma che esempio...), ma tanti altri se ne potrebbero fare. Quindi no, io non credo
ad un istinto innato che va nella direzione che dici: la storia fa letteralmente a pezzi una simile tesi.
Credo, anzi, vi sia un istinto innato, ma esso è rintracciabile nella "volontà di potenza" (stupendamente
interpretata in senso psicologico da A.Adler); in quel "gene egoista" che forse muove anche gli spiriti più
nobili; nella morale intesa alla maniera dell'empirismo anglosassone, ovvero come quel "movente" che spinge
alla ricerca di un "bene" che è inteso in maniera soggettiva (il "bene" è ciò che io ritengo sia bene per me).
Perchè il punto è tutto in queste ultime righe: cosa si intende con la parola "morale"?
Si intende forse, con "morale", quell'agire in vista di un fine che: "è ciò che è e non può essere altrimenti"?
Cioè un fine che rappresenta una realtà perfetta? Oppure con "morale" si intende l'agire in vista di un qualcosa
che è oggetto del desiderio soggettivo?
Tu affermi che la "morale" è l'agire verso gli altri come vorremmo che gli altri agissero verso di noi. Ma così
non delinei altro che una "realtà perfetta", perchè non consideri che il desiderio di molti potrebbe essere (è)
quello di sopraffare gli altri, di usarli allo scopo di soddisfare la propria volontà di potenza.
E allora che facciamo? "Selezioniamo" quelli che la pensano come te (come noi) allo scopo di poter affermare
una presunta scientificità insita nell'innatismo della trasmissione genetica?
O piuttosto riconosciamo il "dramma" esistenziale di un uomo costretto ad operare una SCELTA di valore senza
poter dare a questa scelta nessun fondamento razionale?
Max Weber, un pensatore da me ammiratissimo, diceva splendide parole su questo dramma (se le ritrovo te le posto),
sottolineando che esso deve essere sopportato "virilmente" (chi è incapace di sopportarlo, è meglio che si
rifugi fra le braccia compassionevoli della religione, dice Weber).
Concludo esprimendoti la mia soddisfazione per l'ultima tua frase (no, non è Alzheimer, ma forse è l'atteggiamento
di un uomo molto sensibile). Il fatto che non coltiverai più simili dubbi è, per me, molto più importante
di qualsiasi disaccordo filosofico.
Ciao caro Giulio, io ti ritengo un amico.

Mi limito ad una breve e modestissima riflessione su Auschwitz. Per un attimo mi sono chiesto, infatti, se il comandamento cristiano avrebbe potuto scongiurarlo di più che non l'imperativo categorico.
Poi, l'istante successivo, mi sono detto: è l'annosa e secolare questione, tutta tedesca, tra il "sentire" di Kant e quello di Schopenhauer.
Se sia meglio esercitabile e più vicina a se stessa una "giustizia" amministrata con la "compassione", oppure una giustizia che sia "compiuta" e "realizzata" attraverso la Legge (quale che essa sia).
All'ingresso di Auschwitz stava scritto: Arbeit macht frei. Arbeiten in tedesco ha l'etimo slavo robotadsz, non quello sassone di werken, o wirken.
Arbeiten è il lavoro "fisico", potenzialmente alienante, potenzialmente impersonale: ma, in ogni caso, "agire per l'agire" in forza di un dovere che si premia nel suo puro e (disinteressato) compiersi.
La parola "robot" viene anche in italiano da questa comune radice, che non è quella sassone di werken.
...
(Kant, qui genuit Hegel, qui genuit Marx et Spengler et alia et alia...)
leibnicht is offline  
Vecchio 26-01-2013, 17.19.26   #23
0xdeadbeef
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Riferimento: Kant: chi sei?

@ Giorgiosan
Quello che a me pare irritante nel tuo atteggiamento non è tanto che tu mi muova delle accuse di dire degli
sfondoni (per me il filosofo deve sempre dire ciò che pensa, e se ciò che pensi è quello fai bene a dirlo),
quanto il fatto che ti comporti come certi politici, che estrapolano delle frasi, se non delle singole parole,
da un contesto discorsivo e commentano solo quelle.
Nella risposta che ti ho dato mettevo in risalto come i termini "credere" e "sperare" non siano affatto sinonimi.
E visto che io fondo tutta la mia interpretazione (forse "cervellotica", in questo non mi sento di darti
completamente torto) delle cose di cui si discorreva su questo, mi sarei aspettato almeno una parola
di commento su questo aspetto della questione. Stessa cosa dicasi sull'"io penso", di cui tu mi hai chiesto
una spiegazione.
Invece no, niente. Prendi piuttosto quel verbo: "interpretare", e con modi professorali (di liceo, beninteso),
chiudi la discussione (praticamente) facendo quasi intendere che non sia il caso di discutere con uno che si
contraddice sui fondamentali filosofici.
Visto però che ho la presunzione di pensar-mi non al livello di uno studente liceale, e visto che mi penso (un "mi
penso" sempre kantianamente inteso) perfettamente in grado di spiegarti come l'interpretazione si rapporti
con la "verità"; con il "fatto"; con l'"oggetto"; devo chiederti se intendi proseguire con questa discussione
oppure lasciar perdere.
Naturalmente, se intendi proseguire dovrai prima rispondermi sulle questioni di cui sopra, dopodichè io ti
rispondero sull'interpretazione e sul suo rapporto (trascendentale) con l'oggetto.
un saluto senza alcun rancore (ma è bene dire ciò che si pensa).
0xdeadbeef is offline  
Vecchio 26-01-2013, 23.44.04   #24
0xdeadbeef
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Riferimento: Kant: chi sei?

@ Leibnicht
Molto interessante questa tua riflessione sulla radice etimologica della parola "arbeit" (molto condivisibile
e profonda è anche quella su Kant postata da Giorgiosan, che però non ho ritrovato su questo post).
Dunque "agire per l'agire" è la radice di "arbeit" (immagino che "werken" abbia una radice che richiama l'agire
per un fine; che abbia, in sostanza, una relazione con un elemento metafisico - così mi farebbe pensare la
parola tedesca "beruf", che Max Weber usa in riferimento all'attitudine al lavoro, la quale richiama all'italiana
"vocazione").
Posso chiederti se tu pensi vi sia una relazione fra la filosofia di Nietzsche ed il nazismo? Voglio dire: non
che io pensi di Nietzsche che abbia "aperto la strada" al nazismo, ci mancherebbe solo di fare i processi alle
intenzioni. Così come penso a Nietzsche non come ad un "creatore", ma ad un interprete di sentimenti diffusi
nel suo tempo e nel suo luogo. Però, insomma, come non tirare un filo fra la volontà di potenza e la volontà
di sopraffazione (questo filo lo tira, e chiaramente, lo psicologo Alfred Adler)? Come non pensare che Nietzsche
abbia potuto offrire al nazismo certi argomenti teoretici che, in un certo qual modo, lo hanno legittimato
(penso solo alla riflessione, in ambito filosofico-giuridico, di Carl Schmitt)?
un saluto
0xdeadbeef is offline  
Vecchio 27-01-2013, 11.56.15   #25
and1972rea
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Riferimento: Kant: chi sei?

Kant suscita in me una sola perplessita'; Fenomeno e noumeno rimangono misteriosamente uniti in una scissione indagabile dalla ragione , la quale , come una lampada da tavolo che non puo' illuminare se' stessa, lascia l'uomo nell'incertezza piu' assoluta riguardo a molto di cio' che la filosofia brama di sapere.
Tutte le certezze nascono , per quest'uomo, dentro di noi, ogni sicurezza dovrebbe divenire bastevole in quanto puramente morale..., eppure, uno spiraglio inquietante rimane aperto dinanzi a tutto cio' che fichtianamente noi non siamo, la porta verso il Tutto rimane incomprensibilmente, ineffabilmente socchiusa sull' universo che ci contiene, e questo Kant non lo nega,ma sembra non importargli; il noumeno, che sostanzia ogni nostra esperienza e ne rappresenta la materia prima da plasmare in noi, rimane nascosto ed inspiegabilmente ininfluente all'interno delle cose... , questa criptica commistione e' ammessa dal soggettivista tedesco, ma non viene mai indagata negli aspetti speculativi. Se davvero il noumeno e' substrato ontologicamente sostanziale, ma formalmente ininfluente di cio' che possiamo esperire, qual'e' il suo nesso con il nostro a-priori? Dove inizia? Dove finisce ? Cosa distingue cio' che noi siamo da cio' che non siamo? ...Hegel squarcio' quell'ultimo velo paradossale che in Kant ancora separava l ' Io dal non-Io, il soggettivismo divenne idealismo puro , alcune contraddizioni vennero cosi' meno ...e se ne generarono altre...
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Vecchio 27-01-2013, 21.01.31   #26
0xdeadbeef
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Riferimento: Kant: chi sei?

@ and1972rea
L'interpretazione che io dò alla visione di Kant, mi porta a credere che il "noumeno" (a mio avviso,
è bene specificare che IL noumeno è riferito alla categorialità, perchè sarebbe il caso di specificare che
non si parla di una entità quale potrebbe essere l'Essere, e quindi IL noumeno andrebbe inteso nella pluralità
delle rappresentazioni che esso assume relativamente AI fenomeni) corrisponda a ciò che Peirce, semioticamente,
definiva "evento".
Come, in semiotica, l'"evento" non è conoscibile se non attraverso il "segno", così il noumeno non è conoscibile
se non attraverso il fenomeno.
D'altronde, come afferma E.Severino in risposta a M.Gabriel e M.Ferraris circa il recente dibattito sul "Nuovo
Realismo", il punto fondamentale della questione che riguarda la conoscenza dell'"oggetto" rimane quello
indicato da Kant, e che si sostanzia nella "trascendentalità" del processo conoscitivo DEL soggetto VERSO
l'oggetto.
D'altronde, io penso, Kant si è molto avvicinato all'Idealismo (soprattutto nell'"Opus Postumum", ma anche
nella prima edizione della Critica della Ragion Pura). In questo senso chiarissima, dal punto di vista che tu
esponi, appare la posizione di Kant così come espressa nella "Antropologia", in cui Kant parla di un "io"
come soggetto del pensiero e di un "io" come oggetto del pensiero.
Tuttavia, io credo, Kant non ha mai abbracciato quello che reputo il punto fondamentale che caratterizzerà
la seguente riflessione idealista, e cioè la tesi di un "io infinito" che è condizione di ogni realtà (soprattutto
nella seconda edizione della Critica della Ragion Pura l'"io" come soggetto del pensiero, quindi l'"io" che
Kant definisce dell'"appercezione pura", diventa una pura funzione formale; che, in quanto tale, può
solo ordinare ed unificare una "materia" che gli dev'essere data - cioè non può in alcun modo diventare l'"io
creatore" degli Idealisti).
E dunque, chiedi, qual'è il nesso di un noumeno che Kant definisce a-prioristicamente inconoscibile con una
conoscenza, la nostra, che possiamo esperire solo dal punto di vista soggettivo (cioè dell'"io")?
Questo è, come dicevo, proprio il punto che Severino sottolineava come quello di "partenza" (per così dire; a
meno di non voler assumere le opposte alternative del "realismo ingenuo" - di cui, praticamente, Severino
accusava Gabriel e Ferraris - o dell'Idealismo.
E qui, in questo "punto" esatto, che si apre tutto il discorso sulla "trascendentalità", così come esposta
da Kant (non che Kant abbia, per così dire, già espresso la verità "definitiva" - la trascendentalità è un
qualcosa, a mio avviso, ancora tutto da indagare -, ma il gran merito di Kant è, a parer mio, proprio quello
di averci indicato l'insensatezza, forse la contraddittorietà, certamente l'incoerenza, delle due visioni
che si pongono ai rispettivi ed opposti margini della sua).
Un saluto
0xdeadbeef is offline  
Vecchio 27-01-2013, 22.46.02   #27
Giorgiosan
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Riferimento: Kant: chi sei?

Il noumenon , la cosa in sé, ciò che è pensabile dall'intelletto puro, oggetto di una intuizione non sensibile, solo logicamente possibile, la vera essenza, un concetto limite necessario, una cosa che deve esser pensata non come oggetto dei sensi ma come cosa in sé, un oggetto trascendentale ecc. ecc. .

Il noumeno è il punto deludente del sistema filosofico di Kant. Cosa sono le cose come realmente sono in se stesse? Non sono alcunché.

L'esito è sempre il dualismo: mondo-iperuranio, res extensa-res cogitans, fenomeno-noumeno; ed anche la scienza, perspicace nell'analisi della materia si ferma di fronte alla mente.

Direi che Hegel si è spinto con la sua Fenomenologia ad esplorare quella realtà a cui sempre ci riferiamo quando parliamo di mente, di coscienza, di io penso, di pensiero, di sovrasensibile, ecc. ecc. ma non è soddisfacente perché in fondo ha solo ontologizzato la logica.

Quella realtà che è lo spirito, dominio della fede religiosa, non ha ancora trovato la sua dimensione nella filosofia e i tempi non sono propizi per questo ... ... però lo spirito è una realtà.

Ultima modifica di Giorgiosan : 28-01-2013 alle ore 00.22.15.
Giorgiosan is offline  
Vecchio 28-01-2013, 01.58.17   #28
Giorgiosan
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Riferimento: Kant: chi sei?

Citazione:
Originalmente inviato da 0xdeadbeef
@ Giorgiosan

Nella risposta che ti ho dato mettevo in risalto come i termini "credere" e "sperare" non siano affatto sinonimi.
E visto che io fondo tutta la mia interpretazione (forse "cervellotica", in questo non mi sento di darti completamente torto) delle cose di cui si discorreva su questo, mi sarei aspettato almeno una parola
di commento su questo aspetto della questione.

Speranza è la fiducia nel futuro, quindi speranza è fiducia, e credere esprime la stesso dinamismo anticipatore.
Sperare, aver fede e credere esprimono, in altre parole, una anticipazione psicologica o uno stesso dinamismo psichico verso il futuro, una modalità con cui il soggetto si dà il futuro.

Nella fede o fiducia , nel credere o nella credenza, nello sperare o nella speranza si vive nella direzione avvenire-presente come dice bene Minkowsky.
Aver fiducia (o fede), credere, sperare si fondano sulla differenza ontica tra ciò che è e ciò che non è ancora.

Crèdere: dal latino credère , prestar fede, affidare, confidare
http://www.etimo.it/?term=credere

Sinonimo di credere
(v.) immaginare, pensare, presumere, reputare, ritenere, supporre- (v.) confidare, sperare
http://www.dizionario-online.net/sinonimi/credere.html


Penso che non abbia mai riflettuto sul significato di credere, sperare, aver fede.
Nota bene che la religione o la Bibbia non c'entrano, questa è la comprensione psicologica e fenomenologica dei termini in questione.

Credevi di non avere niente da imparare da un professore di liceo, come hai detto? E perché?

Hai detto con enfasi che il filosofo deve essere umile, questa è l'occasione per esserlo.

Aver fede, sperare e credere, essenzialmente significano la stessa cosa.
Hai capito?
Giorgiosan is offline  
Vecchio 28-01-2013, 11.44.55   #29
and1972rea
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Riferimento: Kant: chi sei?

Citazione:
Originalmente inviato da 0xdeadbeef
@ and1972rea
L'interpretazione che io dò alla visione di Kant, mi porta a credere che il "noumeno" (a mio avviso,
è bene specificare che IL noumeno è riferito alla categorialità, perchè sarebbe il caso di specificare che
non si parla di una entità quale potrebbe essere l'Essere, e quindi IL noumeno andrebbe inteso nella pluralità
delle rappresentazioni che esso assume relativamente AI fenomeni) corrisponda a ciò che Peirce, semioticamente,
definiva "evento".
Come, in semiotica, l'"evento" non è conoscibile se non attraverso il "segno", così il noumeno non è conoscibile
se non attraverso il fenomeno.
D'altronde, come afferma E.Severino in risposta a M.Gabriel e M.Ferraris circa il recente dibattito sul "Nuovo
Realismo", il punto fondamentale della questione che riguarda la conoscenza dell'"oggetto" rimane quello
indicato da Kant, e che si sostanzia nella "trascendentalità" del processo conoscitivo DEL soggetto VERSO
l'oggetto.
D'altronde, io penso, Kant si è molto avvicinato all'Idealismo (soprattutto nell'"Opus Postumum", ma anche
nella prima edizione della Critica della Ragion Pura). In questo senso chiarissima, dal punto di vista che tu
esponi, appare la posizione di Kant così come espressa nella "Antropologia", in cui Kant parla di un "io"
come soggetto del pensiero e di un "io" come oggetto del pensiero.
Tuttavia, io credo, Kant non ha mai abbracciato quello che reputo il punto fondamentale che caratterizzerà
la seguente riflessione idealista, e cioè la tesi di un "io infinito" che è condizione di ogni realtà (soprattutto
nella seconda edizione della Critica della Ragion Pura l'"io" come soggetto del pensiero, quindi l'"io" che
Kant definisce dell'"appercezione pura", diventa una pura funzione formale; che, in quanto tale, può
solo ordinare ed unificare una "materia" che gli dev'essere data - cioè non può in alcun modo diventare l'"io
creatore" degli Idealisti).
E dunque, chiedi, qual'è il nesso di un noumeno che Kant definisce a-prioristicamente inconoscibile con una
conoscenza, la nostra, che possiamo esperire solo dal punto di vista soggettivo (cioè dell'"io")?
Questo è, come dicevo, proprio il punto che Severino sottolineava come quello di "partenza" (per così dire; a
meno di non voler assumere le opposte alternative del "realismo ingenuo" - di cui, praticamente, Severino
accusava Gabriel e Ferraris - o dell'Idealismo.
E qui, in questo "punto" esatto, che si apre tutto il discorso sulla "trascendentalità", così come esposta
da Kant (non che Kant abbia, per così dire, già espresso la verità "definitiva" - la trascendentalità è un
qualcosa, a mio avviso, ancora tutto da indagare -, ma il gran merito di Kant è, a parer mio, proprio quello
di averci indicato l'insensatezza, forse la contraddittorietà, certamente l'incoerenza, delle due visioni
che si pongono ai rispettivi ed opposti margini della sua).
Un saluto
...per quel poco che ho cavato dai miei poveri studi, non credo che il noumeno in Kant possa essere riferito ad alcuna assonanza col termine categoria; e' substrato soggettivamente inconoscibile, e dire "e'" e' gia troppo, non e' nelle nostre categorie di tempo ne' si trova in quelle di spazio, pare apparire soltanto come necessita' logica, ma la stessa logica soggettiva lo ammette e insieme lo nega paradossalmente, la cosa in se' e' inconoscibile ed in quanto inconoscibile non puo' nemmeno essere considerata, trascende completamente il soggetto, ma trascendendolo ,inevitabilmente lo nega , perche' ogni soggetto implica un oggetto , senza il quale l'Io , in se' stesso, non puo' dirsi tale , ma soltanto di essere Tutto; questo e' il crepaccio in cui, a parer mio, e' scivolato Kant, e che Hegel dovette giocoforza superare...
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Vecchio 28-01-2013, 13.57.38   #30
sgiombo
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Riferimento: Kant: chi sei?

Oxdeadbeef:
A mio avviso, è improponibile parlare di "innatismo" in riferimento alla morale. Se non, come dicevo, nelle forme debolissime che possiamo rilevare nella trasmissione genetica e nella sedimentazione archetipica (che poi sono probabilmente la stessa cosa).

Sgiombo:
Terrei ben distinta la scienza biologica (soprattutto, anche se non solo, darwiniana) da quelle che per me sono le elucubrazioni irrazionalistiche della psicoanalisi (anche nelle sue espressioni relativamente “meno peggiori”. Chiedo scusa per la franchezza a te e agli altri frequentatori del forum che potrebbero offendersi: non è mia intenzione).

Oxdeadbeef:
Un mio amico allevatore di cani, sostiene che è possibile "selezionare" non solo le caratteristiche fisiche tipiche di una qualche razza, ma anche le caratteristiche comportamentali. Come? Appunto "selezionando" gli esemplari che presentano più spiccatamente quelle caratteristiche, e facendoli poi accoppiare fra loro. Dai due esemplari selezionati nascerà una cucciolata sulla quale si ripeterà l'operazione, e così via.

Sgiombo:
Questo ovviamente non vale per l’ uomo, il cui comportamento è quanto di più variabile, modulabile dall’ esperienza, plastico e “creativo” esista in natura; dipendente dai geni sostanzialmente solo in quello che ha di comune a tutti gli individui della specie (salvo casi decisamente e inequivocabilmente patologici), dipendente dalle esperienze vissute sostanzialmente per tutto ciò che è individuale, personale (checché ne dicano gli esponenti delle peggiori ideologie antiscientifiche reazionarie, come il famigerato Cyril Burt, che definirei “il Lisenko del capitalismo”; ovviamente di lui non si parla mai anche se in realtà ha fatto ben di peggio del vero Lysenko; e invece quest’ ultimo, paradossalmente ma non troppo, è molto più noto e popolare di quanto sarebbe stato se avesse compiuto autentiche scoperte scientifiche rivoluzionarie; e non a caso…).

Oxdeadbeef:
Se vi fosse una caratteristica innata come quella che dici, non avremmo assistito a quello che è stato forse il secolo più crudele di tutta la storia dell'uomo: il 900. Non avremmo assistito ad "Auschwitz" (un Auschwitz inteso nel senso, filosofico, che gli diede Adorno, e che significa il luogo "nel" quale la cultura muore; il luogo "oltre" il quale l'unica parola possibile diventa: "mai più").
Ho citato solo un esempio (ma che esempio...), ma tanti altri se ne potrebbero fare. Quindi no, io non credo ad un istinto innato che va nella direzione che dici: la storia fa letteralmente a pezzi una simile tesi.

Sgiombo:
(Ritengo Hiroshima e Nagasaki più paradigmatiche di Auschwitz, ma questo è un altro discorso).
Ma la questione non si risolve nel modo da te proposto.
Che la legge morale venga anche violata, oltre che rispettata, è purtroppo ovvio e sarebbe problematico (se lo fosse) esattamente allo stesso modo per qualsiasi concezione, spiegazione o fondamento dell’ etica; anche per quello kantiano: se si può sperare nell’ esistenza di un Dio buono e provvidente e nel fatto che l’ anima è immortale e verrà premiata o punita eternamente per ciò che ha fatto nella vita terrena, perché Hiroshima e Nagasaki, Auschwitz, Tripoli e Bengasi 2011, Bagdad 2002, Belgrado anni ’90, -toh, voglio proprio fare contenti anche i miei nemici!- il Gulag, ecc., ecc. (tanto più che molti degli autori di questi crimini contro l’ umanità erano non solo speranzosi, ma proprio credenti convinti)?.
La legge morale, che si spieghi con l’ evoluzione biologica, che si fondi con Kant sulla ragion pratica, con la chiesa cattolica, con il buddismo o in qualsiasi altro modo, può essere violata ma la si sente dentro di sé; chi la viola deliberatamente, in malafede (non chi fa del male per errore, senza volerlo) credo si renda conto di farlo, ma decide di farlo ugualmente.
E mi sembra evidente che tutto questo è spiegato dall’ estrema plasticità del comportamento umano in conseguenza dell’ evoluzione biologica non meno bene che da qualsiasi altra fondazione filosofica o religiosa della morale.

Ritengo quella del “gene egoista” una metafora mal congegnata, poco o punto calzante (e anche alquanto reazionaria).
Geni troppo “egoisti” (metaforicamente!) non possono sopravvivere ma sono destinati a inevitabile estinzione in quanto l’ ambiente muta nel tempo (oltre che nello spazio) e le specie in cui si fossero preservati “egoisticamente” i soli geni iperadatti (eliminando “egoisticamente” tutti quelli in varia misura meno adatti) alla prima inevitabile variazione ecologica (allorché servirebbero geni non troppo adatti a ciò che sta venendo meno nell’ ambiente, oltre che una buona dose di “culo”) si estinguerebbero (questa è scienza biologica in micropillole, non le ideologie più o meno velatamente razzistiche correnti; correnti anche in parte del mondo accademico scientifico, com’ è ovvio; Cyril Burt solo dopo morto fu definitivamente sputtanato, principalmente per merito del grande paleontologo americano Stephen Jay Gould, scienziato e uomo di cultura anche umanistica meraviglioso: te ne consiglio vivamente la lettura; godette fino alla fine dei suoi giorni di grande stima e quasi unanime considerazione nell’ ambente accademico …contrariamente a Lysenko).

Ritengo che non si possa fondare la morale (cioè dimostrare come ci si debba comportare, quale sia il comportamento buono; e che si possa invece benissimo spiegare con la scienza biologica), in quanto si può dimostrare quali mezzi siano efficaci per conseguire determinati fini in determinate circostanze ma non affatto che cosa si debba fare, quali siano i fini da perseguire (questi li si avverte arbitrariamente, irrazionalmente, infondatamente, indimostrabilmente).
La biologia ci fa comprendere come una parte consistente (un’ altra parte è storicamente condizionata e transeunte, come a mio avviso spiega egregiamente la scienza umana del materialismo storico) degli scopi umani (imperativi morali, valori etici) pur se non oggettivi, indimostrabili, soggettivamente sentiti se vogliamo, sono tuttavia anche di fatto universalmente generalizzati nell’ umanità (e forse in qualche misura e mutatis mutandis –ma si tratta di enormi “mutandoni” ottocenteschi, “vittoriani”!- anche in altre specie animali); e anche se possono venire violati e di fatto sono violati (e ripeto che -se lo fosse, ammesso e non concesso- questo sarebbe esattamente allo stesso modo un problema anche per Kant e per qualsiasi altra fondazione della morale).

Oxdeadbeef:
E allora che facciamo? "Selezioniamo" quelli che la pensano come te (come noi) allo scopo di poter affermare una presunta scientificità insita nell'innatismo della trasmissione genetica? O piuttosto riconosciamo il "dramma" esistenziale di un uomo costretto ad operare una SCELTA di valore senza poter dare a questa scelta nessun fondamento razionale?

Sgiombo:
La faccenda della “selezione dell’ umanità” è una colossale sciocchezza reazionaria e mi faresti un torto se pensassi che potrei prenderla in qualche modo in considerazione.
Circa il riconoscimento del dramma esistenziale (trovo che non servano le virgolette) di un uomo costretto ad operare una SCELTA di valore senza poter dare a questa scelta nessun fondamento razionale -la ragione serve per i mezzi, non per i fini!- non vedo proprio in che senso possa essere alternativo alla (non perfettamente compatibile con la) spiegazione biologica della morale.

Oxdeadbeef:
Max Weber, un pensatore da me ammiratissimo, diceva splendide parole su questo dramma (se le ritrovo te le posto), sottolineando che esso deve essere sopportato "virilmente" (chi è incapace di sopportarlo, è meglio che si rifugi fra le braccia compassionevoli della religione, dice Weber).
Concludo esprimendoti la mia soddisfazione per l'ultima tua frase (no, non è Alzheimer, ma forse è l'atteggiamento di un uomo molto sensibile). Il fatto che non coltiverai più simili dubbi è, per me, molto più importante di qualsiasi disaccordo filosofico.
Ciao caro Giulio, io ti ritengo un amico.

Sgiombo:
Purtroppo non conosco Weber (nè Adler, Nietzche –al cui superuomo, o “ultrauomo” come mi pare ipocritamente si preferisca dire da parte dei suoi seguaci politicamente corretti, mi sembrano attribuibili, probabilmente contro le tue intenzioni, le tue parole sulla “selezione di quelli che la pensano come noi”- nè tanti altri. Ma come diceva, se non sbaglio, Ippocrate, “la scienza è lunga e la vita è breve”).

Ti ringrazio di cuore per le ultime parole.

Direi di lasciare d’ ora in avanti sottintesa la nostra reciproca stima e amicizia, ricordare la quale per gli altri del forum potrebbero risultare un po’ stucchevole, e che io ho tirato in ballo comunque un po’ stupidamente, se non proprio demenzialmente.
Stammi bene!

Giulio
sgiombo is offline  

 



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