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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 31-01-2013, 02.53.44   #41
Giorgiosan
Ospite abituale
 
Data registrazione: 30-09-2004
Messaggi: 2,009
Riferimento: Kant: chi sei?

Citazione:
Originalmente inviato da 0xdeadbeef
@ Giorgiosan
Il dizionario etimologico che mi segnali (www.etimo.it) così definisce il verbo "credere": " prestar fede,
tener per vero, esser persuaso di qualcosa etc".
Alla voce riferita a "sperare" trovo questa definizione: "intender coll'animo verso un bene futuro, stare in
aspettazione di qualche cosa desiderata".
I due verbi non mi sembrano assolutamente sinonimi (neanche per la nostra lingua, che sarei comunque prontissimo
ad abbandonare laddove mi dicesse che lo sono).
Il verbo "credere" si fonda su un calcolo di probabilità (come è con ogni evidenza, e te ne facevo un esempio
circa la differenza fra il credere e lo sperare in una vincita al supernenalotto). "Sperare" ha invece una
radice etimologica completamente differente, visto che "spes" significa: "tendenza, aspirazione".
Nella tua sciocca saccenza pretenderesti di dirmi, tu, in cosa io credo? .

Quella che chiami sciocca saccenza:
è la classica fallacia dell'"uomo di paglia". Affermare che io abbia detto cosa tu debba credere, è un diversivo per confondere le acque della discussione. Una fallacia in cui sei incappato più di una volta!

Ho affermato che ritenere Kant un non credente o un ateo è uno sfondone filosofico culturale che pretendevi, per giunta, di spacciare come insegnamento.
Dopodiché hai cominciato a cincischiare sul significato dei termini con distinzioni sofistiche e risibili, come fai anche in questo post. Vuoi declinare il credere come calcolo probabilistico? Nello stesso modo si può declinare la speranza e la fede: il risultato non cambia.
Sostenere che speranza e fede siano, nel loro significato essenziale, diversi, è frutto di una mancanza di riflessione su questo tema.
Forse tu deleghi al verbo credere la capacità di esprimere ogni sfumatura e articolazione della tua condizione ma questo il verbo credere non può farlo.


Citazione:
Originalmente inviato da 0xdeadbeef
"Gelidità" interpretative a parte: che ne diresti se io ti confidassi che tutti i giorni prego Dio di
concerdermi la Fede? Hai mai letto "La Confessione" di Tolstoj? Ecco, io mi identifico praticamente in tutto
quel che Tolstoj afferma in quel meraviglioso libro.
Come Pascal, io non spero nel "Dio dei filosofi" (ma vi credo). Esso è gelido; non riesce a dare "senso" alla
vita: non è a quello che io rivolgo le mie suppliche.
Ciò di cui ho bisogno è di un Dio "altro" dall'uomo, di un "salvatore"; ma non lo trovo.

Questa parte del post è una altra cosa: tu parli della tua situazione personale e dei tuoi sofferti stati d'animo per i quali ho empatia.
Se vorrai avere un dialogo su questi temi sarò onorato di averlo attraverso mp perché non voglio pubblicamente esprimere i miei sentimenti di fede, cosa che è contraria allo spirito di questo forum o perlomeno così lo interpreto.
Voglio dire solo che il Dio dei filosofi non parla al cuore ma alla ragione e questo limite lo capisco perfettamente.

Ti invierò comunque un mp.
Giorgiosan is offline  
Vecchio 31-01-2013, 12.35.49   #42
leibnicht
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Per Giorgio

Hieraus entspringt nun der Begriff von einem Noumenon, der aber gar nicht positiv, und eine bestimmte Erkenntnis von irgendeinem Dinge, sondern nur das Denken von Etwas überhaupt bedeutet, bei welchem ich von aller Form der sinnlichen Anschauung abstrahiere. Damit aber ein Noumenon einen wahren, von allen Phänomenen zu unterscheidenden Gegenstand bedeute, so ist es nicht genug: daß ich meinen Gedanken von allen Bedingungen sinnlicher Anschauung befreie, ich muß noch überdem Grund dazu haben, eine andere Art der Anschauung, als diese sinnliche ist, anzunehmen, unter der ein solcher Gegenstand gegeben werden könne; denn sonst ist mein Gedanke doch leer, obzwar ohne Widerspruch. Wir haben zwar oben nicht beweisen können: daß die sinnliche Anschauung die einzige mögliche Anschauung überhaupt, sondern daß sie es nur für uns sei; wir konnten aber auch nicht beweisen: daß noch eine andere Art der Anschauung möglich sei, und, obgleich unser Denken von jener Sinnlichkeit abstrahieren kann, so bleibt doch die Frage, ob es alsdann nicht eine bloße Form eines Begriffs sei, und ob bei dieser Abtrennung überhaupt ein Objekt übrigbleibe.

Das Objekt, worauf ich die Erscheinung überhaupt beziehe, ist der transzendentale Gegenstand, d.i. der gänzlich unbestimmte Gedanke von Etwas überhaupt. Dieser kann nicht das Noumenon heißen; denn ich weiß von ihm nicht, was er an sich selbst sei, und habe gar keinen Begriff von ihm, als bloß von dem Gegenstande einer sinnlichen Anschauung überhaupt, der also für alle Erscheinungen einerlei ist. Ich kann ihn durch keine Kategorien denken; denn diese gilt von der empirischen Anschauung, um sie unter einen Begriff vom Gegenstand überhaupt zu bringen. Ein reiner Gebrauch der Kategorie ist zwar möglich, d.i. ohne Widerspruch, aber hat gar keine objektive Gültigkeit, weil sie auf keine Anschauung geht, die dadurch Einheit des Objekts bekommen sollte; denn die Kategorie ist doch eine bloße Funktion des Denkens, wodurch mir kein Gegenstand gegeben, sondern nur, was in der Anschauung gegeben werden mag, gedacht wird.

Nel testo tedesco è molto più chiaro: il noumeno non è concepibile mediante le categorie. Dunque esso prescinde dall'unità o dalla molteplicità.
Entrambe le concezioni, tradotte in pensiero, genererebbero contraddizioni.
Un caro saluto, con molta stima. Condivido quasi sempre le tue osservazioni.
Andrea
(P.S.: non hai più spazio tra i messaggi privati, per cui non ti potevo rispondere in quella sede. Poi penso che queste osservazioni possano essere interessanti in generale).
leibnicht is offline  
Vecchio 31-01-2013, 13.53.30   #43
Soren
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Riferimento: Kant: chi sei?

non volevo entrare troppo nel merito della questione, sia perché di Kant ho una conoscenza troppo, come ho sentito usare qui con sprezzo, "liceale" ( anche se ho cominciato la c.r.pura! benedetto internet ), sia perché la discussione mi pare più che avviata.
Però, due cose volevo dirle.

1) su sperare e credere... sono due cose completamente diverse. Io continuo a sperare che domani ci sia sole anche se il tg mi ha appena detto che piove. "sperare" non dipende da quello che effettivamente succede, o che sappiamo che molto probabilmente succederà, ma da quello che a me piacerebbe fosse/succedesse, cioè da una mia personale inclinazione, che nulla ha a che fare con ciò che "credo". nulla di ciò in cui spero si basa su conoscenze di frequenze di eventi, anche se è vero che in caso di certezza d'impossibilità spesso una cosa si impara a non sperarla nemmeno più, anche se il giudizio parlando di "speranza" si può sospendere per utilizzare la fantasia - a proposito - chi nella sua vita non ha mai sognato di essere ricco, ad esempio ? lo ha fatto perché credeva sarebbe veramente successo o senza pensare al come e quando, semplicemente perdendosi nella fantasia ? è vero che la speranza "realistica" ha bisogno di vedere una possibilità per dirsi tale - cioè confidare in una possibilità - ma questo "confidare" non è ancora un credere e si accontenta anche di poche certezze per sopravvivere, come anche un bel pensiero che aiuta a vivere.
Giorgiosan qui per me commetti un errore di una certa rilevanza nel discorso, quando fai equivalere "sperare", "credere" ed "aver fede". sugli ultimi due d'accordo, sui primi il tuo ragionamento ha parecchi acciacchi: tu li fai equivalere basandoti sul fatto che il contenuto di entrambi sarà un evento futuro anticipato dall'individuo. Ma sperare in questo non significa più che "mi piacerebbe" e crederlo non più che "lo ritengo probabile/molto probabile". Se alla base sta una possibilità non negabile sulla base della conoscenza, questa è solo il pretesto della speranza ( il cui contenuto non è la previsione del fatto ma dell'effetto del fatto ), mentre con una certa sicurezza è tutto l'oggetto della credenza, che invece di per sé non esprime un giudizio di valore. Per cui mi pare davvero che usare quella tua argomentazione sia un po' come dire "io bevo e mangio dalla bocca, per cui bere e mangiare sono sinonimi" o "le querce e i peri sono entrambi alberi, e dunque, le querce sono peri e i peri querce"

A seguito di ciò, non si nega una certa parentela tra le azioni/oggetti confrontati, però questo non ci permette in alcun modo di arrivare a scambiarli, siccome esprimono azioni diverse ( pur essendo ambedue anticipazioni, in un certo senso... ma di cose diverse! fatti ed effetti... ).

E la seconda nota a 0xdeadbeef... non è per infilare il naso nei tuoi affari ma siccome lo stato da te descritto mi sembra molto una crisi mistica A la Kierkegaard, vorrei esprimere un'idea su ciò che tu hai detto Per quanto riguarda il tuo "sentimento" siccome è di questo che si tratta se ciò è dovuto ad un contrasto tra le tue speranze ( il mondo che sognavi/come lo vorresti ) e le tue credenze ( il mondo che vedi... ma se ti consola, che vediamo! ): Purtroppo io come te non vedo salvezza all'infuori degli individui, il mondo che si sente è uno ed è quello: però lasciare che sia un'idea creata dall'uomo e scientificamente infondata a governarci significherebbe rimettere tutti i veli che ci siamo sforzati di levarci dagli occhi: a che pro, dunque, se vorremmo addirittura privarcene la memoria e la ragione ? Dici di essere, a tatto, d'accordo con Nietzsche; e questo non ha fatto mistero che per l'uomo di cultura superiore ( credo che, nella sua visione, tali fossero solo il relativismo ed il nichilismo ) la felicità assoluta, intesa come completo sollievo dal dolore, sarebbe dovuta essere vista come un'utopia del passato e che l'uomo superiore avrebbe però potuto imparare, da questa verità, a progettare la propria felicità senza dover ricorrere ad illusioni, in modo "tecnico". Da questo punto di vista "nichilistico" ho sempre avuto cara una storia semi-cristiana, che è il paradiso perduto di Milton. La morale, in chiave Nietzschana, che quel libro ha per me è di come anche il paradiso sognato, senza conflitti, non sia un "altro mondo", sostanzialmente diverso, ma essenzialmente lo stesso nascosto però da un illusione di "ordine" in cui il conflitto ed il limite non ci sono perché tutti concorrono alla sottomissione totale ad una sola volontà, il "boss" - e però, come viene meno il consenso generale, l'incanto si scioglie e siamo daccapo nel mondo della potenza sovrana, con guerre, sentimenti di distruzione e vendetta. Se dio fosse stato animato da bontà divina, non avrebbe forse offerto il suo trono, piuttosto che creare sofferenza ? e qua a proseguire il discorso ci ritroveremo in una vecchia prova cosmologica, mi pare greca, che diceva più o meno: O dio è tale perché è onnipotente, ed allora non ci ama; o ci ama ma non è onnipotente, ed allora non è dio. Dio non è dio perché è buono ma perché più potente. Allora dove si verifica il cambiamento, la rottura col nichilismo ? da nessuna parte se non nell'asservimento dell'individuo al più potente... ma il feudalesimo per fortuna non è una corrente filosofica :\ anche se capisco l'idea salvifica di "abbandono" che vi stia dentro. Anche se più che una salvezza, assomiglia, secondo me, ad una semplice consolazione.
Soren is offline  
Vecchio 31-01-2013, 19.49.39   #44
Giorgiosan
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Riferimento: Kant: chi sei?

Citazione:
Originalmente inviato da Soren

sperare e credere... sono due cose completamente diverse.
Sbagliato! Non so per quali ragioni tu abbia mutuato questa convinzione.
L'obiettivo dell'etimologia è di far comprendere il senso profondo di una parola, cogliendone le radici.
Il verbo credere è di immediata derivazione dal latino: basta aprire un qualsiasi vocabolario di latino per vedere le prime parole che lo traducono, prestar fede, affidarsi, ovviamente dopo credere.
Corrispondente all’identico significato della parola sanscrita, da cui il latino credere deriva: CRAD-DHA –fede.
Speranza è in relazione etimologica con la radice SPA che significa tendere verso un meta verso una meta.
Il latino spēro è tradotto con confidare-aspettrsi-credere ovviamente dopo sperare.

Citazione:
Originalmente inviato da Soren

Io continuo a sperare che domani ci sia sole anche se il tg mi ha appena detto che piove.
Questo è fideismo, cioè l’atteggiamento di chi spera o ha fede in qualcosa senza alcun supporto razionale

Citazione:
Originalmente inviato da Soren

"sperare" non dipende da quello che effettivamente succede, o che sappiamo che molto probabilmente succederà, ma da quello che a me piacerebbe fosse/succedesse, cioè da una mia personale inclinazione,
Questo è ancora più esplicitamente fideismo o anche wishful thinking.

Citazione:
Originalmente inviato da Soren

nulla di ciò in cui spero si basa su conoscenze di frequenze di eventi,
Sperare come credere come aver fede se non sono fondate sulla base di esperienze pregresse o almeno il risultato di una inferenza debole ricadono ancora nel fideismo che mi può fare sperare di incontrare un cavallo alato.

Citazione:
Originalmente inviato da Soren

anche se è vero che in caso di certezza d'impossibilità spesso una cosa si impara a non sperarla nemmeno
Appunto!

Citazione:
Originalmente inviato da Soren

anche se il giudizio parlando di "speranza" si può sospendere per utilizzare la fantasia –
Se il tuo giudizio è un giudizio di assoluta impossibilità di un evento e contrariamente a quel giudizio ne crei con la fantasia la possibilità questo potrebbe aver a che fare con l’esigenza psicologica dell’appagamento ma non con la speranza.

Citazione:
Originalmente inviato da Soren

a proposito - chi nella sua vita non ha mai sognato di essere ricco, ad esempio ? lo ha fatto perché credeva sarebbe veramente successo o senza pensare al come e quando, semplicemente perdendosi nella fantasia ? è vero che la speranza "realistica" ha bisogno di vedere una possibilità per dirsi tale - cioè confidare in una possibilità - ma questo "confidare" non è ancora un credere e si accontenta anche di poche certezze per sopravvivere, come anche un bel pensiero che aiuta a vivere.
Confidare ha lo stesso significato di aver fede e di sperare. Finalmente concordi che la speranza ha bisogno di vedere una possibilità per dirsi tale. Anche il credere o avere fede o confidare.
Che differenza c’è fra sperare di diventare ricco, e credere di diventarlo? Credo che gliela farò, spero che gliela farò.
Il fatto è che le parole sono incrostate di impressioni individuali, di individuali preferenza stilistiche, e anche di idiotismi regionali e pure di sciatteria semantica. Solo spogliandole da tutto questo si arriva a quell’uso corretto richiesto dall’attitudine critica della filosofia.



Devo contraddirti.
Trovo che il tuo discorso sia molto più acciaccato del mio. Sembra messo giù all’impronta, seguendo i pensieri che si affacciano, senza riflessione critica …

Di grazia non tentare una arrampicata sugli specchi nella risposta, ci farebbe perdere tempo ed energie.

Ultima modifica di Giorgiosan : 31-01-2013 alle ore 23.22.42.
Giorgiosan is offline  
Vecchio 31-01-2013, 21.20.16   #45
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Riferimento: Kant: chi sei?

@ Giorgiosan
Non ho capito se, per te, il problema è di "esistenza" o di "conoscenza" (ovviamente mi riferisco alla "cosa
in sè"). Per me, l'oggetto (o "cosa in sè", o "noumeno", se non fosse che il termine "noumeno" si riferisce
all'atto della conoscenza intellettiva pura, quindi è a mio avviso preferibile non usarlo) "ex-siste", cioè
"c'è" al di fuori del soggetto conoscente. Solo che, ovviamente, non è conoscibile al di fuori di esso.
E dunque ti ripeto: "se l'osservato dipende dall'osservatore, cioè se la conoscenza dell'oggetto è relativa
all'interpretazione che ne dà il soggetto, allora il "noumeno" è, logicamente, l'oggetto nella sua "purezza";
scevro cioè dall'interpretazione che ne dà il soggetto".
Il che mi porta a rinnovarti la domanda: dov'è il punto debole che affermi nella teorizzazione del noumeno?
A me sembra chiarissimo che Kant parli di "esistenza". Quindi quali "prove filosofiche dell'esistenza dei
noumeni"? La prova "provata" è materiale, e riguarda la necessaria "ex-sistentia" di ciò che interpretiamo
(altrimenti come potremmo interpretare un qualcosa che non "ex-siste"?)
Sul fatto poi che io citi altri filosofi nel tentativo di interpretare ciò che voleva dire Kant: ma perchè
lo trovi così strano? Quando, ad esempio, nell'"Analitica" Kant parla della problematicità del noumenon, cosa potrebbe
voler dire con ciò? Per me (cioè per la mia pratica discorsiva, direbbero i semiologi) voleva dire che anche
la parola "noumeno" è un qualcosa di già interpretato; un qualcosa che dunque non può non porsi come "fenomeno".
L'impossibilità anche solo di pensare (come in Peirce) qualcosa al di fuori dell'interpretazione (del "segno")
rende l'idea del noumeno null'altro che un fenomeno: ritieni impossibile che Kant abbia pensato in un tal
modo (e pur non "nominando" in tal modo)?
Levinas, per definire ciò che "ex-siste" al di fuori del soggetto interpretante usa il criptico termine di
"il y'a" (il c'è), portando come esempio di un qualcosa che "c'è" anche senza il soggetto che interpreta quello
che chiama "ronzio cosmico" (quel "fischio" che si ode nel silenzio più totale).
Insomma: la problematicità del noumenon è insita, prima ancora che nel "nomos", nello stesso pensare. Perchè
il pensare già implica un "divenire" fenomenico del nomenon.
un saluto
0xdeadbeef is offline  
Vecchio 01-02-2013, 08.53.26   #46
Soren
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Riferimento: Kant: chi sei?

Risposta a Giorgiosan

Rifacendosi al mio primo esempio: beh mi è capitato spesso di vedere sbagliare il tg, non mi pare un atteggiamento così tanto fideista quello di continuare a sperare in una giornata di sole! comunque, vorrei farti notare che se uno può anche sperare da fideista, senza basi razionali, è perché forse effettivamente la speranza ha basi ( anche ) irrazionali.
Ho ammesso che alla base di sperare e credere ci sia una meccanica comune, che è quella di ammissione di possibilità ( parlando fuori dalla fantasia ). Per farti un esempio diverso e più centrato... Mondiali di calcio, ottavi di finale, Italia sesta. Molti miei amici si augurerebbero la sua vittoria, anche se non è certo la favorita. Se questo "sperare" si basa pure su un'implicita ammissione di possibilità, non è sufficiente a dire che essi "credano" che l'italia vincerà, pur sperando nella possibilità che rimane che ciò si verifichi. Cioè sperano per preferenza, ma credono per probabilità; hai ragione a dire che la speranza "fantasticante" è essenzialmente un'illusione mal riposta, ma ho usato l'espediente per tentare di isolare la "speranza" come "aspirazione" o "preferenza" dal mondo del calcolo razionale che ti dice quale cosa è più facile che accada. Prendiamo un altro caso - il gratta e vinci - credi tu che chi ne compri uno non sia perché spera di vincere ? avverte la possibilità che ciò sia possibile e se ne lascia elettrizzare. Se ne hai mai comprato uno ( io, di mio, ne avrò grattati due nella vita, ma ricordo la sensazione ) sai che la gratificazione sta proprio nell'eccitazione lasciata da quella possibilità - che di certo è la cosa più lontana dalla certezza o dalla probabilità statistica del verificarsi dell'evento, sennò la gente affollerebbe notte e giorno tabacchini...
Giorgiosan, tu mi chiedi di non tentar un'arrampicata sugli specchi per non perdere tempo comune... nulla sarebbe più giusto, se purtroppo io non dovessi pensare lo stesso di te in questo frangente - ti manca uno dei termini della questione: "probabilità" lo hai digerito.... credere si basa unicamente su questo: speranza ha a che fare in primis con la mia volontà.... secondo con le possibilità. La probabilità non c'entra nulla, a meno che non si voglia fare pure delle proprie preferenze un adattamento razionale al corso degli eventi, e dunque ai mondiali smettere di tifare l'Italia per passare alla Germania quando questa segna... dopotutto abbiamo ragione di credere, a questo punto, che sia la favorita, giusto ?
Pur ammesso che la speranza abbisogna di una certa forza di fede, cioè di sapere credere, per essere agita, continuo a scorgere una differenza notevole di significato. La fede è necessaria a qualsiasi azione ad ogni modo, non solo a sperare. Anche per camminare ho bisogno di fede ( in me ), così per lavorare, etc. Ho bisogno di credere che il mio fine sia almeno realizzabile. Ma non è questa realizzabilità da sola a farmi scegliere quel fine rispetto ad un altro, bensì una mia preferenza personale che seppur si debba confrontare anche con un calcolo razionale di probabilità, nasce prima di tutto da un desiderio personale, che con tale razionalità ha poco a che vedere, ma piuttosto col "volere". Allineare speranza e credenza mi sembra molto un'opzione impersonale, atta a trovare la via più facile per vivere... non è una brutta idea, ma di qua sono gusti..
Soren is offline  
Vecchio 01-02-2013, 14.34.01   #47
0xdeadbeef
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Riferimento: Kant: chi sei?

@ Leibnicht
Lasciamo perdere il termine "noumeno" (come "atto" - pensato- della conoscenza intellettuale pura, o come
"potenza" - pensabile- potrebbe facilmente portarci a un fraintendimento), e concentriamoci sul termine
"cosa in sè".
Io dico una cosa semplicissima: la "cosa in sè" è null'altro che un significato universale attribuito allE
"cosE in sè". D'altronde, io credo, non è possibile parlare deI fenomenI senza riferirsi alle corrispondenti
cose in sè, che costituiscono gli oggetti delle interpretazioni che ne danno i soggetti.
Il concetto di "cose in sè" è presente in tutto l'Illuminismo, e nasce con Cartesio ("sarà sufficiente
osservare che le percezioni dei sensi...non ci insegnano affatto che cosa tali corpi siano in sè stessi").
Kant dice che la conoscenza (la conoscenza...) umana è conoscenza di "fenomeni", giacchè solo il fenomeno è
oggetto della intuizione sensibile umana (mentre, come ben sottolinei, l'intuizione intellettuale è, secondo
Kant, propria di un "creatore").
Come d'altronde dicevo, nella seconda edizione della Critica della Ragion Pura Kant corregge questo punto
fondamentale (tranne tornarvi, sotto certi aspetti, nell'Opus Postumum...), definendo l'io dell'appercezione
pura (quindi l'io dell'intuizione intellettuale) come una funzione meramente formale, in quanto può solo
"ordinare e unificare" una materia che dev'essergli "data"; cioè che egli non "crea".
Quindi, a mio parere (considerando anche i prodromi della visione di Kant) la traccia logica per intendere le cose
in sè esiste eccome: basta pensarle come "oggetti" (oggetti che, appunto, sono "dati" - cioè non "creati").
Che poi Kant, come dire, "indulga" ad estensioni particolari (nella metafisica) di questo concetto è una cosa
che, ritengo, di secondaria importanza (rispetto agli "oggetti dati" che limitano e circoscrivono le capacità
dell'uomo; che rivelano soprattutto la sua in-capacità di "crearli").
Sulla Fede: beh, che dire, ci ricordi spesso e a proposito del "contesto"...
D'altronde, io non mi sono mai sognato di dire che Kant fosse "ateo"; ho invece detto che l'atteggiamento
di Kant davanti alla religione è quello di chi assume la religione stessa come "problema" (e che perciò non
può dirsi "credente" nel senso comune del termine - ho portato ad esempio il mio stesso caso).
La scelta, pratica, di Kant per il valore religioso è fuori da ogni dubbio (ho qualche dubbio che questo possa
voler dire "credere" per un luterano), ma la mia domanda è: Kant "sente" Dio? Certo, egli "sente" la legge
morale, ma può questo voler dire "sentire" Dio?
Comunque ammetto che si tratta di domande forse capziose, e non la tirerei tanto per le lunghe (per così dire).
un saluto
0xdeadbeef is offline  
Vecchio 01-02-2013, 18.18.52   #48
Tempo2011
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Riferimento: Kant: chi sei?

Citazione:
Originalmente inviato da 0xdeadbeef
Noto in questo forum un certo interesse per quello che io considero il più grande tra i filosofi: Kant, ossia
colui che, come è stato detto: "camminò, come un gigante, sopra il passato e sopra il futuro".
Ma in cosa consiste la grandezza di Kant? A mio avviso, essa è dovuta soprattutto al fatto che Kant pose
domande, non formulò risposte. Soprattutto una domanda: "uomo cosa sei?" ("troppo poco per essere Dio, troppo
per essere un caso").
Rispondere alle domande che Kant ha posto vuol dire avere le risposte a domande come questa. Solo allora si
potrà dire di aver "oltrepassato" Kant; non prima.
Kant comincia la sua serie di domande con la monumentale "Critica della Ragion Pura" (CrP).
La domanda che la CrP pone è questa: cosa posso sapere? La risposta che dà Kant è la stessa di Socrate: posso
sapere solo di non sapere.
La domanda successiva è posta nella Critica della Ragion Pratica: cosa posso fare, allora (se so di non sapere)?
La risposta di Kant è esplicita: si deve agire come se si sapesse.
La terza capitale domanda di Kant è posta ne: "La Religione entro i limiti della sola ragione": ma allora
"come" agire? La risposta è questa: si deve agire in conformità della legge morale, che è posta in noi dall'idea
di Dio; un Dio della cui esistenza possiamo solo sperare.
Kant non crede in Dio (è bene essere chiarissimi su questo aspetto, che in troppi ancora male interpretano).
Per Kant, Dio non ha più realtà dell'idea di avere "cento talleri in tasca" (la metafora è dello stesso Kant),
eppure egli intravvede in Dio l'unico fondamento certo su cui la legge morale può appoggiarsi (l'eco di Ivan,
che ne: I Fratelli Karamazov" afferma: "se Dio non esiste, allora tutto è lecito", è fortissima).
Tanto da far scrivere nel suo epitaffio: "un cielo di stelle sopra di me, la legge morale dentro di me". Che
altro non rappresentano se non i motivi della sua speranza di una esistenza di Dio "fuori" da quel soggetto
di cui lui è stato primo e massimo cantore.
(PS. Chiedo scusa se non sarò molto sollecito nelle risposte, ma ho troppi "threads" aperti).
In tutti questi dubbi, citazioni, non risposte alle domande esistenziali ecc., rivolgo anch’io una domanda: ma l'uomo, dove sta? Possibile che quelle che, scientificamente, si sono rivelate solo delle mitologie, devono intromettersi perennemente tra l'uomo e la realtà, solo perché ancora non conosciamo la verità? Torno a ripetere: noi dove siamo? Dobbiamo esplorare nuove strade e non fossilizzarci su miti adatti alle genti di tremila e cinquecento anni or sono. Non era stato Nietzsche che affermò che dio era morto e che era nato il super uomo? Parlando ancora con questi dubbi ho la sensazione che questo super uomo, è ancora di là da venire.
Tempo2011 is offline  
Vecchio 01-02-2013, 19.18.48   #49
Giorgiosan
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Data registrazione: 30-09-2004
Messaggi: 2,009
Riferimento: Kant: chi sei?

Citazione:
Originalmente inviato da 0xdeadbeef
......


La relazione di Levinas con Kant consiste nella riflessione sul male radicale, analizzare la relazione fra le due concezioni non ci darebbe alcun vantaggio nella comprensione del pensiero di Kant.
E’ risaputo che Levinas parte da Heidegger, ma tematizzare questo rapporto non ci darebbe alcun vantaggio nella comprensione del pensiero di Kant.

E’ chiaro che ci sono dei “fili” che partendo da Kant toccano non solo Heidegger e Levinas ma ogni filosofo contemporaneo e successivo a Kant, tale è stata l’influenza del suo pensiero. E’ un termine di riferimento a quo, un must della filosofia.
D’altra parte il suo pensiero non è facile da comprendere, difficoltà della quale lo stesso Kant era consapevole tanto da produrre dei testi più facili, potremmo dire divulgativi.
Lo stesso lessico presenta delle difficoltà.

Ora gli accostamenti, le associazione, i parallelismi, ecc. con altre costruzioni filosofiche anche se legittimi intralciano o quanto meno complicano la lettura di Kant.
Spesso poi gli accostamenti, i rapporti, i parallelismi, le associazioni sono di natura personalissima complicando ulteriormente il dialogo.
----

Riguardo al noumeno ti faccio una domanda.
In che modo il noumeno modifica i nostri sensi oppure come provoca il fenomeno?

Per Tempo2011

Ma chi ce lo fa fare di applicarci alla studio di Kant, viste tutte queste difficoltà e perché?

Risponde Paul Valery:
E quello fu Kant qui genuit Hegel, qui genuit Marx, qui genuit… . Amleto non sa bene che farsene di tutti questi teschi. Ma se li abbandona!… Smetterà di essere se stesso."

Ultima modifica di Giorgiosan : 01-02-2013 alle ore 22.30.53.
Giorgiosan is offline  
Vecchio 01-02-2013, 21.25.45   #50
0xdeadbeef
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Data registrazione: 14-12-2012
Messaggi: 381
Riferimento: Kant: chi sei?

@ Giulio
Scusami tanto, ma come ritieni possibile "violare" o "rispettare" quella che dici essere una caratteristica
innata (la legge morale)?
Credo, fra l'altro, che chi va contro la legge morale si renda sì conto del proprio comportamento, ma solo in
relazione ad un contesto culturale in cui, presumibilmente, è sempre vissuto.
Eppure, questo ipotetico individuo va contro la legge morale; e vi va, a mio parere, perchè è il proprio
interesse che lo porta a questo.
Il "gene egoista" non va visto nella dimensione politica, o se ne perde il portato eminentemente filosofico.
Quello che sto cercando di illustrarti è un concetto della moralità che può essere definito solo ed
esclusivamente in due modi (come ti accennavo).
Il primo modo è quello che vede nella moralità un qualcosa di "oggettivo" (la moralità come predicato della
religione; della tradizione come, se fosse, ma io non credo, di una certa inclinazione biologica innata).
Il secondo modo, che è proprio dell'empirismo anglosassone, vede nella moralità un agire volto a soddisfare
il desiderio soggettivo.
A mio parere, insomma, l'individuo di cui si parlava ha fatto un semplice calcolo, ed ha deciso che il suo
desiderio fosse più forte delle inibizioni sociali e culturali della società nella quale egli vive.
Sulla base di queste considerazioni, io penso che l'agire umano in relazione alla moralità derivi da un "mix"
di queste due basilari visioni.
E' chiaro, a mio parere, che culture nelle quali l'individuo è "emerso" in maniera particolarmente netta
(penso solo a quelle anglosassoni, ma anche a quelle latine, che mi pare stiano rapidamente recuperando il
terreno perduto...) avranno una visione della moralità che più indulge a ritenerla come lo strumento volto
ad un "bene" soggettivo (è bene ciò che è bene per me). Anche se, ed è importante sottolinearlo, l'altra
visione della moralità non è certo cancellata, ma rimane sullo sfondo, per così dire, pronta ad affiorare
con più forza in particolari momenti storici.
Allo stesso modo, culture (penso solo alla araba) con una forte componente di tradizionalismo e di religiosità,
avranno un concetto della moralità come eminentemente "oggettivo". E poco spazio vi troverà il desiderio
soggettivo (che pur non sarà, anche in questo caso, cancellato).
Mi sembra che questi che ti ho descritto possano rappresentare i momenti salienti della nostra discussione.
Direi quindi di lasciar perdere altre cose, che possono rappresentare motivo di fraintendimento (vedi quel
discorso sulla "selezione", che con ogni ovvietà non ho mai pensato tu potessi considerare, se non come
paradosso, cioè quello che io intendevo).
Un caro saluto
0xdeadbeef is offline  

 



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