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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 01-02-2013, 21.54.55   #51
0xdeadbeef
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Riferimento: Kant: chi sei?

Citazione:
Originalmente inviato da and1972rea
...kantianamente parlando, non riesco davvero a pensare a degli oggetti conoscibili come fenomeni , ma soltanto a dei fenomeni conoscibili come tali; riguardo agli oggetti , semplicemente, Kant non mi ha mai saputo dire nulla se non che essi sussistono grazie alla mia sola certezza morale, l'unica a potermi confortare sul fatto che , se non sogno , sono desto in un qualche tipo inconoscibile e misterioso di realta'.
Un saluto
@ and1972rea
Come puoi dire che non riesci a pensare a degli oggetti conoscibili come fenomeni, ma soltanto a dei fenomeni
conoscibili come tali?
Dovrei forse dedurne che per te quello che la filosofia chiama "oggetto" non esiste, ma è una "creazione"
del soggetto (questo è il punto di vista dell'Idealismo)?
Mi spiego meglio: il termine "esiste" vuol dire "sta saldamente fuori". E sta saldamente fuori da che cosa?
Ma naturalmente dal soggetto. E dunque, io credo, affermare di non riuscire a pensare a degli oggetti
(conoscibili come fenomeni), ma soltanto a dei fenomeni significa negare la "ex-sistentia", cioè lo stare
saldamente fuori dal soggetto, dell'oggetto (visto che il fenomeno è un già interpretato, e dunque non può
stare saldamente fuori dal soggetto).
un saluto
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Vecchio 02-02-2013, 02.56.51   #52
leibnicht
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Riferimento: Kant: chi sei?

Citazione:
Originalmente inviato da 0xdeadbeef
@ Leibnicht
Lasciamo perdere il termine "noumeno" (come "atto" - pensato- della conoscenza intellettuale pura, o come
"potenza" - pensabile- potrebbe facilmente portarci a un fraintendimento), e concentriamoci sul termine
"cosa in sè".
Io dico una cosa semplicissima: la "cosa in sè" è null'altro che un significato universale attribuito allE
"cosE in sè". D'altronde, io credo, non è possibile parlare deI fenomenI senza riferirsi alle corrispondenti
cose in sè, che costituiscono gli oggetti delle interpretazioni che ne danno i soggetti.
Il concetto di "cose in sè" è presente in tutto l'Illuminismo, e nasce con Cartesio ("sarà sufficiente
osservare che le percezioni dei sensi...non ci insegnano affatto che cosa tali corpi siano in sè stessi").
Kant dice che la conoscenza (la conoscenza...) umana è conoscenza di "fenomeni", giacchè solo il fenomeno è
oggetto della intuizione sensibile umana (mentre, come ben sottolinei, l'intuizione intellettuale è, secondo
Kant, propria di un "creatore").
Come d'altronde dicevo, nella seconda edizione della Critica della Ragion Pura Kant corregge questo punto
fondamentale (tranne tornarvi, sotto certi aspetti, nell'Opus Postumum...), definendo l'io dell'appercezione
pura (quindi l'io dell'intuizione intellettuale) come una funzione meramente formale, in quanto può solo
"ordinare e unificare" una materia che dev'essergli "data"; cioè che egli non "crea".
Quindi, a mio parere (considerando anche i prodromi della visione di Kant) la traccia logica per intendere le cose
in sè esiste eccome: basta pensarle come "oggetti" (oggetti che, appunto, sono "dati" - cioè non "creati").
Che poi Kant, come dire, "indulga" ad estensioni particolari (nella metafisica) di questo concetto è una cosa
che, ritengo, di secondaria importanza (rispetto agli "oggetti dati" che limitano e circoscrivono le capacità
dell'uomo; che rivelano soprattutto la sua in-capacità di "crearli").
Sulla Fede: beh, che dire, ci ricordi spesso e a proposito del "contesto"...
D'altronde, io non mi sono mai sognato di dire che Kant fosse "ateo"; ho invece detto che l'atteggiamento
di Kant davanti alla religione è quello di chi assume la religione stessa come "problema" (e che perciò non
può dirsi "credente" nel senso comune del termine - ho portato ad esempio il mio stesso caso).
La scelta, pratica, di Kant per il valore religioso è fuori da ogni dubbio (ho qualche dubbio che questo possa
voler dire "credere" per un luterano), ma la mia domanda è: Kant "sente" Dio? Certo, egli "sente" la legge
morale, ma può questo voler dire "sentire" Dio?
Comunque ammetto che si tratta di domande forse capziose, e non la tirerei tanto per le lunghe (per così dire).
un saluto

Sono perfettamente d'accordo di non perdere ulteriori energie e tempo sulle questioni inerenti all'essere cristiano di Kant. In ultima analisi questo è un fatto privato che riguarda lui e non noi. Anzi, a dirla proprio tutta, io credo che Kant abbia saputo sollevarsi di molto al di sopra di qualsiasi intento evangelico, riuscendo a lasciarci perfettamente liberi nella nostra possibile disponibilità a "credere": fornendoci solo più strumenti razionali, più lucidità per farlo.
Satis de hoc.

La "cosa in sè" ed il noumenon non sembrano facilmente disgiungibili. Ho il personale sospetto che Kant adoperasse il termine greco soprattutto allo scopo di essere certo del senso che voleva dare alla locuzione tedesca (inevitabile) Ding an sich. Dobbiamo tener conto anche del fatto oggettivo che la lingua tedesca, alla fine del '700, non possedeva ancora una struttura semantica, sintattica e generalmente grammaticale così affidabile.
Fino al 1770 lo stesso Kant aveva pubblicato in latino. La Monadologia di Leibnitz, 50 anni prima, era stata scritta in lingua francese.
La nazione non esisteva, pullulavano dialetti. Sono gli stessi anni in cui Mozart, che conosceva perfettamente l'italiano, osava utilizzare un libretto tedesco per la Zauberfloete: l'italiano era una lingua colta, oltre che musicale, il tedesco no.
Un problema interpretativo sussiste, invece, tra la parola Objekt e la parola Gegenstand che, entrambe, significano "oggetto". Ma io penso che Kant avesse chiarissima la differenza di senso tra l'oggetto come ob jacere e l'oggetto come gegen stehen. In italiano tale sfumatura non esiste, e nel tedesco attuale è travolta dal concetto di "obiettivo" implicito nel lemma Objekt. Ma io penso che Kant l'avesse presente ed intendesse rispettivamente: 1) con Objekt l'oggetto "intenzionato", ossia predisposto dalla sensibilità alla rappresentazione mentale;
2) con Gegenstand l'oggetto non intenzionato, ossia quello che "costringe" il soggetto conoscente alla sua categorizzazione in quanto è "oggettività" prima che oggetto.
"Unità sintetica dell'appercezione sensibile" è la soggettività pura soltanto nell'incontrare i Gegenstanden, non gli Objekte.

Ora, tanto gli uni come gli altri esitano necessariamente in fenomeni, quando si fanno espressioni di un apparire all'esperienza sensibile.
Ma questo "apparire" è, in ogni caso, "rappresentazione mentale " (Phantasie). Questa "rappresentazione mentale" è "oggettiva", ma io penso che per Kant, a questo punto, esprima Objekte, non Gegenstanden. L'oggetto, pur essendo in ogni caso fenomeno, nella sua rappresentazione compiuta è "determinato": quindi è possibile decostruirlo e analiticamente rintracciare in esso le categorie intellettuali mediante cui esso è stato rappresentato.
Come Gegenstand, invece, non lo è: come tale esso ci "rivela" principalmente il nostro fronteggiare soggettivamente un' "alterità".

A questo punto tu dici: una "traccia logica" deve permetterci di retrocedere oltre, fino al punto di incontrare la "cosa in sè".
Questo, purtroppo, non è possibile. L'oggetto, una volta decostruito delle sue determinazioni, non potrebbe che ricondurci a: 1) le categorie; 2) lo spazio ed il tempo.
Nient'altro. Ma poichè la Ragione (Estetica trasc. etc.) ci convnce del fatto che 1) e 2) appartengono al soggetto umano conoscente (ente razionale finito), il Gegenstand deve possedere ulteriormente "altro" da ciò.
Questo "altro" è il noumeno oppure la "cosa in sè". Essa/esso/esse/essi deve necessariamente travalicare da 1) e 2): quindi dallo spazio-tempo e dalla logica intellettuale che ne costruisce un "senso".
Intendo un senso cognitivo, non affettivo-relazionale, ovviamente: quello va bene per l'etologia non per la teoretica.

Eppure ciò che tu dici (anche e più esplicitamente in un altro post) è profondamente sensato. Come è possibile che dal noumeno si "realizzi" il fenomeno?
Questo "realizzarsi", hegelianamente è il "darsi per la consapevolezza".
Provo a dirlo in un altro modo, per quanto gigantesco è questo problema....!
Come è mai possibile, cosa mai nel cervello di ogni essere umano ci permette di trovare un accordo generale nel modo in cui diamo "forme" e "senso" al mondo... Perchè queste "Forme e senso" del mondo noi le chiamiamo: Realtà!
E' la questione dello schematismo. Come ben sai è il punto più critico, perdona il bisticcio, della intera critica della ragion pura. Sai che K cambiò radicalmente il capitolo nelle edizioni successive.
Credo che ciò dipendesse dall'effettiva debolezza delle neuroscienze al suo tempo: mancavano troppi strumenti concettuali.
Con grandissima stima, Andrea.
leibnicht is offline  
Vecchio 02-02-2013, 17.17.54   #53
and1972rea
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Riferimento: Kant: chi sei?

Citazione:
Originalmente inviato da 0xdeadbeef
@ and1972rea
Come puoi dire che non riesci a pensare a degli oggetti conoscibili come fenomeni, ma soltanto a dei fenomeni
conoscibili come tali?
Dovrei forse dedurne che per te quello che la filosofia chiama "oggetto" non esiste, ma è una "creazione"
del soggetto (questo è il punto di vista dell'Idealismo)?
Mi spiego meglio: il termine "esiste" vuol dire "sta saldamente fuori". E sta saldamente fuori da che cosa?
Ma naturalmente dal soggetto. E dunque, io credo, affermare di non riuscire a pensare a degli oggetti
(conoscibili come fenomeni), ma soltanto a dei fenomeni significa negare la "ex-sistentia", cioè lo stare
saldamente fuori dal soggetto, dell'oggetto (visto che il fenomeno è un già interpretato, e dunque non può
stare saldamente fuori dal soggetto).
un saluto
...nel soggettivismo non consiste, ovviamente, tutta la filosofia...; l'ultimo grande esponente del soggettivismo tedesco fu Kant, e fu l'ultimo proprio per il fatto che con Lui il dualismo complementare soggetto -oggetto comincio' a vacillare; nell'idealismo Hegeliano ,del soggetto ( e quindi dell'oggetto) non rimane altro che il nome , un flatus vocis, l' ultimo filo labile, che in Kant legava incomprensibilmente e irrazionalmente l'oggetto al soggetto, fu tranciato da Hegel insieme al sistema dualistico soggettivista. Quando Kant comincio' a considerare il soggetto , non pote' fare certo a meno di ammettere l'esigenza logica dell'oggetto, ma gli fu impossibile trarre dai due una chiara e razionale relazione logica; tutto e' a partire dal soggetto, la stessa idea di esistenza e' confinata nel soggetto, il soggetto puo' solamente “credere” attraverso una “certezza morale” che la propria idea di esistenza possa trasferirsi ad una certa idea di oggetto, ma questa speculazione rimane del tutto intuitiva e logicamente non conclusiva. Dire che in Hegel l'oggetto e' creazione del soggetto lo considererei inesatto; il soggetto, semplicemente , smette di “ esistere” nel momento in cui si fonde con l'oggetto, nel momento in cui Razionale e Reale diventano biunivocamente tutt'uno .
un saluto
and1972rea is offline  
Vecchio 02-02-2013, 19.14.01   #54
sgiombo
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Riferimento: Kant: chi sei?

Oxeadbeef:
Scusami tanto, ma come ritieni possibile "violare" o "rispettare" quella che dici essere una caratteristica innata (la legge morale)?

Sgiombo:
Una tendenza comportamentale può benissimo essere superata da altre controtendenze (oppure no, a seconda dei casi): dov’ é mai il problema?
Il comportamento umano (ma anche solo quello di altri mammiferi e uccelli, in una qualche misura, molto più limitata) non è rigidamente meccanico, stereotipato, bensì estremamente plastico, “creativo”.



Oxdeadbeef:
Credo, fra l'altro, che chi va contro la legge morale si renda sì conto del proprio comportamento, ma solo in relazione ad un contesto culturale in cui, presumibilmente, è sempre vissuto.
Eppure, questo ipotetico individuo va contro la legge morale; e vi va, a mio parere, perchè è il proprio interesse che lo porta a questo. Il "gene egoista" non va visto nella dimensione politica, o se ne perde il portato eminentemente filosofico. Quello che sto cercando di illustrarti è un concetto della moralità che può essere definito solo ed esclusivamente in due modi (come ti accennavo).
Il primo modo è quello che vede nella moralità un qualcosa di "oggettivo" (la moralità come predicato della religione; della tradizione come, se fosse, ma io non credo, di una certa inclinazione biologica innata).

Sgiombo:
Religioni e tradizioni, contesti culturali cambiano (e con esse cambiano certi aspetti della morale), ma certe tendenze comportamentali innate biologicamente comprensibilissime restano costanti (fra queste i più fondamentali valori etici di fatto universali, anche se non oggettivi, non dimostrabili “more geometrico”: il grande Spinoza ci aveva provato e si era illuso, ma mi sembra che non abbia convinto quasi nessuno).
Naturalmente esistono ed agiscono anche controtendenze (variamente immorali), che a volte prevalgono; il che pure è spiegabilissimo dalla biologia (mentre mi sembra che altri tentativi di spiegare il male, per esempio quello del “serpente” delle tre religioni abramitiche siano penosissimi, puerili spostamenti e non affatto soluzioni del problema).

Per me quello del “gene egoista” (titolo di un immeritatamente fortunato libro di divulgazione scientifica la cui fortuna mi spiego col fatto che è perfettamente congeniale alla reazionarissima ideologia dominante) non è -non pretende di essere- un concetto (direttamente, immediatamente) politico né filosofico ma biologico; a mio parere decisamente errato.



Oxdeadbeef:
Il secondo modo, che è proprio dell'empirismo anglosassone, vede nella moralità un agire volto a soddisfare il desiderio soggettivo.
A mio parere, insomma, l'individuo di cui si parlava ha fatto un semplice calcolo, ed ha deciso che il suo desiderio fosse più forte delle inibizioni sociali e culturali della società nella quale egli vive.

Sgiombo
:
Semplice calcolo??? A volte si tratta di decisione soffertissime!!!
C' é chi si ammala di vari disturbi psicosomatici, chi cade nell' alcoolismo o in altre più gravi tossicodipendente; c' é perfino chi per la disperazione di non riuscire a scegliere si suicida!
Fra l'altro il calcolo potrebbe poi rivelarsi sbagliato.
Comunque le varie contrastanti tendenze comportamentali si sono confrontate “dentro di lui” ed ha prevalso la più forte (in quell’ occasione): dov’ è il problema?



Oxdeadbeef:
Sulla base di queste considerazioni, io penso che l'agire umano in relazione alla moralità derivi da un "mix" di queste due basilari visioni.
E' chiaro, a mio parere, che culture nelle quali l'individuo è "emerso" in maniera particolarmente netta (penso solo a quelle anglosassoni, ma anche a quelle latine, che mi pare stiano rapidamente recuperando il terreno perduto...) avranno una visione della moralità che più indulge a ritenerla come lo strumento volto ad un "bene" soggettivo (è bene ciò che è bene per me). Anche se, ed è importante sottolinearlo, l'altra visione della moralità non è certo cancellata, ma rimane sullo sfondo, per così dire, pronta ad affiorare con più forza in particolari momenti storici.
Allo stesso modo, culture (penso solo alla araba) con una forte componente di tradizionalismo e di religiosità, avranno un concetto della moralità come eminentemente "oggettivo". E poco spazio vi troverà il desiderio soggettivo (che pur non sarà, anche in questo caso, cancellato).



Sgiombo:
Ritengo (e mi scuso per la ripetizione) che la scienza umana del materialismo storico spieghi perfettamente queste variazioni (più o meno collettivistiche o più o meno individualistiche a seconda dei casi) della morale (in perfetta complementarità con la scienza naturale della biologia, per quanto riguarda ciò che in fatto di tendenze comportamentali e di etica è universalmente umano).
Quella che tu chiami “concezione oggettiva” della moralità è in realtà non meno soggettiva di quella che ritieni tale: nessuna delle due è dimostrabile “more geometrico”, né constatabile (anche se i seguaci di Abramo si sono inventati le due “tavole della legge” che sarebbero state scritte da Dio in una storia che fa acqua da tutte le parti, piena di nonsensi e contraddizioni, buona per delle tribù di pastori nomadi, ma che oggi fa -anche; non solo, per fortuna!- molto danno: pensa alle atroci sofferenze inflitte ai credenti malati terminali di dolorosissime patologie incurabili, cui crudelissimamente nega il sollievo dell’ eutanasia!).

Cordialissimi saluti

Giulio.
sgiombo is offline  
Vecchio 03-02-2013, 02.03.55   #55
green&grey pocket
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Riferimento: Kant: chi sei?

@MAURO E LEIB


Non ho capito bene quale sia il vostro alterco.


provo a riassumere: mauro per ammettere il fenomeno reale (sottratto all'io dell'idealismo) pensa all'oggetto in sè come "altro" dell'atto/potenza dell'io.
qualcosa che si dà certo ma pur sempre un oggetto.
andrea invece non lo vede come un oggetto ma come un atto della ragione hegeliana (che nega anche l'oggetto). salvo poi domandarsi come avviene che si formino le realtà dell'io. (giusto?)

voglio ricordare a mauro che bitbol (non so se hai trovato il tempo di ascoltarlo tutto) però ricorda che le neuroscienza hanno fatto notare una cosa che torna molto utile alla filosofia: il cervello è in grado di replicare qualsiasi sensazione ma non quella del movimento.
guarda caso una delle intuizioni formidabili della ontologia fondamentale aristotelica. forse dovresti considerare questa soluzione come più indicata per meglio comprendere il fenomeno-

a mio parere la grandezza di kant è quella di aver ragionato sul concetto di limite matematico come lo stavano studiano newton e leibniz applicandolo all'ontologia.

se il noumeno è ciò che è intellegibile, la cosa in sè è il limite trascendentale tramite il quale noi la ipotizziamo.
ha ragione quindi andrea, non si può tornare indietro ad un oggetto, si rischia di appiattire l'intellegibile ad un reale autentico.
per uscire dal'impasse aveva ragione peirce a indicarci la soluzione nella induzione ad infinitum.(e questa è la risposta ad andrea).
non l'ho ancora letta, ma dovrebbe esserci una sezione dedicata a questo.
l'oggetto in sè è cioè ipotizzato ad infinitum, perchè noi percepiamo ad infinitum.
a mio parere kant è l'iniziatore dell'idealismo, una variante del nominalismo aggiornata alla modernità che dura tutt'oggi.
a meno di colpi di mano della neuroscienza.

[parentesi]
anche se per me è più profonda la variante negativa hegeliana.
(quella sì definitiva) (il mio problema attuale è capire in che senso l'oggetto è anch'esso fantasmatico)

nb
per questo motivo (la mia visione di un kant idealista) ti chiedevo andrea di spiegarmi meglio se si può in poche parole il legame kant - schelling (il legame con l'idealismo), temo che passeranno anni prima che lo affronti, a meno che non mi incuriosisci...


nb
grazie di avermi fatto capire la differenza tra le 2 stesure.

penso che il fatto di aver tolto che l'oggetto in sè sia comprensibile solo tramite l'ordine, sia dovuta solo all'uso dei termini.
in quanto l'ordinamento potenziale (induttivo secondo peirce) è esattamente il trascendentale.
green&grey pocket is offline  
Vecchio 03-02-2013, 09.21.14   #56
sgiombo
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Riferimento: Kant: chi sei?

@ Mauro (Oxdeadbeef)

Citazione:
Originalmente inviato da 0xdeadbeef
@ Giulio


Direi quindi di lasciar perdere altre cose, che possono rappresentare motivo di fraintendimento (vedi quel
discorso sulla "selezione", che con ogni ovvietà non ho mai pensato tu potessi considerare, se non come
paradosso, cioè quello che io intendevo).
Un caro saluto

Nella risposta che ho inviato ieri sera (e sarà pubblicata credo stamane) non ho seguito questo saggio consiglio e mi sono fatto scappare accenni polemici alle tre religioni "del libro" che era meglio tenessi per me.
Mi dispiace; se scrivessi adesso lo eviterei. Anche se mi sembra evidente che tu non sei un credente aderente a nessuna religione in particolare (se ho ben capito ti poni "costruttivamente ma problematicamente", per così dire, verso la fede in Dio in generale; quindi se non sbaglio sei più "vicino al deismo" che teismo, o per lo meno ti collochi "in qualche punto fra questi due estremi"), ti pregherei di ignorare tali mie intemperanze.

Mi sembra comunque che le nostre convinzioni e anche i nostri interessi, il modo di porre i problemi forse ancor più di quello di cercare soluzioni siano molto distanti. Potrebbe forse essere il caso, magari dopo qualche ulteriore precisazione, di constatare serenamente le reciproche differenze nel pieno rispetto reciproco (cui non giovano certo intemperanze verbali come le mie di cui sopra...).
sgiombo is offline  
Vecchio 03-02-2013, 13.11.33   #57
Tempo2011
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Riferimento: Kant: chi sei?

Citazione:
Giorgiosan
Per Tempo2011

Ma chi ce lo fa fare di applicarci alla studio di Kant, viste tutte queste difficoltà e perché?
Citazione:
“La fede in un Dio e in altro mondo è talmente intessuta col mio sentimento morale, che io non ho da preoccuparmi che la prima possa mai essermi strappata, nella stessa misura in cui non corro pericolo di perdere il secondo” -Critic. R. Pura, 537, 2-6-
Citazione:
Di Luca Maria Valzesi

Immanuel Kant affronta il problema dalla fine del mondo, dell'Apocalisse e del giudizio universale in un piccolo trattato spedito dal filosofo nel 1794 all'amico editore Johann Erich Biester intitolato “La fine di tutte le cose”.
In questo testo Kant affronta un tema che è presente in ogni cultura, in ogni tempo e che in ogni cultura e in ogni tempo crea dubbi e terrore proprio chiedendosi il perché di questo fenomeno.
Perché da sempre e ovunque gli uomini non solo sono convinti che un giorno il tempo finirà ma sono per di più terrorizzati da questa immagine? Si può forse, come scrive Jacob Taubes, parlare di una sorta di escatologia trascendentale?
Il primo sforzo kantiano che troviamo nella lettura di questo trattato consiste nel trovare un significato all'idea che dopo la fine del mondo,come si usa dire,si passerebbe “dal tempo all'eternità”: questa frase sembra suggerire, ipotizza il filosofo di Königsberg, un'immagine secondo la quale da un certo momento (l'ultimo momento propriamente inteso) in poi si entrerebbe in una diversa dimensione temporale, una dimensione inconoscibile per il nostro intelletto ma non certo quella di un tempo che procede semplicemente all'infinito ([...]questa espressione non vorrebbe dir nulla, di fatto, se qui per eternità si dovesse intendere un tempo che si protrae all'infinito. In tal modo l'uomo non uscirebbe mai dal tempo, ma si limiterebbe sempre solo a passare da un tempo a un altro tempo.
Caro Giorgiosan. Sia il piccolo brano ripreso dalla critica della R. pura, sia il commento di, Di Luca Maria Valzesi, mi danno l'impressione dell'uomo Kant, con una mente rivolta sempre e solo verso l'occidente e le sue implicite influenze dottrinali. In tal senso, Kant, secondo me, non va ritenuto un grande, ma alla stregua di un qualsiasi influenzabile uomo comune e, quindi, le sue esternazioni lasciano il tempo che trovano. Quando affermo: dove sta l'uomo contemporaneo, lo dichiaro con una certa logica, poiché oggi, più di ieri (duecento cinquant'anni or sono), ha molti più strumenti per delle valutazioni che, sicuramente, andrebbero al di la di quel "provincialismo", dettato dalla mancanza di vissuto dell'epoca. Di fatto, l'affermazione sul passaggio dalla vita alla morte, da chi è stata suggerita se non dalla profonda influenza del cristianesimo? Per altro, il senso delle mie affermazioni, non si volevano soffermare sulle difficoltà d’interpretazione o altro, ma voleva essere uno stimolo ad andare oltre i pensieri dei filosofi del passato. Ovvero: prendere coraggio e rivalutare le situazioni alla luce di quanto sappiamo di più e di meglio oggi.
Tempo2011 is offline  
Vecchio 03-02-2013, 14.51.33   #58
Giorgiosan
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Riferimento: Kant: chi sei?

Citazione:
Originalmente inviato da Tempo2011
Caro Giorgiosan. Sia il piccolo brano ripreso dalla critica della R. pura, sia il commento di, Di Luca Maria Valzesi, mi danno l'impressione dell'uomo Kant, con una mente rivolta sempre e solo verso l'occidente e le sue implicite influenze dottrinali. In tal senso, Kant, secondo me, non va ritenuto un grande, ma alla stregua di un qualsiasi influenzabile uomo comune e, quindi, le sue esternazioni lasciano il tempo che trovano. Quando affermo: dove sta l'uomo contemporaneo, lo dichiaro con una certa logica, poiché oggi, più di ieri (duecento cinquant'anni or sono), ha molti più strumenti per delle valutazioni che, sicuramente, andrebbero al di la di quel "provincialismo", dettato dalla mancanza di vissuto dell'epoca. Di fatto, l'affermazione sul passaggio dalla vita alla morte, da chi è stata suggerita se non dalla profonda influenza del cristianesimo? Per altro, il senso delle mie affermazioni, non si volevano soffermare sulle difficoltà d’interpretazione o altro, ma voleva essere uno stimolo ad andare oltre i pensieri dei filosofi del passato. Ovvero: prendere coraggio e rivalutare le situazioni alla luce di quanto sappiamo di più e di meglio oggi.

Non ci si può certo fermare, come una nave all'ancora, a Kant.
Voglio postare un commento sull'epistemologia che tenga conto dell'evoluzione e di quello che sappiamo oggi. Ho però delle difficoltà a comporlo in modo che possa risultare semplice e comprensibile.

Credo che ormai la distinzione occidente-oriente vada perdendo la sua ragion d'essere. Gli elementi che un tempo sembravano così dissimili ad un esame più profondo rivelano una stessa radice. C'era anche una differenza storica, nel senso di una sfasatura del tempo culturale. Per esemplificare: quando ho visitato l'India ed i paesi del medio oriente e l'Africa era come viaggiare nel tempo. Molto appariva diverso e lo era, suscitando grande curiosità intellettuale e grande fervore di studio e di riflessione che ha condotto all'esito di una conoscenza migliore di quelle civiltà.
Senza soffermarsi su aspetti secondari la mia conclusione, e non solo la mia, è che l'essere umano sia lo stesso sotto tutte le latitudini: le sue angosce, le sue speranze e le sue elaborazioni di questi stati sono declinati allo stesso modo, essenzialmente, sia pure in una grande varietà di forme.
D'altra parte, anche di questi popoli, esaminiamo le loro culture storiche e dobbiamo soffermarci su coloro che hanno segnato le varie epoche proprio come facciamo con quelle che ci appartengono.

Nel presente vediamo che la loro velocità di avvicinamento al tempo dell'occidente è andata crescendo fino ad annullare per molti la differenza.
Se oggi "fotografi" i giovani di ogni parte del mondo, le loro fogge, stile di vita, aspirazioni, linguaggio, gusti artistici, passione per la tecnologia, cibi ed anche mentalità, sono sorprendentemente uniformati e gli orologi del tempo storico sono sincronizzati. Si può inferire, vista la direzione di marcia e la velocità, che l'uniformità culturale, di usi e costumi sarà presto una evidenza universale.

Ciao

Ultima modifica di Giorgiosan : 04-02-2013 alle ore 14.42.20.
Giorgiosan is offline  
Vecchio 03-02-2013, 21.26.05   #59
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Riferimento: Kant: chi sei?

@ Giorgiosan
Ma in cosa può mai consistere la cosidetta "rivoluzione copernicana" operata da Kant, se non nel porre al
centro della scena un soggetto del quale, fino ad allora, si era pensato dovesse adattare i propri schemi
conoscitivi ad oggetti ritenuti indubitabili nella loro "oggettività"?
Perchè il problema è ancora quello del rapporto che intercorre fra soggetto e oggetto, non credi?
Come giustamente afferma Severino all'interno del dibattito sul "Nuovo Realismo", la radice del problema,
sempre ammesso che non si voglia assumere gli opposti punti di vista del "materialismo" e dell'"idealismo",
è ancora e sempre quello, posto da Kant, del "trascendentale". Ovvero del rapporto che lega fra loro un
oggetto che "c'è" (che "ex-siste" fuori dal soggetto) ed un soggetto solo attraverso il quale l'oggetto può
essere conosciuto.
Per questo portavo l'esempio di Levinas e del suo "ronzio cosmico". Evidentemente, a me sembra, Levinas
rifiuta lo stesso termine di "oggetto" per delineare una realtà esterna al soggetto (è da notare che per
Levinas l'Idealismo apporta "profonde verità"), ed adotta quello criptico di "il y'a", su cui poi fonderà
la sua visione dell'"Altro" come esigenza critica verso una filosofia occidentale che, a suo parere (ed a mio),
si riduce ad una visione ontologizzante di quel soggetto che egli chiama "medesimo" (è chiara la critica al
soggetto "costruttore" dell'Idealismo, che "fagocita" l'oggetto in sè stesso secondo la nota affermazione di
Hegel per cui reale e razionale coincidono).
Quindi non concordo sulla affermazione per cui le filosofie di Levinas e di Kant sarebbero accostabili solo
in relazione ad una riflessione sul male radicale. Io credo invece che le due filosofie abbiano molto in
comune; e soprattutto per quello che riguarda il rapporto fra il soggetto e l'oggetto (che Levinas chiama
"medesimo" ed "altro").
Ritengo, altresì, che Kant risulti assolutamente incomprensibile se non se ne analizza il pensiero alla luce
degli sviluppi successivi che il suo fondamentale pensiero ha avuto per opera di altri pensatori (e mi riferisco
in particolare al Neocriticismo, a Weber, a Levinas, a Peirce fino addirittura ad arrivare alla relatività
einsteiniana).
E questo semplicemente perchè il problema che Kant ha posto per primo, ovvero il problema del rapporto fra
il soggetto e l'oggetto, è ben lungi dall'essere "risolto" (prova ne è, appunto, che il recente dibattito
sul "Nuovo Realismo" ha veduto "spiaggiarsi" Severino ancora una volta sul "trascendentale" kantiano).
D'altronde, io credo, il nostro compito (qui su questo forum) non è tanto di preparare una relazione SU Kant,
quanto quello di analizzare Kant in relazione all'eterno problema della "verità".
Ma mi chiedi in che modo il "noumeno" (preferirei, come dicevo, il termine "cosa in sè") modifica i nostri
sensi, o come provoca il "fenomeno".
Beh, io credo che la cosa in sè provochi il fenomeno nel momento in cui entra in una relazione qualsiasi con
il soggetto dell'appercezione. Naturalmente, se l'oggetto (termine che io reputo equivalente a quello di cosa
in sè) non entra in relazione con il soggetto non possiamo parlare di "fenomeno", né averne conoscenza.
Faccio un esempio pratico. L'archeologia ci ha, recentemente, detto che nell'attuale Siria è esistita una
civiltà antichissima (la "civiltà di Ebla"). L'oggetto rappresentato da questa antica civiltà è divenuto
fenomeno nel momento stesso della scoperta. Perchè nel momento stesso della scoperta esso (l'oggetto) è
stato conosciuto, e quindi nominato "antica civiltà".
Spero, con ciò, di aver compreso bene quello che intendi con la domanda...
con stima
mauro
0xdeadbeef is offline  
Vecchio 04-02-2013, 09.02.49   #60
Tempo2011
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Riferimento: Kant: chi sei?

Citazione:
Originalmente inviato da Giorgiosan
Non ci si può certo fermare, come una nave all'ancora, a Kant.
Voglio postare un commento sull'epistemologia che tenga conto dell'evoluzione e di quello che sappiamo oggi. Ho delle difficoltà a comporlo in modo che possa risultare semplice e comprensibile.

Credo che ormai la distinzione occidente-oriente vada perdendo la sua ragion d'essere. Gli elementi che un tempo sembravano così dissimili ad un esame più profondo rivelano una stessa radice. C'era anche una differenza storica, nel senso di una sfasatura del tempo culturale. Per esemplificare: quando ho visitato l'India ed i paesi del medio oriente e l'Africa era come viaggiare nel tempo. Molto appariva diverso e lo era, suscitando grande curiosità intellettuale e grande fervore di studio e di riflessione che ha condotto all'esito di una conoscenza migliore di quelle civiltà.
Senza soffermarsi su aspetti secondari la mia conclusione, e non solo la mia, è che l'essere umano sia lo stesso sotto tutte le latitudini: le sue angosce, le sue speranze e le sue elaborazioni di questi stati sono declinati allo stesso modo, essenzialmente, sia pure in una grande varietà di forme.
D'altra parte, anche di questi popoli, esaminiamo le loro culture storiche e dobbiamo soffermarci su coloro che hanno segnato le varie epoche proprio come facciamo con quelle che ci appartengono.

Nel presente vediamo che la loro velocità di avvicinamento al tempo dell'occidente è andata crescendo fino ad annullare per molti la differenza.
Se oggi "fotografi" i giovani di ogni parte del mondo, le loro fogge, stile di vita, aspirazioni, linguaggio, gusti artistici, passione per la tecnologia, cibi ed anche mentalità, sono sorprendentemente uniformati e gli orologi del tempo storico sono sincronizzati. Si può inferire, vista la direzione di marcia e la velocità, che l'uniformità culturale, di usi e costumi sarà presto una evidenza universale.

Ciao
Non vi è dubbio che quello da te riportato è un bell'esempio di un avvenimento che Kant non avrebbe mai potuto sapere o prevedere, mentre noi lo stiamo vivendo in prima persona. Per altro, non vi è altrettanto dubbio che l'uniformità o l'omologazione, nel senso da te descritto, pur essendo un fatto attuale, per altri versi sia molto antico. Ovvero: l'omologazione della ricchezza, della povertà, la mancanza di solidarietà, la malvagità umana che ha imperato nel mondo fin dalla sua nascita, arrivando fino ai giorni nostri, sono omologazioni altrettanto importanti che, pur vi fossero anche ai tempi di Kant, né lui né atri filosofi si sono presi la briga di studiarne le motivazioni per cercare di debellarle. Perciò un giudizio totalmente negativo che mi porterebbe a cambiare il titolo di questo thread in, "Filosofia & Religione: chi siete?” In pratica, questi sono i risultati ottenuti da migliaia di anni di religioni e filosofia nel mondo: il mantenimento delle omologazioni più vergognose che l'uomo sa produrre, omologare e mantenere in vita per millenni. A essere sinceri e per fortuna, vi sono degli insegnamenti umani che sono fuori da questo circolo improduttivo di omologazioni negative, perché non sono state influenzate da tutto quello cui abbiamo descritto. In tal senso, riporto un piccolo esperimento effettuato in Africa con dei bambini, e che riporto qui di seguito.

Citazione:
UBUNTU

Un antropologo propose un gioco ad alcuni bambini di una tribù africana. Mise un cesto di frutta vicino a un albero e disse ai bambini che chi sarebbe arrivato prima avrebbe vinto tutta la frutta.
Quando gli fu dato il segnale per partire, tutti i bambini si afferrarono per mano e si misero a correre insieme, dopodiché, una volta preso il cesto, si sedettero e si goderono insieme il premio.
Quando fu chiesto ai bambini perché avessero voluto correre insieme, visto che uno solo avrebbe potuto prendersi tutta la frutta, risposero “UBUNTU: come potrebbe un essere felice se tutti gli altri sono tristi?”
UBUNTU nella cultura africana sub-sahariana vuol dire: “Io sono perché noi siamo.”
Delle semplici frasi che farebbero arrossire la filosofia di tutti i tempi.
Tempo2011 is offline  

 



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