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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 02-06-2013, 12.11.23   #51
maral
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Riferimento: Il caos nella metafisica

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Originalmente inviato da Aggressor
Il tipo di espediente da te adottato per riferirti con contenuto effettivo all'Essere sarebbe quello che, riprendendo il pensiero di Russell, si può chiamare "esperienza per descrizione". Cioè tu ammetti di partire da qualcosa che cogli direttamente per poi operare con l'immaginazione (attraverso un modellamento dei dati esperenziali) una costruzione dell'oggetto a cui ti riferisci; come quando penso a pegaso, perché "incollo" all'immagine di un cavallo esperito l'immagine di un corno e delle ali.

Mi piace che siamo arrivati fin qui perché potrò mostrarti ancora meglio il senso delle mie esitazioni nell'utilizzare quella parola. Se infatti vorrai usare il termine Essere ad indicare l'insieme delle cose che esistono dovrai, teoricamente, poter immaginare qualcosa oltre la quale nulla sussista. Ma questo le tue facoltà non te lo permettono, infatti puoi pensare qualcosa solo in contrapposizione a qualcos'altro, cioè assieme a qualcos'altro (non si tratta di problemi legati semplicemente all'intuizione visiva, in goni caso si esperisce per contrapposizione). Per esempio se vorrai immaginare "il tutto" alla Parmenide, vedrai una sfera oltre cui si staglia il vuoto, che dovrebbe invece essere contenuto in essa.
Allora questa ipotetica "somma degli essenti" può essere immaginata seppure metaforicamente? Posso immaginare un pianeta, con tutta l'approssimazione che questa operazione sott'intende, ma una immagine che anche solo stilizzi il senso di <<un insieme oltre cui non vi è nulla>>, non mi pare. Posso dire che le cose all'interno di quella proposizione dovrebbero trovarsi assieme, ma non colgo quelle cose assieme. Non posso calcorale, infatti, l'area della "sfera-cubica", come non posso gestire/relazionarmi/studiare una cosa come quella di cui sopra, se ciò che affermo è esatto.

Lo stesso accadrebbe nel voler trovare una "esperienza per descrizione" che dia contenuto all'Essere cercando di astrarre la caratteristica dell'esistenza dall'esperienza concreta dei particolari esistenti. Non arriverai mai all'esistenza ma sempre all'ente.
Ceco di definire meglio il processo descrittivo che porta all'Essere fenomenologico empirico (non quello logico astratto di cui abbiamo prevalentemente discusso). Partiamo da un qualsiasi essente la cui presenza sia data concretamente qui e ora, ad esempio un granello di povere sul tavolo. Via via che andrò descrivendolo nelle sue caratteristiche intrinseche oggettuali (proprie a quello che mi appare come il suo essere in sé: colore, forma e via dicendo) e alle sue caratteristiche relazionali con tutti gli essenti astratti e concreti con cui si trova in rapporto diretto e indiretto (ad esempio la luce che lo colora, l'ora della giornata, la posizione del sole e degli astri, le concettualizzazioni astratte di forma, peso e colore, me stesso che la osservo, dunque i miei occhi, le mie mani, gli atti con cui la tocco o lo posso toccare, le emozioni o l'assenza di emozione, i ricordi, le fantasie, le aspettative, le geometrie spazio temporali pertinenti o alluse, gli occhiali che ho messo per meglio vederlo e via dicendo) chiarisco il suo modo d'essere, la sua essenza concreta e peculiare di essente che ovviamente mi comprende. In questa descrizione di cui io vengo posto dalla presenza oggettuale del granello di polvere come descrittore , alcuni elementi appaiono via via sopraggiungenti, altri oltrepassati sullo sfondo via via che la descrizione che mi include come ente descrivente procede, alcuni sono immediati, altri mediati (derivanti) da quelli in immediata relazione con il granello in sequenze di mediazione sempre più estese. L'essente "granello di polvere" che è qui e ora appare come una configurazione dinamica di complessità e ricchezza estreme, ma questo è solo uno degli essenti, poiché posso partire da un altro granello di povere che si trova in relazione di vicinanza con il primo e ripetere tutta l'operazione partendo da esso, che parimenti ne definirà la specifica essenza in sé completa. Posso pure immaginarmi altri descrittori posti da questi essenti che compiano la stessa mia operazione empirica per ogni essente dell'universo, posso pure avvertire con certezza che ciò che rientra nella mia prospettiva, o nella prospettiva di altri osservatori con me in relazione, non esaurisca mai l'essenza, perché io sono in relazione con te, ma non con le cose che pensi, provi, vedi o che ti accadono intorno, ma che parimenti sono essenti che ti definiscono per ciò che sei. Ora tutto questo con il suo gioco di luci e di ombre e di luci che passano in ombra e viceversa in un eterno fluire eracliteo, ma con e senza misura è l'Essere nel solo necessario attimo eterno che è.
Tutto questo è sì un'astrazione, ma con evidente riferimento a essenti concreti la cui descrizione, proprio perché concretamente precisa ed esatta, resta concretamente mai conclusa.
Solo nella sua valenza astratta il tutto questo implica un niente parimenti astratto che ne fissi il concetto affinché l'espressione tutto questo possa venire concepita senza dover dire cosa tutto questo effettivamente sia. Il niente è dunque il mai raggiungibile approdo del tutto questo concretamente compreso tra tutti gli Essenti che continuamente appaiono e sono catturati nella rete delle relazioni che li definiscono senza mai poterli effettivamente definire e dunque concluderli.
Tutto questo però certamente è, non ho dubbi in merito e infatti continuamente appare (come potrebbe apparire se non fosse?) potendo apparire può anche nascondersi (come potrebbe nascondersi se non fosse apparso?)

Ultima modifica di maral : 02-06-2013 alle ore 19.58.30.
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Vecchio 02-06-2013, 16.53.27   #52
Soren
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Riferimento: Il caos nella metafisica

Sto tentando di starmene da una parte finché non avrò maturato un intervento che non sia troppo problematico dal punto di vista linguistico ( cioè di fissare al meglio che posso i rapporti tra i vari concetti qui esposti in modo da esprimermi quanto più chiaramente ), per cui mi limito a qualche notazione.

Citazione:
Solo nella sua valenza astratta il tutto questo implica un niente parimenti astratto che ne fissi il concetto affinché l'espressione tutto questo possa venire concepita senza dover dire cosa tutto questo effettivamente sia. Il niente è dunque il mai raggiungibile approdo del tutto questo concretamente compreso tra tutti gli Essenti che continuamente appaiono e sono catturati nella rete delle relazioni che li definiscono senza mai poterli effettivamente definire e dunque concluderli.

Due appunti...
Siccome alla fin fine il mio scopo qui era di chiarirmi quel rapporto, di cui tu qui parli, tra tutto e nulla, vedo di aggiornare un po'. Sono partito dicendo che il nulla è principio siccome "esterno" e siccome ambiente, viene prima di ciò che gli è "interno". Di questa dicotomia di nulla-tutto esterno-interno sono ancora convinto, comunque avendola epurata di concetti temporali ( il prima ed il dopo ) mi rendo conto che è sciocco pensarla in tali termini, almeno dal punto di vista della relazione. Comunque quello che volevo appuntare qui è che il tutto implica il nulla quanto viceversa, cioè si tratta di una co-implicazione logica: nulla implica necessariamente tutto, tutto implica necessariamente nulla. Perciò volendo tentare di ordinare il rapporto non si può ottenere altro che un rimando infinito di riferimenti da uno all'altro. Anche se ancora non capisco cosa ciò implichi di per sé, quali conseguenze logiche trarne, se ve ne sono.

Citazione:
Tutto questo però certamente è, non ho dubbi in merito e infatti continuamente appare (come potrebbe apparire se non fosse?) potendo apparire può anche nascondersi (come potrebbe nascondersi se non fosse apparso?)

Beh per me che l'essere sia non è così scontato - è in riferimento a sé, ma se riferito al nulla esso stesso si annulla e non è più ( questo sempre partendo da quella teorizzazione matematica del nulla e tutto come 0 e X ): l'essere è nei confronti di sé stesso, una tautologia, ma non è nulla rapportato al nulla ( cioè è 0 ), anche se noi ovviamente partiamo da un partito preso nella questione, quello dell'interno. Ma ancora una volta ho perso il punto. Quello che volevo notare è di ordine estetico... "come potrebbe nascondersi se non fosse apparso ?" cioè che sia stato fenomeno, che sia fenomenico: dicendo che l'unico modo dell'essere sta nell'apparenza dell'oggetto, che ne mostra una parte, dici che il resto si è nascosto, ma che "è" proprio in relazione alla sua apparenza, prima o dopo di ora. Ciò è interessante: mi pare che implichi comunque una radicale negazione dell'essere come noumeno e la sua relegazione a puro fenomeno di una realtà che unitamente, faccia riferimento a qualcosa che non può a questo punto essere "essere", che è un'altra via per arrivare a ragionamenti che ho già fatto... Riassumendo questa confusa critica... Se l'essere che non appare è catalogabile come tale solo perché è apparso in un altro tempo - per cui è stato o sarà - alla radice la sua natura non è apparenza di qualcosa che non può essere "essere" ? non è esso stesso la mera apparenza di un altro da sé ? Per dire... la distinzione tra essere ed apparire è annoverabile tra i miei rompicapi filosofici preferiti e onestamente... mi pare che anche qui il rimando e la coimplicazione sia massima al punto che dal punto di vista del significato la maggior parte del bagaglio sia comune ai due concetti. Ma forse mi sbaglio...

Ultima modifica di Soren : 02-06-2013 alle ore 17.57.43.
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Vecchio 03-06-2013, 17.08.46   #53
maral
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Riferimento: Il caos nella metafisica

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Originalmente inviato da Soren
Comunque quello che volevo appuntare qui è che il tutto implica il nulla quanto viceversa, cioè si tratta di una co-implicazione logica: nulla implica necessariamente tutto, tutto implica necessariamente nulla. Perciò volendo tentare di ordinare il rapporto non si può ottenere altro che un rimando infinito di riferimenti da uno all'altro. Anche se ancora non capisco cosa ciò implichi di per sé, quali conseguenze logiche trarne, se ve ne sono.
Se il tutto in senso astratto implica il nulla, in quanto il nulla è ciò che non è, iIl nulla può implicare in antititesi solo il tutto astratto di qualsiasi cosa che è, ove però il qualsiasi cosa resta del tutto indeterminato. In altre parole non possiamo trovare nemmeno un granello di polvere partendo dal nulla. La cosa è evidente anche considerando lo 0 come indicatore del nulla. Tutto sarà qualsiasi altro diverso da 0, ma questo non ci potrà dire alcunché di questo qualsiasi altro, né che vi sia un qualsiasi altro.
Per tale motivo, l' Essere che appare in antitesi al nulla in realtà nega il suo stesso apparire e conduce alla contraddizione logicamente assurda di un Essere che sia fondato dal nulla e quindi vi equivalga.
Potremmo allora concludere che per trovare il Tutto è necessario partire, come dice Aggressor, dal dato fenomenico concreto del singolo essente che in sé implica il tutto come ho precedentemente mostrato per via relazionale. Un tutto fenomenico che certamente è, pur non potendo venire mai definitivamente concluso.

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Originalmente inviato da Soren
Se l'essere che non appare è catalogabile come tale solo perché è apparso in un altro tempo - per cui è stato o sarà - alla radice la sua natura non è apparenza di qualcosa che non può essere "essere" ? non è esso stesso la mera apparenza di un altro da sé ? Per dire... la distinzione tra essere ed apparire è annoverabile tra i miei rompicapi filosofici preferiti e onestamente... mi pare che anche qui il rimando e la coimplicazione sia massima al punto che dal punto di vista del significato la maggior parte del bagaglio sia comune ai due concetti. Ma forse mi sbaglio...
Non penso vi possa essere in alcun modo un apparire di qualcosa che non è, se intendiamo l'apparire come il motrarsi dell'Essere, occore che per poter apparire qualcosa comunque sia in qualche modo quel qualcosa che appare proprio come appare. Ciò che femenicamente non appare è comunque destinato ad apparire, perché l'apparire appartiene all'Essere come suo modo di mostrarsi, non viceversa, ma tuttavia affinché l'apparire appaia è necessario che appaia anche un non apparire sullo sfondo del quale questa cosa appare per poi rientrare nello sfondo affinché qualcos'altro appaia.
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Vecchio 05-06-2013, 12.22.28   #54
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Guarda Maral, la mia posizione è semplice. Tutte le volte che descrivi qualcosa devi lasciare un "oltre" che lo definisca, non vedo perché il concetto di tutto, se è qualcosa, dovrebbe sfuggire a questa situazione. Secondo te è possibile perché l'oltre del tutto sarebbe il nulla, ma il nulla non può essere un oltre se non esiste. Dire che può esserlo a livello astratto, vuol dire dover spiegare quale sia la differenza tra astratto e concreto, ma secondo ciò che avevo detto, quello che chiamiamo astratto è un derivato, per composizione, di esperienze dirette.


Più che altro dimmi questo, se non ti sembra che i concetti Tutto e niente, nella loro astrazione totale, denotino una semplice opposizione, come si può dire che "giù" e l'opposto di "su" o X non-è Y. Ma dietro queste lettere con connettore logico annesso cosa c'è? A me pare che ci siano sempre degli enti, e non l'insieme di tutte le cose o entità che non esistono. Invece, se devo connettere questi simboli a percezioni dirette, vedo cose delimitate oltre cui si stagliano altre cose (quindi mai una cosa che è effettivamente l'insieme di tutto) e giammai una cosa che non c'è.


Maral
Potremmo allora concludere che per trovare il Tutto è necessario partire, come dice Aggressor, dal dato fenomenico concreto del singolo essente che in sé implica il tutto come ho precedentemente mostrato per via relazionale. Un tutto fenomenico che certamente è, pur non potendo venire mai definitivamente concluso

Ma la mia condizione è quella di un'esperienza fenomenica e così il contenuto del tutto per me, può essere solo una descrizione senza fine e non una parola che allude ad una immagine delimitata oltre la quale si staglia l'alterità che è un'altro esistente. E se voglio esperire una sola immagina senza confine non ce la faccio e nemmeno una parola senza altre parole avrebbe significato.





Se il contenuto delle parole lo ricavo dai fenomeni di cui ho esperienza, e se questa esperienza risulta sempre di enti delimitati che all'udono all'alterità, come posso pensare l'Essere come qualcosa oltre cui non vi sia niente? Come posso ottenere un concetto singolo, una singola rappresentazione che alluda a questo?
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Vecchio 07-06-2013, 10.51.08   #55
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Riferimento: Il caos nella metafisica

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Originalmente inviato da Aggressor
Guarda Maral, la mia posizione è semplice. Tutte le volte che descrivi qualcosa devi lasciare un "oltre" che lo definisca, non vedo perché il concetto di tutto, se è qualcosa, dovrebbe sfuggire a questa situazione. Secondo te è possibile perché l'oltre del tutto sarebbe il nulla, ma il nulla non può essere un oltre se non esiste. Dire che può esserlo a livello astratto, vuol dire dover spiegare quale sia la differenza tra astratto e concreto, ma secondo ciò che avevo detto, quello che chiamiamo astratto è un derivato, per composizione, di esperienze dirette.
L'astratto non è un derivato per composizione di esperienze dirette (questo è il senso concreto dell'astratto), ma il tratto comune che lega le esperienze dirette ed è questo tratto comune che rende possibile concepire l'astratto. Il problema dell'Essere nasce quando nacque la filosofia greca con la domanda cosa regge l'apparire contingengente dei fenomeni? Qual è il loro tratto comune e indubitabile? E la risposta fu appunto l'Essere, perché ogni fenomeno è. In tal modo l'Essere appare e apparendo esso pure è, è l'essente che comprende ogni essente. Ma l'apparizione del Tutto che è determina l'apparizione dell' altro e questo altro per l'Essere non può che essere il Niente il quale è (quindi rientra nell'Essere che comprende tutto ciò che è) pur significando il non essere. In termini matematici esso è semplicemente l'insieme vuoto che, in quanto insieme vuoto pur tuttavia appartiene come sotto insieme all'insieme che comprende tutto ciò che è.
Il problema non è se esiste il niente, è chiaro che esiste, sappiamo bene di che stiamo parlando (non è come parlare del uyhnl) e lo sappiamo bene poiché da più di duemila anni il pensiero dell'Occidente ha maturato la concezione astratta dell'Essere come tratto comune alla radice di tutti gli essenti.
Da un lato dunque il tutto si presenta nella sua forma concreta fenomenologica che non potrà mai essere circoscritta in quanto si manifesta nel continuo richiamare di ogni essente altri essenti senza mai potersi compiere interamente, dall'altro lato il tutto è proprio questa interezza presa in se stessa come compiuta che rimanda solo al niente e in tal modo lo comprende (comprende cioè la sua negazione che è la sua estrema contraddizione e in tal modo essa a sua volta appare). Il tutto concreto e il tutto astratto si implicano costantemente e vicendevolmente, il continuo rimandare ad altro di ogni essente fenomenico in una descrizione senza fine e la definizione compiuta dell'Essere che rimanda solo al niente in esso necessariamente compreso proprio come suo radicale opposto.
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E se voglio esperire una sola immagina senza confine non ce la faccio e nemmeno una parola senza altre parole avrebbe significato.
Eppure ce la fai, la parola, se non ti piace Essere, è più prosaicamente tutto che è pur sempre un concetto astratto fenomenicamente fondato. Tutto comprende infatti tutte le parole (e non solo).
Esiste tutto ciò che esiste? Esiste l'esistenza di ciò che esiste?
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Vecchio 11-06-2013, 11.06.20   #56
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Maral:
Da un lato dunque il tutto si presenta nella sua forma concreta fenomenologica che non potrà mai essere circoscritta in quanto si manifesta nel continuo richiamare di ogni essente altri essenti senza mai potersi compiere interamente, dall'altro lato il tutto è proprio questa interezza presa in se stessa come compiuta che rimanda solo al niente e in tal modo lo comprende (comprende cioè la sua negazione che è la sua estrema contraddizione e in tal modo essa a sua volta appare).

Dici bene, il tutto non appare mai nella sua interezza, solo parti del tutto appaiono, solo parti del tutto si manifestano compiutamente, fenomenologicamente.



Maral:
Il problema non è se esiste il niente, è chiaro che esiste, sappiamo bene di che stiamo parlando (non è come parlare del uyhnl)

Anche quando parlo della cupola "sferico-quadrangolare" sembra che stia indicando qualcosa di più di un "uyhnl", solo perché c'è un rimando a cose osservabili, senza però che si possa identificare l'oggetto con alcuna di queste cose, tantoché rimane insensato parlare della "cupola sferico-quadrangolare".



Maral:
L'astratto non è un derivato per composizione di esperienze dirette (questo è il senso concreto dell'astratto), ma il tratto comune che lega le esperienze dirette ed è questo tratto comune che rende possibile concepire l'astratto.

Quello che io recepisco come <<tratto comune tra più cose>> sarà in ogni caso qualcosa di particolare su cui devono ricadere le necessità proprie di ciò che appare fenomenologicamente. Anche se credi che qualcosa di "astratto" possa designare molte caratteristiche particolari non vuol dire che queste entità sfuggono a ciò che è proprio delle altre (non astratte). Nella nostra mente devono essere presenti delle conformazioni o dei simboli che sono i concetti astratti e che, alla fine, sono dei particolari concreti.

Facciamo finta che esistano 3 colori, il bianco, il nero e il verde (B, N, V). Con la lettera C io designo i colori in generale, quindi abbiamo: B, N, V e C. La mia domanda fondamentale è: Qual'è il contenuto della lettera C? Il contenuto di cose come B, N, e V è il riferimento all'esperienza diretta che posso averne rispettivamente; per quanto riguarda C le cose non cambiano di molto, il suo contenuto deve essere un riferimento a B, N, o V, anche se quando penso o scrivo C, non penso immediatamente ai colori nel loro apparire immediato, poiché li ho identificati con dei simboli che ne sostituiscono l'estetica. Quando parlo dell'Esistenza il mio riferimento deve indicare qualcosa che ho visto, e nulla mi appare oltre cui non si stagli l'alterità che delimita. Al di fuori di questi modi di concepire le cose, i nostri insiemi di lettere non poggiano su nulla.

Parlare del "tutto" non è come parlare di "afcob", perché io posso immaginare una totalità di cose, come tutti i bicchieri che ho in casa, ma i bicchieri mi appaiono, pur nella loro totalità, grazie all'oltre che li delimita (il resto della casa, ad esempio).


Perché ho detto che Severino fa buon gioco a chiamare l'Essere "Destino"? Perché la parola destino si riferisce a qualcosa di molto più concreto e distinto dello scarno Essere.
(Poi non sono uno di quelli che ti viene a dire di non parlare dell'Essere perché è inutile ecc. solo cerco di dare un reale contenuto a questa parola, capire cosa vi è sotto).


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Vecchio 12-06-2013, 09.49.35   #57
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Anche quando parlo della cupola "sferico-quadrangolare" sembra che stia indicando qualcosa di più di un "uyhnl", solo perché c'è un rimando a cose osservabili, senza però che si possa identificare l'oggetto con alcuna di queste cose, tantoché rimane insensato parlare della "cupola sferico-quadrangolare".

Certamente cupola sferico quadrangolare è un preciso significante che esprime un significato logicamente impossibile, niente è un preciso significante che esprime il significato dell'assenza di qualsiasi significato; uyhnl è una sequenza di lettere che nel contesto in cui ci appare non è significante di alcunché (tranne appunto l'essere una sequenza casuale di lettere).
Il fatto che quanto è designato dai significanti sia fenomenicamente o logicamente identificabile non pregiudica a mio avviso l'esistenza dei significanti che sono comunque significati dall'essere, anche il niente.


Maral:
L'astratto non è un derivato per composizione di esperienze dirette (questo è il senso concreto dell'astratto), ma il tratto comune che lega le esperienze dirette ed è questo tratto comune che rende possibile concepire l'astratto.

Citazione:
Facciamo finta che esistano 3 colori, il bianco, il nero e il verde (B, N, V). Con la lettera C io designo i colori in generale, quindi abbiamo: B, N, V e C. La mia domanda fondamentale è: Qual'è il contenuto della lettera C? Il contenuto di cose come B, N, e V è il riferimento all'esperienza diretta che posso averne rispettivamente; per quanto riguarda C le cose non cambiano di molto, il suo contenuto deve essere un riferimento a B, N, o V, anche se quando penso o scrivo C, non penso immediatamente ai colori nel loro apparire immediato, poiché li ho identificati con dei simboli che ne sostituiscono l'estetica. Quando parlo dell'Esistenza il mio riferimento deve indicare qualcosa che ho visto, e nulla mi appare oltre cui non si stagli l'alterità che delimita. Al di fuori di questi modi di concepire le cose, i nostri insiemi di lettere non poggiano su nulla.

Parlare del "tutto" non è come parlare di "afcob", perché io posso immaginare una totalità di cose, come tutti i bicchieri che ho in casa, ma i bicchieri mi appaiono, pur nella loro totalità, grazie all'oltre che li delimita (il resto della casa, ad esempio).

Sì, possiamo certamente in radicale antitesi con Platone, assumere che l'astratto ha base fenomenica concreta (tra l'altro anche il bianco, il nero e il verde sono astrazioni, quello che fenomenicamente appare sono cose in cui il bianco di questa cosa è inseparabile da essa, dal senso in cui solo essa è bianca nel modo in cui lo è). Ma in tal senso possiamo, come ho precedentemente mostrato, elencare tutti gli esistenti fenomenici nel modo in cui relazionalmente si implicano e arrivare all'essere concretamente esperito. Oppure fermarci a un certo punto dell'elenco e scrivere semplicemente ecc. ecc., proprio come possiamo costruire l'insieme di tutti i numeri elencandoli uno per uno e magari chiederci se questo insieme è anch'esso un numero in base alla definizione che ne abbiamo dato.
Da un punto di vista fenomenico il problema del limite e di ciò che ci sta oltre non si pone, il limite arriverà da sé, se mai arriverà, quando avremo esaurito l'elencazione degli enti che sono. Il problema del limite sorge invece quando definiamo concettualmente in astratto una determinata classe di enti in virtù di una loro apparente comune proprietà che viene oggettualizzata come essente a sé stante. In tal senso l'Essere concepito come essente in sé ha bisogno del niente per concepirsi tale e dunque lo pone e ponendolo lo fa essere nell'istante medesimo in cui lo identifica come la sua antitesi radicale, il non essere


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Perché ho detto che Severino fa buon gioco a chiamare l'Essere "Destino"? Perché la parola destino si riferisce a qualcosa di molto più concreto e distinto dello scarno Essere.
(Poi non sono uno di quelli che ti viene a dire di non parlare dell'Essere perché è inutile ecc. solo cerco di dare un reale contenuto a questa parola, capire cosa vi è sotto).
In realtà il riferimento di significato di Destino per Severino non è tanto ciò che comunemente intendiamo per destino (ossia la necessità trascendente che può essere nascosta in quanto ci accade), quanto piuttosto ontologicamente ciò che definitivamente sta e sta in virtù dell'assoluta innegabilità identitaria di ogni essente a se stesso.

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Vecchio 13-06-2013, 11.19.23   #58
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Maral:
Sì, possiamo certamente in radicale antitesi con Platone, assumere che l'astratto ha base fenomenica concreta (tra l'altro anche il bianco, il nero e il verde sono astrazioni, quello che fenomenicamente appare sono cose in cui il bianco di questa cosa è inseparabile da essa, dal senso in cui solo essa è bianca nel modo in cui lo è). Ma in tal senso possiamo, come ho precedentemente mostrato, elencare tutti gli esistenti fenomenici nel modo in cui relazionalmente si implicano e arrivare all'essere concretamente esperito. Oppure fermarci a un certo punto dell'elenco e scrivere semplicemente ecc. ecc., proprio come possiamo costruire l'insieme di tutti i numeri elencandoli uno per uno e magari chiederci se questo insieme è anch'esso un numero in base alla definizione che ne abbiamo dato.
Da un punto di vista fenomenico il problema del limite e di ciò che ci sta oltre non si pone, il limite arriverà da sé, se mai arriverà, quando avremo esaurito l'elencazione degli enti che sono. Il problema del limite sorge invece quando definiamo concettualmente in astratto una determinata classe di enti in virtù di una loro apparente comune proprietà che viene oggettualizzata come essente a sé stante. In tal senso l'Essere concepito come essente in sé ha bisogno del niente per concepirsi tale e dunque lo pone e ponendolo lo fa essere nell'istante medesimo in cui lo identifica come la sua antitesi radicale, il non essere


Non credo che si possa davvero elencare la totalità delle cose che sono, né esperirla fenomenologicamente, mi pare che siamo sempre costretti a rimandare all'ecc.. Per quanto riguarda il "tratto comune delle cose che esistono", stando a queste precise parole, dovremmo intendere l'esistenza come una caratteristica particolare che si può o no possedere. Ma qualcosa che non possiede l'essere non è nemmeno una cosa, pertanto l'esistenza non può essere un tratto o una caratteristica degli enti in tal senso (non c'è qualcuno a cui negarla), ma piuttosto un substrato. Il tuo esempio dei numeri non è diverso da quello dei bicchieri, perché oltre ai numeri abbiamo esperienza di cose che non identifichiamo coi numeri stessi, cose capaci di delimitare il senso di quella parola (attraverso un riconoscimento effettivo di divergenza nella modalità).



Maral:
Il fatto che quanto è designato dai significanti sia fenomenicamente o logicamente identificabile non pregiudica a mio avviso l'esistenza dei significanti che sono comunque significati dall'essere, anche il niente.

La mia domanda riguarda proprio la provenienza di quel significato a cui alludi, o meglio mi chiedo quale sia il contenuto effettivo di parole designanti oggetti che non si possono nemmeno immaginare. La cupola sferico-quadrangolare, per esempio, denoterebbe una situazione geometrica, essendo questa situazione impossibile qual'è il contenuto del significato da noi indicato? Mi pare che la ripercussione di questa indeterminatezza di contenuto si palesi nell'impossibilità di un approccio conoscitivo (cioè pure scientifico se vuoi) alla cosa stessa (come dicevo non riuscirai a calcolare l'area di quell'ente geometrico). Il mio esempio sui colori voleva mostrare la dipendenza tra concetti universali (caratteristiche comuni) e esperienza diretta per ciò che riguarda il contenuto dei concetti stessi. Eliminando qualsiasi ente geometrico che non fosse la cupola sferico-quadrangolare non sapremmo neppure cosa è un ente geometrico poiché non riusciremmo a rappresentarcelo (come se volessimo comprendere il senso di "colore" tentando di pensare un colore che non c'è), allora la cupola sferico-quadrangolare non è ente che ricade sotto l'universale appropriato alla sua stessa costituzione e al suo stesso (presunto) significato di particolare (fatto in un certo modo) ente geometrico.


Pensa che queste domande sul contenuto delle parole mi sono state poste dal prof di metafisica analitica della mia facoltà (Tito Magri), allorché presentai a lui una tesina sul concetto di Esistenza. Sembra però che egli stesso supponga la possibilità di indicare cose del genere, tanto da poter ammettere l'inesistenza della "retta-curva", come di "Pegaso". Il mio punto di vista dopo le sue stesse critiche è cambiato, la "retta-curva" non esiste nel modo in cui non riusciamo a pensarla, cioè ad indicarla effettivamente dando significato alla frase: "la retta-curva non esiste".


Quando frapponi il tutto al niente, se dietro a queste parole non c'è un contenuto riconoscibile ti ritroverai con una mera contrapposizione logica del tipo X è l'opposto di Y. Se invece ti riuscisse di osservare "ciò oltre cui niente vi è" e "una cosa che non esiste" potresti parlare della contrapposizione di questi oggetti in modo più interessante di X è l'opposto di Y.



Un saluto Maral! Buone cose!
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Vecchio 16-06-2013, 10.03.09   #59
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Riferimento: Il caos nella metafisica

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Originalmente inviato da Aggressor
Non credo che si possa davvero elencare la totalità delle cose che sono, né esperirla fenomenologicamente, mi pare che siamo sempre costretti a rimandare all'ecc..
Dipende se ammettiamo o meno la possibilità dell'Essere (di tutti gli enti che sono in ogni singolo essente per le modalità espresse da tutti gli essenti) di apparire fenomenologicamente per intero a se stesso. Non si tratterebbe in tal caso di un'enumerazione, ma di un'apparizione simultanea fenomenicamente compiuta in cui soggetto e oggetto (io e mondo) coincidono eternamente e necessariamente senza mai annullarsi esaurendosi nel loro contrapporsi.
Ma anche se fossimo costretti a rimandare sempre a un eccetera questo non implicherebbe che l'Essere non può esistere, ma solo che l'Essere per apparire fenomenicamente nasconde sempre qualcosa di se stesso, ma comunque qualcosa che è
Citazione:
Per quanto riguarda il "tratto comune delle cose che esistono", stando a queste precise parole, dovremmo intendere l'esistenza come una caratteristica particolare che si può o no possedere. Ma qualcosa che non possiede l'essere non è nemmeno una cosa, pertanto l'esistenza non può essere un tratto o una caratteristica degli enti in tal senso (non c'è qualcuno a cui negarla), ma piuttosto un substrato.

No, l'esistenza è il tratto comune necessario delle cose che diversamente esistono, proprio come il rosso è il tratto comune necessario delle cose delle cose che sono diversamente rosse. Il fatto che esistano delle cose che non sono rosse, mentre non esistano delle cose che non esistono non esclude logicamente che questo tratto comune che comprende tutto l'esistente effettivamente sia ed essendo ponga il non essere come antitesi che gli appartiene. In tal senso il niente è l'Essere che nega contraddicendosi a se stesso di essere per poter in astratto apparire.


Citazione:
La mia domanda riguarda proprio la provenienza di quel significato a cui alludi, o meglio mi chiedo quale sia il contenuto effettivo di parole designanti oggetti che non si possono nemmeno immaginare. La cupola sferico-quadrangolare, per esempio, denoterebbe una situazione geometrica, essendo questa situazione impossibile qual'è il contenuto del significato da noi indicato? Mi pare che la ripercussione di questa indeterminatezza di contenuto si palesi nell'impossibilità di un approccio conoscitivo (cioè pure scientifico se vuoi) alla cosa stessa (come dicevo non riuscirai a calcolare l'area di quell'ente geometrico). Il mio esempio sui colori voleva mostrare la dipendenza tra concetti universali (caratteristiche comuni) e esperienza diretta per ciò che riguarda il contenuto dei concetti stessi. Eliminando qualsiasi ente geometrico che non fosse la cupola sferico-quadrangolare non sapremmo neppure cosa è un ente geometrico poiché non riusciremmo a rappresentarcelo (come se volessimo comprendere il senso di "colore" tentando di pensare un colore che non c'è), allora la cupola sferico-quadrangolare non è ente che ricade sotto l'universale appropriato alla sua stessa costituzione e al suo stesso (presunto) significato di particolare (fatto in un certo modo) ente geometrico.


Pensa che queste domande sul contenuto delle parole mi sono state poste dal prof di metafisica analitica della mia facoltà (Tito Magri), allorché presentai a lui una tesina sul concetto di Esistenza. Sembra però che egli stesso supponga la possibilità di indicare cose del genere, tanto da poter ammettere l'inesistenza della "retta-curva", come di "Pegaso". Il mio punto di vista dopo le sue stesse critiche è cambiato, la "retta-curva" non esiste nel modo in cui non riusciamo a pensarla, cioè ad indicarla effettivamente dando significato alla frase: "la retta-curva non esiste".
L'esistenza di parole che significano qualcosa di inconcepibile e inimmaginabile indica l'esistenza della contraddizione rispetto ai significati di riferimento. La retta curva indica l'esistenza positiva della contraddizione in ambito geometrico (con riferimento ai significati geometrici di retta e di curva). Il niente indica l'esistenza positiva della contraddizione nell'Essere stesso, l'esistenza di una radicale contraddizione esistenziale. La contraddizione può comunque trovare contenuto positivo in termini metaforici, ossia sussistere come metafora linguistica esprimente un significato secondo un senso diverso da quello originario laddove esistano altre possibilità di senso. Ma anche se tali possibilità non esistono la contraddizione resta pur sempre esistente, essa appare come tale, un significante che non esprime alcun significato e che pur tuttavia significa il proprio non significare.

Citazione:
Quando frapponi il tutto al niente, se dietro a queste parole non c'è un contenuto riconoscibile ti ritroverai con una mera contrapposizione logica del tipo X è l'opposto di Y. Se invece ti riuscisse di osservare "ciò oltre cui niente vi è" e "una cosa che non esiste" potresti parlare della contrapposizione di questi oggetti in modo più interessante di X è l'opposto di Y.
Resta il fatto che il niente è contraddizione logica dell'Essere e negare che l'Essere sia è ancora affermare questa contraddizione pure nell'essente. Io penso che se la contraddizione è dovrà positivamente esserci qualcosa da contraddire e che questo qualcosa da contraddire precede necessariamente la sua contraddizione che in esso si manifesta come particolare momento del suo apparire.


maral is offline  
Vecchio 24-08-2013, 01.03.39   #60
Parva
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Riferimento: Il caos nella metafisica

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Originalmente inviato da Soren
Apro questo topic per cercare di chiarirmi una questione che mai sono riuscito a circoscrivere completamente, cioè la questione dello spazio filosofico del caso, quale sia la sua giusta posizione nella mappa concettuale del mondo ( per me, è la metafisica. mi si perdoni, forse, l'ovvietà del pensiero ), e per cercare di dare il mio contributo a quella che reputo una delle questioni più interessanti e sottovalutate nella suddetta materia.
Vorrei dunque iniziarla con un'esposizione sistematica e positiva ( cioè affermando solamente ) del mio pensiero a riguardo, così da rendere possibile fin da subito esprimere una critica solida.
Il caso è sempre stato uno dei miei argomenti filosofici, se non il, mio preferito. E' in fondo l'antitesi della causalità, cioè il dipendere di uno stato da uno precedente. Cioè caso è qualcosa che esprime un "in sé" perché è autoregolato secondo una norma propria che norma non però non può essere, o si annullerebbe nella sua essenza di "non dipendente da altro" ( da qui, una certa vuotezza intrinseca nell'elemento. ).
Stando a questa definizione di caso, io trovo che sia impossibile non relegarne lo spazio alla metafisica, cioè aldilà della serie di cause ed effetti, e di non imparentarlo concettualmente con l'essere "dei filosofi".
Ora, attraverso Nietzsche e Schopenhauer, sono arrivato all'idea che questo concetto abbia il suo spazio metafisico esattamente dove il secondo collocava la volontà: cioè aldilà del velo di maya "principium individuationis" che frammenta l'orientaleggiante "uno e tutto" di partenza, quello che credo corrisponda pressoché all'essere parmenideo.
Da qui vorrei lasciare la parola a voi e proseguire magari un'altra volta. Che idea avete voi di "caso" ?

Un linguaggio più sempliciotto no? Magari sono sempliciotta io...
Andiamo sul pratico, quando vedo cadere una pera dal pero, posso pensare che che l'ha fatto cadere il dio del pero, o che l'orologio biologico del pero ha dato la scadenza alla pera, o che l'albero voleva riprodursi e quindi ha lasciato cadere la pera, o che la pera matura ha un dispositivo per cadere, o che la gravità incide maggiormente nella pera matura perchè acquosa, o che dipende da quanto è resistente il picciolo in quella qualità di pera...
tutto questo per dire che le variabili di un'azione possono essere molto difficili da controllare per noi umani sia perchè innumerevoli sia perchè non le vediamo e nemmeno siamo tanto capaci di parlare di concause.
Così ciò che non riusciamo a individuare come prodotto di concause lo chiamiamo caso o caos... che belle le faccine...
Parva is offline  

 



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