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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 23-05-2013, 09.20.18   #41
Aggressor
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jeangene:
Scusate se riprendo l' argomento, ma come può la coscienza essere cosa intrinseca alla materia o derivare da una sistema complesso materiale se (come è stato detto sopra) ciò che intendiamo con materia altro non è che fenomeno e quindi tale solo se rapportata a una coscienza che ne ha esperienza?
Non è forse più corretto dire che la coscienza è cosa intrinseca al noumeno?


E' ciò che stavo cercando di spiegare anche a Sgiombo. Da un lato potrei quasi darvi ragione, dall'altro affermare che non vedo la coscienza ma il fenomeno può portare la mente a ragionare come se ci fossero sostanze diverse, mentre la medesima cosa può apparire in modo diverso e non c'è motivo per negare che sia anche ciò che esperisco di lei; che un corrispettivo fenomenico non-sia la cosa per sé o la cosa come appare anche agli altri è tutto da dimostrare secondo me (gli argomenti li ho espressi prima).

Si può forse dimostrare che l'oggetto fenomenico è diverso da quello noumenico (ammesso che possa esistere una simile distinzione), ma, come ho già scritto, lo stesso tavolo differisce da sé in continuazione e non "possiede" davvero le caratteristiche tramite cui lo riconosciamo, percui trovare delle differenze di modalità di esistenza non vuol dire necessariamente aver distinto ontologicamente l'essere di 2 entità, semmai lo si è fatto a livello epistemico.

La mia posizione e quella di z4nz4r0 coincidono, come sarà chiaro. Io solo cerco di mostrare perché cose che appaiono diverse possono essere lo stesso oggetto. Si cerca sempre l'oggetto che è sotto il fenomeno, ma l'oggetto è un fenomeno, nel senso di una relazione, al di fuori di questo ogni caratteristica sarebbe persa e l'ente diverrebbe alcunché di specifico, in quanto non trarrebbe dalla contestualizzazione le sue peculiarità.
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Vecchio 23-05-2013, 18.15.20   #42
sgiombo
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO

Sgiombo:
L’ intersoggettività che li caratterizza a mio parere non può essere confusa con una presunta identità.
Infatti ciascuno percepisce un oggetto (per esempio un tavolo o la luna) come insieme di sensazioni fenomeniche nell’ ambito della propria coscienza.
Poiché le esperienze coscienti sono reciprocamente distinte, sono “fatti” diversi l’ una dall’ altra, anche il tavolo (o la luna) che vediamo sia io che tu sono “cose” diverse l‘ una dall’ altra (parti di cose diverse sono necessariamente cose diverse).
L’ intersoggettività è semplicemente il fatto che possiamo tutti parlare delle “stesse cose” e sapere le stesse cose delle stesse cose (materiali naturali).

Aggressor:
Il mio discorso era centrato proprio sul negare la possibilità di un giudizio esistenziale del tipo "questo non-è quest'altro" che si basi sul paragone delle modalità in cui "questo" si presenta rispetto a "quest'altro". Il fatto che la mia luna sia diversa da quella che vedi tu, dicevo, non giustifica la negazione del suo essere lo stesso ente. Anzi, secondo me, una volta ammesso che i nomi applicati dagli uomini non sono altro che mezzi per dividere -con solo valore gnoseologico- la realtà (senza alcuna pretesa di divisione ontologica), non si presenterebbero problemi come questo: Sgiombo=>"in che senso, dal momento che ciascuna cosa fenomenica è parte di una certa esperienza cosciente e dunque il tavolo o la luna nell’ ambito della mia coscienza è un’ altro diverso evento che non il tavolo o la luna nell’ ambito della tua coscienza?"
E non si dovrà tirare in ballo alcuna realtà noumenica, differenza sostanziale o correlato alcuno.

Perché non credo che siano le proprietà a definire ontologicamente un ente/evento si può già capire dal fatto che un oggetto, essendo al contempo un evento, nega che lo si rinchiuda in un ambito preciso di modalità di esistenza. Cioè posso anche dire che la luna è l'oggetto grande tot, che illumina la terra di notte ecc. (definire il suo "essere" con una sfilza di proprietà che possiederebbe), ma quando poi il suo stato si trasformerà di poco continuerò a dire che si tratta ancora della luna, quando si trasformerà di molto (molto rispetto a ciò che mi conviene) la chiamerò con un altro nome o, addirittura, affermerò la sua inesistenza; anche se tutte queste cose non le applico al presunto oggetto in sé "Luna", che sappiamo essere inconoscibile, ma al solo dato fenomenico tramite cui si realizza per me e che posso identificare anche come l'unica cosa certa o addirittura come lo spazio della realtà (il mio Io come unico luogo dell'universo).

Sgiombo:
Sono costretto (a malincuore) a ripetere che l’ arbitrarietà con cui si definiscono enti ed eventi fenomenici (su cui concordo) non toglie che le varie esperienze fenomeniche coscienti (la “mia”, la “tua”, ecc) sono diverse e distinte fra loro (comunque si “ritaglino” enti ed eventi in ciascuna di esse ed indipendentemente da ciò).
Se esiste qualcosa di unico per tutte le esperienze fenomeniche coscienti, che spieghi l’ intersoggettività dei loro “contenuti” materiali, questo “qualcosa” non può essere una qualsiasi parte di una qualsiasi esperienza fenomenica cosciente, e nemmeno una certa esperienza fenomenica cosciente in toto fra le altre; bensì può essere solo una (indimostrabile; e tantomeno mostrabile) cosa in sé a cui le varie esperienze fenomeniche corrispondono nel loro accadere.



Aggressor
:
Ma non c'è solo questo, non è solo il continuo trasformarsi degli oggetti a farmi dubitare che un giudizio esistenziale possa basarsi sul riconoscimento di alcune caratteristiche, il dubbio più grande deriva dal concetto di possesso. Infatti dire che la mia luna possiede queste e quest'altre caratteristiche è incredibilmente ambiguo per almeno due motivi: 1) le caratteristiche da me riconosciute derivano dalla sintesi tra il mio stato e quello dell'oggetto osservato (voglio solo affermare che non parleremmo di un colore come qualcosa che "appartiene" al fiore se il colore deriva dal rapporto tra me e il fiore) -ma non è questo il motivo fondamentale, infatti, ad esempio, si può negare che esista il fiore al di là dei rapporti che instaura con gli altri enti (e io inizio ad essere di questa veduta, soprattutto a causa dell'oscurità del concetto di nuomeno e del suo rivelare una realtà obbiettiva in quanto punto di riferimento saldo per le soggettività)-; 2) le proprietà (caratteristiche degli enti) emergono e coesistono con il sistema-di-riferimento/ambiente in cui sono immersi gli oggetti a cui le additiamo, per esempio si è alti rispetto a .. , scuri rispetto a .. ecc. In che senso dunque l'altezza è posseduta dall'ente? Una volta tolto l'ente dal suo contesto quello può mutare anche in tutto, ma allora le modalità non erano parte del suo Io obbiettivo, per sé dato, perché questo Io sembra Intangibile e del tutto malleabile al contesto. Il possessore delle proprietà, direi, non è l'ente, ma l'Essere, cioè l'intero contesto in cui gli enti sono inseriti, l'ambiente in cui i fenomeni emergono.

Tutto questo ci porta ad una differenza che pare quasi solo espressiva ma che probabilmente non lo è solo in questo senso. Alla fine la mia tesi è che si possa dire: "il contenuto della mia coscienza è la coscienza altrui". Dire che il contenuto della mia coscienza è un correlato della coscienza, soprattutto sapedo cos'altro hai in mente quando lo dici, non è in realtà molto differente, solo il mio interesse stà nell'esortari a riflettere su questo, sul motivo per cui non identifichi questo correlato con la coscienza stessa finendo poi per moltiplicare le sostanze dell'universo in un senso oltre-epistemico.

Sgiombo:
Qui non ti capisco: Che significa “le caratteristiche da me riconosciute derivano dalla sintesi tra il mio stato e quello dell' oggetto osservato”? E “il colore deriva dal rapporto tra me e il fiore”?
Le caratteristiche degli oggetti (in particolare, ma non solo, quelli materiali) di esperienza, come i colori dei fiori fanno parte dell’ esperienza fenomenica cosciente nell’ ambito della quale (per l’ appunto) accadono: “esse est percipi”.
Cosa potrebbero essere l’ “io” che osserva e l’ “oggetto osservato”, che credo anche tu assumi esistere anche allorché le esperienze coscienti fenomeniche non accadono (non sento i miei pensieri, non vedo al luna) se non cose in sé distinte dalle sensazioni fenomeniche? Se non lo fossero, bensì con con sensazioni fenomeniche si identificassero, allora si cadrebbe in una patente contraddizione?

Come può “il contenuto di una coscienza” essere “la coscienza altrui”?
Il contenuto di una certa coscienza è fatto di sensazioni esterne materiali ed interne mentali, quello di un’ altra coscienza è fatto di altre (e magari corrispondenti) sensazioni esterne materiali ed interne mentali: due “cose” (fenomeniche) reciprocamente altre, diverse, che non possono essere (anche) la stessa cosa (o una di esse parte dell' altra), se le parole hanno un senso.
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Vecchio 23-05-2013, 18.34.52   #43
sgiombo
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Riferimento: "antichi" dualismi sempre "giovani" e validissimi!

Z4nz4r0:
Mi spiace rompere l'incantesimo ma
ritengo superabile questa distinzione tra 'fenomeno' e 'noumeno', tra 'fisico' e 'metafisico'.

Sgiombo:
Ma guarda che non hai rotto proprio nessun incantesimo (…anche perché non c’ era nessun incantesimo da -eventualmente- rompere), non ti preoccupare!



Z4nz4r0:
Oggetto dell'esperienza è sempre una differenza a cui ci adattiamo, un'alterità in funzione della quale ci 'regoliamo' e ogni nostra esperienza corrisponde ad un nostro adattamento (di qualsiasi genere, in qualsiasi ambito).

Sgiombo:

Differenza fra quali “cose”? Alterità fra quali “cose”? Adattamento a che?



Z4nz4r0:
Non ci sarebbe esperienza senza diversità (o differenza, cambiamento, variazione, varietà, variabilità, mutazione, mutevolezza, alterità, eterogeneità ...) e d'altra parte questa diversità di cosa può consistere se non viene in alcun modo immaginata/esperita? Per dirlo dovrei immaginarlo ... a meno che non dico: nulla! (Alcuni di voi direbbero noumeno. Ma io mi chiedo perché? A che serve introdurre un dualismo fenomeno-noumeno?)

Sgiombo:
Non ho proprio capito quale senso possano avere le parole che si succedono nelle prime quattro righe.
Comunque L’ ipotesi (indimostrabile) del noumeno serve a spiegare l’ intersoggettività delle sensazioni materiali (pure indimostrabile; e che é una conditio sine qua non della conoscenza scientifica). E comunque se esiste qualcosa di comune alle sensazioni materiali che accadono nelle diverse esperienze coscienti (la cui esistenza, oltre alla “propria” direttamente esperita è un’ altra cosa indimostrabile), qualcosa che è unico, ad esempio, per la luna nella mia esperienza fenomenica e la luna nella tua esperienza fenomenica, e che é reale anche allorché le " relative o corrispondenti" esperienze fenomeniche non accadono (allorché non vediamo la luna), evidentemente non può essere sensazione fenomenica (o insieme di sensazioni: né la visione della luna da parte mia né la visione della luna da parte tua) bensì cosa in sé o noumeno, pena la caduta in patente contraddizione.



Z4nz4r0:
Così, in senso lato, la diversità è esperienza; ma l'esperienza di 'governare' una grande complessità (l'esperienza di adattamento in un'ampia nicchia ecologica, adattamento ad un'ampia diversità, un ampio contesto), cioè la nostra comune esperienza, è un'esperienza altamente organizzata: è la flessibilità di una 'struttura' che in un certo senso potremmo dire 'emerge' da altre.

Sgiombo:
Quale “struttura”? L’ esperienza (complessa quanto si voglia) non è che successione (e/o coesistenza) di sensazioni.



Z4nz4r0:
Di solito quando parliamo di esperienza ci riferiamo a quest'ultimo senso specifico* , cioè l'esperienza di un organismo di una certa complessità e ci suonerebbe ridicolo parlare dell'esperienza di una pietra. Eppure come tra un organismo animale ed una pietra non c'è altra differenza rilevante che il grado di organizzazione/complessità, analogamente tra l'esperienza di un organismo animale e quella di una pietra non c'è altra differenza rilevante che il grado di organizzazione/complessità. Che sarà pure una grande differenza ma non è una differenza di sostanza: non c'è necessità di introdurre un dualismo metafisico (del tipo 'materia animata'-'materia inanimata', fisico-mentale, materia-spirito/psyché/anima...).

*Specifico nel senso proprio di caratteristico della nostra specie; ma non abbiamo difficoltà a riconoscere qualcosa di simile in altre specie animali. Sommariamente ci riferiamo a qualcosa che riguarda organismi di una certa complessità.

Sgiombo:
Come ho già scritto in questa discussione, ritengo ipotizzabile che anche a enti ed eventi diversi dagli animali dotati di sistema nervoso notevolmente complesso anatomicamente e funzionalmente, e dunque dal comportamento notevolmente complesso (nelle nostre coscienze umane) possa corrispondere “qualcosa” di fenomenico cosciente; tuttavia non saprei bene cosa si possa intendere con questo; e d’ altra parte non essendo possibile stabilire comunicazioni linguistiche con le pietre, trovo del tutto irrilevante sia praticamente che teoricamente ciò in cui potrebbe eventualmente consistere la “coscienza” delle pietre (e altri oggetti minerali e vegetali).



Z4nz4r0:
Torniamo ora al dualismo fenomeno-noumeno un dualismo tra ciò che provo cioè la mia esperienza e l'oggetto della mia esperienza, quello che alcuni di voi direbbero essere il 'noumeno' di cui l'esperienza è il fenomeno, 'la cosa in sé'...

Se la mia esperienza è il mio adattamento, la mia relazione (ovvero ciò che copre la differenza) con l'alterità; oggetto della mia esperienza è l'adattamento di qualcos'altro (o meglio un adattamento diverso da quello che io rappresento) e quindi l'esperienza (intesa in senso lato) di qualcos'altro (o qualcun'altro, in base alla complessità di questa forma di adattamento).
L'esperienza che tu hai di me è l'esperienza che tu hai del mio adattamento: il tuo adattamento nei miei confronti, il tuo modo di coprire la differenza tra me e te, il tuo tentativo di comprendermi. Di volta in volta l'esperienza di uno è oggetto di esperienza di un'altro: non c'è un dualismo metafisico tra esperienza e oggetto dell'esperienza cioè tra esperienza e diversità: sono mutualmente la stessa cosa.

La 'cosa in sé' è la diversità, e in senso lato l'esperienza.

L'argomento è complesso e difficile per mancanza di adeguati strumenti concettuali perciò lo affronto in maniera estremamente generale e sicuramente anche un po' sbarazzina. Spero nondimeno di riuscire ad indicare qualche vaga intuizione.

Sgiombo:
Più che complesso direi che mi è incomprensibile.

Non basta appiccicare arbitrariamente l' etichetta di "altro da me" ai contenuti materiali della mia esperienza per farli diventare cose in sé, reali anche indipendentemente dalla mia coscienza, anche allorché nella mia coscienza non accadono (id est: allorché non sono reali: patente contraddizione!).

Se vi sono altre esperienze, esse evidentemente non sono parte della mia esperienza (sarebbe autocontraddittorio il crederlo), indipendentemente dagli adattamenti (a che? All’ ambiente tramite selezione naturale? E che ci azzecca?).
Poiché per tutti gli oggetti o contenuti dell’ esperienza esse est percipi, essi esistono solo unicamente e fintato che sono esperiti, allora:
o è reale solo l’ esperienza (fenomenica) e solo mentre accade (la luna quando non la vedi non esiste); oppure, se qualcosa è reale anche allorché le sensazioni fenomeniche non accadono, (e magari ad esse corrisponde e consente di spiegare l’ intersoggettività comunemente ammessa -per quanto indimostrabile- fra quelle materiali), questo "qualcosa" non può essere costituto da sensazioni fenomeniche, pena l’ autocontraddizione; ergo deve essere qualcosa di ontologicamente da esse diverso (questa seconda ipotesi, necessaria fra l’ altro affinché la percezione del mondo materiale sia intersoggettiva, esige logicamente il dualismo fenomeni-noumeno).
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Vecchio 23-05-2013, 18.40.40   #44
sgiombo
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO

jeangene:
Scusate se riprendo l' argomento, ma come può la coscienza essere cosa intrinseca alla materia o derivare da una sistema complesso materiale se (come è stato detto sopra) ciò che intendiamo con materia altro non è che fenomeno e quindi tale solo se rapportata a una coscienza che ne ha esperienza?
Non è forse più corretto dire che la coscienza è cosa intrinseca al noumeno?

Aggressor:
E' ciò che stavo cercando di spiegare anche a Sgiombo. Da un lato potrei quasi darvi ragione, dall'altro affermare che non vedo la coscienza ma il fenomeno può portare la mente a ragionare come se ci fossero sostanze diverse, mentre la medesima cosa può apparire in modo diverso e non c'è motivo per negare che sia anche ciò che esperisco di lei; che un corrispettivo fenomenico non-sia la cosa per sé o la cosa come appare anche agli altri è tutto da dimostrare secondo me (gli argomenti li ho espressi prima).

Sgiombo:
Da dimostrare (in realtà indimostrabile) è casomai che esiste realmente il noumeno; “che un corrispettivo fenomenico non-sia la cosa per sé o la cosa come appare anche agli altri” è vero per definizione (le definizioni di “fenomeno” e di “cosa in sé”).
Se dici: “mentre la medesima cosa può apparire in modo diverso e non c'è motivo per negare che sia anche ciò che esperisco di lei” non esci dall’ ambito fenomenico (come dimostra l’ uso da parte tua dei verbi “apparire” ed "esperire").





Aggressor:
Si può forse dimostrare che l'oggetto fenomenico è diverso da quello noumenico (ammesso che possa esistere una simile distinzione), ma, come ho già scritto, lo stesso tavolo differisce da sé in continuazione e non "possiede" davvero le caratteristiche tramite cui lo riconosciamo, percui trovare delle differenze di modalità di esistenza non vuol dire necessariamente aver distinto ontologicamente l'essere di 2 entità, semmai lo si è fatto a livello epistemico.

La mia posizione e quella di z4nz4r0 coincidono, come sarà chiaro. Io solo cerco di mostrare perché cose che appaiono diverse possono essere lo stesso oggetto. Si cerca sempre l'oggetto che è sotto il fenomeno, ma l'oggetto è un fenomeno, nel senso di una relazione, al di fuori di questo ogni caratteristica sarebbe persa e l'ente diverrebbe alcunché di specifico, in quanto non trarrebbe dalla contestualizzazione le sue peculiarità.

Sgiombo:
Ripeto che non si può dimostrare che esiste “l’ oggetto noumenico”; ma che l'oggetto fenomenico è diverso da quello noumenico non si dimostra: è così per definizione.

E ripeto che la questione del mutare degli oggetti nel tempo e dell’ arbitrarietà delle definizioni di enti ed eventi è del tutto irrilevante in proposito.
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Vecchio 23-05-2013, 19.59.43   #45
jeangene
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO

Temo di stare adattando parole dal significato ben preciso alle mie idee e questo naturalmente causa qualche fraintendimento.

Non ho ben capito cosa intendiate con il dualismo fenomeno-noumeno.
Con fenomeno non intendo qualcosa di opposto al noumeno, ma qualcosa derivante da quest' ultimo, non c' è opposizione, ma derivazione.
Anch' io penso che tutte le differenze si risolvano nell unità, tutte le differenze si risolvono "al di là" dell' orizzonte fenomenico dove tutte le differenze si risolvono compresa la distinzione fra soggetto e oggetto.
Questo "al di là" dell' orizzonte fenomenico non è qualcosa di opposto al fenomeno, ma piuttosto qualcosa che lo permea.
Questo "al di là" l' ho chiamato noumeno, ma forse, come ho già detto, non è la parola adatta, forse è più corretto parlare di Essere, non so..

Penso che il mio pensiero si possa così riassumere: Il "noumeno" (questo "al di là" dell' orizzonte fenomenico) ha esperienza di sè attraverso il "fenomeno".

Questa affermazione penso sia in linea con il pensiero di sgiombo..
jeangene is offline  
Vecchio 24-05-2013, 01.09.04   #46
paul11
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO

Sei il prodotto di una immagine del tuo cervello e ti percepisci come tale grazie alla coscienza.

Quando un fenomeno fisico, ad esempio un fotone, viene percepito dai tuo i sensi, in questo caso l’occhio, fino a quando quel fotone imprime chimicamente e fisicamente una informazione alla retina è ancora qualcosa di oggettivo. Quando dalla retina, attraverso il nervo ottico quella informazione passa prima per la regione dell’amigdala,(o altre regioni del cervello che memorizzano l'emotività) viene memorizzato un' informazione fisica + emozione: così viene memorizzata in diversi punti del cervello.
Questo cervello è un insieme stratificato a cipolla in cui gli automatismi metabolici, cioè privi di volontà, sono il primo residuato evolutivo a cui si sovrappone quello “mammifero” e infine quello umano corticale. E’ importante capire che la stratificazione evolutiva del nostro cervello nno ha fatto scomparire quello antico , ma semplicemente si è sovrapposto.

Ritorniamo alla percezione fisica e all’emozione.
Quando sono stati scoperti i neuroni specchio che spiegano l’empatia, si è dimostrato che una immagine sollecita il piano emozionale.
Perché esiste l’emozione e la non sola informazione fisica? Semplicemente per istinto di sopravvivenza.
Un' emozione è funzionale ad una reazione metabolica e scatenante neurotrasmettitori.

Quando improvvisamente se stiamo guidando un'automobile accade un imprevisto, l’adrenalina scatenata dalle ghiandole surrenali che è a sua volta comandata dal cervello tramite memoria e attivata da neurotrasmettitori , informazione/emozione, si bypassa la sovrastruttura del pensiero perché deve essere velocissima la risposta all’evento:il cosidetto tempo di reazione.
Una immagine ,sollecita il piano emotivo della memoria, come una emozione sollecita un evento passato memorizzato: c’è una intima connessione fra informazione che è arrivata in input come fenomeno fisico e correlazione emotiva, solo così è spiegabile il piano psichico e il suo simbolismo.

Molto più difficile è arrivare alla definizione” fisica" di cosa sia il pensiero, quello che probabilmente Edelman cerca di spiegare sperimentalmente.
Ma esiste un piano oggettivo e soggettivo.
Se prendiamo un tavolo lo possiamo misurare e definirne le qualità, le quantità e le proprietà (tipo di essenza legnosa, colore,dimensioni fisiche.ecc.) e in quanto tale fin quando noi lo descriviamo categorizzandolo scientificamente giungiamo alle stesse considerazioni: lo abbiamo oggettivato e possiamo domani rifare e ridescrivere le medesime osservazioni, quindi funziona anche nella dimensione sequenza temporale. E’ questo piano che consente soprattutto la comunicazione intersoggettiva, quando una comunità può descrivere QUEL tipo di conoscenza condivisa.

Ma se noi invece domani lo descriviamo in linguaggio che non è più quello prettamente scientifico sperimentale” o addirittura chiudiamo gli occhi e immaginiamo quel tavolo e quella scena, ecco che arrivano le diversità nelle definizioni linguistiche, ognuno lo descrive e rappresenta la scena del tavolo all’interno di una stanza,di una scenografia di come la PROPRIA memoria compreso il piano emotivo lo ricorda: quì nasce la diversità delle esperienze ,che non sono altro che un sedime del divenire del nostro cervello, cioè una intepretazione di un evento.
A questo punto quando immaginiamo un tavolo siamo forse in grado di misurarlo?
Noi alteriamo le dimensionalità quando immaginiamo e sogniamo è qui sta tutta la nostra soggettività e differenza dell’uno con l’altro.
La stessa cosa accade se osserviamo insieme allo stesso momento un tavolo o la luna, abbiamo differenze esperienza/evocazione/memoria che sollecitano diversamente la propria “personalità”.

La cosa straordinaria di quel cervello corticale umano è la capacità di aver costruito un linguaggio logico, cioè riesce a decodificare il messaggio percezione ed emozione e in qualche modo toglie l’emozione alla percezione(non credo però totalmente):questa è la vera differenza dal regno animale.
In altre parole se noi osserviamo insieme il tavolo e poi la luna e le descriviamo nel linguaggio logico deduttivo, ci capiamo. Ma se li descriviamo nel linguaggio dell’arte e cioè ne facciamo una poesia, li dipingiamo,li musichiamo, ci distingueremo nettamente l’uno dall’altro.
Sia chiaro, non voglio dire che diventiamo automi, quando “logicizziamo”, ma se siamo riusciti a costruire strumenti fisici capaci di analizzare i fenomeni e oggettivarli e quindi li “abbiamo pensati” questi strumenti , significa che intrinsecamente nel nostro cervello non so con quale chimismo e con quale ordinamento tridimensionale della materia organica, soprattutto proteica, sia riuscita a costruire delle interfacce dinamiche che codificano in entrata un messaggio fisico facendolo diventare anche emozione in una certa qual misura e grado e dall ‘altra viene “ripescato” dalle memorie e decodificato. Quando sogniamo siamo soprattutto sul piano emotivo psichico con le onde alfa, beta, gamma e quando lavoriamo o siamo a scuola processiamo soprattutto sul piano logico deduttivo.
Molto probabilmente quel corpo calloso e quella corteccia cerebrale ha la qualità di connettersi istantaneamente in tutti i punti del cervello e di avere immediatamente a disposizione tutta la nostra memoria storica che decodifica e seleziona in un lampo. Ma questa operazione pulisce anche le memorie di ciò che noi non utilizziamo di meno a livello di pensiero cosciente , tanto meno quella informazione che non ci serve che è stata codificata nella memoria con basso livello emotivo , diversamente rimane impressa per sempre.

La mia considerazione è che così come non abbiamo bisogno di pensare al nostro metabolismo, ipotalamo e altre straordinari organi e regioni del cervello lavorano in automatico, così pure quando pensiamo e riflettiamo noi non conosciamo i meccanismi selettivi e di immagazzinamento chimico fisico, nno ne siamo coscienti e partecipi.
E’ come se noi fossimo solo coscienza e nulla vediamo e sappiamo dei meccanismi interni materiici del nostro corpo, siamo come al di fuori di esso. Non abbiamo tempo di correre dietro alle memorie così come non abbiamo tempo di correre dietro a tutti i metabolismi cardiocircolatori, della respirazione, dello stomaco, ecc.la nostra vita sarebbe persa a rincorrere i fenomeni interni al corpo umano perdendo o non ottimizzando la possibilità e la capacità di sovraintenderli.
Personalmente lo ritengo fantastico, è efficienza ed efficacia ottimizzata la massimo
Lo sovrintendiamo così tanto ……..da esserne quasi estranei.

Questo è il paradosso e la mia risposta implicita alla domanda dell’intangibilità dell’io della discussione.
Cioè non c'è una risposta, semplicemente perché non ci conosciamo ancora.
Noi RIsentiamo il corpo(la nostra coscienza "rientra nel corpo) nella patologia della malattia. Diversamente, cioè nella salute, è come se fossimo in un viaggio astrale con però il peso fisico del corpo materico.

E’ questa sensazione che ci pone le problematiche tra realtà e sogno ,fra fisica e metafisica.
Perché la coscienza si percepisce non all’interno del corpo , ma come una interfaccia fra corpo e mondo, fra terra e cielo.

Ultima modifica di paul11 : 24-05-2013 alle ore 18.54.31.
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Vecchio 24-05-2013, 08.33.53   #47
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Temo di stare adattando parole dal significato ben preciso alle mie idee e questo naturalmente causa qualche fraintendimento.

Non ho ben capito cosa intendiate con il dualismo fenomeno-noumeno.
Con fenomeno non intendo qualcosa di opposto al noumeno, ma qualcosa derivante da quest' ultimo, non c' è opposizione, ma derivazione.
Anch' io penso che tutte le differenze si risolvano nell unità, tutte le differenze si risolvono "al di là" dell' orizzonte fenomenico dove tutte le differenze si risolvono compresa la distinzione fra soggetto e oggetto.
Questo "al di là" dell' orizzonte fenomenico non è qualcosa di opposto al fenomeno, ma piuttosto qualcosa che lo permea.
Questo "al di là" l' ho chiamato noumeno, ma forse, come ho già detto, non è la parola adatta, forse è più corretto parlare di Essere, non so..

Penso che il mio pensiero si possa così riassumere: Il "noumeno" (questo "al di là" dell' orizzonte fenomenico) ha esperienza di sè attraverso il "fenomeno".

Questa affermazione penso sia in linea con il pensiero di sgiombo..


Come ulteriore illistrazione delle mie convinzioni (e senza ovviamente alcuna pretesa di convincere Aggressor o Z4nz4r0; ma cercare di comprendere le opinioni altrui, anche senza condividerle, é quasi sempre utile e interessante) preciso che l' affermazione di Jeanjene é perfettamente in linea con il mio pensiero.

Trovo solo un po' inadatto il termine "permeare" per illustrare i rapporti fenomeni-noumeno in quanto da l' idea di una certa continuità o mescolanza; credo che i rapporti fra questi diversi ambiti della realtà (quello noumenico solo ipotizzabile, quelli fenomenici constatabili) siano meglio suggeriti da un concetto di "parallelismo" nel loro divenire: senza interferire reciprocamente, procedono in modi tali che ad una certa determinata "condizione" dell' uno corrispondono certe determinate "condizioni" degli altri e solo quelle, e viceversa.

In questo modo fra l' altro si salva la chiusura causale del mondo fisico: non é la mia volontà (nell' ambito della mia coscienza) a far partire i potenziali d' azione lungo le vie nervose motrici fino ai miei muscoli, bensì i processi neurofisiologici che ad essa corrispondono nel mio cervello (nell' ambito di altre coscienze; almeno potenzialmente, e di fatto generalmente indirettamente, tramite l' imaging neurologico); la mia coscienza in teroria, in linea puramente di principio potrebbe anche non esserci (anche se di fatto non può non esserci, se é vero ciò che generalmente tutte le persone sane di mente credono), e tuttavia nelle altre coscienze i miei movimenti si vedrebbero lo stesso esattamente allo stesso modo in cui si vedono essendo accompagnati dalla mia volontà cosciente (Chalmers, anche se non così letteralmente, in prima persona, stando a quanto ne ho letto).

Grazie per l' attenzione.
sgiombo is offline  
Vecchio 24-05-2013, 15.22.46   #48
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Riferimento: L' intangibilità dell' IO

z4nz4r0 ammetto che quanto da te scritto mi è di difficile comprensione.

Su una cosa mi trovi d' accordo, sul fatto che per esservi esperienza è necessaria la differenza, la diversità, in primis quella fra soggetto cosciente e oggetto esperito che tuttavia penso sia soltanto apparente perchè penso che tutte le differenze si risolvano nell' unità.
Perchè vi sia esperienza è necessario che dall' unità emerga la diversità.
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Vecchio 25-05-2013, 13.39.13   #49
z4nz4r0
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'diversità paradigmatica' ed 'ermeneutica filosofica'

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Originalmente inviato da jeangene
mi trovi d' accordo, sul fatto che per esservi esperienza è necessaria la differenza, la diversità, in primis quella fra soggetto cosciente e oggetto esperito che tuttavia penso sia soltanto apparente perchè penso che tutte le differenze si risolvano nell' unità.
Perchè vi sia esperienza è necessario che dall' unità emerga la diversità.

La diversità è irriducibile, è necessario ammetterla a priori.
Direi che la diversità (parzialmente concepita) si specifica attraverso l'evoluzione oggettivandosi/distinguendosi in oggetti/soggetti. Pensa ad un albero filogenetico e immagina di percorrerlo dall'alto verso il basso in cerca di un fondamento.
'Diversità' è un concetto assolutamente originale/semplice/generale/astratto/vago dal quale deriva ogni altro concetto come sua specificazione. In questo modo, nel suo specificarsi, prende forma e si struttura/organizza in distinti sistemi concettuali/cognitivi/percettivi.
Certo, 'diversità' è solo il termine che io ho scelto per riferirmi a questo concetto originale, ma non l'ho scelto a caso, l'ho scelto perché ritengo che si presti meglio di ogni altro a dare la più vaga indicazione. Puoi rileggere sostituendolo con 'unità' se ti è più familiare, ma nella mia esperienza quest'ultimo termine non si presta altrettanto bene e forse col tempo converrai con me.


Citazione:
Originalmente inviato da Sgiombo
Differenza fra quali “cose”? Alterità fra quali “cose”? Adattamento a che?
Cercando di dare una vaga struttura al concetto generale e quindi alla più vaga intuizione raggiungibile; io la penso in questi termini che troverai sicuramente molto ostici:

'Diversità/esperienza' è l'implicito e irriudicibile fondamento di qualsiasi cosa si voglia parlare, un postulato minimo, un concetto assolutamente semplice/generale che si specifica in ogni distinzione/oggettivazione. Ogni organismo o forma di complessità rappresenta un modo di distinguere/oggettivare diversità, ed è a sua volta una specificazione della stessa.
Mi sembra che Aggressor ha già detto qualcosa di simile: la distinzione và di pari passo con l'esperienza e non può precederla.

Tre anni fa, in una discussione affine a questa si è parlato del concetto di 'oggetto'.
Il mio contributo si basava sull'osservazione che col termine 'oggetto' possiamo riferirci a qualsiasi nostra intuizione 'solida' o vaga.
In particolare penso che ai fini di questa discussione possa avere una qualche utilità questo mio intervento: https://www.riflessioni.it/forum/filo...tml#post231538

Non porrei mai la questione in termini di 'cose tali di per sé' tra le quali c'è differenza. Parlerei invece di una diversità oggettivata in 'cose'. Solo la diversità* è tale di per sè, è auto-oggettivazione, auto-specificazione (auto-oggettivante-si, auto-specificante-si).
Parzialmente concepita 'diversità' è il fondamento dell'evoluzione; quest'ultimo concetto ('evoluzione', che è già una primaria specificazione del concetto originale) rappresenta un nostro modo di intuirla (e, in quanto noi ne rappresentiamo un aspetto, infine è un modo in cui essa si mostra a sé stessa) e cioè come processo di auto-specificazione/auto-oggettivazione.
*Diversità o differenza o... (insomma questo concetto assolutamente generale al quale ci riferiamo con così tanti sinonimi nel tentativo di indicarne diverse, appunto, 'dimensioni' e sfumature)

Adattamento a che cosa? Adattamento alla diversità contestuale.
Adattamento di che cosa? Adattamento di una specificazione della diversità stessa.
Che cosa vuol dire adattamento? Vuol dire formazione in funzione del contesto.
Possiamo andare avanti all'infinito nell'analisi concettuale, ma dobbiamo tenere presente di un fatto essenziale: la funzione dei termini è esclusivamente quella di evocare intuizioni; queste sono gli elementi della comunicazione: non si comunica altro.
(Ora se applichi la tua attuale intuitiva pre-comprensione alla rilettura di questo argomento in maniera ricorsiva riuscirai ad ottenere una intuizione di volta in volta più fedele a quella vaga intuizione che cerco di condividere (comprenderai meglio)).

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Originalmente inviato da Sgiombo
[...](indimostrabile)[...]
Il concetto di dimostrazione come da te inteso è proprio solo della logica classica (che è una raffinata costruzione concettuale) ma estraneo alla scienza come alla filosofia le quali si propongono di trovare descrizioni utili e suggestive e argomentazioni convincenti e persuasive, mai definitivamente ma in maniera progressiva.
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Originalmente inviato da Sgiombo
Citazione:
Originalmente inviato da z4nz4r0
Così, in senso lato, la diversità è esperienza; ma l'esperienza di 'governare' una grande complessità (l'esperienza di adattamento in un'ampia nicchia ecologica, adattamento ad un'ampia diversità, un ampio contesto), cioè la nostra comune esperienza, è un'esperienza altamente organizzata: è la flessibilità di una 'struttura' che in un certo senso potremmo dire 'emerge' da altre.
Quale “struttura”?

'Struttura' è un termine che mi serve per riferirmi ad una organizzazione*. Puoi usare 'organizzazione' in luogo di 'struttura' se preferisci (come anche puoi in ogni caso sostituire 'esperienza' con 'diversità').

*Prevengo la tua prossima domanda: organizzazione di che cosa? Della diversità parzialmente concepita (la diversità intesa come soggetta a sé stessa). In luogo di 'specificazione' e 'organizzazione' puoi usare anche 'specificazione' o 'organismo' (quest'ultimo nel senso lato di 'forma di complessità' quale può essere anche un cristallo come qualsiasi cosa immaginabile, non c'è un limite minimo di complessità.
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Originalmente inviato da Sgiombo
Citazione:
Originalmente inviato da z4nz4r0
Di solito quando parliamo di esperienza ci riferiamo a quest'ultimo senso specifico* , cioè l'esperienza di un organismo di una certa complessità e ci suonerebbe ridicolo parlare dell'esperienza di una pietra. Eppure come tra un organismo animale ed una pietra non c'è altra differenza rilevante che il grado di organizzazione/complessità, analogamente tra l'esperienza di un organismo animale e quella di una pietra non c'è altra differenza rilevante che il grado di organizzazione/complessità. Che sarà pure una grande differenza ma non è una differenza di sostanza: non c'è necessità di introdurre un dualismo metafisico (del tipo 'materia animata'-'materia inanimata', fisico-mentale, materia-spirito/psyché/anima...).
*Specifico nel senso proprio di caratteristico della nostra specie; ma non abbiamo difficoltà a riconoscere qualcosa di simile in altre specie animali. Sommariamente ci riferiamo a qualcosa che riguarda organismi di una certa complessità.
Come ho già scritto in questa discussione, ritengo ipotizzabile che anche a enti ed eventi diversi dagli animali dotati di sistema nervoso notevolmente complesso anatomicamente e funzionalmente, e dunque dal comportamento notevolmente complesso (nelle nostre coscienze umane) possa corrispondere “qualcosa” di fenomenico cosciente; tuttavia non saprei bene cosa si possa intendere con questo; e d’ altra parte non essendo possibile stabilire comunicazioni linguistiche con le pietre, trovo del tutto irrilevante sia praticamente che teoricamente ciò in cui potrebbe eventualmente consistere la “coscienza” delle pietre (e altri oggetti minerali e vegetali).
Ed è per questo che troviamo ridicolo parlare dell'esperienza di una pietra (o dell'esperienza di qualsiasi oggetto della nostra esperienza che non sia un 'organismo' di una certa complessità).
Ma io non ho proposto di parlarne, il mio argomento era volto a mostrare l'inconsistenza di un dualismo metafisico fenomeno-noumeno. Ai miei occhi non sei riuscito ad invalidarlo.


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Originalmente inviato da z4nz4r0
La diversità è irriducibile, è necessario ammetterla a priori.
Direi che la diversità (parzialmente concepita) si specifica attraverso l'evoluzione oggettivandosi/distinguendosi in oggetti/soggetti. Pensa ad un albero filogenetico e immagina di percorrerlo dall'alto verso il basso in cerca di un fondamento.
'Diversità' è un concetto assolutamente originale/semplice/generale/astratto/vago dal quale deriva ogni altro concetto come sua specificazione. In questo modo, nel suo specificarsi, prende forma e si struttura/organizza in distinti sistemi concettuali/cognitivi/percettivi.
Certo, 'diversità' è solo il termine che io ho scelto per riferirmi a questo concetto originale, ma non l'ho scelto a caso, l'ho scelto perché ritengo che si presti meglio di ogni altro a dare la più vaga indicazione. Puoi rileggere sostituendolo con 'unità' se ti è più familiare, ma nella mia esperienza quest'ultimo termine non si presta altrettanto bene e forse col tempo converrai con me.



Cercando di dare una vaga struttura al concetto generale e quindi alla più vaga intuizione raggiungibile; io la penso in questi termini che troverai sicuramente molto ostici:

'Diversità/esperienza' è l'implicito e irriudicibile fondamento di qualsiasi cosa si voglia parlare, un postulato minimo, un concetto assolutamente semplice/generale che si specifica in ogni distinzione/oggettivazione. Ogni organismo o forma di complessità rappresenta un modo di distinguere/oggettivare diversità, ed è a sua volta una specificazione della stessa.
Mi sembra che Aggressor ha già detto qualcosa di simile: la distinzione và di pari passo con l'esperienza e non può precederla.

Tre anni fa, in una discussione affine a questa si è parlato del concetto di 'oggetto'.
Il mio contributo si basava sull'osservazione che col termine 'oggetto' possiamo riferirci a qualsiasi nostra intuizione 'solida' o vaga.
In particolare penso che ai fini di questa discussione possa avere una qualche utilità questo mio intervento: https://www.riflessioni.it/forum/filo...tml#post231538

Non porrei mai la questione in termini di 'cose tali di per sé' tra le quali c'è differenza. Parlerei invece di una diversità oggettivata in 'cose'. Solo la diversità* è tale di per sè, è auto-oggettivazione, auto-specificazione (auto-oggettivante-si, auto-specificante-si).
Parzialmente concepita 'diversità' è il fondamento dell'evoluzione; quest'ultimo concetto ('evoluzione', che è già una primaria specificazione del concetto originale) rappresenta un nostro modo di intuirla (e, in quanto noi ne rappresentiamo un aspetto, infine è un modo in cui essa si mostra a sé stessa) e cioè come processo di auto-specificazione/auto-oggettivazione.
*Diversità o differenza o... (insomma questo concetto assolutamente generale al quale ci riferiamo con così tanti sinonimi nel tentativo di indicarne diverse, appunto, 'dimensioni' e sfumature)

Adattamento a che cosa? Adattamento alla diversità contestuale.
Adattamento di che cosa? Adattamento di una specificazione della diversità stessa.
Che cosa vuol dire adattamento? Vuol dire formazione in funzione del contesto.
Possiamo andare avanti all'infinito nell'analisi concettuale, ma dobbiamo tenere presente di un fatto essenziale: la funzione dei termini è esclusivamente quella di evocare intuizioni; queste sono gli elementi della comunicazione: non si comunica altro.
(Ora se applichi la tua attuale intuitiva pre-comprensione alla rilettura di questo argomento in maniera ricorsiva riuscirai ad ottenere una intuizione di volta in volta più fedele a quella vaga intuizione che cerco di condividere (comprenderai meglio)).


Il concetto di dimostrazione come da te inteso è proprio solo della logica classica (che è una raffinata costruzione concettuale) ma estraneo alla scienza come alla filosofia le quali si propongono di trovare descrizioni utili e suggestive e argomentazioni convincenti e persuasive, mai definitivamente ma in maniera progressiva.

'Struttura' è un termine che mi serve per riferirmi ad una organizzazione*. Puoi usare 'organizzazione' in luogo di 'struttura' se preferisci (come anche puoi in ogni caso sostituire 'esperienza' con 'diversità').

*Prevengo la tua prossima domanda: organizzazione di che cosa? Della diversità parzialmente concepita (la diversità intesa come soggetta a sé stessa). In luogo di 'specificazione' e 'organizzazione' puoi usare anche 'specificazione' o 'organismo' (quest'ultimo nel senso lato di 'forma di complessità' quale può essere anche un cristallo come qualsiasi cosa immaginabile, non c'è un limite minimo di complessità.

Ed è per questo che troviamo ridicolo parlare dell'esperienza di una pietra (o dell'esperienza di qualsiasi oggetto della nostra esperienza che non sia un 'organismo' di una certa complessità).
Ma io non ho proposto di parlarne, il mio argomento era volto a mostrare l'inconsistenza di un dualismo metafisico fenomeno-noumeno. Ai miei occhi non sei riuscito ad invalidarlo.


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Mi sembra ovvio che per pensare qualsiasi cosa, e dunque a maggior ragione per conoscere qualsiasi cosa sia necessario impiegare concetti i quali si definiscono relativamente gli uni agli altri, e dunque la diversità fra di essi è indispensabile al conoscere; e quindi anche inevitabilmente inerente a ciò che si conosce, intrinseca a tutto ciò che conosciamo:

“Omnis determinatio est negatio” (Spinioza).

Ma detto questo, sulla natura dell’ esperienza, del suo (eventuale) soggetto e dei suoi (eventuali) oggetti ne sappiamo come prima.

Ciò che direttamente si può sapere è “contenuto di esperienza” (per conoscere la quale è ovviamente necessario operare distinzioni; nel pensiero conoscente, che è esso stesso un contenuto di esperienza) . Se vi sia anche oltre a ciò un soggetto e degli oggetti dell’ esperienza sensibile stessa può essere ipotizzato ma non direttamente constatato, né dimostrato: tutto ciò che accade potrebbe essere anche benissimo costituito dai soli contenuti fenomenici dell’ esperienza (se e quando questa accade), "punto e basta".
Secondo me si può però facilmente dimostrare (anzi, rilevare che così é per definizione) che se un soggetto e degli oggetti dell’ esperienza fenomenica esistono (e se esistono anche mentre l’ esperienza fenomenica non è in atto, non si realizza; e se, almeno in parte, per quanto riguarda gli oggetti delle componenti materiali dell’ esperienza fenomenica stessa, si tratta delle "stesse cose" per tutti i soggetti, cioè sono intersoggettivi), allora essi (soggetto e oggetti dell' esperienza cosciente) non possono identificarsi con i suoi "contenuti fenomenici" (sarebbe autocontraddittorio affermarlo).

Se esistono si tratta di “cose in sé" affini al noumeno kantiano, non affatto conoscibili al modo dei fenomeni o contenuti di esperienza. Dunque se ne può parlare in termini ipotetici ed estremamente vaghi; ammesso che siano reali se ne può dire ben poco (fra questo poco che se esistono si può loro attribuire la diversità dai fenomeni e, nel loro proprio ambito, fra soggetto ed oggetti delle sensazioni fenomeniche; ma non credo -per quel poco, o forse nulla, che ne ho capito- che sia quello che intendi tu circa la “diversità oggettivata in cose”, e l' “auto-oggettivazione, auto-specificazione” -?-).


L’ affermazione che la logica classica (per quanto sia una raffinata costruzione concettuale) sia estranea alla scienza come alla filosofia (non: che filosofia e scienza impieghino oggigiorno strumenti di ragionamento e inferenza non limitati a quelli della logica classica, ovviamente) mi lascia semplicemente allibito (poco male, comunque!).

Non vedo proprio che cosa importi la (ovvia) elevata complessità dell’ organizzazione dei viventi (che possono ragionevolmente essere considerati, senza poterlo dimostrare) dotati di coscienza più o meno sofisticata circa il problema della natura dell’ esperienza cosciente stessa e dei suoi eventuali soggetti ed oggetti.

Che non sarei riuscito a convincerti non dubitavo affatto (e infatti l’ avevo già scritto in uno degli ultimi miei interventi).
sgiombo is offline  

 



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