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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 12-02-2014, 08.46.31   #1
jeangene
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Heidegger: l' essere e l' uomo

Salve a tutti,
recentemente ho deciso di avvicinarmi ad Heidegger e per farlo ho scelto il libro Introduzione ad Heidegger di Gianni Vattimo.
Il suo pensiero però é tanto interessante quanto complesso ed é per questo che ho deciso di chiedere il vostro aiuto per poterlo meglio comprendere.
In particolare vorrei analizzare con voi i seguenti brevi passaggi tratti dal testo (non é mia intenzione recare danno all’ autore, mi limiterò a riportare poche righe) che non riesco a comprendere fino in fondo:


[…]
"Solo in quanto l’ illuminazione dell’ essere accade, l’ essere si consegna all’ uomo. Ma che il ci (dell’ esserci), l’ illuminazione come verità dell’ essere, accada, questo è decreto dell’ essere stesso."
[…]
"Alla definizione dell’ esserci come progetto gettato, data in Essere e tempo, bisogna ora aggiungere la precisazione che chi “getta, nel progetto, non è l’ uomo, ma l’ essere stesso”."
[…]
"L’ essere in quanto “getta” il progetto gettato che è l’ uomo, e accade esso stesso nella misura in cui, in tale progetto, istituisce un’ apertura in cui l’ uomo entra in rapporto con sé stesso e con gli enti, li ordina in un mondo, li fa essere, cioè apparire nella presenza."
[…]


In questo passaggio sembrerebbe che l’ essere venga pensato come ciò che precede e fonda l’ uomo e gli enti.


[…]
"L’ essere si rapporta all’ uomo in quanto ne ha bisogno per accadere; e l’ accadere non è un accidente o una proprietà dell’ essere, è l ‘essere stesso. Né l’ uomo né l’ essere possono venir pensati come degli “in sé” che poi entrino in rapporto.
Diciamo troppo poco dell’ essere in se stesso quando, dicendo “l’ essere”, lasciamo fuori il suo essere presente all’ uomo, misconoscendo così che quest’ ultimo entra esso stesso a costituire l’ essere.
Diciamo troppo se intendiamo l’ essere come ciò che abbraccia in sé tutto e ci rappresentiamo l’ uomo soltanto come un ente particolare fra gli altri, ponendolo poi in rapporto con l’ essere."
[…]


In quest’ altro passaggio sembrerebbe invece che l’ essere e l’ uomo vengano pensati come complementari: l’ uno non è mai senza l’ altro.

Cosa significa questo? L’ uomo è “al di là” dell’ essere?
Queste affermazioni sembrano in contrasto con la concezione parmenidea dell’ essere dove tutto è essere, compresi l’ uomo e gli enti e l’ essere non si riduce a semplice modo di determinarsi (almeno, questa è la mia interpretazione).
L’ uomo può certamente essere pensato come progetto gettato nell’ apertura in cui l’ essere si rivela, accade, ma chi apre e getta è l’ essere.
Come si può allora pensare l’ uomo sullo stesso piano dell’ essere?

Un saluto.

Ultima modifica di jeangene : 12-02-2014 alle ore 10.40.02.
jeangene is offline  
Vecchio 12-02-2014, 12.48.49   #2
david strauss
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Riferimento: Heidegger: l' essere e l' uomo

Heidegger ne parlerà più avanti. "Il modo d'essere dell'esser-ci è l'esistenza".
Per Heidegger effettivamente l'uomo (l'esser-ci), come essente, si trova su di un piano sfalsato rispetto a quello dell'essere: l'essere è l'orizzonte sul quale è proiettata l'esistenza degli enti, e quindi anche dell'esser-ci.
È diverso dall'essere parmenideo, si, quest'ultimo è onnicomprensivo, mentre l'essere heideggeriano si ri-vela. Insomma l'essere di Heidegger gioca a nascondino, ora c'è, ora si nasconde alla vista (cfr. la metafora della Selva Nera). Ciò che io mi sentirei di dire ad Heidegger, è che anche in questa prospettiva, l'essere ha bisogno del "suo modo d'essere", cioè quello di gettare luce sugli enti, di far ri-velare gli enti proiettandoli sull'orizzonte della loro esistenza. In effetti, su Heidegger ci sarebbe molto da discutere.
david strauss is offline  
Vecchio 12-02-2014, 16.12.12   #3
Roquentin
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Riferimento: Heidegger: l' essere e l' uomo

"In questo passaggio sembrerebbe che l’ essere venga pensato come ciò che precede e fonda l’ uomo e gli enti"

Sul fondamento Heidegger parla chiaro distinguendosi dalla tradizione metafisica. Un fondamento è spesso limitante, poiché fondando impedisce all'effetto della causa di essere libero alla possibilità. Cioè che sia possibile non sia possibile se non entro i termini del fondamento.

Heidegger è un filosofo molto particolare, si pone in-dis-ponendosi in molte tradizioni pur non abitandone alcuna. Forse comprese meglio di altri che "abitare" coincide spesso con una sicurezza terribile verso il proprio tempo. Al punto che potremmo rileggere il titolo del suo capolavoro come "essere è tempo", dove la copula sta a significare una forma di ascolto paziente che ha molta cura nei confronti di un qualche Oriente sperduto. Il tempo dell'essere dell'esser-ci, questo è fondamentale, appartiene ad un tempo che vive una certa confidenza con l'essere. Heidegger dice che già siamo, già da sempre siamo, nell'essere. Ma la dice non con l'intenzione di un essere che fonda, che è fondamento, bensì con l'intento di promuovere un secondo piano dell'essere. Come se l'essere fosse tutta la possibilità che ha da a-venire. Per questo privilegia il piano dell'ascolto, come certe tradizioni antiche con cui era in confidenza.

Ti faccio un esempio semplice. Tu sai anche senza vederlo dove sta il tuo piede destro. Questa tua confidenza col tuo piede destro è un po' come la confidenza che hai con l'essere... è qualcosa che ci abita ancor prima di abitarla appieno. Heidegger parla di fidatezza, e spesso usa termini ancor più difficili, ma senza rischiare di banalizzarlo potremmo dire che noi viviamo una familiarità con l'essere. Ma l'essere in Heidegger non può essere fondamento, egli si sgancia dalla metafisica che interroga sul "cosa" e non sul "come".
Roquentin is offline  
Vecchio 12-02-2014, 18.13.56   #4
jeangene
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Riferimento: Heidegger: l' essere e l' uomo

Citazione:
Originalmente inviato da david strauss
Heidegger ne parlerà più avanti. "Il modo d'essere dell'esser-ci è l'esistenza".
Per Heidegger effettivamente l'uomo (l'esser-ci), come essente, si trova su di un piano sfalsato rispetto a quello dell'essere: l'essere è l'orizzonte sul quale è proiettata l'esistenza degli enti, e quindi anche dell'esser-ci.

È proprio questo il punto.
Leggendo il secondo passaggio sembra quasi che l’ essere abbia bisogno dell’ uomo per essere.
Non metto in dubbio che l’ essere abbia bisogno dell’ uomo per rivelarsi, per accadere, ma che l’ essere abbia bisogno dell’ uomo per essere mi pare un po’ eccessivo.

Il tuo intervento invece chiarisce che, per Heidegger, l' uomo e l' essere sono su piani sfalsati.
jeangene is offline  
Vecchio 13-02-2014, 03.10.07   #5
leibnicht
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Riferimento: Heidegger: l' essere e l' uomo

Ciò che non potrebbe mai risultare ad un lettore non smemorato e non-tedesco di lingua è il fatto seguente: l'indagine di Heidegger "nasce" da una questione sulla "domanda".
La questione sulla "domanda" cosa è? Torniamo alla KRV, nella Dialettica.
"Cosa posso sapere?" "Cosa debbo fare?" Cosa posso sperare?"
"CHI" o "COSA" sto interrogando nell'atto stesso di "porre" queste domande?
Ecco, la risposta di Heidegger è che vi sono un soggetto ed un oggetto che risultano intrinsecamente ineludibili al "fatto in sé" di porre tali questioni.
Ma Heidegger, intelligentemente, non ritiene che la "soggettività" e l'"oggettività" di questo fatto (cioè porre le questioni) siano "determinabili" assolutamente.
Questo vuol dire che l'oggettività e la soggettività che risiedono nei termini del "Domandare qualcosa a qualcuno" non possono essere prestabiliti una volta per tutte e per sempre.
Dunque la Ragione dialetticamente inscritta in tale "domandare" non può dialetticamente inscriversi nella domanda stessa.
L'intento di Heidegger esita dunque nell'ipotesi inerenziale: soggetto e oggetto ineriscono tra loro e la dialettica è sospesa.

In poche parole: l'esserci non è altro che la consapevolezza umana che interroga se stessa, e l'essere non è che l'"interrogato" della consapevolezza umana che interroga il Mondo, inteso come "altro da ciò che è l'interrogante" e che sottende, convitato di pietra, tra e oltre l'interrogato e l'interrogante.
Dove Heidegger perde se stesso è laddove pretende di recuperare la dialettica precedentemente "sospesa", in quell' "altro da ciò che è l'interrogante", sotto la specie di una progettualità.
Il tempo, insomma.
Ma il Tempo, die Zeit, lei è il vero convitato di pietra... Lei!! Non il Mondo.
leibnicht is offline  
Vecchio 13-02-2014, 05.13.58   #6
green&grey pocket
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Riferimento: Heidegger: l' essere e l' uomo

Citazione:
Originalmente inviato da david strauss
Ciò che io mi sentirei di dire ad Heidegger, è che anche in questa prospettiva, l'essere ha bisogno del "suo modo d'essere", cioè quello di gettare luce sugli enti, di far ri-velare gli enti proiettandoli sull'orizzonte della loro esistenza. In effetti, su Heidegger ci sarebbe molto da discutere.

beh parliamone... non ho capito bene se è una critica, o una costatazione.




in effetti Roquentin lo sciamanesimo di heidegger sta tutto in questa capacità di ascolto dell'essere che si rivela, nell'essere qui e ora per l'essere.

il tema della negazione della libertà non dovrebbe comparire in essere e tempo, ma è una conseguenza importante che deriviamo noi (f.volpi) e che lo contraddistingue dal predecessore tommaso d'aquino.

non ricordo più il tema della gettatezza invece quali aspetti prendeva, siamo sicuri che è l'essere a essere gettato? a me non torna.

non dovrebbe essere l'uomo quello gettato nel mondo?in questa gettatezza al massimo accade l'essere, ma non credo vi sia coincidenza tra essere e gettatezza.

se fosse così l'essere coinciderebbe con l'esserci, e invece l'essere si scorge alla radura dell'evento.
lo immagino come un balenio che si autorivela proprio perchè condivide il ci, il tempo (che poi è appunto lo spazio) dell'essere dell'ente.
è per questo che vi sono tre esseri, quello che viene da, quello che si rivela e che non può che essere che il "qui e ora ascoltato" e uno copula.

gli enti, l'essere copula, nella mia riflessione gli universali, la forma, sostano solo qui e ora, ma solo nell'esserci dell'uomo che non può che essere sempre risuchiatto gettato nello spazio-tempo.

dire che la gettatezza è quella dell'essere mi sembra una forzatura che non rende la sfumatura del continuum(vissuto spazio-temporale) del pensare umano.

credo che la fascinazione della gettatezza sia uno delle formule più riuscite di uscire dal canone della filosofia pure riamanendoci saldamente attaccato.

il punto a mio avviso è proprio questo iniezione di vacuum, che possa ridestare la pulsione di morte della filosofia.
la categorizzazione eccesiva del canone infatti farebbe dimenticare all'uomo la dimensione extratemporale che inspiegabilmente abita (altro termine caro all'heidegger) il pensiero umano.

nondimeno il secondo heidegger percorrerà fino in fondo questa via, rinunciando a questa fenomenologia, e percorrendo il nichilismo che abita il mondo (tentando di, i famosi segnavia).
non è una strada per tutti, gente come vattimo o come lo stesso volpi hanno rifiutato questa modo di filosofare non ritenendolo all'altezza di una filosofia più rigorosa e metodica. ( e non che quella di heidegger non lo sia, ma l'uso metaforico delle parole ha i suoi difetti)

ovviamente io adoro questo uomo.(anche se devo ancora leggerlo sistematicamente)....magari spinto da te jeangene! ciao!
green&grey pocket is offline  
Vecchio 13-02-2014, 08.44.03   #7
jeangene
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Riferimento: Heidegger: l' essere e l' uomo

Citazione:
Originalmente inviato da Roquentin
[...]

Grazie per il chiarimento, evidentemente ho mal interpretato le parole di Vattimo. L' essere, per Heidegger, non é fondamento, ma affermare che già da sempre siamo nell' essere non significa forse dire che, in qualche modo, l' essere precede (non in senso temporale) l' esser-ci?
jeangene is offline  
Vecchio 13-02-2014, 16.20.27   #8
maral
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Riferimento: Heidegger: l' essere e l' uomo

L'esserci è l'essere che trova dimora, che abita un mondo e un tempo, un qui e un'ora, dunque che accade. Per questo l'esserci è più dell'essere e per questo solo come esserci l'uomo può esistere. L'essere in quanto tale è negazione di questo abitare e gli fa da sfondo, da orizzonte indistinto in cui si mostra chiaro il morire di ogni essente, il non esserci più, ma proprio da questo morire in una dimensione in cui non è possibile abitare appare la necessità di un esserci stato e dunque di un esserci ancora, in attesa.
Difficile dunque capire cosa venga prima e cosa dopo, perché solo nell'immediato dell'esserci può situarsi un prima e un dopo.
maral is offline  
Vecchio 13-02-2014, 18.54.25   #9
david strauss
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Originalmente inviato da green&grey pocket
beh parliamone... non ho capito bene se è una critica, o una costatazione.

diciamo che lo sono entrambe, il problema di Heidegger è che (secondo me) ha voluto indagare sull'essere partendo dall'ente. Cioè ha commesso lo stesso errore che aveva evidenziato egli stesso nella storia della filosofia, ciò che egli chiama "l'oblio dell'essere", facendolo risalire addirittura all'ente di Aristotele.
Quando inizia la sua indagine ontologica, dice che per avvicinarsi alla comprensione del senso dell'essere in quanto essere, occorre necessariamente partire dalla nostra comprensione dell'essere dell'ente; questa premessa lo porta (ed è qui che ha sviato, per me) ad indagare "quell'ente che si pone la domanda sul senso dell'essere", cioè l'esser-ci, il Dasein. Da qui parte con tutte le sue deduzioni metafisiche sull'essere-nel-mondo, l'esser-gettato, il pro-getto, la Sorge, ecc.
Ma in questo modo, anch'egli ha commesso l'errore di pensare l'essere come semplice-presenza, finendo per identificarlo con il modo di esistenza degli enti.
e ma questo non è l'essere. Ciao
david strauss is offline  
Vecchio 14-02-2014, 02.51.10   #10
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L'esserci è l'essere che trova dimora, che abita un mondo e un tempo, un qui e un'ora, dunque che accade. Per questo l'esserci è più dell'essere e per questo solo come esserci l'uomo può esistere. L'essere in quanto tale è negazione di questo abitare e gli fa da sfondo, da orizzonte indistinto in cui si mostra chiaro il morire di ogni essente, il non esserci più, ma proprio da questo morire in una dimensione in cui non è possibile abitare appare la necessità di un esserci stato e dunque di un esserci ancora, in attesa.
Difficile dunque capire cosa venga prima e cosa dopo, perché solo nell'immediato dell'esserci può situarsi un prima e un dopo.


Mi sembra un errore grave, infatti siamo noi che dimoriano nell'essere.
Mi sembra che hai dipinto un Heidegger al contrario, tanto che l'essere va a finire che è inglobato nell'ente...un assurdo di logica elementare.



Citazione:
Originalmente inviato da david strauss
diciamo che lo sono entrambe, il problema di Heidegger è che (secondo me) ha voluto indagare sull'essere partendo dall'ente. Cioè ha commesso lo stesso errore che aveva evidenziato egli stesso nella storia della filosofia, ciò che egli chiama "l'oblio dell'essere", facendolo risalire addirittura all'ente di Aristotele.
Quando inizia la sua indagine ontologica, dice che per avvicinarsi alla comprensione del senso dell'essere in quanto essere, occorre necessariamente partire dalla nostra comprensione dell'essere dell'ente; questa premessa lo porta (ed è qui che ha sviato, per me) ad indagare "quell'ente che si pone la domanda sul senso dell'essere", cioè l'esser-ci, il Dasein. Da qui parte con tutte le sue deduzioni metafisiche sull'essere-nel-mondo, l'esser-gettato, il pro-getto, la Sorge, ecc.
Ma in questo modo, anch'egli ha commesso l'errore di pensare l'essere come semplice-presenza, finendo per identificarlo con il modo di esistenza degli enti.
e ma questo non è l'essere. Ciao


Questo che segnali, è uno dei fulcri di maggior critica degli anti-heideggeriani, la risposta dipende da molti fattori.
E comunque è una mal-interpretazione dell'intendimento heideggeriano, che è ben lungi dal volere una filosofia antimetafisica.

Io risolvo riassumendo così: l'uomo non può che partire dall'ente.
(non è una questione solo su Heidegger, ma di rilevanza generale.)
Fare il contrario rischia sempre di rendere dogmatiche le cose.

Infatti l'uomo abita sempre nel linguaggio, e il linguaggio in fin dei conti deve formalizzarsi, producendo a sua volta il segno.
Per Heidegger e la filosofia più evoluta che abbraccia anche la poesia e la mistica indubbiamente c'è nel linguaggio qualcosa che esula dalla sua forma, qualcosa legato al suono.
Facendo i dovuti paragoni con gli enti la via fenomenologica del primo Heidegger tenta di fare la stessa cosa:di creare una via che esula dal già dato.

L'ente per Heidegger ricordiamoci è sempre fenomeno.
Non credo si possa liquidare tanto facilmente assumendolo come qualcosa di già dato (appunto di aristotelico).

Mi rendo conto d'altronde che le urgenze teoriche contemporanee (politiche?) richiedo più attenzione su altro. E in questo senso anche le critiche, figlie della cattiva comunicazione, fanno parte di una reazione a quelle urgenze.
D'altronde lo stesso Heidigger sospese quel cammino, lasciandolo ai posteri (futuro remoto?), per occuparsi dell'uomo.
Ma sospendere non vuol dire contraddirsi.(anticipo altre critiche che sento in giro)
green&grey pocket is offline  

 



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