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Vecchio 23-06-2014, 18.52.11   #81
giulioarretino
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Riferimento: Gnoseologia

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Originalmente inviato da Davide M.
Mah, anche se affermi di voler seguire una logica di tipo formale, non ho capito in cosa consiste la tua dimostrazione. Enunci tre postulati (che chiami indubitabili):
- esiste il cogito

- esiste una realtà percepita dal cogito che non si identifica col cogito

- questa realtà è effettivamente (ontologicamente) tale.

Poi da questi tre indubitabili deduci la "parcellizzazione fondamentale", cioè la non perfetta identità tra il cogito (l'io penso) e la realtà.
Poi da questa "parcellizzazione fondamentale", desumi che non ci sarebbe alcun motivo per il quale dubitare di ulteriori parcellizzazioni ontologiche, cioè ulteriori non perfette identità fra realtà esterne al cogito.
Ma con i tre indubitabili, non dimostri ulteriori parcellizzazioni ontologiche, perché dimostri solo la non (perfetta) identità tra un'attività pensante e l'oggetto pensato, ma un pluralismo ontologico puoi giustificarlo solo dimostrando una non (perfetta) identità tra oggetto pensato e oggetto pensato, e per fare ciò devi rimanere sempre all'interno di un'attività pensante, per tre motivi, primo perché sei partito da un'attività pensante, dalla certezza (indubitabile, postulata) della sua esistenza, secondo perché dalla sua esistenza hai dedotto l'esistenza di un'altra realtà da quella diversa (non perfettamente identica) e terzo perché dovresti dimostrare come una realtà, che non sia attività pensante, non si identifichi con un'altra realtà, che sia o meno attività pensante, e tutto questo al di fuori di un'attività pensante che hai postulato come certamente esistente.
Rimani sempre all'interno di un dualismo gnoseologico.

uso una logica di tipo formale nel senso che, per esempio, tra due ipotesi opposte l'una sarà vera e l'una sarà falsa (anche se non so quale)... usando una logica di tipo diverso, per esempio la logica fuzzy, potrei attribuire diversi gradi di verità alle medesime ipotesi. Eccetera. Principio di non contraddizione e via discorrendo.
Potrei anche usare una logica diversa, o non usare affatto una logica, e dire le stesse cose, ma è più comodo così.

Ma non è che procedo per deduzioni e dimostrazioni.
Io non deduco affatto dai 3 indubitabili che la realtà sia parcellizata o altro. Ipotizzo. Intuisco, al più.
Se per te le realtà non è parcellizata, ok, non voglio certo dimostrare o dedurre il contrario.
Semplicemente, credo che sia uno dei requisiti necessari, uno dei "presupposti" affinché si possa dire qualcosa di sensato e con valenza ontologica, sulle cose.


Il qui pro quo è pensare che io deduca A da B. Non è così.
Io da A (indubitabile assoluto) passo a B (indubitabile meno assoluto) dopo aver escluso C, non perché C sia illogico o impossibile, ma perché scegliere C va contro l'intuito fondamentale e porta a concezioni della realtà indimostrabili, vagamente deliranti quando non sono totalmente inconcepibili.


Se nego che esiste qualcosa, qualsiasi cosa, perfino colui che fa intuisce/afferma tale assunto -> fine della gnoseologia tout court. Nulla esiste, cosa vorrai mai venire a dirmi sul Nulla assoluto?

Se nego che esiste qualcosa di diverso e indipendente dal Soggetto -> fine della gnoseologia sensata, comunicabile. Esisti solo tu, una specie super Io sadomaso, divertiti.

Se nego che quel qualcosa di diverso e indipendente dal Soggetto sia ontologicamente parcellizzato -> fine della gnoseologia con valenza ontologica, e dunque critica, utile. Qualunque cosa si dica/si conosca delle cose diventa puro arbitrio, convenzione, illusione. Dire che E=mc2 non è diverso da dire che ieri ho visto Pegaso suonare le pesche in cima al mare.
Tutto lo scibile umano viene ridotto a pura illusione, e tutti i discorsi seriosi intorno alle cose una finzione senza pretese.

Dunque, se vogliamo poter dire di conoscere
1. qualcosa
2. qualcosa di concepibile e comunicabile
3. qualcosa che non sia solo un mare di cavolate indimostrabili e inconfutabili
queste sono le basi imprescindibili.


A questo punto, date queste basi (fideisticamente - o intuitivamente - accettate), si può iniziare a indagare seriamente del rapporto Soggetto Oggetto, tra mente e corpo, del principio di indeterminazione, del problema del limite e della vaghezza ontologica, del noumeno, della scienza, eccetera.
giulioarretino is offline  
Vecchio 28-06-2014, 14.23.08   #82
green&grey pocket
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Originalmente inviato da Aggressor
1 Potrei porre sotto gli occhi d'un bambino una mela e dire: "una mela", poi una pera e dire: "una pera", dopodiché una sedia ecc.. in questo modo il bambino impererà l'uso di quel termine in quanto, soprattutto, processo efficace nella società, e lentamente imparerà anche ad astrarlo sempre più dai casi particolari. Ma quanto questa astrazione sarà totale?
Mi sto rifacendo un po al modo di Wittenstein di intendere il linguaggio e i suoi concetti. Ma è mio interesse capire fin quanto una spiegazione del genere possa reggere; per ora quindi cerco di difendere questa tesi diversa dal sistema categoriale kantiano.

2 Non so se posso essere etichettato come mentalista, cosa intendi esattamente con questo termine?


3) Preferisco la via filosofica a quella scientifica ammesso che vi sia una netta distinzione tra le due cose, ma mi piace integrare.


1) si ma quando parli di un terzo di mela, dove lo trovi in natura?
il fatto che l'uomo la tagli in 3, è perchè ha il concetto di 3 in testa.
guarda i ragni. costruiscono figure geometriche straordinarie, ma fanno solo quello, possiamo ipotizzare che geneticamente hanno una loro matematica.
non si tratta tanto di empirismo spiccio. Quanto di formalismo dall'alto kantiano.
Per intenderci, mentre leggevo il saggio su kantor che uscì un anno fa col corriere della sera, ho scoperto che esistono matematici che ritengono i numeri non interi e quindi concepibili in natura, assolutamente irreali e privi di ogni fondamento.
Diciamo che sei un uomo ottocentesco! ecco tenendo conto di quello che ha fatto cantor, ossia dimostrare l'esistenza della cardinalità infinita...non immagino in quali difficoltà ti ritroveresti! (per inciso chissà quale cantor ho capito, conosco i miei limiti, e sono notevoli )

2) mentalista è colui che ritiene che il mondo si costituisca come informazione cibernetica delle relazioni neurofisiologiche, ossia un mix del vecchio cartesianesimo, l'uomo come macchina, e delle teorie formali dai giochi linguistici in giù. kantismo o platonsimo assoluto se vogliamo. Solipsismo anche, ne abbiamo dibattuto migliaia di volte.(beh forse un pò di meno).
quello che mi chiedo è come si fa a dimenticare la percezione, l'idea di infinito, e persino la storia (appunto la morte).
il percepito non può essere un contenuto dell'intuito dato come informazione e perciò oggetto conosciuto...è assurdo!
ognuno di noi ha percezioni diverse, l'idea che si possano misurare, non da conto del'inconscio, dell'aspetto emotivo, e l'emozione non si calcola mai.
(per non parlare dell'evento....come dice uno scrittore, lo scienziato può dirmi come cade la mela, ma non può dirmi cosa succede tra 10 minuti, mentre la letteratura è in grado di esprimere l'angoscia che ci separa da quei 10 minuti).
(nonostante i tentativi fatti...persino il pessimo damasio su questo tema, ha provato a fare chiarezza, combinando più danni che altro a dire il vero....però va da sè, la distinzione l'ha posta.E' già un primo passo)


3) niente di male se integri! ma se mixi...io non ci sto! intendo il mix è da dimostrare, non intendo quindi "non ci sto" in assoluto.
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Vecchio 28-06-2014, 14.51.19   #83
green&grey pocket
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Originalmente inviato da giulioarretino
1 però la logica/metodo alla base di gran parte delle correnti filosofiche è lo stesso, ma spesso tali correnti pervengono a soluzioni diametralmente opposte.
Da medesimi assiomi e presupposti, a attraverso lo stesso metodo, si può giungere a conclusioni completamente diverse, o non essere capaci di discriminare efficacemente tra le varie ipotesi, alternative, paradossi o dubbi che si presentano lungo il percorso.

Se arrivasse una corrente filosofica che superasse questo problema, diventerebbe seduta stante "La" corrente filosofica, e acquisterebbe nel panorama conoscitivo uno "status" simile a quello della Scienza, se non addirittura superiore.

Quindi non vedo un grande problema per cui la logica di due soluzione contrapposte è la medesima. E' una caratteristica di tutti i grandi problemi filosofici e non solo. Bisogna operare un salto di fede, una scelta, senza che logica o evidenze empiriche possano fungere da discriminanti.
Quando va bene ci sono solo indizi e/o istinti/intuizioni primordiali senza evidenze contrarie, altre volte neppure quelli.




2) ok, proviamo a chiarificare il procedimento. La domanda è la più generale possibile: cosa possiamo sapere sulle cose?
1. il punto di partenza da me scelto sono le intuizioni indubitabili o comunque le si voglia chiamare. Intuizioni/percezioni così profonde che ci appaiono come manifestamente vere, e che se messe in dubbio portano all'inconcepibilità, all'incomunicabilità, all'assenza di senso nella weltanschaaung che ne deriva (quindi non necessariamente come weltanschaaung "falsa". Semplicemente, inconcepibile, e/o inutilizzabile, e/o incomunicabile. In altre parole, un vicolo cieco gnoseologico, l'ammissione di non poter sapere nulla sulla cose).
2. "opero", "ragiono", procedo e soprattutto comunico attraverso la logica classica e i suoi principi. In linea di teorica forse potrei operare e procedere anche in modo diverso (per esempio, attraverso una combinazione tra la pittura espressionista, la musica sacra del 1600 e viaggi psicheledici tramite sostanza stupefacenti) e arrivare alle stesse identiche conclusioni, ma avrei grosse difficoltà a comunicare tutto ciò su un forum.


Bene, cominciamo.
1. Il primo indubitabile è che qualcosa esiste, e consiste quantomenonel cogito, nell'attività dell'Io penso cosciente. Pena la fine di ogni discorso su qualunque cosa.
2. Il secondo indubitabile è che la realtà intuita/percepita dal cogito non si identifica completamente (non serve ipotizzare un dualismo netto di stampo cartesiano: è sufficiente negare la perfetta identità) nel cogito stesso. Pena la fine di ogni discorso sensato e utile sulla realtà (salvo forse discorsi puramente introspettivi, sull'autocoscienza)
2.bis (corollario): realtà "esterna" e cogito possono in qualche misura rapportarsi reciprocamente
3. Terzo indubitabile è che la realtà, che è intuita/percepita come formata da oggetti diversi, sia effettivamente (ontologicamente) tale, e che dunque le parcellizzazioni/tassellizzazioni/coaguli della realtà che percepiamo non sono necessariamente e totalmente convenzionali, illusori, arbitrari (pur con tutti i problemi dell'indeterminatezza, del limite, del rapporto tra Soggetto e Oggetto). Pena la fine di ogni discorso con pretese ontologiche che vada al di là dell'affermazione contraria (ovvero che io percepisco la realtà nel modo X, ma so bene che trattasi di mere illusioni frutto della mia mente e che al di là c'è un Tutto monolitico, sempre identico a sé stesso)

Prendiamo questi tre indubitabili come assiomi non ulteriormente discutibili.
Esiste un Soggetto e degli Oggetti, porzioni di una realtà ontologicamente plurale, che possono entrare in rapporto tra loro.
Il rapporto Soggetto-Oggetto si declina (configura) poi grosso modo nel modo che ho espresso nella discussione con sgiombo. Che poi in sostanza si traduce nella visione del mondo scientifica; non quella scientista ma quella "consapevole" dei propri limiti, del realismo "debole" diciamo.

Possiamo dunque conoscere le cose, ma non nella loro completezza/noumeno (sempre nell'accezione specificata), e solo a partire dal nostro punto di vista


3) Direi quindi che non arrivo (e neppure voglio) dimostrare nulla in campo ontologico, ma solo a stabilire come dovrebbe essere ontologicamente la realtà (quali dovrebbero essere le condizioni/caratteristiche ontologiche della realtà) se si vuole pretendere di sapere/dire qualcosa di concepibile/sensato su di essa.




sicuramente in me vige un sincero desiderio di confronto e curiosità.

4) quindi sì, se mi illustrassi come procedere (o come poter procedere, o come procederesti), ed eventuali alternative, sarebbe assai gradito!



1) sì hai ragione mi hai convinto, rimane il fatto che potremmo domandarci il perchè di questa singolare coincidenza.


2) se una cosa è indubitabile e quindi autoevidente, non capisco quale sia la discussione.


3)qui la questione si aggrava ancor di più: se non si pretende di dimostrare, ma solo stabilire, la domanda è chi stabilisce cosa.
Non è abbastanza chiaro che sei tu? Il come dovrebbe essere diventa come "io ha bisogno che sia".


(probabilmente è un rifiuto con annessa rimozione lacananiana di significato).
E infatti non sarebbe come dire che questa stabilità è frutto di una "non stabilità"(la parcellizzazione della realtà) ?
è sempre il martello della strega a parlare...il padre prende il posto del significante, come se fosse una cosa sicura, e infatti il tuo è solo un discorso(guarda caso ritenuto sicuro), ma il significato sotteso e rimosso è che questo significante non significa nulla, in quanto il significato è pluralismo, madre, terra etc....


4) mi sembra chiaro che il mio consiglio riguardi il lavoro di comparazione nel punto 1) e di dimostrazione nel punto 3), il punto 2) possiama anche tenerlo.

Nella mia ipotesi non ci ho ancora pensato bene dovrebbe venir fuori che per dimostrare ho bisogno di fare un paragone tra il monismo e il pluralismo.
Per isolare (semanticamente dimostrandolo quindi, e non in media res come fa la maggior parte degli studiosi) il valore che non conosciamo X che ci permetta di dividere le 2 filosofie.

Da quel X possiamo dare poi in pasto quale sia il significato(il valore) a quel mostro che sia chiama Padre (e che poi è la scienza).

sulla rimozione invece fidati bisogna proprio cambiare sistema, ma appunto come mi dice sempre Sgiombo, non posso sostituirmi a quello che una persona pensa e sente. (le mie sono comunque congetture, mi sembra ovvio, però qui è meglio ricordarlo!)


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Vecchio 29-06-2014, 20.06.21   #84
giulioarretino
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Originalmente inviato da green&grey pocket
1) sì hai ragione mi hai convinto, rimane il fatto che potremmo domandarci il perchè di questa singolare coincidenza.


2) se una cosa è indubitabile e quindi autoevidente, non capisco quale sia la discussione.


3)qui la questione si aggrava ancor di più: se non si pretende di dimostrare, ma solo stabilire, la domanda è chi stabilisce cosa.
Non è abbastanza chiaro che sei tu? Il come dovrebbe essere diventa come "io ha bisogno che sia".


(probabilmente è un rifiuto con annessa rimozione lacananiana di significato).
E infatti non sarebbe come dire che questa stabilità è frutto di una "non stabilità"(la parcellizzazione della realtà) ?
è sempre il martello della strega a parlare...il padre prende il posto del significante, come se fosse una cosa sicura, e infatti il tuo è solo un discorso(guarda caso ritenuto sicuro), ma il significato sotteso e rimosso è che questo significante non significa nulla, in quanto il significato è pluralismo, madre, terra etc....


4) mi sembra chiaro che il mio consiglio riguardi il lavoro di comparazione nel punto 1) e di dimostrazione nel punto 3), il punto 2) possiama anche tenerlo.

Nella mia ipotesi non ci ho ancora pensato bene dovrebbe venir fuori che per dimostrare ho bisogno di fare un paragone tra il monismo e il pluralismo.
Per isolare (semanticamente dimostrandolo quindi, e non in media res come fa la maggior parte degli studiosi) il valore che non conosciamo X che ci permetta di dividere le 2 filosofie.

Da quel X possiamo dare poi in pasto quale sia il significato(il valore) a quel mostro che sia chiama Padre (e che poi è la scienza).

sulla rimozione invece fidati bisogna proprio cambiare sistema, ma appunto come mi dice sempre Sgiombo, non posso sostituirmi a quello che una persona pensa e sente. (le mie sono comunque congetture, mi sembra ovvio, però qui è meglio ricordarlo!)





1. possiamo domandarci il perché, ma probabilmente se riuscissimo a trovare una risposta verrebbero tenuto corsi monografici su di noi nelle facoltà di filosofia di tutto il mondo

2. però non direi che è indubitabile in questo senso. E'sicuramente e profondamente intuitiva, ma si può tranquillamente dubitarne ed elaborare una teoria alternativa perfettamente logica (seppur contro-intuitiva e gnoseologicamente).
E' indubitabile nel senso che probabilmente non vale davvero la pena metterla in dubbio, o meglio perseverare nel dubbio.

3. non ho ben capito queste metafore, devo confessarlo. Comunque, perché dovrei voler dimostrare qualcosa? Io faccio delle ipotesi che non hanno la pretesa di essere necessariamente vere. E le sottopongo ad altri soggetti sotto forma di discorso (con tutte le caratteristiche linguistico-logico-grammaticali che un discorso scritto tendenzialmente deve avere. Potrei usare metodi e mezzi diversi se potessi o volessi, ma qui e ora non posso) sperando di ricevere spunti/critiche/conferme/alternative. Tutto qui.
La dialettica e il confronto secondo me dovrebbero essere preliminari (o parallela) all'elaborazione di una teoria sistematica. Solo dopo aver sentito "molte campane" si può procedere

3bis. sul come le cose realmente sono vs come ho bisogno che siano le cose. E' esattamente quello che sto dicendo. Per poter dire qualcosa di sensato e ontologico su come sono realmente le cose, abbiamo bisogno che esse abbiano determinate caratteristiche indimostrabili (esistere, essere in minima parte diverse e indipendenti dal soggetto che le conosce, essere in minima parte diverse le une dalle altre). Ma (ed è questo il punto) questo non significa che tali caratteristiche siano un costrutto, una convenzione. Anzi. Non ci sono evidenze logiche o indizi empirici o intuizioni che facciano pensare il contrario.
Quindi perché non assumere (affermare, ipotizzare, scegliere di credere) che le cose stiano effettivamente così?

4. io intendo il monismo come la descrizione della realtà come caratterizzata da un intrinseca indifferenza . Ogni differenza da noi conosciuta/esperita/concepita = mera apparenza, illusione, convenzione elaborata dal (o indotta nel) Soggetto ***.
Potremmo anche vederla forse sotto un altro profilo, ovvero quella del riduzionismo ontologico (ontologico, non causale, attenzione) estremo.
In una tale realtà, la conoscenza di come le cose realmente sono ci è preclusa (o meglio: lo sappiamo benissimo, basta dire che tutto è uguale a sè stesso e il resto è illusione... peccato che l'illusione sia la condizione in cui viviamo e che vorremmo spiegare/dare un senso)
Viceversa pluarismo come la descrizione della realtà come caratterizza dalla differenza intrinseca. Ogni differenza da noi conosciuta/esperita/concepita è potenzialmente reale, ontologica (c'è spazio ovviamente anche per la convenzione e l'illusione, ovviamente, ma questa non è totalizzante)
In una tale realtà, la conoscenza di come le cose realmente sono non ci è totalmente preclusa, quantomeno nel senso di cui si è discusso con Sgiombo; ovvero, pur ammettendo un aspetto noumenico, e dunque inconoscibile delle cose, la loro apparenza fenomenica, sia pur soggettiva e incompleta, può comunque essere indice (indizio, riflesso?) di una differenza intrinseca tra le cose (in quanto quel coagulo di realtà c.d. montagna mi appare come montagna e non come luna) e dunque di diverse caratteristiche intrinseche delle cose.




*** tra le altre cose, andrebbe spiegato come e perché mai c'è questo Soggetto - o Soggetti se si ammettano gli altri Io - così "speciale" e diverso. Soggetto la cui esistenza e minima differenza rispetto alla realtà abbiamo dato per "indubitabile", e che dunque sembra presentare caratteristiche diverse rispetto al resto dalle realtà (in cui invece ogni differenza è pura illusione). E' uno dei problemi in cui incorre il monismo ontologico.
giulioarretino is offline  
Vecchio 30-06-2014, 10.09.31   #85
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1) si ma quando parli di un terzo di mela, dove lo trovi in natura?
il fatto che l'uomo la tagli in 3, è perchè ha il concetto di 3 in testa.
guarda i ragni. costruiscono figure geometriche straordinarie, ma fanno solo quello, possiamo ipotizzare che geneticamente hanno una loro matematica.
non si tratta tanto di empirismo spiccio. Quanto di formalismo dall'alto kantiano.
Per intenderci, mentre leggevo il saggio su kantor che uscì un anno fa col corriere della sera, ho scoperto che esistono matematici che ritengono i numeri non interi e quindi concepibili in natura, assolutamente irreali e privi di ogni fondamento.
Diciamo che sei un uomo ottocentesco! ecco tenendo conto di quello che ha fatto cantor, ossia dimostrare l'esistenza della cardinalità infinita...non immagino in quali difficoltà ti ritroveresti! (per inciso chissà quale cantor ho capito, conosco i miei limiti, e sono notevoli )


Ci tengo a sottolineare che non condivido l'idea di questi matematici che credono di poter buttare nel cestino un pezzo fondamentale della loro disciplina, sebbene abbia spesso ragionato sul contenuto dei suoi concetti. Però ti dirò che questi concetti della matematica, più che ipostatizzati, vanno analizzati per capirne il reale senso. Ho avuto anche io delle discussioni con bravi matematici e loro hanno creduto di potermi convincere che lo "zero" sarebbe la stessa cosa del non-essere filosofico; e poi, dato che lo "zero" è utilizzato con successo in matematica, che il non-essere è possibile (si dovrebbe almeno discutere, invece, di queste cose e non ridurle così semplicisticamente). Oppure mi è stato detto che la matematica ammette l'esistenza di infiniti più grandi di altri. Continuando a chiedergli che volesse dire una cosa del genere, evidenziando alcune contraddizioni, e parlando con più persone del campo, mi è stato, infine, detto, che quella asserzione <<esistono infiniti più grandi di altri>> probabilmente va intesa non nel modo in cui si associano quelle parole nel linguaggio comune, ma nel modo in cui rientra nella teoria matematica degli insiemi all'interno della quale assume un certo specifico significato (ma su questo ho avuto opinioni diverse).

Insomma, qui la questione si fa complicata e la mia lettura è che la matematica funziona (quando funziona; perché comunque ci sono delle cose incomplete e non è detto che modificando certi significati si risolvano più facilmente); ma si deve fare attenzione a trasportare concetti che hanno senso all'interno di una struttura integrata al di fuori di essa, rendendoli universali e forse kantianamente necessari all'intelletto ecc.

Per quanto riguarda il ragno, dubito che esso abbia un idea di cosa siano i numeri nel modo in cui li intendiamo noi, e tuttavia esso fa uso di strutture ordinate e geometriche, il che mi pare dimostri appunto (se la cosa dimostra davvero qualcosa) che si può far uso della matematica e dei numeri senza doverli astrarre fortemente dall'empirico.

La mela può essere tagliata in 3 parti anche da un uomo di neandertal privo di conoscenze matematiche nel modo da noi inteso (questo mio ricorrerre alla specificazione <<matematica come intesa da noi>> vuole proprio sottolineare il fatto che essa trova senso innanzitutto nell'empirico ed assume un certo significato a seconda del modi in cui ci si rapporta ad esso, cioè il modo in cui noi la concepiamo non è quello necessario a tutti quelli che ne fanno uso, ma solo il modo in cui si è andato determinando in noi; sicuramente il modo più "avanzato", "complesso", e universalizzabile, probabilmente).



green&grey pocket:
2) mentalista è colui che ritiene che il mondo si costituisca come informazione cibernetica delle relazioni neurofisiologiche, ossia un mix del vecchio cartesianesimo, l'uomo come macchina, e delle teorie formali dai giochi linguistici in giù. kantismo o platonsimo assoluto se vogliamo. Solipsismo anche, ne abbiamo dibattuto migliaia di volte.(beh forse un pò di meno).
quello che mi chiedo è come si fa a dimenticare la percezione, l'idea di infinito, e persino la storia (appunto la morte).
il percepito non può essere un contenuto dell'intuito dato come informazione e perciò oggetto conosciuto...è assurdo!
ognuno di noi ha percezioni diverse, l'idea che si possano misurare, non da conto del'inconscio, dell'aspetto emotivo, e l'emozione non si calcola mai.
(per non parlare dell'evento....come dice uno scrittore, lo scienziato può dirmi come cade la mela, ma non può dirmi cosa succede tra 10 minuti, mentre la letteratura è in grado di esprimere l'angoscia che ci separa da quei 10 minuti).
(nonostante i tentativi fatti...persino il pessimo damasio su questo tema, ha provato a fare chiarezza, combinando più danni che altro a dire il vero....però va da sè, la distinzione l'ha posta.E' già un primo passo)


Posso capire quello che non ti piace del mentalismo, ma posso assicurarti che io non lo sono; innanzitutto perché pongo la coscienza in quanto data soggettivamente al di sopra di qualunque cosa. Per me la realtà è costituita dalle coscienze e dai loro contenuti che per me possono influenzarsi come si dice che la materia influenza altra materia. Per quanto riguarda la misurabilità, essa non può riguardare l'intensità di una emozione, ma può cercare di riguardare la quantità di stati possibili che un soggetto può assumere (nel caso dell'uomo direi che sono più o meno infiniti comunque, però volendo analizzare la cosa analiticamente -che per me vuol dire anche riduttivamente/approssimativamente- su altri oggetti semplici si può tentare un approccio). A me interessa questo lato scientifico della questione perché è possibile che abbia tra le mani una teoria capace di dimostrare scientificamente (con tutto ciò di ambiguo che esiste nella "dimostrazione scientifica", ma con tutta la potenza di convincimento che è capace di creare) che il mondo materiale esiste solo nelle nostre teste e nelle teste degli altri enti "complessi e integrati" presenti nell'universo (pressoché ogni porzione di spazio-tempo delimitabile, apparte, probabilmente, porzioni di spazio che contengano solo particelle elementari separate, per definizione indivisibili cioè non complesse né, in sé, integrate=> ed anche qui non voglio escludere a livello assoluto che il Modello Standard descriva veramente la realtà, ma lo prendo per quello che è: il modello scientifico di successo del momento).




giulioarretino:
Viceversa pluarismo come la descrizione della realtà come caratterizza dalla differenza intrinseca. Ogni differenza da noi conosciuta/esperita/concepita è potenzialmente reale, ontologica (c'è spazio ovviamente anche per la convenzione e l'illusione, ovviamente, ma questa non è totalizzante)
In una tale realtà, la conoscenza di come le cose realmente sono non ci è totalmente preclusa, quantomeno nel senso di cui si è discusso con Sgiombo; ovvero, pur ammettendo un aspetto noumenico, e dunque inconoscibile delle cose, la loro apparenza fenomenica, sia pur soggettiva e incompleta, può comunque essere indice (indizio, riflesso?) di una differenza intrinseca tra le cose (in quanto quel coagulo di realtà c.d. montagna mi appare come montagna e non come luna) e dunque di diverse caratteristiche intrinseche delle cose.


Nonostante io creda, come ho anche scritto, nell'esistenza di vari Io (che comunque ritengo una buona approssimazione della "verità"; ma i problemi risiedono più nel linguaggio che nell'ontologia), devo dire di non credere né all'esistenza di caratteristiche intrinseche nelle cose (per ciò che con questo si intende comunemente), né nella parcellizzazione della realtà. Non voglio però dire che la realtà non sia diversificata, semplicemente non ascirvo la differenza formale tra le cose alla loro differenza nell'essere. Se è vero che abbiamo un idea di cosa sia l'essere e cosa siano le proprietà delle cose (e se ne parliamo una qualche blanda idea ne dobbiamo avere, almeno per capire che sono cose diverse), allora dovrai ammettere che non c'è nessun motitvo <<evidente>> per affermare che una differenza formale tra 2 cose implichi una differenza del loro essere (le cose le distnguiamo per la forma non per l'essere). Quantunque vorrai dire che l'essere delle cose è la forma allora non dovrai più dire che 2 oggetti non sono lo stesso oggetto ma forse dovresti dire che l'oggetto si diversifica o si pone diversamente.
Con questo breve discorso (che potrei unire a cose che però ho già scritto prima in altri post di questa discussione) volevo cercare di farti avvicinare ad un monismo sensato, che non vuol dire "indifferenziabilità", "staticità", ma almeno identità nell'essere.
Inoltre, sebbene sia possibile distinguere gli oggetti, qualsiasi distinzione analitica che possiamo fare sarà una approssimazione che di fatto sfocierebbe nell'entanglement quantistico, ma anche a livello di percezione soggettiva solo fino ad un certo punto potrò dire che stiamo esperendo cose diverse; perché più mi sei vicino, più le nostre sensazioni potrebbero somigliarsi e così in parte sovrapporsi ed identificarsi. Insomma la differenza tra le "cose" c'è, ma non credo sia assoluta, infatti non credo possa applicarsi all'essere delle cose stesse. Credo piuttosto in un modificarsi/diversificarsi/definirsi dell'essere se proprio devo parlare di una cosa del genere, ma non nel fatto che esistono diversi esseri con loro intrinseche proprietà (mi pare che le proprietà delle cose siano sempre soggette ai sistemi di riferimento e così inapplicabili agli enti in sé, cioè al di fuori di contesti di riferimento).


Ultima modifica di Aggressor : 30-06-2014 alle ore 15.59.42.
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Vecchio 30-06-2014, 15.18.38   #86
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Riferimento: Gnoseologia

Molto interessanti le tue considerazioni. Interessanti perché, in fondo, fai un discorso profondamente costruttivista anche se poi, ti rifiuti di accettarne le conclusioni. Il nucleo centrale del tuo discorso, sono le "distinzioni". Già il "distinguere" tra una "Realtà" (Qualcosa) e un "Io Penso" (Soggetto) è un atto cognitivo che prevede l'uso di costrutti mentali che, come dei raggi laser, tagliano fettine dell'universo isolandole dal tutto e facendole emergere dal dominio sul quale tu operi tale "distinzione". Qualcosa là fuori, perturba la tua organizzazione autopoietica e innesca una serie di conseguenze interne che noi chiamiamo "costruzioni". La tua unica "Realtà", sono le tue "costruzioni" frutto della perturbazione della tua organizzazione.
Non c'è identità tra Soggetto e Realtà se e solo se tu "costruisci" questi due eventi come "separati". Come sai, in altre "costruzioni", questa separazione non esiste e "funzionano" perfettamente. La "parcellizzazione" è una tua produzione, un tuo "costrutto". Non è qualcosa che sta là da qualche parte, fuori di te e oltre i tuoi processi cognitivi di "distinzione". Dici bene: gli "eventi" potrebbero essere illusori, frutto di "distinzioni mentali". Attenzione però, quando hai posto una distinzione, questa diventa "vera" e produce delle conseguenze. Se distinguo un uomo bianco da uno nero sulla base del colore della pelle e poi distinguo e associo all'uomo nero l'idea che quell'uomo non è un uomo ma un animale, finisce che lo posso ridurre in schiavitù. Costruisco eventi sulla base di "distinzioni" che producono anticipazioni e conseguenze.
Il sole che illumina gli oggetti, SEI TU con i tuoi costrutti e le tue distinzioni. Un eschimese guarda la neve e vede decine di tipi di neve diversa. Tu, probabilmente, ne vedresti solo una. L'eschimese ha un sistema di costrutti più complesso del tuo in relazione alla neve e quel suo sistema "funziona". Non è "VERO", ma "funziona". Anche il tuo sistema di costrutti non è "VERO", ma funziona. Esattamente come il suo.
Se non esiste alcun sistema di costrutti che operi "distinzioni", c'è l'omogeneo o qualcosa del genere. Solo i sistemi biologici autopoietici, possiedono un sistema di costrutti raffinato. La varietà è il frutto delle TUE distinzioni e del TUO sistema di costrutti. Il pluralismo, in linea teorica, è infinito: basta avere il costrutto mentale utile alla distinzione ulteriore. La stessa distinzione tra soggetto e oggetto è solo un costrutto che puo' funzionare in alcuni domini e non in altri. Infatti, in fisica subatomica, la distinzione tra soggetto e oggetto NON FUNZIONA.

Non è vero che alla base di ogni conoscenza ci debba essere l'assunto che la realtà esiste ed è ontologicamente pluralista. Lo diventa se TU decidi che sia così. Lo diventa se TU costruisci le cose in questo modo. Infatti, esistono molti modi di costruire la "conoscenza" ed altrettanti che negano ogni possibilità di "conoscenza". Sono tutte costruzioni. Alcune funzionano, altre meno.

La "cosa in sé" è una costruzione. E' una distinzione che TU decidi di fare. Se la fai, ecco che hai la "cosa in sé", se non la fai, la "cosa in sé" non esiste.

Dici bene: al centro, c'è il sistema autopoietico con il suo specifico PUNTO DI VISTA, le sue distinzioni, i suoi costrutti e i suoi eventi. Un uomo ha un punto di vista diverso da un pipistrello o da una formica, lo dico da mesi. Questo perché possiede costrutti e opera distinzioni DIVERSE per mondi DIVERSI ed eventi DIVERSI. Punti di vista, COSTRUZIONI, che funzionano più o meno bene in specifici domini. Fin qui tutto perfetto... solo che poi tu non accetti questa conclusione e speri che un giorno l'uomo possa uscire da se stesso, dalla sua biologia, dalla sua natura, per guardare all'universo in modo diverso, così diverso da cogliere quello che sta al di là di tutto, ma quello che sta al di là di tutto, al di là di ogni costrutto (costruzione) è qualcosa coma il NIENTE, qualcosa così, e anche dire NIENTE è già un costruire, è già un costrutto. Allora, mi viene alla mente quello che scrisse il grande Wittgenstein: "su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere".

FMJ
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Vecchio 30-06-2014, 15.25.03   #87
FMJ
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contraddizione:
Citazione:
invece se esiste “qualcosa” che spiega come mai ogni volta che chiunque che non sia cieco e si collochi nel “posto giusto al momento giusto” e guardi “nella giusta direzione” vede la luna (e dunque che, contrariamente alla visone -fenomenica- della luna, esiste non autocontraddittoriamente anche quando la luna non è vista), allora questo “qualcosa” deve essere diverso, altra cosa dalla (visione fenomenica della) luna: qualcosa di reale in sé, non percepibile sensibilmente ma solo congetturabile.
Grazie per l’ attenzione.[/quote]

Sì, qualcosa che perturba la TUA biologia che è analoga a quella dei tuoi simili e che compare (la luna) come distinzione solo in ragione dei TUOI costrutti mentali che distinguono e "creano" eventi.

FMJ
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Vecchio 30-06-2014, 18.26.09   #88
giulioarretino
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Citazione:
Nonostante io creda, come ho anche scritto, nell'esistenza di vari Io (che comunque ritengo una buona approssimazione della "verità"; ma i problemi risiedono più nel linguaggio che nell'ontologia), devo dire di non credere né all'esistenza di caratteristiche intrinseche nelle cose (per ciò che con questo si intende comunemente), né nella parcellizzazione della realtà. Non voglio però dire che la realtà non sia diversificata, semplicemente non ascirvo la differenza formale tra le cose alla loro differenza nell'essere. Se è vero che abbiamo un idea di cosa sia l'essere e cosa siano le proprietà delle cose (e se ne parliamo una qualche blanda idea ne dobbiamo avere, almeno per capire che sono cose diverse), allora dovrai ammettere che non c'è nessun motitvo <<evidente>> per affermare che una differenza formale tra 2 cose implichi una differenza del loro essere (le cose le distnguiamo per la forma non per l'essere). Quantunque vorrai dire che l'essere delle cose è la forma allora non dovrai più dire che 2 oggetti non sono lo stesso oggetto ma forse dovresti dire che l'oggetto si diversifica o si pone diversamente.
Con questo breve discorso (che potrei unire a cose che però ho già scritto prima in altri post di questa discussione) volevo cercare di farti avvicinare ad un monismo sensato, che non vuol dire "indifferenziabilità", "staticità", ma almeno identità nell'essere.

non alcuna difficoltà ad accettare questa versione di quello che secondo me non è un monismo, ma un pluralismo (in quanto dici che "la realtà è diversificata": tanto basta, secondo me).
Se gli oggetti si diversificano o si pongono diversamente, pur nell'identità dell'essere (immagino di un Tutto/realtà di cui fanno parte), significa che comunque esiste un qualche principio "ontologico" (o intrinseco) di differenza. Che poi tale differenza non sia "intrinseca" nelle cose/oggetti che percepiamo può tranquillamente starci. Può dipendere dai loro rapporti reciproci, o dal loro rapportarsi con il soggetto, o da altre cose, o da tutte queste cose insieme.
L'importante" è ammettere un livello minimo di diversificazione ontologica (non puramente arbitraria/illusoria) immanente nella realtà

Citazione:
Inoltre, sebbene sia possibile distinguere gli oggetti, qualsiasi distinzione analitica che possiamo fare sarà una approssimazione che di fatto sfocierebbe nell'entanglement quantistico, ma anche a livello di percezione soggettiva solo fino ad un certo punto potrò dire che stiamo esperendo cose diverse; perché più mi sei vicino, più le nostre sensazioni potrebbero somigliarsi e così in parte sovrapporsi ed identificarsi. Insomma la differenza tra le "cose" c'è, ma non credo sia assoluta, infatti non credo possa applicarsi all'essere delle cose stesse.

concordo: non è assoluta, non è data una volta per tutte (anzi è mutevole), non è netta e non è precisa.
Per questo spesso parlo di "coaguli", parcellizzazioni. Per dare un idea di diciamo "fluidità".
Nondimeno, la differenza c'è (o si ipotizza esserci necessariamente).



Citazione:
Credo piuttosto in un modificarsi/diversificarsi/definirsi dell'essere se proprio devo parlare di una cosa del genere, ma non nel fatto che esistono diversi esseri con loro intrinseche proprietà (mi pare che le proprietà delle cose siano sempre soggette ai sistemi di riferimento e così inapplicabili agli enti in sé, cioè al di fuori di contesti di riferimento).

più o meno concordo, dico appunto che il modificarsi/diversificarsi/definirsi degli oggetti e delle cose (modificazione/diversificazione/definizione mutevole, non assoluta, non data una volta per tutte) è una "intrinseca proprietà" della realtà, o dell'essere. Pluralismo ontologico, per l'appunto.


il passaggio successivo, ovvero l'affermazione che anchele diversità percepite a livello fenomenico (e assoggettate ai sistemi di riferimento del soggetto) riflettano in quanto tali intrinseche proprietà dei diversi oggetti/coaguli di realtà in gioco (è compreso anche il soggetto che si rapporta con essi, dunque), è un ipotesi del tutto eventuale e niente affatto necessaria gnoseologicamente.
Io sinceramente non vedo perché tali sistemi/rapporti (soggetto-oggetto) non dovrebbero riflettere, se non intrinseche proprietà degli oggetti oggetto di percezione fenomenica, quantomeno una ontologica differenza/diversificazione (seppur non assoluta e data) rispetto ad altri rapporti/sistemi, ma le cose potrebbero ben stare in diverso modo. Non vedo perché dovrebbero, ma può essere.

Se io mi rapporto con una certa porzione/coagulo di realtà/essere, e la configurazione che ne risulta è sempre una montagna (o un tavolo solido, o qualunque altra cosa), e così tu e chiunque altro, mi viene naturale ipotizzare che tale configurazione "montagna" rifletta/sia indice di una qualche differenza ontologica rispetto ad altre configurazioni che possono nascere e nascono costantemente da altri rapporti tra soggetto (io, tu) e altri porzioni di realtà (tavoli, formiche, astri ecc.)
Difficilmente ciò sarà da ascrivere totalmente al soggetto/i (che "creerebbe/ro" nel vero senso della parola la propria realtà) o totalmente all'oggetto (che sarebbe intrinsecamente una montagna, indipendentemente da tutto il resto), ma probabilmente dipenderà dalla combinazione tra i due. Ovvero il Soggetto "filtrerà" porzioni di realtà attraverso sue categorie soggettive e incomplete, incasellandole in sistemi di riferimento eccetera, ma senza poter bypassare/ignorare completamente le differenze/diversificazioni ontologiche dell'essere.

Potremmo dire che il Soggetto non è in grado di conoscere in modo completo e assoluto le cose; ma può riconoscere le differenze tra le cose.
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Vecchio 30-06-2014, 21.30.47   #89
maral
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Allora, mi viene alla mente quello che scrisse il grande Wittgenstein: "su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere".
Producendo così una singolare contraddizione, avendo parlato di ciò di cui non si può parlare.
maral is offline  
Vecchio 30-06-2014, 22.25.59   #90
sgiombo
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Citazione:
Originalmente inviato da FMJ
contraddizione:
Grazie per l’ attenzione.

Sì, qualcosa che perturba la TUA biologia che è analoga a quella dei tuoi simili e che compare (la luna) come distinzione solo in ragione dei TUOI costrutti mentali che distinguono e "creano" eventi.

FMJ[/quote]

La sensazione della luna "perturba" (cioé accade nell' ambito del-) la "mia" esperienza cosciente.
(Ammesse alcune premesse indimostrabili, che credo "per fede") La mia biologia (in particolare il mio cervello) é in tali frangenti (dell' apparire della luna nella mia esperienza cosciente) modificato analogamente a quella dei miei simili in analoghi frangenti nell' ambito di altre esperienze coscienti diverse dalla "mia" (comprese quelle dei miei simili), almeno potenzialmente.
Compare e basta (solo per il fatto di vederla) allorché la vedo, indipendentemente dal fatto che eventualmente inoltre la distingua dal resto di ciò che vedo, la concettualizzi, ne predichi (conosca) l' esistenza (come fenomeno) nell' ambito della "mia" esperienza cosciente o meno.
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