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Vecchio 24-10-2014, 21.16.22   #21
SinceroPan
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana

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Originalmente inviato da maral
Ho trovato una trattazione molto interessante della questione (senza peraltro riferimenti diretti a Severino) in "Parole, oggetti, eventi" di Varzi con rif. al cap.5 ("Esistere e persistere").


il Destino esiste : ecco la prova.. ieri sera ho letto "Ontologia" di Achille Varzi ed. Laterza.. ho aperto a caso ed ho letto paragrafo "Ogni cosa è identica a sè stessa ed a nient'altro" dove elenca 4 ipotesi interpretative di PDNC+clausola "ad un certo Tempo".. ed ipotesi Quadridimensionalità di Lewis ed Heller mi ha ricordato Severino ed altri nostri post sopra.. ed ora tu hai letto in contemporanea un altro libro dello stesso autore dive più o meno si ripete..
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Vecchio 24-10-2014, 22.26.37   #22
and1972rea
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana

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Originalmente inviato da maral
Ho trovato una trattazione molto interessante della questione (senza peraltro riferimenti diretti a Severino) in "Parole, oggetti, eventi" di Varzi con rif. al cap.5 ("Esistere e persistere"). Qui viene confrontata la identificazione tridimensionale (solo spaziale) dell'oggetto con quella quadridimennsionale (ponendo l'identità spaziale e temporale). Il secondo caso richiama la teoria della relatività ristretta di Einstein ed è più lontano dal senso comune delle cose, in esso l'oggetto è caratterizzato per quello che è (identico a se stesso) non solo da tutte le sue qualità dimensionali, ma pure da tutti i suoi stati temporali.

Farò lo stesso esempio che c'è nel libro: immaginiamo che Lara si rechi al mattino da un vasaio e comperi un anfora (che chiameremo ALFA). durante il tragitto verso casa dall'anfora si stacca un pezzetto microscopico e alla sera l'anfora è a casa sua (chiameremo l'anfora a casa di Lara alla sera ALF*). Secondo il principio di indiscernibilità ALFA e ALF*) non possono essere la stessa anfora, nonostante quello che pensa Lara, e anche il primo Severino direbbe che sono 2 enti diversi in quanto sono ben diverse le situazioni che li determinano per come sono e così direbbe pure il filosofo tridimensionalista, salvo affermare (a differenza di Severino che considererebbe questi enti eterni), che a un certo punto (quando si è staccato il pezzetto) ALFA ha cessato di esistere per diventare ALF" che solo per comodità continuiamo a considerare la stessa anfora che al mattino stava in negozio. Al contrario il filosofo quadridimensionalista direbbe che l'anfora è davvero sempre la stessa ed è precisamente quell'ente di cui al mattino dal vasaio appare come ALFA e alla sera, a casa di Lara, appare come ALF* con tutte le posizioni temporali intermedie. Nel primo caso nel tragitto che va dal negozio alla casa di Lara abbiamo un numero infinito di enti oggetti spaziali che si richiamano per somiglianza, nel secondo abbiamo invece un unico ente che possiede un numero infinito di modi di apparire, che non possono apparire tutti insieme per cui l'ente non è un puro oggetto spaziale, ma una collezione di eventi dell'apparire che lo identificano come tale.
Per certi versi il secondo Severino (quello de "La Gloria" e di "Oltrepassare") mi pare più vicino a questa posizione che potremmo dire relativistica in senso einsteniano.
Entrambe le posizioni hanno vantaggi e problematicità, entrambe sono conformi al principio di identità anche in termini severiniani, ma lasciano aperta la questione su come intendere la metafisica dell'ente, ossia se essa debba includere o meno nell'unità totale che lo identifica la fenomenologia del suo apparire temporale, dunque l'intera storia che lo manifesta e non come oggetto istantaneo solo spaziale.
In sintesi l'ente è la storia del suo apparire o un elemento che (anche se eterno) subito scompare di una storia che appare?

...è interessante notare nell'esempio riportato che il filosofo quadridimensionalista, per poter affermare alla sera che l'anfora è la stessa anfora di quella vista al mattino, anche se un poco diversa, non deve averla persa d'occhio un solo attimo lungo il percorso esistenziale che l'anfora compie attraverso il tempo e lo spazio da lei occupato senza soluzione di continuità. Se, infatti, quel filosofo si fosse accontentato di sbirciare saltuariamente l'anfora nel tempo, anche nei momenti in cui essa sembrava occupare lo stesso identico luogo, ciò non gli sarebbe bastato logicamente per constatare la permanenza dell'identità di quell'oggetto nel tempo;allo stesso modo egli non poteva pretendere di affermare la permanenza della stessa anfora nello spazio osservando l'anfora continuamente nel tempo e discontinuamente in luoghi sempre diversi ( avrebbe visto sparire ed immediatamente riapparire il vaso in luoghi sempre differenti, con l'incertezza logica di riconoscerlo in ogni luogo come lo stesso, anche se continuamente presente nel tempo). Il filosofo può essere certo della permanenza spaziotemporale del vaso soltanto se quest'ultimo conduce dinnanzi a chi lo osserva ( anche se' stesso)un'esistenza continua sia nel tempo che nello spazio, se questo filo di continuità, che unico determina l'identità di un essente, viene spezzato, o non può essere rilevato nel reale,ecco che viene a mancare il connotato essenziale dell'ente.
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Vecchio 25-10-2014, 18.40.00   #23
maral
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana

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Originalmente inviato da and1972rea
...è interessante notare nell'esempio riportato che il filosofo quadridimensionalista, per poter affermare alla sera che l'anfora è la stessa anfora di quella vista al mattino, anche se un poco diversa, non deve averla persa d'occhio un solo attimo lungo il percorso esistenziale che l'anfora compie attraverso il tempo e lo spazio da lei occupato senza soluzione di continuità. Se, infatti, quel filosofo si fosse accontentato di sbirciare saltuariamente l'anfora nel tempo, anche nei momenti in cui essa sembrava occupare lo stesso identico luogo, ciò non gli sarebbe bastato logicamente per constatare la permanenza dell'identità di quell'oggetto nel tempo;allo stesso modo egli non poteva pretendere di affermare la permanenza della stessa anfora nello spazio osservando l'anfora continuamente nel tempo e discontinuamente in luoghi sempre diversi ( avrebbe visto sparire ed immediatamente riapparire il vaso in luoghi sempre differenti, con l'incertezza logica di riconoscerlo in ogni luogo come lo stesso, anche se continuamente presente nel tempo). Il filosofo può essere certo della permanenza spaziotemporale del vaso soltanto se quest'ultimo conduce dinnanzi a chi lo osserva ( anche se' stesso)un'esistenza continua sia nel tempo che nello spazio, se questo filo di continuità, che unico determina l'identità di un essente, viene spezzato, o non può essere rilevato nel reale,ecco che viene a mancare il connotato essenziale dell'ente.
Dici allora che se Lara fosse questo filosofo quadridimensionalista per essere certa che quell'anfora è alla sera la stessa che ha voluto comprare alla mattina nel negozio del vasaio non doveva perderla d'occhio nemmeno un istante? Mentre se fosse il filosofo tridimensionalista avrebbe la certezza che non lo è e magari portarla indietro dal vasaio, il quale a sua volta potrebbe sempre ben dire che non è di sicuro l'anfora che lui ha modellato? In fondo il tridimensionalista per quale istante potrà mai dire che l'ente è quell'ente e non di sicuro un altro, poiché l'istante è già passato nel momento stesso in cui lo dice?
La posizione del filosofo quadridimensionalista in fondo è quella che considera l'ente come un film o come un racconto. E' davvero necessario non perdersi nessuno dei fotogrammi della pellicola o tutte le sillabe di un racconto per dire che quel film o quel racconto sono sempre gli stessi?
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Vecchio 25-10-2014, 23.25.35   #24
and1972rea
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Dici allora che se Lara fosse questo filosofo quadridimensionalista per essere certa che quell'anfora è alla sera la stessa che ha voluto comprare alla mattina nel negozio del vasaio non doveva perderla d'occhio nemmeno un istante? Mentre se fosse il filosofo tridimensionalista avrebbe la certezza che non lo è e magari portarla indietro dal vasaio, il quale a sua volta potrebbe sempre ben dire che non è di sicuro l'anfora che lui ha modellato? In fondo il tridimensionalista per quale istante potrà mai dire che l'ente è quell'ente e non di sicuro un altro, poiché l'istante è già passato nel momento stesso in cui lo dice?
La posizione del filosofo quadridimensionalista in fondo è quella che considera l'ente come un film o come un racconto. E' davvero necessario non perdersi nessuno dei fotogrammi della pellicola o tutte le sillabe di un racconto per dire che quel film o quel racconto sono sempre gli stessi?
Direi che quella del filosofo quadridimensionalista in fondo è la posizione occupata dall'ignaro spettatore all'interno del cinema mentre osserva le immagini proiettate dal macchinario controllato dal filosofo tridimensionalista, e dentro cui scorre continuamente la pellicola materiale; il filosofo spettatore, come tu ben dici, può tranquillamente distogliere per qualche attimo lo sguardo dalla proiezione senza temere di perdere il senso di ciò che guarda, perché confida , senza quasi rendersene conto,sul fatto che la pellicola che scorre è di celluloide ben fatta ,materialmente integra in ogni suo punto, e che tutto l'armamentario sia pienamente efficiente a tal punto da garantirgli di poter vedere il film in tutta tranquillità senza intoppi. Ma, se la pellicola si spezzasse anche in un solo impercettibile punto , se in un solo punto venisse meno la continuità materiale sopra la quale scorre l'intera visione del filmato,quest'ultima verrebbe compromessa ; il filosofo quadridimensionalista delega all'operatore di macchina ed alla natura stessa della pellicola tutta la sua certezza logica in ordine all'integrità di ciò che vede, ma questa serena fiducia non dovrebbe razionalmente distogliere la sua ragione dal substrato di materialità continua di cui la sua visione ha bisogno per potersi realmente concretizzare.

Ultima modifica di and1972rea : 26-10-2014 alle ore 08.53.43.
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Vecchio 27-10-2014, 09.50.23   #25
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Farò lo stesso esempio che c'è nel libro: immaginiamo che Lara si rechi al mattino da un vasaio e comperi un anfora (che chiameremo ALFA). durante il tragitto verso casa dall'anfora si stacca un pezzetto microscopico e alla sera l'anfora è a casa sua (chiameremo l'anfora a casa di Lara alla sera ALF*). Secondo il principio di indiscernibilità ALFA e ALF*) non possono essere la stessa anfora, nonostante quello che pensa Lara, e anche il primo Severino direbbe che sono 2 enti diversi in quanto sono ben diverse le situazioni che li determinano per come sono e così direbbe pure il filosofo tridimensionalista, salvo affermare (a differenza di Severino che considererebbe questi enti eterni), che a un certo punto (quando si è staccato il pezzetto) ALFA ha cessato di esistere per diventare ALF" che solo per comodità continuiamo a considerare la stessa anfora che al mattino stava in negozio. Al contrario il filosofo quadridimensionalista direbbe che l'anfora è davvero sempre la stessa ed è precisamente quell'ente di cui al mattino dal vasaio appare come ALFA e alla sera, a casa di Lara, appare come ALF* con tutte le posizioni temporali intermedie. Nel primo caso nel tragitto che va dal negozio alla casa di Lara abbiamo un numero infinito di enti oggetti spaziali che si richiamano per somiglianza, nel secondo abbiamo invece un unico ente che possiede un numero infinito di modi di apparire, che non possono apparire tutti insieme per cui l'ente non è un puro oggetto spaziale, ma una collezione di eventi dell'apparire che lo identificano come tale.
Per certi versi il secondo Severino (quello de "La Gloria" e di "Oltrepassare") mi pare più vicino a questa posizione che potremmo dire relativistica in senso einsteniano.
Entrambe le posizioni hanno vantaggi e problematicità, entrambe sono conformi al principio di identità anche in termini severiniani, ma lasciano aperta la questione su come intendere la metafisica dell'ente, ossia se essa debba includere o meno nell'unità totale che lo identifica la fenomenologia del suo apparire temporale, dunque l'intera storia che lo manifesta e non come oggetto istantaneo solo spaziale.
In sintesi l'ente è la storia del suo apparire o un elemento che (anche se eterno) subito scompare di una storia che appare?



Secondo me anche il filosofo quadridimensionalista (se vuole descrivere dettagliatamente e del tutto esaurientemente la realtà) deve tener conto che a un certo punto (in un dato breve lasso di tempo) dall’ anfora si è staccato il minuto frammento (evento reale che ha cambiato in qualcosa, sia pure minima, il mondo reale).
Dunque non può considerare un unico ente quadridimensionale costituito insieme dall’ anfora integra (alfa) e dall’ anfora senza pezzettino (alf*), ma deve considerare due enti quadridimensionali: alfa la cui estensione temporale termina nel breve lasso di tempo in cui perde la scheggia (con la complicazione non facilmente superabile -per lo meno- dell' estensione finita di tale pur breve lasso di tempo), e alf* la cui estensione temporale si protrae oltre tale breve lasso di tempo (se è un moltiplicatore, per lo meno nello spazio; mentre se è un unificatore fa iniziare l’ estensione cronologica di alf* nel breve lasso di tempo in cui si stacca la scheggia e finisce quella di alfa).
Perché la perdita del pezzettino è un fatto reale, inemendabile, che non può essere ignorato nell’ interpretare metafisicamente il mondo (nemmeno da parte del filosofo quadridimensionalista): è la metafisica che deve conoscere la realtà, non questa a dover essere adattata a quella; e infatti nei libri di Varzi e nei ragionamenti di tutti noi é il divenire reale del mondo (la fabbricazione del vaso, la sua vendita, il suo trasporto includente la perdita del frammento, ecc.) ad essere il criterio su cui misurare pregi e difetti delle varie metafisiche alternative e non viceversa ovviamente.

Il fatto è che la realtà diviene (non: è); e questo comporta grossi problemi (la questione su come intendere la metafisica dell'ente, ossia se essa debba includere o meno nell'unità totale che lo identifica la fenomenologia del suo apparire temporale, dunque l'intera storia che lo manifesta e non come oggetto istantaneo solo spaziale) se la si vuole interpretare come “collezione di enti” statici anziché come una collezione-successione di eventi dinamici; perché l'intera storia (=mutamento, divenire!) che manifesta l' ente, comunque si intenda questo, c' é, accade realmente .
Certo, anche la delimitazione spaziale e temporale degli eventi è arbitraria, può essere fatta in molti (probabilmente infiniti) modi alternativi (più o meno dettagliati ed atti a caratterizzare più o meno esaurientemente la realtà) senza disporre di alcun criterio-guida oggettivo; ma pone certamente meno problemi per il fatto di “incorporare immediatamente” e per così dire “naturalmente” (ovviamente, banalmente, non problematicamente) la dimensione temporale, al contrario della delimitazione degli enti statici per la quale è una questione inemendabile da risolvere.

Ultima modifica di sgiombo : 27-10-2014 alle ore 19.59.03.
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Vecchio 27-10-2014, 18.58.00   #26
SinceroPan
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Il fatto è che la realtà diviene (non: è);

a rigor di logica non possiamo dire che il divenire non è.. xchè se tu non fossi allora tu non potresti scrivere.. idem per la penna che usi.

sempre a rigor di logica possiamo dire :
1) O che ciò che ora è poi più non sarà cioè "sarà nulla" (common sense del 99,9% degli umani).. ma dire "sarà nulla" siccome il "nulla non è" viola il Principio di Non-AUTO-Contraddizione (vero in sè)..
2) OPPURE che ciò che ora è (visibile) poi continuerà ad essere ma non sarà più manifesto (e ciò non viola PDNAC).. sarà creduto nulla..

nel 1°caso il tempo nichilista/sensi sovrasta la logica pura in sè..
nel 2° caso la logica sovrasta il tempo (il furor logicus di cui viene accusato Severino)..

il mio parere è che : a rigore sono entrambe posizioni meta-fisiche cioè fedi opposte nell'indimostrabile (la logica non può dimostrare che al di fuori di essa non vi sia nulla di Reale) e nell'inesperibile (i sensi non possono esperire la non esistenza di qualcosa che esiste ma non si vede).. da cui concludo : nessun uomo, neanche quello della strada che non filosofa, neanche quello ateo (religio = metafisica di massa semplificata), può vivere senza inconscia meta-fisica...
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Vecchio 27-10-2014, 20.17.54   #27
maral
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Originalmente inviato da sgiombo
Secondo me anche il filosofo quadridimensionalista (se vuole descrivere dettagliatamente e del tutto esaurientemente a realtà) deve tener conto che a un certo punto (in un dato breve lasso di tempo) dall’ anfora si è staccato il minuto frammento (evento reale che ha cambiato in qualcosa, sia pure minima, il mondo reale).
Dunque non può considerare un unico ente quadridimensionale costituito insieme dall’ anfora integra (alfa) e dall’ anfora senza pezzettino (alf), ma deve considerare due enti quadridimensionali: alfa la cui estensione spaziale termina nel breve lasso di tempo in cui perde la scheggia (con la complicazione non facilmente superabile -per lo meno- dell' estensione finita di tale pur breve lasso di tempo), e alf* la cui estensione spaziale si protrae oltre tale breve lasso di tempo.
Il quadridimensionalista si limiterà a dire che tutti gli stati (compreso l'istante in cui il pezzetto si stacca da alfa) appartengono comunque all'anfora, sono aspetti della storia che la definisce fin dall'inizio. Dunque la stessa anfora sarà quella al mattino dal vasaio e in tutti i momenti intermedi fino alla sera a casa di Lara.
Citazione:
è la metafisica che deve conoscere la realtà, non questa a dover essere adattata a quella; e infatti nei libri di Varzi e nei ragionamenti di tutti noi é il divenire reale del mondo (la fabbricazione del vaso, la sua vendita, il suo trasporto includente la perdita del frammento, ecc.) ad essere il criterio su cui misurare pregi e difetti delle varie metafisiche alternative e non viceversa ovviamente.
Nel libro di Varzi non è posta in questione la realtà del divenire né per affermarla né per negarla.
Quando tu dici che è la metafisica a dover sottomettersi alla realtà, in verità hai già assunto a priori una posizione metafisica, quella del primato della realtà esperenziale.
Citazione:
Il fatto è che la realtà diviene (non: è); e questo comporta grossi problemi (la questione su come intendere la metafisica dell'ente, ossia se essa debba includere o meno nell'unità totale che lo identifica la fenomenologia del suo apparire temporale, dunque l'intera storia che lo manifesta e non come oggetto istantaneo solo spaziale) se la si vuole interpretare come “collezione di enti” statici anziché come una collezione-successione di eventi dinamici; perché l'intera storia (=mutamento, divenire!) che manifesta l' ente, comunque si intenda questo, c' é, accade realmente .
Appunto per questo il quadridimensionalista considera talmente reale la storia dell'ente al punto da identificarla per intero con l'ente stesso in una dimensione spaziotemporale e non solo spaziale.

La contraddizione logica del divenire è nel fatto che nega il Principio di Non Contraddizione per cui A (l'anfora al mattino in negozio)= A (l'anfora al mattino in negozio) e non = "anfora alla sera in casa di Lara" considerando A integralmente in tutti i suoi attributi che lo definiscono nei minimi particolari. Come diceva giustamente Eraclito secondo il divenire le cose che divengono sono e non sono al medesimo tempo, ma se è così il Principio di Identità è negato.
Certamente, come dice sopra SinceroPan, l'affermazione o la negazione del divenire (basata la prima sul primato fenomenologico rispetto a quello logico) esprimono comunque 2 diverse postulazioni metafisiche della realtà che dipendono dal modo di presupporre le cose.
Credo che la posizione di Severino che riduce il divenire a un diverso apparire dell'ente che sempre è (identico a se stesso) sia particolarmente interessante per indicare come risolvere la questione.
Giustamente nota SinceroPan:
Citazione:
i sensi non possono esperire la non esistenza di qualcosa che esiste ma non si vede
infatti ciò che i sensi esperiscono è il non più apparire di qualcosa e non il suo non essere più (di cui nulla può essere esperito) e questo può venirci utile per comprendere cosa intendo per l'apparire (ai sensi) di ciò che non appare, è l'apparire della sua mancanza (ossia l'apparire del suo mancato apparire).
Ciò che non c'è più non possiamo dire che non è più, ma che non ci appare più, proprio in quanto appare ai nostri sensi il suo mancato apparirci.
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Vecchio 27-10-2014, 20.20.39   #28
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SinceroPan:
a rigor di logica non possiamo dire che il divenire non è.. xchè se tu non fossi allora tu non potresti scrivere.. idem per la penna che usi.

Sgiombo:
Mi sembrava evidente dal contesto della discussione (ma poiché non lo era, almeno per te, lo esplicito) che nel dire che la realtà non é ma diviene non intendevo autocontraddittoriamente sostenere che ciò che é (la realtà) non é, bensì che la realtà non é fissa, statica, immutabile, bensì diviene; usavo il verbo "essere" (é) non letteralmente ma intendendolo come l' opposto di "Divenire".
Sarebbe stato più corretto e inequivocabile (ma secondo me, forse sbagliando, meno polemicamente efficace) se avessi scritto "la realtà non é fissa, bensì diviene".
Se intendi dire questo con la tua obiezione concordo.



SinceroPan:
sempre a rigor di logica possiamo dire :
1) O che ciò che ora è poi più non sarà cioè "sarà nulla" (common sense del 99,9% degli umani).. ma dire "sarà nulla" siccome il "nulla non è" viola il Principio di Non-AUTO-Contraddizione (vero in sè).

Sgiombo:
Dire "é il nulla" (in italiano, che con poco rigore logico ammette la doppia negazione come affermazione rinforzata, più comunemente si impiega la locuzione "non c' é nulla") a rigor di logica (dunque prescindendo dal problema della verità o meno dell' asserzione, considerando unicamente la sua correttezza logica) non viola il pr. di non contraddizione.
Lo violerebbe l' affermazione: "é il nulla e contemporaneamente é qualcosa", ovvero "il nulla non é (=é qualcosa) e contemporaneamente é (=non é alcunché)".
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Vecchio 27-10-2014, 22.08.09   #29
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Maral:
Il quadridimensionalista si limiterà a dire che tutti gli stati (compreso l'istante in cui il pezzetto si stacca da alfa) appartengono comunque all'anfora, sono aspetti della storia che la definisce fin dall'inizio. Dunque la stessa anfora sarà quella al mattino dal vasaio e in tutti i momenti intermedi fino alla sera a casa di Lara.

Sgiombo:
Non sono d’ accordo.
Secondo me (per come intendo le tesi di Varzi) il quadridimensionalista se è un moltiplicatore distingue almeno due oggetti la cui estensione temporale va dal compimento della fabbricazione dell’ anfora al distacco della scheggia (ma potrebbe considerarne infiniti con tale estensione temporale e diverse estensioni spaziali tenendo conto delle infinite distinzioni mereologiche che possono farsi fra le diverse parti dell’ anfora stessa).
Se invece è un unificatore considera due oggetti: un primo oggetto “alfa”, cioè l’ anfora integra con estensione temporale che va dal compimento della sua fabbricazione al distacco della particella e un secondo oggetto “alf*”, cioè l’ anfora senza il frammento distaccatosi, la cui estensione temporale inizia al momento del distacco allorché termina quella di “alfa” (se vuol dar conto esaurientemente di ciò che realmente accade, descrivere la realtà "a grana discretamente fine"; solo se la vuole descrivere "a grana più grossa" può ignorare la perdita della scheggia e considerare un unico oggetto quadridimensionale con estensione spaziale che dal compimento della fabbricazione dell' anfora si estende anche oltre la perdita del frammento).




Maral:
Nel libro di Varzi non è posta in questione la realtà del divenire né per affermarla né per negarla.

Quando tu dici che è la metafisica a dover sottomettersi alla realtà, in verità hai già assunto a priori una posizione metafisica, quella del primato della realtà esperenziale.

Sgiombo:
Infatti a questo proposito in un altra discussione (Che cose significano le parole?) ho esplicitamente (e credo del tutto correttamente) precisato che il fatto che la realtà non è fatta di “enti” assoluti e immutabili, ma invece diviene non é mai esplicitamente affermato da Varzi, ma è un’ interpretazione del tutto mia personale.

A quale altra mai realtà se non quella “esperienziale” possiamo riferirci per stabilire l’ adeguatezza o meno di una metafisica?
Ma a parte questo, di fatto nel libro di Varzi dal quale tu trai l’ esempio dell’ anfora (e dunque anche da parte tua per lo meno nel discutere di questo caso) per valutare pregi e limiti delle diverse metafisiche ci si appella (sia pure ipoteticamente, per l’ appunto con degli esempi fittizi) proprio alla realtà esperienziale (cos’ altro potrebbe mai essere un’ anfora fabbricata, venduta, trasportata, scheggiata durante il trasporto e collocata a casa della acquirente?).




Sgiombo:
Il fatto è che la realtà diviene (non: è); e questo comporta grossi problemi (la questione su come intendere la metafisica dell'ente, ossia se essa debba includere o meno nell'unità totale che lo identifica la fenomenologia del suo apparire temporale, dunque l'intera storia che lo manifesta e non come oggetto istantaneo solo spaziale) se la si vuole interpretare come “collezione di enti” statici anziché come una collezione-successione di eventi dinamici; perché l'intera storia (=mutamento, divenire!) che manifesta l' ente, comunque si intenda questo, c' é, accade realmente .

Maral:
Appunto per questo il quadridimensionalista considera talmente reale la storia dell'ente al punto da identificarla per intero con l'ente stesso in una dimensione spaziotemporale e non solo spaziale.

La contraddizione logica del divenire è nel fatto che nega il Principio di Non Contraddizione per cui A (l'anfora al mattino in negozio)= A (l'anfora al mattino in negozio) e non B = "anfora alla sera in casa di Lara" considerando A integralmente in tutti i suoi attributi che lo definiscono nei minimi particolari. Come diceva giustamente Eraclito secondo il divenire le cose che divengono sono e non sono al medesimo tempo, ma se è così il Principio di Identità è negato.
Certamente, come dice sopra SinceroPan, l'affermazione o la negazione del divenire (basata la prima sul primato fenomenologico rispetto a quello logico) esprimono comunque 2 diverse postulazioni metafisiche della realtà che dipendono dal modo di presupporre le cose.
Credo che la posizione di Severino che riduce il divenire a un diverso apparire dell'ente che sempre è(identico a se stesso) sia particolarmente interessante per indicare come risolvere la questione.

Sgiombo:
Il quadridimensionalista considera costituente degli enti anche la loro estensione spaziale; ma questa è limitata, ha un inizio e una fine, oltre i quali non si estende temporalmente ciascun ente (analogamente al fatto che non si estende oltre certi limiti spaziali), ma invece esistono enti diversi dai quali e nei quali ciascun ente trapassa (e proprio la problematicità di questi trapassi, che non sono istantanei ma di durata finita secondo me rende più adeguato (o come minimo meno problematico) il considerare la realtà costituita da eventi anziché da enti (Varzi mi sembra non si pronunci né in questo senso né in senso opposto).

Il fatto (sia pure ipotetico se vogliamo momentaneamente sospendere il giudizio sulla sua realtà; ammesso e non concesso) del divenire non nega il Principio di Non Contraddizione per cui A (l'anfora al mattino in negozio)= A (l'anfora al mattino in negozio) e non C (l’ anfora al mattino a casa di Lara); e inoltre B (l’ anfora alla sera in casa di Lara) = B (l’ anfora alla sera in casa di Lara) e non D (l'anfora alla sera in negozio) considerando A (che é reale), B ( che é reale), C (che non é reale), D (che non é reale) integralmente in tutti i loro attributi che li definiscono nei minimi particolari .

Non mi sento di fare l’ esegesi di Eraclito (già quella di Varzi mi è un po’ difficile…) ma la sua espressione mi sembra di tipo retorico, fatta a scopo esplicativo, non una deliberata affermazione letteralmente autocontradditoria.

Meno ancora conosco Severino.
Ma noto che la logica è l’ insieme delle regole del corretto ragionare. Di per sé non può dire nulla della realtà, ma solo di come correttamente si può parlare della realtà.
Mentre i fenomeni sono ciò che realmente appare (fossero pure fenomeni onirici o costituiti da allucinazioni o gratuite immaginazioni fantastiche, in quanto tali sarebbero reali) e per definizione sono della realtà (anche se non necessariamente la totalità esclusiva), comunque ciò che unicamente è accessibile alla nostra coscienza, di cui dunque, nel constatarli (=nel loro reale accadere come tali), si può avere certezza.




Maral:
Giustamente nota SinceroPan:
Citazione:
i sensi non possono esperire la non esistenza di qualcosa che esiste ma non si vede
infatti ciò che i sensi esperiscono è il non più apparire di qualcosa e non il suo non essere più (di cui nulla può essere esperito) e questo può venirci utile per comprendere cosa intendo per l'apparire (ai sensi) di ciò che non appare, è l'apparire della sua mancanza (ossia l'apparire del suo mancato apparire).
Ciò che non c'è più non possiamo dire che non è più, ma che non ci appare più, proprio in quanto appare ai nostri sensi il suo mancato apparirci.

Sgiombo:
Ma i sensi non possono nemmeno esperire l’ esistenza di qualcosa che esiste ma non si vede.
Infatti i sensi (con la collaborazione della memoria) esperiscono benissimo il non essere più dell’ apparire di qualcosa (apparire che non si vede e non esiste, poiché la sua esistenza si identifica e si esaurisce nel suo apparire), cioè di qualcosa da noi precedentemente esperito, il quale a tale apparire era limitato (non era alcunché d’ altro): che esistesse anche qualcos altro oltre al suo apparire, reale anche allorché il suo apparire non esiste più è un’ ipotesi indimostrabile; ma se anche è reale (come credo) é necessariamente qualcos altro, non è tale “apparire di qualcosa”, cioè tutto quel qualcosa integralmente considerato che i sensi esperivano prima, poiché sarebbe contraddittorio dire che tutto ciò che costituiva quel che i sensi esperivano prima e non esperiscono più adesso esiste ancora e costituisce ancora quel che i sensi esperiscono adesso.

Ultima modifica di sgiombo : 28-10-2014 alle ore 07.35.20.
sgiombo is offline  
Vecchio 28-10-2014, 00.44.44   #30
acquario69
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana

Citazione:
Appunto per questo il quadridimensionalista considera talmente reale la storia dell'ente al punto da identificarla per intero con l'ente stesso in una dimensione spaziotemporale e non solo spaziale.

(Da un altro post):

Citazione:
Ma è così semplice: essere come tale è letteralmente essere quello che si è, è la tautologia sempre valida A=A, questa mela è questa mela nella sua totale interezza. Poi solo la fenomenologia può mostrarci il cosa questa mela è, ma non può mai mostrarcela nella sua totalità. Solo un pezzetto per volta.
Lo Sgiombo vecchio di adesso non è lo Sgiombo bambino di mezzo secolo fa (non c'é nemmeno una sola tua cellula che sia rimasta la stessa, non c'è forse nemmeno un ricordo o un aspettativa che sia rimato lo stesso, ma anche se fosse cambiata una sola cellula non può essere lo stesso), solo che lo Sgiombo vecchio di adesso ha la qualità di avere nella memoria un qualcosa che identifica come Sgiombo bambino di mezzo secolo fa e che fa parte di quello che lo Sgiombo di adesso identifica come la sua attuale perdurante identità che quindi gli appare (a quello di adesso) invecchiata.


Flatlandia è una storia raccontata da un abitante di un mondo bidimensionale, cioè, un mondo che possiede soltanto la lunghezza e la larghezza, ma non l’altezza; un mondo piatto quanto un foglio di carta coperto di linee, triangoli, quadrati, ecc. Questi possono muoversi "liberamente" in questa superficie,ma,come ombre, sono incapaci di salire o scendere sotto quel livello. E inutile dirlo, sono inconsapevoli di quest’incapacità, poiché l’esistenza di una terza dimensione, l’altezza, risulta loro inimmaginabile.
……

Con molta pazienza, la Sfera spiega che non vi è nulla di strano: essa costituisce un numero infinito di cerchi, che variano di dimensione da un punto sovrapposto all’altro. Pertanto, quando passa attraverso la realtà bidimensionale di Flatlandia, la sfera risulta dapprima invisibile a un abitante di quel paese, poi — quando tocca il piano di Flatlandia — compare come un punto, andando avanti acquisisce l’aspetto di un cerchio, che cresce costantemente di diametro, finché non comincia a diminuire e infine scompare di nuovo. Ciò spiega anche il fatto sorprendente che la sfera sia riuscita a entrare nella casa bidimensionale del Quadrato nonostante le porte sbarrate. Naturalmente, la sfera è entrata semplicemente dall’alto, ma quest’idea è così estranea alla realtà del Quadrato ch’egli non riesce a penetrarla. E quindi si rifiuta di crederla.
Infine la Sfera non vede altra soluzione che quella di riprodurre nel Quadrato quella che oggi chiameremmo un’esperienza trascendentale.

"Un orrore indicibile s’impossessò di me. Dapprima l’oscurità poi una visione annebbiata, stomachevole, che non era vedere; vedevo una linea che non era una Linea; uno Spazio che non era uno Spazio: io ero io e non ero io. Quando ritrovai la voce, mandai un alto grido d’angoscia: “Questa è la follia o l’Inferno!”. “Nessuno dei due” rispose calma la voce della Sfera. "Questo è il Sapere."

http://www.parodos.it/booksabbott.htm

http://koi0009.altervista.org/_4_FIS...dia_Abbott.pdf
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