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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 03-11-2014, 21.27.58   #61
sgiombo
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana

@ green&grey pocket]

Scusa pure tu, ma essendo anch', io a mia volta, una bestia, purtroppo ho sempre capito ben poco di Husserl (quando studiavo filosofia al liceo e da quel poco che successivamente ho letto su di lui; e questo non mi ha mai convinto a "prenderlo sul serio" e a leggerlo).
Una lacuna non da poco, lo devo ammettere.
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Vecchio 03-11-2014, 23.32.03   #62
maral
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana

Sgiombo, tento una sintesi sui punti salienti delle nostre diverse posizioni altrimenti provochiamo una moltiplicazione di botte e risposte che al confronto quella severiniana degli enti fa ridere e per di più con il rischio di innescare polemiche circolari da cui si esce solo per esaurimento (nervoso) .
Tu dici che diversi linguaggi sono ammissibili per dire le stesse cose purché abbiano una sintassi logica condivisibile, ma il problema metafisica è quello delle stesse cose. Quali sono queste cose di cui diciamo con linguaggi diversi pur rispettando la grammatica e dunque l'analisi logica? E' da qui che nasce il problema metafisico. Oltre la tautologia ontologica che è sicuramente vera (l'identità è figura logica A=A, ma anche ontologica per forza di cose), esiste qualcos'altro che possiamo giudicare vero o falso? Rispetto a cosa possiamo considerarlo tale? Tu dici rispetto alla realtà esperenziale. Ma questa è una posizione metafisica! che dice in cosa consiste la realtà a cui ci si deve attenere. Ma cosa giustifica questa assunzione agli occhi di un Platone ad esempio, per il quale la realtà esperenziale è invece inganno e ombra? Basta dire che la metafisica ideale di Platone non ci piace?
Poi a quale livello percettivo assumiamo questa realtà esperenziale? Quello puramente sensoriale? quello sensoriale intuitivo? Quello mediato e setacciato dalla razionalità matematica come fa la fisica? Quello che prende a riferimento il funzionare? Capisci che il problema metafisico è tutt'altro che semplice e rischia di ridursi a una serie infinita di postulazioni che proprio in quanto tali lasciano il vuoto nella mente.
Ogni ambito metafisico di senso può essere assunto senza doverlo giustificare rispetto a un altro e in quell'ambito , e solo in quell'ambito, qualcosa potrà risultare vero (ossia coerente ai significati lì ammessi) o falso (ossia incoerente) perché è l'ambito stesso a porlo come tale nella sua diversa e legittima modalità significante. Ma allora come possiamo parlare della stessa cosa? Di che cosa parliamo se non di traduzioni più o meno appropriate tra significati appartenenti a metafisiche diverse? Per questo trovo che la posizione neutra rispetto al problema della verità, quella che valuta solo le implicazioni intrinseche delle scelte metafisiche, senza prendere posizione mi pare fondamentale, fermo restando che una posizione prima o poi bisogna prenderla (e in realtà è fin dall'inizio già presa da ciò che siamo e al contrario occorre imparare a sospenderla per capire cosa implica quella posizione in rapporto ad altre e dove andare a cercare certi significati e dove no perché non li troveremmo mai).

Ora, Severino parte dallo stesso indiscutibile principio di identità e lo interpreta assumendo che ciò che dell'ente si predica non è separabile dall'ente di cui si predica, nemmeno gli avverbi temporali, in quanto la concretezza dell'ente è dato dalla totalità concreta di tutti i suoi attributi (per cui l'anfora al mattino in negozio non è l'anfora / in negozio / alla mattina, ma esattamente l'anforaalmattinoinnegozio). E' evidente che questo suona assurdo a chi invece prende a riferimento la realtà esperenziale che muta di continuo, ma qui viene in soccorso la differenza fondamentale tra il divenire e ciò che Severino considera come apparire. Mentre infatti il divenire implica un diverso essere riferito allo stesso essente (ed è contraddizione se quell'essente coincide con tutti i suoi attributi), il diverso apparire implica un una diversa parzialità che appare senza che si possa mai dare la totalità reale dell'ente, pur dovendosi questa dare. Non c'è un divenire dell'apparire come tu dici, l'apparire non diviene come ogni altro ente (l'apparire dell'anfora al mattino non diventa l'apparire dell'anfora alla sera, esattamente come l'anfora al mattino non diventa l'anfora alla sera), ma c'è l' apparire dell'apparire dovuto alla sua parzialità che deve rendersi all'infinito totalità. E' il rapporto tra la molteplicità delle parti singole e il totale intero delle parti corrispondente all'ente che interessa e non quindi quello tra ente e niente che interessa il divenire /e ricordo che il significato del divenire come rapporto ente-niente mi fu dato in una delle prime lezioni di filosofia al liceo, non è per nulla roba severiniana). In entrambi i casi c'è un contraddirsi, Severino lo dice chiaramente, ma mentre nella seconda che riguarda il divenire il contraddirsi è autocontraddizione, nella prima non lo è: è una necessità (logica) che implica costantemente una necessità opposta (fenomenologica) per realizzarsi continuamente istante per istante. Se nel divenire la coesistenza degli opposti (ente e niente) implica l'annullamento dell'ente, nell'apparire la coesistenza degli opposti (identità totale dell'ente ed entità parziale) implica un continuo superamento della parzialità verso la totalità il cui destino è di apparire proprio come un processo e non come un punto di arrivo. e l'ente è fenomenologicamente proprio questo continuo eterno procedere a cui tutti gli enti concorrono, restando tuttavia nella totalità di ciascuno sempre ciò che sono, perché questo è il modo in cui l'identità appare).
Di questa totalità dell'ente ne possiamo parlare solo nei termini di un apparire che non si esaurisce mai via via che procede da un campo di senso a un altro (ossia, in linguaggio severiniano, da un cerchio dell'apparire a un altro), Si noti che l'apparire è apparizione di significati, nient'altro ed è proprio di questi significati che si parla con i nostri linguaggi, è solo dell'apparire che si può parlare, non dell'ontologia, perché l'ontologia parla per fenomenologia.

PS a proposito della nave di Teseo che dici essere sempre la stessa nonostante tutte le assi e i chiodi siano stati sostituiti per una sorta di continuità formale, Hobbes complicò il paradosso considerando che qualcuno avrebbe potuto prendere quelle assi e quei chiodi sostituiti ma ancora in buono stato per costruire una seconda nave di Teseo formalmente identica e in più con i pezzi originali montati nel medesimo ordine. Tutte queste navi (adesso ne abbiamo 3) saranno la sempre identica nave di Teseo? Oppure ce ne sarà solo una come in origine? Le navi di Teseo si moltiplicano e le conseguenze paradossali pure: http://news-town.it/component/k2/444...-di-teseo.html
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Vecchio 04-11-2014, 11.46.50   #63
sgiombo
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Riferimento: Il problema della realtà fenomenologica dell’ente in chiave severiniana

@ Maral

D' accordissimo sul rischio e la necessità di evitare una moltiplicazione di botte e risposte che al confronto quella severiniana degli enti fa ridere e per di più con il rischio di innescare polemiche circolari da cui si esce solo per esaurimento (nervoso).

Se partecipiamo a questa discussione é evidente che diamo per scontato alcuni fatti; in particolare che esiste una realtà esperienziale condivisa (almeno in parte o per certi aspetti) ovvero intersoggettiva.
Altre tesi ontologiche, come quelle platoniche, non sono condivise almeno all' inizio della discussione e vanno dimostrate nel corso di essa.
Ma per dimostrarle bisogna "farle quadrare" con ciò che é condiviso (inferirle in qualche modo o per lo meno dimostrare che con esso sono compatibili).
Per discutere con Platone non potremo che partire dalla constatazione che se (ammesso e non concesso da parte mia) la realtà esperenziale è inganno e ombra, allora su qualcosa possiamo concordare circa la realtà, e cioé che é reale (per lo meno in quanto inganno e ombra; comunque é reale) la realtà esperenziale sia per me che per lui (e dunque é vero affermarlo); e quindi a questa realtà, la credenza nell' esistenza della quale condividiamo, dobbiamo dimostrare compatibili tutte le altre nostre credenze metafisiche.
Se concordiamo unicamente sul pr. di identità e non contraddizione (cosa ovvia, perché altrimenti non potremmo parlare sensatamente non solo fra di noi -discutere- ma nemmeno ciascuno di noi fra sé e sé: non potremmo nemmeno pensare linguisticamente), allora concordiamo su una regola del corretto parlare ma su di nulla circa la realtà; e dunque la dicussione non potrà andare da nessuna parte, non potrà svilupparsi (non potrà nemmeno iniziare).

O esiste un livello percettivo immediato, privo di ulteriori assunzioni, condiviso almeno in qualche misura, oppure non é possibile alcuna comunicazione di pensieri e discussione.
Credo che questo livello immediato sia quello costituito -per esempio, nel nostro caso concreto- dal computer che ciascuno di noi ha di fronte a sé (una serie di percezioni che nell' insieme viene chiamato "computer" e nel quale si possono distinguere schermo, tastiera, mouse, ecc.), comunque lo si possa interpretare, checcé se ne possa dire.
O quando parliamo di questo (e di altro simile a questo) ci intendiamo, oppure stiamo facendo un dialogo fra sordi, in realtà ciascuno di noi sta facendo un soliloquio.

La coerenza (di un discorso) non garantisce la verità ma solo la correttezza logica e la significanza: se dico che esistono gli ippogrifi i quali sono ippogrifi e non giraffe, ciò é coerente, significante, sensato, ma falso.

Credo che, come che si definiscano (arbitrariamente per convenzione; con la necessità di conoscere e rispettare le regole convenzionali per comunicare; o per lo meno di tradurre correttamente i rispettivi linguaggi) gli enti (includendovi "a la Severino" ogni determinazione relativa al "contorno spaziotemporale" o ogni relazione con il resto della realtà oppure prescindendo da queste), bisogna confrontarsi su qualcosa che entrambi rileviamo e su cui concordiamo, per lo meno limitatamente, parzialmente.
Se il divenire reale non fa parte di questo qualcosa perché tu (e Severino) non lo constati, non lo percepisci, non te ne accorgi, allora evidentemente viviamo in mondi (realtà) diverse e incomunicanti e (purtroppo) non é possibile alcun dialogo e confronto. Se, quali che siano le parole con cui lo si esprime (e trovo quelle da te usate qui sopra decisamente oscurissime e "arzigogolate", pressocché incomprensibili), siete d' accordo che (queste vostre parole si possano tradure dicendo che) prima che il vasaio la fabbricasse non c' era l' anfora e dopo che l' ha fabbricata c' é, che prima era nel negozio del vasaio poi a casa di Lara, che prima del 1952 io non ero nato, che ora vivo e prima o (preferibilmente!) poi morirò (io chiamo tutto ciò "divenire reale" e non vi trovo nulla di contraddittorio; voi chiamatelo come volete), allora possiamo discutere (ma francamente non provo alcun interesse ad imparare il "severinese").


"Tutte queste navi (adesso ne abbiamo 3) saranno la sempre identica nave di Teseo? Oppure ce ne sarà solo una come in origine? Le navi di Teseo si moltiplicano e le conseguenze paradossali pure".
Non ci trovo nulla di paradossale; basta chiarire che cosa si intende per i diversi aspetti e periodi di tempo in cui esistiono e si trasformano la o le (a seconda di come la o le si definisce) nave (-i): si moltiplicano i modi in cui si può descrivere ciò che é e accade, non ciò che é e accade, anche nell' ulteriore ipotesi hobbsiana).

Ultima modifica di sgiombo : 05-11-2014 alle ore 08.17.01.
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Vecchio 04-11-2014, 18.06.13   #64
SinceroPan
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Originalmente inviato da green&grey pocket

No così non dimostri niente! infatti anche il niente è uguale al niente.


formalmente non condivido questa proposizione..

non puoi dire (sensatamente) un qualsiasi è del ni-ente=non-ente ... neppure che esso è uguale a sè stesso.. il nulla è indicibile (ed impensabile) assoluto.. e dicendo questo violo anch'io la mia stessa tesi di partenza..
.
noi pensiamo il ni-ente pensando al passato.. a ciò (qualcosa) che abbiamo già esperito e che ora ri-cordiamo ma non vediamo più.. e crediamo di non vedere mai più ..

ovvero..

ora noi non vediamo neppure un nostro amico che abita qualche km più in là.. ma sappiamo che, se nessuno dei due muore, domani lo possiamo riveder/sentire.. ed è per questo che non lo chiamiamo ni-ente.. diversa è l'impossibilità di ri-vedere il passato con i sensi..
i bimbi piccoli quando la mamma esce dalla stanza piangono perchè temono che se non la vedono allora è nulla.. poi imparano che qualcosa continua ad esistere anche se per un certo tempo non la esperisci..
.
noi sappiamo dire solo dell'essere.. ma non del non essere..
dire che "il nulla è il nulla" è un dire che non riesce a significare ciò che vorrebbe significare..
.

.
PS: anche un ippogrifo non lo vedremo mai eterno.. ma a differenza del passato/futuro non lo chiamiamo niente (bensì fantasia = ente puramente ideale) perchè non lo abbiamo visto e non lo vedremo mai.. mentre il passato ed il futuro li abbiamo già visto o li vedremo.. alla fantasia manca il confronto con i sensi.. e questa impossibilità la salva dall'insensato dire del niente temporale..
.
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Vecchio 04-11-2014, 21.03.39   #65
sgiombo
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Originalmente inviato da SinceroPan

non puoi dire (sensatamente) un qualsiasi è del ni-ente=non-ente ... neppure che esso è uguale a sè stesso.. il nulla è indicibile (ed impensabile) assoluto.. e dicendo questo violo anch'io la mia stessa tesi di partenza..

noi sappiamo dire solo dell'essere.. ma non del non essere..
dire che "il nulla è il nulla" è un dire che non riesce a significare ciò che vorrebbe significare..

Non sono d' accordo.
Per me il nulla é dicibilissimo e sensatissimo (anche se ovviamente, dal momento che siamo qui a discutere, il nulla non accade realmente; ma dire che l' affermazione "non esiste alcunché" = "é il nulla" é falsa é diverso dal dire che é insensata e indicibile.
Anzi proprio il fatto che possiamo dirne che é falsa implica necessariamente che sia dicibilissima e sensatissima (se non lo fosse non potremmo dirne alcunché, né che é vera, né che é falsa).

Dire che il nulla é il nulla é una tautologia, e dunque non dice nulla su ciò che é reale e ciò che non é reale.
Esattamente come qualsiasi altra tautologia, comprese "qualcosa é qualcosa", ciò che é é ciò che é", "l' essere é l' essere"

Ultima modifica di sgiombo : 05-11-2014 alle ore 08.19.05.
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Vecchio 04-11-2014, 21.33.40   #66
and1972rea
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Originalmente inviato da maral
green&grey, ...Può essere che qualche punto di questa linea storica sfugga, come dice and1972rea , ma il suo sfuggirei è comunque parte della linea, è nell'ente stesso, nel significato che gli è proprio. In altre parole il completo significare dell'ente che si attua come comprensione effettiva di un soggetto e non in un puro "in sé" per come dato dal solo principio di identità- PDI- (A è A) che invece non può non comprendere il principio di non contraddizione PDNC (A non è non A) e pure quello del terzo escluso PDTE (o A o non A) che separando continua a mantenere la relazione.
Bisogna , a mio avviso, considerare il fatto che la linea storica che connota l'ente nel suo divenire non è logicamente dimostrabile alla ragione, non è cioé deducibile dal mero apparire di questo presunto ente, ma solamente auspicabile dalla nostra immaginazione; l'evoluzione spaziotemporale dell'ente, cioè , non coincide con il proprio apparire, e nessuno di noi può conoscerla per certo ; chi di noi può essere certo che fra un capoverso e l'altro de"i tre moschettieri" in un solo punto non ci siamo persi l'intera digressione che stravolge quel racconto in un altro del tutto diverso e che ci spiega come in realtà essi fossero stati in 15 ?... solamente chi ha scritto quel racconto, nel rileggerlo può permettersi di saltare qualche spezzone mantenendo la certezza dell'essenza del proprio scritto, ma noi che osserviamo l'apparire del reale non possiamo dedurre da questo mero apparire la sostanza di ciò che compie l'azione di essere, cioe dell'essente, perché anche in un solo punto l'interruzione dell'apparire potrebbe contenere innumerevoli essenti distinti fra loro , ma che noi scambiamo per unico. In conclusione, l'apparire dell ente in sé può generare in noi la visione immaginaria di ciò che enti non sono, perché l apparire non solo non coincide con l 'essente, ma non coincide neppure con il divenire di questo essente davanti ai nostri occhi. La pellicola può anche scorrere, ma ciò che noi vediamo non è mai il film che essa proietta realmente...
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Vecchio 04-11-2014, 23.08.47   #67
maral
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Citazione:
Originalmente inviato da green&grey pocket
seguendo l'impostazione di Boole, mi sembra che l'ente non sia mai raggiungibile se non nel percorso (il prodotto) stesso del soggetto che si sottrae all'ente stesso, e l'oggetto che a sua volta si sottrae all'ente stesso.
Na quello che non capisco è che se all'ente si sottrae l'oggetto e quindi il soggetto cosa resta dell'ente? Perché non dovrebbe annullarsi dopo questa duplice sottrazione?
Cosa significa "1" nella formula? L'unità originaria dell'ente?

Citazione:
Più tardi però accenni al problema dell'uguale, che ritorna, in effetti questo è una complicazione a cui dovrei pensare.
Nel senso che questo uguale è lo stesso ente che sembra dissiparsi come sotrazione all'uno, oppure si riferisce agli enti che si ripresentano uguali? Nel primo caso la risposta è facile, nel secondo la cosa mi si complica
Per Severino ontologicamente l'ente resta ontologicamente sempre identico a se stesso, pertanto l'immutabile identità originaria è il compiersi infinito di tutto il percorso fenomenologico. E questa è la differenza fondamentale che si pone rispetto a Hegel. Se 1 indica l'unitaria identità iniziale essa coincide totalmente con l'identità finale dopo tutte le sottrazioni.


Citazione:
Bisognerebbe però richiamare almeno quale sia questa narrazione, Severino mi sembra indichi la tecnica no?

Esposta così è una complicazione poco comprensibile, infatti le narrazioni possono essere infinite e così la narrazione anche se fosse l'ente a significarla sarebbe comunque fuori dalla nostra portata.

Invece se decidiamo quale narrazione, ossia la chiave per intendere a quale significato fa riferimento l'ente, possiamo almeno decidere sulla strada logica da intendere: diciamo probabilmente la dialettica (della tecnica)?
In effetti la narrazione completa sul piano fenomenologico è al di fuori della nostra portata comprensiva poiché continua in tutti i cerchi dell'apparire. La narrazione tecnica è un momento della narrazione della volontà di potenza ed è quella attualmente in atto, che determina l'attuale apparire dell'ente.

Citazione:
No così non dimostri niente! infatti anche il niente è uguale al niente.
Come dice SinceroPan, forse dire che il niente è niente è dire troppo. Il niente si manifesta come assoluta contraddizione e dunque è qualcosa pur essendo niente. Pare rispettare il principio di identità contraddicendolo per cui è effettivamente indicibile.

Citazione:
Dunque l'unità è da intendersi proprio come sottrazione (spinoza: ogni determinazione è una negazione) e non come l'ente.
E qui c'è coincidenza con la logica dialettica hegeliana per cui la verità dell'ente è data da tutte le sue negazioni (o sottrazioni in termini booleani). Ma questo significa che il risultato di queste sottrazioni alla fine è esattamente l'ente stesso. identico a se stesso e non altro da sé. Ora mentre per Hegel questo ente viene via via costruendosi nella storia partendo da uno stato parziale e dunque falso, per Severino viene via via ritrovandosi nella gloria di un continuo apparire.


Citazione:
qua si va a dritte vele sul problema degli universali e del nominalismo suo compagno. (back to the dark age! il medioevo...beh forse non furono così oscure quelle epoche)
Vedi che poi alla fine si ritorna sempre al punto di partenza!
maral is offline  
Vecchio 05-11-2014, 01.14.16   #68
green&grey pocket
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Citazione:
Originalmente inviato da SinceroPan
formalmente non condivido questa proposizione..

non puoi dire (sensatamente)


Formalmente o sensatamente? (che ti succede amico? sono 2 cose diverse!)

Sensatamente ne possiamo anche parlare, ma cadremmo nel dilemma del milese, infatti non possiamo parlare di qualcosa che è non-ente.

Ma se io formalizzo il non-ente come l'insieme vuoto degli enti, probabilmente comincia ad avere senso.

Mentre ovviamente il non-ente come insieme vuoto dell'ente non avrebbe senso, in quanto l'ente non ha insieme, in quanto onnipervasivo.

inoltre di quell'insieme vuoto degli enti, rientra a mio parere tutta la problematica contemporanea sul soggetto.
green&grey pocket is offline  
Vecchio 05-11-2014, 01.17.47   #69
green&grey pocket
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Citazione:
Originalmente inviato da and1972rea
Bisogna , a mio avviso, considerare il fatto che la linea storica che connota l'ente nel suo divenire non è logicamente dimostrabile alla ragione, non è cioé deducibile dal mero apparire di questo presunto ente, ma solamente auspicabile dalla nostra immaginazione; l'evoluzione spaziotemporale dell'ente, cioè , non coincide con il proprio apparire, e nessuno di noi può conoscerla per certo ; chi di noi può essere certo che fra un capoverso e l'altro de"i tre moschettieri" in un solo punto non ci siamo persi l'intera digressione che stravolge quel racconto in un altro del tutto diverso e che ci spiega come in realtà essi fossero stati in 15 ?... solamente chi ha scritto quel racconto, nel rileggerlo può permettersi di saltare qualche spezzone mantenendo la certezza dell'essenza del proprio scritto, ma noi che osserviamo l'apparire del reale non possiamo dedurre da questo mero apparire la sostanza di ciò che compie l'azione di essere, cioe dell'essente, perché anche in un solo punto l'interruzione dell'apparire potrebbe contenere innumerevoli essenti distinti fra loro , ma che noi scambiamo per unico. In conclusione, l'apparire dell ente in sé può generare in noi la visione immaginaria di ciò che enti non sono, perché l apparire non solo non coincide con l 'essente, ma non coincide neppure con il divenire di questo essente davanti ai nostri occhi. La pellicola può anche scorrere, ma ciò che noi vediamo non è mai il film che essa proietta realmente...

Sì e allora la shoà sarà spiegabile tramite qualche digressione...
Ma non è proprio una delle critiche che si fa a Severino?
Comunque a rigor di logica ci sta.
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Vecchio 05-11-2014, 01.37.55   #70
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Originalmente inviato da maral
Ma quello che non capisco è che se all'ente si sottrae l'oggetto e quindi il soggetto cosa resta dell'ente? Perché non dovrebbe annullarsi dopo questa duplice sottrazione?
Cosa significa "1" nella formula? L'unità originaria dell'ente?

No l'unità originaria MENO il soggetto farà un dato x (soggetto, più una parte dell'unità sottratta ossia l'oggetto) che moltiplicato (con l'oggetto che si sottrae all'unità come escluso, potrebbe essere la Cosa kantiana?) più una parte y dell'unità sottratta, che sono gli oggetti "altri" che permetto di riconoscere il soggetto e l'oggetto come tali.

l'ente originario perciò è qualcosa che NON è l'unità (x per y non farà MAI 1, questo proprio matematicamente), ma qualcosa che si va ricostruendo all'indietro come apparente unità.
qualcosa di resistente, qualcosa che permane di sfondo al nostro vivere in queste relazioni cosali: a me torna alla grande.

Assomiglia molto all'essere Heideggerinao.

E se mi dici Severino parla di ricostruzione (e non costruzione unitaria alla Hegel) possiamo anche trovare che la pensi in maniera simile.

Quello che più mi piace è che finalmente il problema del sentire il tutto, che è impossibile a partire dalla parte (se non postulandolo), si risolve in una partecipazione dell'ente originario a questa fenomenologia del distacco dall'uno-tutto.
il punto è che non è un tutto, ma un 1, immagino proprio nel senso aritmetico di unità (primitiva?) disponibile all'apparire umano.
Di commisurazione, o semlicemente di commisurabilità, di possibilità fenomenica.
green&grey pocket is offline  

 



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