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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 28-07-2014, 07.52.01   #41
CVC
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Riferimento: Che differenza c'è fra desiderare e volere?

Citazione:
Originalmente inviato da maral
Perché la volontà vuole comunque che quello che è sia altro da ciò che è e in tal senso è continua insoddisfazione (è volere la propria insoddisfazione).
Ovviamente so benissimo che se voglio mandarti un messaggio una volta che te l'ho mandato realizzando questo specifico desiderio possa sentirmi soddisfatto e considerare ogni cosa conclusa, ma questa non è la volontà espressa in senso ontologico a cui mi riferisco.
Non è la volontà che vuole, è l'individuo che vuole. Ipostatizzare la volontà è secondo me un errore. La volontà è funzionale al sentire e al pensare dell'individuo. Se è la volontà che vuole e non l'individuo, allora non potremmo mai essere felici, mai essere liberi. E il nostro discorrere non sarebbe che un parlare di schiavi dietro alla schiena del padrone.
Il nostro discorrere dovrebbe essere invece un continuo mettere ordine nei nostri pensieri verso la ragione universale, che può essere un qualcosa in cui credere o magari anche solo un'utopia, la quale da un significato a ciò che appare solo un vuoto volere degli istinti, un succedersi di pulsioni, un continuo crearsi, annullarsi e consolidarsi di riflessi condizionati.
Si può essere così ingenui da credere ancora in una ragione universale nel 2014? Non lo so. Quello che so è che più metto ordine nelle zone in ombra del mio essere e maggiore benessere spirituale ne ricavo. Se ciò poi implica ricorrere a strutture concettuali che presuppongono l'esistenza di un dio-ragione, di un logos che si pone come filtro di ogni cosa, in altri termini, se ciò implica di pensare come pensavano 2000 anni fa, non lo considero un male a fronte del ricavo spirituale che ne traggo. Comunque sono cosciente di vivere nel 2014
CVC is offline  
Vecchio 28-07-2014, 18.41.35   #42
Garbino
Garbino Vento di Tempesta
 
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Riferimento: Che differenza c'è fra desiderare e volere?

X CVC

Il problema è appunto che ho molti dubbi che l' essenza dell' uomo sia quella di rendersi migliore. A parte che bisognerebbe stabilire migliore in rapporto a cosa, ma, al di là di questo, come si fa a ritenere che sia questa quando le cose vanno come vanno?

Sono i filosofi i miglioratori dell' umanità, o almeno coloro che cercano di indicare una strada per un miglioramento, ma che l' uomo comune persegua questo fine o che questa sia l' essenza umana lo trovo un po' arduo da affermare.

Ciò non toglie che possa essere la tua essenza, ma di certo non è la generale, o le cose andrebbero senza ombra di dubbio meglio.

Comunque, per cercare di spiegarti cosa intendo, l' individuo razionale è quello che segue la ragione e le sue volontà, e il tipo istintivo è quello che segue le sue pulsioni, ma in entrambe i casi l' 'io' che agisce di cui parlavo nel precedente post, a mio avviso, subisce la dittatura della parte che lo governa e non è mai libero. Come non lo è chi riesce a mantenere una certa indipendenza sia dalla ragione che dall' istinto.
E questo perché le due parti esercitano una pressione costante.

Posso essere d' accordo sul fatto che l' unico momento in cui un individuo può raggiungere un certo grado di libertà è quando segue un pensiero grazie alla sua conoscenza ed intelligenza. Quando cioè è solo con sé stesso. Ma bada bene ho detto può, perché non sempre la libertà è facilmente raggiungibile.

Ringrazio Sgiombo per la citazione.

Garbino Vento di Tempesta
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Vecchio 28-07-2014, 19.50.24   #43
maral
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Riferimento: Che differenza c'è fra desiderare e volere?

Citazione:
Originalmente inviato da CVC
Non è la volontà che vuole, è l'individuo che vuole. Ipostatizzare la volontà è secondo me un errore. La volontà è funzionale al sentire e al pensare dell'individuo. Se è la volontà che vuole e non l'individuo, allora non potremmo mai essere felici, mai essere liberi. E il nostro discorrere non sarebbe che un parlare di schiavi dietro alla schiena del padrone.
Certo, la volontà dovrebbe essere un mezzo al servizio dell'individuo ed effettivamente essa appare originariamente come un io voglio, l'io (insieme al mondo da far suo) è la prima e fondamentale apparizione della fenomenologia della volontà. Ma se questa volontà si ferma nei limiti di una dimensione individuale scopre la sua debolezza, il suo morire invano di fronte a un mondo altro che gli si oppone e gli resiste. E' per questo che si crea la necessità di una volontà che trascenda l'individuo e che usi l'individuo come suo strumento, il volere individuale determina pertanto la sua trasfigurazione metafisica che si regge su se stessa sovrastandolo, esattamente come si creano le ipostasi delle divinità o delle idee in sé e di ogni episteme.
La ragione è sempre quella: la potenza illimitata a cui l'individuo non può giungere da solo, ma a cui può pervenire se si concepisce come strumento di tale potenza che lo rappresenta senza i sui limiti, che lo rappresenta in astratto.
E' vero, se è la volontà che vuole non possiamo mai essere né liberi né felici, ma questo è il prezzo che si paga al potersi illudere di una sconfinata potenza e se la potenza è limitata che potenza è, ci sarà sempre il rischio di una potenza maggiore!
C'è sicuramente una contraddizione sotto questo pensiero: io voglio tutto, voglio l'impossibile, ma per poter volere tutto devo riferire questo mio volere a una onnipotenza che sta oltre me e mi usa, ad essa dunque mi affido, come sua creatura. E l'onnipotenza che si rivela stare al di sopra di ogni potenza è la volontà di potenza stessa che diventa del tutto autoreferenziale, liberandosi di dei, metafisiche e utopie razionali o meno che sono solo tappe intermedie, strumenti a suo uso e consumo

Citazione:
Il nostro discorrere dovrebbe essere invece un continuo mettere ordine nei nostri pensieri verso la ragione universale
Ma anche la ragione universale è un'ipostatizzazione di un io che ragiona e dunque segue lo stesso percorso. Di ragione universale parlavano gli illuministi e il risultato fu il Terrore, poi la Restaurazione, poi Napoleone e l'impero, poi fua ssociata al pensiero scientifico e il risultato fu un secolo di guerre, dittature, lutti e dolori quali mai l'umanità aveva conosciuto prima. La ragione si è resa così anch'essa strumento della volontà di potenza, come ogni utopia che l'uomo si crea e in cui vuole credere. Solo qui sta l'ingenuità a mio avviso: pensare che dopotutto basti mettere ordine sulla semplice base di principi razionalissimi, come se la volontà di potenza non sia sempre stata capace di appropriarsi di qualsiasi razionalissimo principio e usarlo come meglio gli è parso fino a distruggerlo completamente.
Poi "ingenuamente" ci si stupisce che le tragedie continuino a colpire con la medesima efferatezza il genere umano quando tanto ci sembra sia stato il progresso razionale.
maral is offline  
Vecchio 28-07-2014, 20.04.55   #44
Duc in altum!
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Riferimento: Che differenza c'è fra desiderare e volere?

** scritto da CVC:

Citazione:
E' più facile cercare di correggere la realtà che correggere se stessi

E' piu' facile "illudersi" di cercare di correggere (cambiare) la realtà, che correggere sé stessi.

La realtà è quella, infatti non sarà mai un voto di maggioranza (o una facile illusione) a determinare la verità; mentre invece sembra facile ma è tanto difficile dire:- "Io ho sbagliato"!, e quindi poi correggere sé stessi.


Pace&Bene
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Vecchio 29-07-2014, 10.23.50   #45
green&grey pocket
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Riferimento: Che differenza c'è fra desiderare e volere?

Citazione:
Originalmente inviato da gyta
Il desiderio è strettamente correlato ad una volontà profonda che lo determina.
Quella stessa volontà profonda che presiede ai bisogni primari (che se ne voglia dire differentemente).
I bisogni primari non sono esclusivamente quelli della sete e della fame ma ancor più ed forse ancor prima
o parimenti quelli identitari. Ovvero quelli relativi al senso, alla finalità profonda attraverso cui sperimentiamo
di essere. Ciò che determina l’identità profonda senza la quale persino la sete e la fame possono venire
differentemente convogliati. C’è quindi una corrispondenza strettissima tra il desiderio e l’identità (o come
direbbe qualcuno, processo d’individuazione). La volontà non è quella forza esterna che solitamente
crediamo di poter dirigere ma quella spinta interna e profondissima strettamente congiunta
al senso identitario più profondo. Laddove si snoda il senso più profondo il desiderio ne diventa il relativo specchio;
nelle piccole cose come nelle più importanti. Anche il desiderio apparente non è che segno di una volontà
ben determinata da un senso identitario che governa e muove l’essere dal profondo.
In quest’ottica non esistono desideri superficiali e desideri fondati:
ma desideri maschera e desideri radice. Ma tutti proprio tutti null’altro che spinta interiore di bisogni autentici
che secondo “realtà” prendono differenti aspetti. La stessa fame e sete nel neonato è tutt’uno al corrispettivo
simbolico di essere (tramite l’identità materna creativa e sostentatrice). Poco conta, a mio avviso,
se tale coscienza di simbolismo divenga coscienza mentale solo molto “tempo” dopo. La volontà profonda
già si esprime cogliendone il senso identitario. Ciò che muta fondamentalmente non è che il segno esterno
e non il senso o simbolismo. Come detto precedentemente quindi anche i desideri indotti
non sono fittizi, fittizia è la forma, il segno, attraverso cui compaiono, attraverso cui
la nostra coscienza mentale è in grado di accoglierli.

Ci sono desideri riconosciuti e desideri celati,
eppure tutti ma proprio tutti rispondo a quella volontà profonda
che muove al di sotto e dona le rispettive forme secondo (compromessi di) "realtà".

Infine, il gioco di libertà non resta che nella trasparenza attraverso cui cogliamo
ciò che ci anima al di là di ciò che sembra apparire..
Ancora una volta il mezzo pur apparendo tale null'altro è se non il fine medesimo..

Esatto quoto tutto, ma proprio tutto.

vorrei chiederti a questo punto cosa ne pensi del rapporto soggetto-io, anzitutto se lo distingui, e poi magari a settembre discuteremo del mio bisogno più intimo cioè il rapporto io-mondo.(eh sì il desiderio, come forza che viene da altrove, centra eccome).

green&grey pocket is offline  
Vecchio 29-07-2014, 13.11.24   #46
CVC
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Riferimento: Che differenza c'è fra desiderare e volere?

@Garbino
Gli stoici antichi pensavano che il principio di base di tutte le cose è la tendenza a conservare ed accrescere il proprio essere. Ora, se ciò che caratterizza maggiormente l'essere di un bue è la forza e di un cavallo è la velocità, un bue sarà tanto migliore quanto piú è forte e un cavallo tanto migliore quanto più è veloce. Di conseguenza, se ciò che caratterizza l'uomo dagli altri esseri è la razionalità, sarà tanto migliore quanto più è razionale.
Veramente noi oggi consideriamo superati questi ragionamenti, perché non consideriamo bue, cavallo e uomo solo in base a forza, velocità e razionalità.
Ma si può pensare che una cosa, sebbene abbia molti attributi, ha qualcosa che la caratterizza maggiormente degli altri; e che ciò che è, è fino a quando si conserva e rafforza il proprio essere.

@maral
Ma dietro alla volontà deve esserci qualcuno che vuole innanzitutto. Mi pare un vizio severiniano quello di partire dal presupposto che religione, filosofia e scienza siano tutto frutto della volontà dell'uomo di dominio sul mondo. Potrebbero essere molteplici le cause che hanno portato l'uomo a queste forme di pensiero. Quella che dovrebbe essere un'ipotesi è posta da Severino come fondamento del suo discorso e peraltro pare travisi la traduzione di thauma nella metafisica di Aristotele. L'uomo iniziò a filosofare per la meraviglia lo fa diventare l'uomo iniziò a filosofare per il terrore. Il terrore di non avere il dominio sulle cose, la volontà di potenza, ecc.
In altre parole Severino, almeno mi pare, da valore incontrovertibile a questa sua ipotesi.
I drammi della ragione nascono e quando si vuole assolutizzarla. Un conto è riconoscerne l'importanza primaria, un conto è volerla isolare dal conflitto perenne in cui è immersa contro le forze a lei contrarie. Per essere, la ragione, deve lottare contro ciò che è altro da lei. Altrimenti, assolutizzando la, non si fa che razionalizzare l'irrazionale. La ragione universale è infatti rappresentata dal fuoco dell'eterno conflitto.
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Vecchio 29-07-2014, 14.55.05   #47
laryn
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Riferimento: Che differenza c'è fra desiderare e volere?

Citazione:
Originalmente inviato da gyta
Il desiderio è strettamente correlato ad una volontà profonda che lo determina.

E' inutile dire che sei straordinariamente convincente quando scrivi. Leggerti è coinvolgente.
Diverso è soppesare i concetti che vegono fuori dalla tua tastiera.

Ad esempio come fai a dire che la volontà anticipa il desiderio?
A rigor di logica parrebbe il contrario, perchè nulla vieta che che sia prima il desiderio a sollecitare e poi, ad esso, segue la voglia di concretizzarlo, foss'anche un desiderio di natura trascendentale.
Come si fa a volere prima di desiderare?
Supponiamo pure che desiderio e volontà possono essere l'uno la conseguenza dell'altra, o viceversa, resta che mi chiedo:
Da cosa è originato il desiderio?
Da cosa la volontà?
Da cosa la cosa che origina desiderio e volontà?
Il contrario di desiderio è apatia.
Come si origina l'apatia, piuttosto che non originarsi?
Si parla qui di realtà, ma cos'è la realtà?
Perchè si fa appello alla realtà quale testimone degli accadimenti?
La realtà esiste o non esiste? E se diciamo che esiste con quale mezzo lo diciamo?
Non è che forse ciò che ci induce a chiamare realtà certe cose e fantasia altre è ciò che, in ordine, viene prima della stessa realtà?
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Vecchio 29-07-2014, 23.11.16   #48
maral
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Riferimento: Che differenza c'è fra desiderare e volere?

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Originalmente inviato da CVC
Ma dietro alla volontà deve esserci qualcuno che vuole innanzitutto.

Certo, la volontà implica un soggetto che vuole e un oggetto voluto, Ora la questione è se questa volontà può essere o meno soggetto e oggetto di se stessa o quanto meno porsi come tale e ponendosi come tale divenire volontà di potenza. La questione resta aperta mi pare.
Citazione:
Mi pare un vizio severiniano quello di partire dal presupposto che religione, filosofia e scienza siano tutto frutto della volontà dell'uomo di dominio sul mondo. Potrebbero essere molteplici le cause che hanno portato l'uomo a queste forme di pensiero. Quella che dovrebbe essere un'ipotesi è posta da Severino come fondamento del suo discorso e peraltro pare travisi la traduzione di thauma nella metafisica di Aristotele. L'uomo iniziò a filosofare per la meraviglia lo fa diventare l'uomo iniziò a filosofare per il terrore. Il terrore di non avere il dominio sulle cose, la volontà di potenza, ecc.
Non so, a me pare piuttosto efvidente a livello fenomenologico che nella teligione, nella filosofia (intesa nel senso Greco) e ancor di più nelle scienze vi sia un essenziale bisogno di controllo e dominio sul mondo (magari per interposta persona, a mezzo di un Dio Onnipotente che si fa nostro alleato avendo assoluta fede in lui, nello stesso mito della Genesi d'altronde il Creatore garantisce all'uomo il dominio su tutte le altre creature che pone al suo servizio).
Per quanto riguarda la traduzione severiniana di thauma non sono un filologo tale da poterla approvare o negare, devo ammettere però che il senso del meraviglioso nella natura (dunque non nell'artefatto umano) contiene certamente in sé il senso del terrificante e questo non solo per Severino. E' quello che i Romantici identificavano con il sublime, di fronte alla cui sovrumana potenza e maestosità si resta affascinati e impauriti. Impauriti proprio perché vi si scorge una grandiosità che non può essere ricondotta ad alcuna dimensione umana, ci trascende completamente. La lettura di Otto del Sacro va proprio in questa direzione, il sacro non è certo una tenera consolazione, è il tremendum. Mi pare di averlo già detto: è un sentimento che possiamo benissimo provare, ad esempio guardando l'immensità della volta stellata una notte in aperta campagna, ma anche di fronte a certi grandiosi paesaggi rupestri privi di presenza umana, o ad altre manifestazioni di grande potenza naturale, o al misterioso abisso che è in noi stessi. Al di là di qualsiasi analisi filologica del termine non ci trovo nulla di arbitrario o di meramente ipotetico nella traduzione che dà Severino alla parola greca e negli antichi riti si esprime proprio la necessità umana di farsi alleati di questa straordinaria potenza personificata che attrae e incute terrore, che può salvare e uccidere (e già la personificazione è un tentativo di ricondurre la potenza del tremendum alla sfera umana, una prima razionalizzazione embrionale per assicurarsene il controllo e la prevedibilità).
Citazione:
I drammi della ragione nascono e quando si vuole assolutizzarla. Un conto è riconoscerne l'importanza primaria, un conto è volerla isolare dal conflitto perenne in cui è immersa contro le forze a lei contrarie. Per essere, la ragione, deve lottare contro ciò che è altro da lei. Altrimenti, assolutizzando la, non si fa che razionalizzare l'irrazionale. La ragione universale è infatti rappresentata dal fuoco dell'eterno conflitto.
Ma la ragione nasce proprio da queste forze oscure che comunque ci abitano e suscitano meraviglia e terrore, angoscia e fascinazione. L'opporsi ad esse è solo un piccolo tentativo per ricavare uno spazio in cui non esserne soverchiati, uno spazio in cui poter trovare umana dimora. Quanto sostengo è proprio ciò che la ragione deve riconoscere questa sua matrice da cui emerge e non isolarsi nella propria illusione costantemente contraddetta.
Citazione:
Originalmente inviato da gyta
Il desiderio è strettamente correlato ad una volontà profonda che lo determina...
E' sicuramente interessante questa interpretazione che pone la volontà di autodeterminazione dell'ente in quanto tale prima del suo desiderare, per cui il desiderare alla fine si rivela sempre come un volere se stessi attraverso un continuo rappresentarsi a mezzo degli oggetti del desiderio che in qualche modo saranno sempre autentici per questo "destino". Ancora una volta però mi pare sia l'io (la sua volontà) che si ponga a potenza estrema, oppure c'è qualcosa di più profondo?
Un tempo sostenni che prima dell'io ciò che si manifesta è il voler far proprio, è il senso di appropriazione che pone un soggetto in prima persona singolare che in tal modo si individua come vero centro del mondo, un po' come Narciso che non conoscendo il suo volto e vedendo un volto riflesso nell'acqua lo desidera come suo e se ne invaghisce al punto di volerlo afferrare e quindi annegare. E certo c'è una fase dello sviluppo in cui questo rischio accade ed è necessario che accada, come è necessario che l'io trovi il suo limite nel mondo e non solo lo specchio letale del suo desiderio.
maral is offline  
Vecchio 30-07-2014, 07.04.59   #49
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Riferimento: Che differenza c'è fra desiderare e volere?

Citazione:
Originalmente inviato da maral
Certo, la volontà implica un soggetto che vuole e un oggetto voluto, Ora la questione è se questa volontà può essere o meno soggetto e oggetto di se stessa o quanto meno porsi come tale e ponendosi come tale divenire volontà di potenza. La questione resta aperta mi pare.

Non so, a me pare piuttosto efvidente a livello fenomenologico che nella teligione, nella filosofia (intesa nel senso Greco) e ancor di più nelle scienze vi sia un essenziale bisogno di controllo e dominio sul mondo (magari per interposta persona, a mezzo di un Dio Onnipotente che si fa nostro alleato avendo assoluta fede in lui, nello stesso mito della Genesi d'altronde il Creatore garantisce all'uomo il dominio su tutte le altre creature che pone al suo servizio).
Per quanto riguarda la traduzione severiniana di thauma non sono un filologo tale da poterla approvare o negare, devo ammettere però che il senso del meraviglioso nella natura (dunque non nell'artefatto umano) contiene certamente in sé il senso del terrificante e questo non solo per Severino. E' quello che i Romantici identificavano con il sublime, di fronte alla cui sovrumana potenza e maestosità si resta affascinati e impauriti. Impauriti proprio perché vi si scorge una grandiosità che non può essere ricondotta ad alcuna dimensione umana, ci trascende completamente. La lettura di Otto del Sacro va proprio in questa direzione, il sacro non è certo una tenera consolazione, è il tremendum. Mi pare di averlo già detto: è un sentimento che possiamo benissimo provare, ad esempio guardando l'immensità della volta stellata una notte in aperta campagna, ma anche di fronte a certi grandiosi paesaggi rupestri privi di presenza umana, o ad altre manifestazioni di grande potenza naturale, o al misterioso abisso che è in noi stessi. Al di là di qualsiasi analisi filologica del termine non ci trovo nulla di arbitrario o di meramente ipotetico nella traduzione che dà Severino alla parola greca e negli antichi riti si esprime proprio la necessità umana di farsi alleati di questa straordinaria potenza personificata che attrae e incute terrore, che può salvare e uccidere (e già la personificazione è un tentativo di ricondurre la potenza del tremendum alla sfera umana, una prima razionalizzazione embrionale per assicurarsene il controllo e la prevedibilità).

Ma la ragione nasce proprio da queste forze oscure che comunque ci abitano e suscitano meraviglia e terrore, angoscia e fascinazione. L'opporsi ad esse è solo un piccolo tentativo per ricavare uno spazio in cui non esserne soverchiati, uno spazio in cui poter trovare umana dimora. Quanto sostengo è proprio ciò che la ragione deve riconoscere questa sua matrice da cui emerge e non isolarsi nella propria illusione costantemente contraddetta.

E' sicuramente interessante questa interpretazione che pone la volontà di autodeterminazione dell'ente in quanto tale prima del suo desiderare, per cui il desiderare alla fine si rivela sempre come un volere se stessi attraverso un continuo rappresentarsi a mezzo degli oggetti del desiderio che in qualche modo saranno sempre autentici per questo "destino". Ancora una volta però mi pare sia l'io (la sua volontà) che si ponga a potenza estrema, oppure c'è qualcosa di più profondo?
Un tempo sostenni che prima dell'io ciò che si manifesta è il voler far proprio, è il senso di appropriazione che pone un soggetto in prima persona singolare che in tal modo si individua come vero centro del mondo, un po' come Narciso che non conoscendo il suo volto e vedendo un volto riflesso nell'acqua lo desidera come suo e se ne invaghisce al punto di volerlo afferrare e quindi annegare. E certo c'è una fase dello sviluppo in cui questo rischio accade ed è necessario che accada, come è necessario che l'io trovi il suo limite nel mondo e non solo lo specchio letale del suo desiderio.
Si ma c'è il rischio che, presupponendo la volontà di dominio a monte di tutto, a monte della ragione stessa, tutto perda di senso. Poniamo che sia la volontà di dominio che muove tutto il mondo, che muove me e te, che ci fa scrivere, concordare o discutere. Che senso ha? Che senso ha che tutto l'agire sia finalizzato al dominio, che lo stesso conoscere sia in funzione del dominio. E' forse più importante il dominare che il sapere cosa si domina e perchè? Lo stoicismo è volontà di autodominio, è vero. Ma non è un dominio, l'autodominio, che si cerca per il puro godimento della volontà.E' un dominio alla cui base c'è la scelta morale, in base a ciò che è reputato morale si agisce o non si agisce. Si cerca l'autodominio. Che poi la definizione di ciò che è bene sia questione perennemente aperta e forse irrisolvibile siamo d'accordo, ma c'è già differenza fra provarci (a cercare il bene) e non provarci. Se si pone la volontà di potenza a monte di tutto, si rinuncia in partenza ad ogni tipo di ricerca morale. Tanto qualunque cosa faccia la faccio perchè spinto da forze misteriose, irresistibili, incontrollabili oppure per paura delle stesse. Perchè seguendo questo ragionamento, la morale viene relegata a paura di dire di sì alla vita, accomodamento fra gli uomini che rinunciano alla volontà di potenza e preferiscono da ignavi restarsene tranquilli fra di loro.
Sono d'accordo sul fatto che la ragione sembra emergere da forze oscure. Socrate e Cartesio sono considerati emblemi del razionalismo, eppure parlavano esplicitamente dei loro demoni.
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Vecchio 30-07-2014, 09.01.19   #50
jeangene
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Riferimento: Che differenza c'è fra desiderare e volere?

Ciò che mi sento di dire a riguardo della volontà e del desiderio è che io voglio, io desidero, ma non posso scegliere cosa volere e cosa desiderare.
Io voglio andare al mare, ma non posso scegliere di volere andare al mare o di volere andare in montagna.
Io desidero quest' auto, ma non posso scegliere di desiderare quest' auto o di desiderare quest' altra.
...
(Anche se fosse possibile, scegliere è comunque un atto di volontà)
Questo però penso sia logico in quanto la volontà e il desiderio costituiscono il motore della nostra esistenza, il quale dev' essere sempre acceso, non ci è possibile sospenderne l' azione (anche perchè sospendendo ogni volontà/desiderio verrebbe sospesa ogni volontà/desiderio di scegliere e non ci sarebbe possibile riavviarlo). Non siamo noi ad avviarlo, non siamo noi a poterlo arrestare.


Ultima modifica di jeangene : 30-07-2014 alle ore 09.26.04.
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