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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 04-09-2014, 20.12.33   #21
maral
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Originalmente inviato da jeangene
Ma il parlare quotidiano continuerebbe ad avere senso, è il parlare che tenta di cogliere Verità che lo perderebbe.
Frasi come: "Vado al cinema", "La penna è sul tavolo", "Questo tavolo è marrone" continuerebbero ad avere senso. Con "Questo tavolo è marrone" non voglio dire altro che vedo questo tavolo marrone, non mi interessa sapere nè cosa significa vedere, nè cosa è il tavolo, nè cosa è il marrone.

Ma anche il parlare quotidiano che senso avrebbe se tutto fosse rappresentazione? se vai al cinema significa che pensi che ci sia davvero quel cinema e non sia una mera rappresentazione di qualcos'altro, infatti non dici vado alla rappresentazione di un cinema, allo stesso modo se dici questo tavolo è marrone è evidente che senti che c'è davvero un tavolo marrone e sai perfettamente cosa è il tavolo e cosa è il marrone, lo stesso è per la penna sul tavolo.
Il punto è che soprattutto il parlare quotidiano rispetta, sia pure in un modo banale, il principio ontologico come incontestabile fenomenologia, non lo pone minimamente in dubbio, è solo in un secondo momento che il dubbio appare, poiché appare sempre rispetto alle antitesi che via via emergono dallo sfondo implicate dall'ente, ma questo non è per nulla immediato.
L'errore sta nel separare le antitesi richiamate dalla visione parziale dell'ente che ad esse restano invece collegate, ma questo tavolo marrone è proprio questo tavolo marrone qui ed ora, lo esige sia la fenomenologia che la logica del principio di identità da cui non si esce in nessun modo.
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Originalmente inviato da Sgiombo
Però può benissimo non esserci qualcosa potendone comunque dirsi qualcosa
Qui occorre togliere l'ambiguità del termine "qualcosa che non c'è" di cui si può parlare. Fermo restando che anche il nulla comunque è e infatti è assoluta contraddizione e assoluta insignificanza, quindi è qualcosa, come sono qualcosa l'attuale re di Francia, i personaggi delle fiabe e dei miti, Amleto di Shakespeare e via dicendo. Tutti infatti sono perfettamente e coerentemente predicabili, tanto che l'attuale re di Francia non ci appare come questo tavolo marrone, a meno che non lo si voglia tale, ed è' proprio perché sono qualcosa che ha senso parlare di queste cose che diciamo immaginarie, secondo quanto la loro precisa ontologia ci consente.

In conclusione dire che tutto è rappresentazione è contraddittorio per ogni tipo di linguaggio o fenomenologia, perché equivale a dire che nulla è rappresentazione e proprio in quanto si dice che tutto lo è, mentre è vero che ogni ente nel suo apparire rimanda sempre ad altri enti, è legato ad essi, richiama il loro significare, per cui la rappresentazione è esattamente quella messa in scena dagli infiniti enti, ma in quanto tale, in quanto corrisponde alla totalità del gioco, essa è proprio la realtà, è quello che c'è.

Non so se sono riuscito a spiegarmi, ma c'è un'altra cosa da aggiungere: si può certo negare la realtà delle cose (nonostante il suo continuo immediato apparirci) e la si nega non in quanto non è, ma in quanto non la si vuole, ossia si vuole il nulla, che abbiamo detto essere il perfetto insignificante, affinché così qualsiasi cosa si vuole possa realmente essere e significare, compresa la contraddizione assoluta, basta volerla e avere la tecnica per imporla. Dietro l'apparente negazione dell'ente in sé tutto diventa questione di volontà di potenza e di tecnica per saperla esercitare con la massima efficacia cosicché dal nulla che si rappresenta ogni cosa possa essere illusa.
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Vecchio 04-09-2014, 21.39.48   #22
sgiombo
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Originalmente inviato da maral

Qui occorre togliere l'ambiguità del termine "qualcosa che non c'è" di cui si può parlare. Fermo restando che anche il nulla comunque è e infatti è assoluta contraddizione e assoluta insignificanza, quindi è qualcosa, come sono qualcosa l'attuale re di Francia, i personaggi delle fiabe e dei miti, Amleto di Shakespeare e via dicendo. Tutti infatti sono perfettamente e coerentemente predicabili, tanto che l'attuale re di Francia non ci appare come questo tavolo marrone, a meno che non lo si voglia tale, ed è' proprio perché sono qualcosa che ha senso parlare di queste cose che diciamo immaginarie, secondo quanto la loro precisa ontologia ci consente.



Non so se sono riuscito a spiegarmi, ma c'è un'altra cosa da aggiungere: si può certo negare la realtà delle cose (nonostante il suo continuo immediato apparirci) e la si nega non in quanto non è, ma in quanto non la si vuole, ossia si vuole il nulla, che abbiamo detto essere il perfetto insignificante, affinché così qualsiasi cosa si vuole possa realmente essere e significare, compresa la contraddizione assoluta, basta volerla e avere la tecnica per imporla. Dietro l'apparente negazione dell'ente in sé tutto diventa questione di volontà di potenza e di tecnica per saperla esercitare con la massima efficacia cosicché dal nulla che si rappresenta ogni cosa possa essere illusa.

L' ambiguità é nel senso in cui impieghi il concetto di "essere".

Esso può significare "essere pensato", ipotizzato, immaginato, predicato (magari falsamente) esistere", oppure "esistere realmente" (non unicamente come oggetto di pensiero, ma pure indipendentemente dall' essere ANCHE, EVENTUALMENTE pensato, ipotizzato, immaginato, predicato (magari falsamente) esistere.

L' attuale re di Francia é unicamente nel primo senso, come certi personaggi di Shakespeare e altri della letteratura, mentre questo tavolo marrone (tanto per stare all' esempio; ma potrei dire in aternativa l' attuale regina di Gran Bretagna) é nel secondo senso:

mi sembrano due casi ben diversi!

Questa faccenda della volontà di potenza continuo a non capirla: non é che se voglio che questo infamissimo e reazionarissimo governo Renzi-Napolitano di nemici del popolo (letteralmènte), i quali affermano che "non ci sono le risorse occorrenti per rinnovare i contratti dei dipendenti pubblici" (Madia) mentre scialacquano alla grandissima non tanto per i loro miserabili privilegi personali quanto per le criminalissime "missioni (orwellianamente) di pace" all' estero e per pagare gli interessi da megausura agli strozzini della finanza globale, non esista, allora esso non esiste (nel secondo senso del termine "essere"): magari!
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Vecchio 05-09-2014, 05.17.06   #23
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L'uomo potrà sempre e solo guadare alla mappa e mai al territorio, così come ogni tipo di percezione limitata alla sua tipologia. E' possibile però che nell'uomo ci sia anche uno stato di coscienza che gli permetta di annusare il territorio. Questo è un concetto però che sta nell'"oggettivo"(nell'etimo), come visione dell'oggetto al di fuori di sè. Nel soggettivo invece il territorio coincide necessariamente con la mappa, vero è per il percepente ciò che percepisce.
Una verità nell'oggettivo; la verità nel soggettivo, compreso i concetti di rappresentato e rappresentazione di essa, così come il significato della parola e dell'idea di ontologico stessa, in una spirale di relatività.
Come uscirne? A parer mio solo nella concezione di uno stato alterato di coscienza mistico, intraducibile in parole, al di là dei significati, dove sparisce la concezione del sè in favore di un Uno, d'un Tao, d'un perdersi per poi ritrovarsi in piedi sul terreno dissolvendo la mappa.
Illusione? Ricaduta nel soggettivo? O chissà che non esista un livello di coscienza affine ad un briciolo di territorio, un buco sulla mappa...
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Vecchio 05-09-2014, 08.13.12   #24
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[...]

Ammettiamo l' esistenza di una realtà/verità celata dietro alla rappresentazione (a dire il vero non era mia intenzione negarla, forse é più corretto dire che "tutto ciò che ci si presenta é rappresentazione" e non che "tutto é rappresentazione"), rimane il problema di come descriverla perché come ho scritto sopra:
Ammessa l' esistenza di una realtà/verità indipendente da qualsiasi rappresentazione come posso sperare di coglierla vivendo in una rappresentazione?
Se realizzo di vivere in una rappresentazione e che ogni mio tentativo di descrivere una ipotetica realtà/verità si riduce anch' esso a rappresentazione non vedo il motivo per continuare a tentare di descriverla: meglio tacere.
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Vecchio 05-09-2014, 08.32.10   #25
jeangene
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Come uscirne? A parer mio solo nella concezione di uno stato alterato di coscienza mistico, intraducibile in parole, al di là dei significati, dove sparisce la concezione del sè in favore di un Uno, d'un Tao, d'un perdersi per poi ritrovarsi in piedi sul terreno dissolvendo la mappa.
Illusione? Ricaduta nel soggettivo? O chissà che non esista un livello di coscienza affine ad un briciolo di territorio, un buco sulla mappa...

Sarebbe la nostra salvezza! Tutto può essere, di certo non escludo questa possibilità.

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Vecchio 05-09-2014, 09.37.08   #26
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Originalmente inviato da jeangene
Ho da poco finito di leggere Introduzione a Nietzsche di Gianni Vattimo ed ora una nuova domanda occupa la mia mente: perchè nonostante aver realizzato che tutto è rappresentazione continuiamo a cercare verità ontologiche? La verità è fenomenica, perchè mai dovrebbe essere ontologica?
Tutto è rappresentazione, tutto si dissolve...
Penso a quell' indubitabile fulcro di ogni esperienza, l' io: rappresentazione.
Penso alla coappartenenza di essere e esser-ci: rappresentazione.
Penso al manifestarsi dell' ente come ri-velazione: rappresentazione.
Non c' è nulla che non sia rappresentazione, allora perchè ci ostiniamo a cercare verità ontologiche?


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L'uomo potrà sempre e solo guadare alla mappa e mai al territorio, così come ogni tipo di percezione limitata alla sua tipologia. E' possibile però che nell'uomo ci sia anche uno stato di coscienza che gli permetta di annusare il territorio. Questo è un concetto però che sta nell'"oggettivo"(nell'etimo), come visione dell'oggetto al di fuori di sè. Nel soggettivo invece il territorio coincide necessariamente con la mappa, vero è per il percepente ciò che percepisce.
Una verità nell'oggettivo; la verità nel soggettivo, compreso i concetti di rappresentato e rappresentazione di essa, così come il significato della parola e dell'idea di ontologico stessa, in una spirale di relatività.
Come uscirne? A parer mio solo nella concezione di uno stato alterato di coscienza mistico, intraducibile in parole, al di là dei significati, dove sparisce la concezione del sè in favore di un Uno, d'un Tao, d'un perdersi per poi ritrovarsi in piedi sul terreno dissolvendo la mappa.
Illusione? Ricaduta nel soggettivo? O chissà che non esista un livello di coscienza affine ad un briciolo di territorio, un buco sulla mappa...

Mi colpì molto, quando lessi da ragazzo la “storia della Filosofia di Bertrand Russel”, la citazione di una strofetta di Ronald Knox, laddove si espone icasticamente la teoria di Berkeley sugli oggetti materiali:

Si stupiva un dì un allocco:
«Certo Dio trova assai sciocco che quel pino ancora esista se non c'è nessuno in vista».
Risposta:
«Molto sciocco, mio signore, è soltanto il tuo stupore. Tu non hai pensato che se quel pino sempre c'è è perché lo guardo io
Ti saluto e sono Dio».
Più tardi trovai sorprendente la convergenza (prendete il termine “cum grano salis”) fra la teoria di uno dei tre più grandi “empiristi” inglesi, e l’approccio “ultraidealista” della filosofia-religione Vedanta; in base alla quale la molteplicità dei fenomeni (persone comprese), pur non avendo natura meramente illusoria, non è altro che una “proiezione” dell’Uno Principiale.
Comunque, suggestionato da Berkeley, scrissi da ragazzo un ingenuo “Trattato ad uso di fantasmi”, sostenendo che tutto esisteva esclusivamente nella mia mente, perchè io posso avere esperienza diretta solo di immagini mentali; che, poi, questi siano originati da oggetti esterni, è una mera congettura.
Al riguardo, sostenevo che tale congettura, seppure incoercibile a livello di “fede”, era insostenibile a livello logico; poichè, se l’immagine (in senso lato: cioè visiva, tattile olfattiva ecc.) di un albero fosse la mera percezione di un oggetto esterno, sarebbe come dire che l’oggetto esterno è “causa” della mia “immagine mentale” di albero.
Ma, a ben vedere, il rapporto causa-effetto, io lo riscontro solo fra un immagine mentale e un’altra (“immagine” sensitiva di calore, causata dall’”immagine” visiva di fuoco ecc.); cioè, solo a livello mentale.
Trasporre tale rapporto causale, sperimentato solo al livello mentale, ad un altro livello “oggettiesterni”/”immagini mentali”, mi sembrava argomentativamente arbitrario.
Che poi il mondo esterno fosse comprovato dall’esperienza comune, dalle indagini scientifiche ecc., non scuoteva la sicurezza del mio assunto; perchè, tanto, tutto era nella mia testa...mia testa compresa.
Come in un sogno.

Questo, almeno, era il mio singolare ragionamento di quattordicenne, che sfiorava (per usare un eufemismo) il più estremo “solipsismo”.
Il quale, in senso stretto, come ironicamente commentava Schopenauer, più che di una confutazione filosofica (che è impossibile), necessita di una terapia psichiatrica.
Ed invero, non ha molto senso sostenere che tutto l'universo sia il parto della fantasia -–malata?- di un ragazzino di 14 anni, di nome Federico Caetani, studente...e a cui, per giunta, piace(va) pomiciare con le sue immagini mentali di compagne di scuola.

Diverso è il discorso, se, invece, si fa riferimento non alla singola mente individuale del ragazzino (jiva), bensì ad una Mente Principiale, da cui tutto promana (la terminologia è inappropriata, ma, al momento, non mi viene di meglio).
Obbietterete: “E tu che ne sai di questa mente principiale, o Dio che dir si voglia?”
Niente, ovviamente...ma deve esserci per forza.
Anche se sarebbe meglio non usare nomi.
Se, infatti, tutto ciò che posso sperimentare “direttamente” è esclusivamente di natura mentale (ed è un assunto inconfutabile), e poichè non avrebbe senso sostenere che tutto l’universo sia contenuto in una mente individuale con nome e cognome, devo desumerne che la “Mente” che sta sperimentando è, per così dire, “alle” e “sopra” le mie spalle.
Sono sempre Io, ovviamente, ma non –solo- l’io individuale: sono il Se’ (o Atman) che dir si voglia, di cui parla la filosofia indiana.
Ma prenderne coscienza non è facile, se non impossibile; e le parole sono tutte inadeguate.
Comunque, non si tratta solo di filosofia indiana.
Io sono cristiano.
E San Paolo diceva che Dio (termine che andrebbe usato solo catafaticamente) “...est omnia in omnibus”.
E diceva pure che siamo destinati –se già non siamo- a diventare un unico Spirito con lui.
Dire un’Unica Mente, secondo me, non snaturerebbe l’assunto dell’Apostolo.
A parte il fatto che tutte le parole sono inadeguate.
Nietzsche diceva: “Di grandi cose bisognerebbe parlare nobilmente o tacere”.
Io ci riesco poco...per cui meglio se qui mi taccio.

Ultima modifica di jeangene : 05-09-2014 alle ore 10.42.50. Motivo: Fusione messaggi identici
elsire is offline  
Vecchio 05-09-2014, 09.42.30   #27
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Originalmente inviato da nikelise
Perché l'uomo non puo' rassegnarsi all'impermanenza ed allora cerca un qualcosa che non cambia non muta non si trasformi .

Siamo come gli attori che si agitano su uno schermo: molteplici e in movimento.
Ma lo schermo è uno, bianco ed immobile.
Non è facile vederlo finchè la priezione è in corso.
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Vecchio 05-09-2014, 13.46.16   #28
sgiombo
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Originalmente inviato da elsire
Diverso è il discorso, se, invece, si fa riferimento non alla singola mente individuale del ragazzino (jiva), bensì ad una Mente Principiale, da cui tutto promana (la terminologia è inappropriata, ma, al momento, non mi viene di meglio).
Obbietterete: “E tu che ne sai di questa mente principiale, o Dio che dir si voglia?”
Niente, ovviamente...ma deve esserci per forza.
Anche se sarebbe meglio non usare nomi.
Se, infatti, tutto ciò che posso sperimentare “direttamente” è esclusivamente di natura mentale (ed è un assunto inconfutabile), e poichè non avrebbe senso sostenere che tutto l’universo sia contenuto in una mente individuale con nome e cognome, devo desumerne che la “Mente” che sta sperimentando è, per così dire, “alle” e “sopra” le mie spalle.
Sono sempre Io, ovviamente, ma non –solo- l’io individuale: sono il Se’ (o Atman) che dir si voglia, di cui parla la filosofia indiana.
Ma prenderne coscienza non è facile, se non impossibile; e le parole sono tutte inadeguate.
Comunque, non si tratta solo di filosofia indiana.
Io sono cristiano.
E San Paolo diceva che Dio (termine che andrebbe usato solo catafaticamente) “...est omnia in omnibus”.
E diceva pure che siamo destinati –se già non siamo- a diventare un unico Spirito con lui.
Dire un’Unica Mente, secondo me, non snaturerebbe l’assunto dell’Apostolo.
A parte il fatto che tutte le parole sono inadeguate.
Nietzsche diceva: “Di grandi cose bisognerebbe parlare nobilmente o tacere”.
Io ci riesco poco...per cui meglio se qui mi taccio.

Innanzitutto ti ringrazio per i complimenti che mi fai nell' altra discussione "dialogo fra due neuroni".
Ci sono molte convinzioni importanti che ci accomunano; se non ritieni troppo ingenuo il “Trattato ad uso di fantasmi” che hai scitto da ragazzo e non hai altri motivi per evitarlo, ti chiederei di inviarmelo eventualmente in allegato in un "messaggio privato " del forum; allo stesso moto potrei inviarti a mia volta qualche scritto giacente nei miei cassetto (ovviamente se non sei d' accordo non mi offendo).

Si può dire che fino a prima di queste ultime tue considerazioni che cito qui sopra sono perfettamente d' accordo con te.
Il riferimento alla Mente Principale identificabile con Dio é evidentemente tutto berkeleyano; io qui non seguo Berkeley ma propongo l' ipotesi (indimostrabile), che ho illustrato in altri interventi nel forum e potrei comunque esporre più diffusamente nel prosieguo di questa discussione, dell' esistenza di una realtà in sé o noumenica e di realtà fenomeniche coscienti (con componenti materiali e mentali; o per usare una terminologia più spinoziana che kantiana un ambito della realtà "sostanziale" e molteplici ambiti "attributivi", due dei quali -materiale e mentale- a noi accessibili) separate e in divenire "parallelo" o "reciprocamente corrispondente per filo e per segno".
L' ipotesi di Berkeley (da lui ritenuta più che un' ipotesi), come anche una sorta di leibniziana "armonia prestabilita" fra le esperienze coscienti (monadi leibniziane) mi sembrano comunque altrettanto indimostrabili di quella da me avanzata; questa mi sembra preferibile alle altre due accennate (e per lo meno molto simili, se non addirittura identiche e solo espresse con diverse parole) soprattuttto perché non implicante alcuna provvidenza divina che mi sembra decisamente smentita dall' osservazione dei fatti.
Sull' io individuale o "Sé" non riesco a seguirti perché purtroppo ignoro completamente le filosofie non-occidentali.
Conoscendo discretamente il cristianesimo in quanto nato in una famiglia credente e praticante (ma non avendo letto san Paolo!) mi lascia perplesso l' affermazione secondo cui Dio "est omnia in omnibus”: mi sembra una professione di panteismo.

Concordo comunque perfettamente sul fatto che parlare di ciò che trascende i dati fenomenici immediatamente constatabili é difficilissimo se non "impossibile in senso stretto"; anche i termini che impiego io, come "entità noumenica", relazioni fra entità moumeniche", "divenire del noumeno" stesso non sono che vaghe ed oscure allusioni a qualcosa del quale propriamente, con correttezza e precisione non ci é dato di poter dire nulla.
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Vecchio 05-09-2014, 17.05.22   #29
maral
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Originalmente inviato da sgiombo

mi sembrano due casi ben diversi!
Certo che la fenomenologia della attuale regina di Inghilterra è ben diversa da quella dell'attuale re di Francia e lo è innanzitutto in senso categoriale. ma entrambi i personaggi in qualche modo sono con i loro attributi specifici, altrimenti non potremmo chiamare l'attuale re di Francia così. E ovviamente c'è pure Amleto principe di Danimarca che non si trova andando in Danimarca, ma si trova veramente leggendo la commedia di Shakespeare anche se il suddetto Amleto, per come è fatto e le proprietà di cui gode, non potrà mai dare a me o a te un calcio nel sedere.
Quando parlo di togliere l'ambiguità al verbo essere non mi riferisco a tenere separate le situazioni oniriche e immaginative da quelle normalmente vissute nella loro evidenza comune (cosa che è ovviamente essenziale fare, ma a un secondo livello), quanto a distinguere il significato di "essere" quando lo si intende in modo del tutto generale senza specificarne le modalità e i contesti (l'attuale re di Francia c'è, perché ha comunque un senso e un significato evidente e comprensibile questa espressione che implica una situazione, un esserci di qualcosa) e quando invece analizzando tale situazione si verifica cosa significa il suo esserci, quali contesti sono o meno appropriati, se immaginativi, onirici, frutto di volontà soggettive oppure presenti nella quotidianità accettata delle cose. Allora, in questo secondo senso che distingue, il verbo essere non ha più un significato puramente ontologico, ma specificatamente fenomenologico, ad esempio l'attuale re di Francia è il sogno che ho fatto questa notte, è lì che si trova (e il sogno che ho fatto esiste di sicuro, proprio come sogno).

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Questa faccenda della volontà di potenza continuo a non capirla: non é che se voglio che questo infamissimo e reazionarissimo governo Renzi-Napolitano di nemici del popolo (letteralmènte), i quali affermano che "non ci sono le risorse occorrenti per rinnovare i contratti dei dipendenti pubblici" (Madia) mentre scialacquano alla grandissima non tanto per i loro miserabili privilegi personali quanto per le criminalissime "missioni (orwellianamente) di pace" all' estero e per pagare gli interessi da megausura agli strozzini della finanza globale, non esista, allora esso non esiste (nel secondo senso del termine "essere"): magari!
Certo che non è così, ma proprio per questo la volontà di potenza esige che tutto sia rappresentazione, se questo "infamissimo governo" dopotutto è solo una rappresentazione immaginata, esattamente come ogni altra situazione, la volontà di potenza ha tutto il campo libero che vuole, proprio perché può immaginare e creare sempre ciò che vuole dal nulla, non c'è nulla che essa non possa rappresentare perché tutte le rappresentazioni alla fine si equivalgono nel loro non avere fondamento reale alcuno (non essere mai quello che sono), finché la volontà di potenza non le costruisce a suo piacere con i trucchi di cui è capace per imporle come vere, è la volontà di potenza che sola conferisce ogni fondamento, sapendo come farlo.

Ultima modifica di maral : 05-09-2014 alle ore 22.28.24.
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Vecchio 05-09-2014, 22.25.34   #30
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Ammettiamo l' esistenza di una realtà/verità celata dietro alla rappresentazione (a dire il vero non era mia intenzione negarla, forse é più corretto dire che "tutto ciò che ci si presenta é rappresentazione" e non che "tutto é rappresentazione"), rimane il problema di come descriverla perché come ho scritto sopra:
Ammessa l' esistenza di una realtà/verità indipendente da qualsiasi rappresentazione come posso sperare di coglierla vivendo in una rappresentazione?
Se realizzo di vivere in una rappresentazione e che ogni mio tentativo di descrivere una ipotetica realtà/verità si riduce anch' esso a rappresentazione non vedo il motivo per continuare a tentare di descriverla: meglio tacere.
Ma tacere non è nella possibilità umana per quanto si possa pensare che sarebbe meglio, la domanda resta e la domanda spinge continuamente a pronunciare una risposta, proprio come il pesce non può smettere di nuotare essendo pesce.
A proposito di pesci, c'è una storiella divertente che forse già conosci collegata alla questione della realtà. Due giovani pesci incrociano un pesce anziano che li saluta dicendo: "Salve ragazzi, com'è oggi l'acqua?" e senza attendere risposta si allontana. I due pesci si guardano con aria dubbiosa e uno chiede all'altro: "l'acqua... ma cosa diavolo è l'acqua?"
Ecco, l'acqua è appunto la realtà in cui siamo immersi costantemente, ma sapere cosa sia è impossibile proprio perché ci siamo dentro, al massimo possiamo rappresentarcela e continuare a chiederci "ma cosa diavolo sarà mai questa realtà?"
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