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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 11-03-2015, 10.56.54   #1
sgiombo
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Il Contrario Puo' Pensarsi Di Tutto, Non Puo' Accadere Di Nulla

Di tutto può pensarsi il contraio, di nulla può realmente accadere il contrario.

Questo implicano le definizioni di "pensare", "realtà (o accadimento reale)", "negazione (contrario)", questo é ciò che si intende con questi concetti.

Se é pensabile che qualcosa (qualsiasi cosa) accada realmente é pensabile (in alternativa) anche che non accada realmente e viceversa (la pretesa "prova ontologica" di sant Anselmo d' Aosta considera unicamente il concetto o pensiero di Dio come "ente dalla perfezione massima" del quale non può essere pensato -ma non: non può accadere realmente- che non sia reale, poiché altrimenti si cadrebbe in contraddizione: poiché fra le sue -di concetto, di "contenuto di pensiero ma non di ente o evento reale- "perfezioni" é inclusa l' esistenza, l'accadere reale, di conseguenza non può sensatamente pensarsi come non esistente o non accadente realmente; ma così si rimane sempre nell' ambito del pensiero, di concetti pensabili e/o pensati, non della realtà delle cose esistenti o realmente accadenti: di queste può invece pensarsi -veracemente o meno; ma questa é un' altra questione- sia che accadono, sia che non accadono).

Se non é pensabile che qualcosa accada, allora non é nemmeno pensabile che non accada e viceversa. Infatti in questo caso si tratta di qualcosa di impensabile tout court , e dunque non pensabile né unitamente al predicato del suo accadere realmente, né al predicato del suo non accadere realmente (uno pseudoconcetto autocontraddittorio o un insieme di concetti in reciproca contraddizione, senza senso, un mero flatus vocis o sequenza di scarabocchi, come "cerchio quadrato", "Dio anselmiano inesistente" o "Dio onnipotente e infinitamente buono in presenza del male realmente esistente-accadente").

Ma se qualcosa accade realmente, allora non può anche accadere che non accada realmente, e viceversa; il contrario del suo accadere realmente o rispettivamente del suo non accadere realmente può solo essere pensato, ma non accadere in realtà.
E' per questo che elucubrazioni circa "il senso" o "la ragione" dell' essere, dell' accadere realmente di ciò che realmente accade (comprese quelle circa il cosiddetto "principio antropico" di molti anche validissimi scienziati a mio parere "filosoficamente scarsi") non hanno alcun senso e nascono da un malinteso.
Infatti avrebbe senso chiedersi "perché ciò che accade realmente accade realmente anzichè non accadere realmente?" se esistesse effettivamente la possibilità che non accada realmente; ma in realtà questa possibilità non esiste, dal momento che ciò che accade realmente non può non accadere realmente (ma può soltanto essere pensato che non accada realmente) e ciò che non accade realmente non può accadere realmente (ma soltanto essere pensato che accada realmente); e dunque non c' é alcuna spiegazione da ricercare, nessuna ragione da identificare in quanto non c' é proprio nulla da spiegare, nessun evento che potrebbe non accadere di cui giustificare l' accadere, niente di necessitante di un motivo o di una ragione per accadere (senza di cui non accadrebbe), di cui chiedere alcuna ragione, cercare alcuna motivazione (della quale non ha alcun bisogno per accadere dal momento che già semplicemente il suo accadere rende realmente impossibile -ma casomai solo pensabile- il suo non accadere, necessario il suo accadere, senza bisogno di alcun ulteriore motivo perché accada).

Ultima modifica di sgiombo : 11-03-2015 alle ore 17.31.03.
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Vecchio 13-03-2015, 01.06.53   #2
paul11
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Citazione:
Originalmente inviato da sgiombo
Di tutto può pensarsi il contraio, di nulla può realmente accadere il contrario.

Questo implicano le definizioni di "pensare", "realtà (o accadimento reale)", "negazione (contrario)", questo é ciò che si intende con questi concetti.

Se é pensabile che qualcosa (qualsiasi cosa) accada realmente é pensabile (in alternativa) anche che non accada realmente e viceversa (la pretesa "prova ontologica" di sant Anselmo d' Aosta considera unicamente il concetto o pensiero di Dio come "ente dalla perfezione massima" del quale non può essere pensato -ma non: non può accadere realmente- che non sia reale, poiché altrimenti si cadrebbe in contraddizione: poiché fra le sue -di concetto, di "contenuto di pensiero ma non di ente o evento reale- "perfezioni" é inclusa l' esistenza, l'accadere reale, di conseguenza non può sensatamente pensarsi come non esistente o non accadente realmente; ma così si rimane sempre nell' ambito del pensiero, di concetti pensabili e/o pensati, non della realtà delle cose esistenti o realmente accadenti: di queste può invece pensarsi -veracemente o meno; ma questa é un' altra questione- sia che accadono, sia che non accadono).

Se non é pensabile che qualcosa accada, allora non é nemmeno pensabile che non accada e viceversa. Infatti in questo caso si tratta di qualcosa di impensabile tout court , e dunque non pensabile né unitamente al predicato del suo accadere realmente, né al predicato del suo non accadere realmente (uno pseudoconcetto autocontraddittorio o un insieme di concetti in reciproca contraddizione, senza senso, un mero flatus vocis o sequenza di scarabocchi, come "cerchio quadrato", "Dio anselmiano inesistente" o "Dio onnipotente e infinitamente buono in presenza del male realmente esistente-accadente").

Ma se qualcosa accade realmente, allora non può anche accadere che non accada realmente, e viceversa; il contrario del suo accadere realmente o rispettivamente del suo non accadere realmente può solo essere pensato, ma non accadere in realtà.
E' per questo che elucubrazioni circa "il senso" o "la ragione" dell' essere, dell' accadere realmente di ciò che realmente accade (comprese quelle circa il cosiddetto "principio antropico" di molti anche validissimi scienziati a mio parere "filosoficamente scarsi") non hanno alcun senso e nascono da un malinteso.
Infatti avrebbe senso chiedersi "perché ciò che accade realmente accade realmente anzichè non accadere realmente?" se esistesse effettivamente la possibilità che non accada realmente; ma in realtà questa possibilità non esiste, dal momento che ciò che accade realmente non può non accadere realmente (ma può soltanto essere pensato che non accada realmente) e ciò che non accade realmente non può accadere realmente (ma soltanto essere pensato che accada realmente); e dunque non c' é alcuna spiegazione da ricercare, nessuna ragione da identificare in quanto non c' é proprio nulla da spiegare, nessun evento che potrebbe non accadere di cui giustificare l' accadere, niente di necessitante di un motivo o di una ragione per accadere (senza di cui non accadrebbe), di cui chiedere alcuna ragione, cercare alcuna motivazione (della quale non ha alcun bisogno per accadere dal momento che già semplicemente il suo accadere rende realmente impossibile -ma casomai solo pensabile- il suo non accadere, necessario il suo accadere, senza bisogno di alcun ulteriore motivo perché accada).


Ciao Sgiombo,
il problema è come relazionare pensiero e realtà, in sintesi di cosa dobbiamo confidare , qual è il principio cardine su cui costruire una conoscenza.
Ci fidiamo del pensiero oppure degli organi sensitivi preposti a vedere , percepire, ascoltare? O meglio ancora, perchè sono contrapposti culturalmente?
La filosofia, ma direi persino la scienza dice di non fidarsi dei nostri occhi , meglio i pensiero.
Peccato che filosofi ,teologi, scienziati, finite le circonlocuzioni e voli pindarici di conferenze, vanno a mangiare gustando con lingua e palato, vedono con gli occhi e camminano con due gambe ben piantate a terra se non vogliono cadere.
Il pensiero può volare, le gambe no.

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Vecchio 15-03-2015, 18.42.26   #3
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Prima di entrare nel vivo, caro sgiombo, avrei una domanda un po' critica: sei sicuro che la tua liquidazione dell'argomento anselmiano regga fino in fondo? So perfettamente che probabilmente l'hai costruita a partire dalla rispettabile trattazione kantiana, ma il tuo modo di porla non mi convince. Infatti come puoi sostenere una distinzione per la quale ci sono cose che, dato il loro concetto, devono pensarsi reali, per poi aggiungere che ciò non implichi che esse siano reali? Qui c'è una contraddizione: infatti per poter affermare che esse non siano reali devi poter pensare che non siano reali. Al massimo, seguendo il tuo ragionamento, dovresti lottare contro un'evidenza razionale assoluta che continua a importi di pensare che Dio esiste ripetendo a te stesso, invano, "eppur non esiste, eppur non esiste..." Ma non si sembra sia il nostro caso.

Penso che questo fatto ci introduca in modo un po' più speculativo a quello che voleva dire paul qui sopra. Vale a dire: siamo sicuri che la separazione, dal sapore molto cartesiano, fra un mondo del pensiero da una parte e un mondo della realtà dall'altra sia qualcosa che regga? E siamo sicuri che il pensiero non abbia proprio nessuna manina nel determinare ciò che accade? Perché solo se rispondiamo affermativamente alla prima e negativamente alla seconda domanda la tua linea argomentativa rimane significante.
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Vecchio 16-03-2015, 12.47.21   #4
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Originalmente inviato da paul11
La filosofia, ma direi persino la scienza dice di non fidarsi dei nostri occhi , meglio il pensiero.

Ma dicono anche di non fidarsi troppo nemmeno del pensiero in generale; e per quanto riguarda la conoscenza (scientifica) del mondo materiale-naturale in particolare, di sottoporre a verifica empirica-sensitiva le ipotesi teoriche (meglio i dati dei sensi).
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Vecchio 16-03-2015, 12.57.57   #5
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Originalmente inviato da Selciato
Prima di entrare nel vivo, caro sgiombo, avrei una domanda un po' critica: sei sicuro che la tua liquidazione dell'argomento anselmiano regga fino in fondo? So perfettamente che probabilmente l'hai costruita a partire dalla rispettabile trattazione kantiana, ma il tuo modo di porla non mi convince. Infatti come puoi sostenere una distinzione per la quale ci sono cose che, dato il loro concetto, devono pensarsi reali, per poi aggiungere che ciò non implichi che esse siano reali? Qui c'è una contraddizione: infatti per poter affermare che esse non siano reali devi poter pensare che non siano reali. Al massimo, seguendo il tuo ragionamento, dovresti lottare contro un'evidenza razionale assoluta che continua a importi di pensare che Dio esiste ripetendo a te stesso, invano, "eppur non esiste, eppur non esiste..." Ma non si sembra sia il nostro caso.

Penso che questo fatto ci introduca in modo un po' più speculativo a quello che voleva dire paul qui sopra. Vale a dire: siamo sicuri che la separazione, dal sapore molto cartesiano, fra un mondo del pensiero da una parte e un mondo della realtà dall'altra sia qualcosa che regga? E siamo sicuri che il pensiero non abbia proprio nessuna manina nel determinare ciò che accade? Perché solo se rispondiamo affermativamente alla prima e negativamente alla seconda domanda la tua linea argomentativa rimane significante.


Per quanto mi riguarda, sì, sono sicuro che avesse ragione Gaunilone.

Pensare qualcosa come reale (sia pure necessariamente, per definizione o per deduzione da definizioni) non é la stessa cosa dell' essere reale di (tale) qualcosa; e dunque possono ben darsi "cose" (concettuali) che devono pensarsi reali (ma restano non di meno meri concetti, oggetti di pensiero), senza che ciò implichi (non necessariamente) che esse siano reali e senza alcuna contraddizione (per pensare che non siano reali devo ovviamente pensare che non siano reali: tautologia) ma solo pensate (essere reali); anche se "il Dio anselmiano" é inevitabilmente pensato -ma non é realmente; per lo meno non necesariamente- come reale).

Nella definizione anselmiana di Dio é implicata l' esistenza allo stesso modo che nella definizione di triangolo (euclideo) é implicato il fatto che la somma dei suoi angoli interni é uguale a un anglo piatto; ma sia quello di "Dio", sia quello di "triangolo" non sono che concetti, oggetti di pensiero, non oggetti reali (se non appunto unicamente in quanto oggetti di pensiero, allorché li si pensa realmente).




Il pensiero, se accade realmente, allora é necessariamente reale, ma solo in quanto tale (pensiero: non sono necessariamente reali i suoi "contenuti" od "oggetti").
L' eventuale accadere realmente di "qualcosa" che in più sia anche pensato (oggetto di pensiero) non dipende da questo ulteriore fatto (dell' essere -anche, inoltre- pensato): se l' esperienza comune di tutti i giorni e la conoscenza scientifica sono veritiere (come credono tutte le persone comunemente ritenute sane di mente), il Monte Bianco c' era anche quando nessuno lo pensava perché nessun animale cosciente e men che meno pensante era apparso sulla terra, dunque la sua esistenza reale non dipende dal (non richiede necessariamente) il pensiero di esso.
Mentre il pensare qualcosa non implica affatto anche necessariamente che tale "qualcosa" (l' oggetto di tale pensiero) sia reale (indipendentemente dall' essere pensato, allorché é reale unicamente in quanto concetto e non oggetto): posso pensare i più svariati tipi di chimere, centauri, ippogrifi, posso pensare di essere realmente Napoleone imperatore, ma ciò non implica affatto la realtà degli oggetti di tali pensieri (=la verità di tali pensieri).
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Vecchio 16-03-2015, 22.34.56   #6
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Ma quindi, sempre sull'argomento anselmiano, mi pare che tu inserisca surrettizziamente una distinzione interna al pensare: si può pensare che una cosa sia reale nel senso che debba esistere nel mondo dell'esperienza o si può pensare che una cosa sia reale nel senso che il suo concetto si deve pensare e non si può pensare in altro modo. Tu neghi che l'argomento anselmiano possa funzionare se interpretato nel primo modo, ma il punto è che se non neghi il secondo modo devi ammettere quello che in fondo, probabilmente, era proprio l'intento di Anselmo: vale a dire che, mentre razionalmente non si può essere sicuri dell'esistenza di una sostanza del mondo dell'esperienza (di "in quale senso" esso esista), sicuriamente si deve essere sicuri dell'esistenza e innegabilità del concetto stesso di dio. Onde sarà agevole per lui, platonicamente, dire: "appunto! Quello che qui è da rigettare è il tuo concetto che l'unica realtà possibile sia quella del mondo dell'esperienza, mentre la vera realtà è quella che tu stessa cogli nell'autoevidenza del cogito!"

E vedi bene come su questa strada si può mettere facilmente in crisi questa supposta fede nella natura "veritiera" della scienza e del mondo dell'esperienza, che non mi pare affatto sia così acriticamente accettata da chiunque sia "sano di mente". Non che con ciò io voglia mettere in dubbio il valore o l'affidabilità di ciò che storicamente ci hanno insegnato a chiamare scienza. Banalmente, però, rilevo che non è a tutt'oggi chiaro il senso in cui la sua affidabilità predittiva sia da tradurre in un discorso di conoscenza - al punto che quasi tutta l'epistemologia più famosa del XX secolo ha concluso sul fatto che qualsiasi valore conoscitivo traibile dal discorso scientifico sia sempre e comunque relativo al metodo, cioè agli assunti, cioè al non detto che popola la vita degli scienziati stessi - e che non è praticamente mai razionalmente fondato.

Questo per dire che se poniamo il problema della relazione fra pensiero e verità (che, credo, wittgensteinianamente cogliamo meglio se iniziamo a trattare problemi concreti intorno alla relazione fra il linguaggio e la verità) non è perché si vuole distruggere o mettere in dubbio la conoscenza, ma semmai perché ci si è accorti che la conoscenza è un qualcosa di ancora opaco, di cui ignoriamo il vero significato. Onde, per ritornare al post iniziale, è facile vedere che quando io penso qualcosa di reale accade, di modo che se posso pensare il contrario, non perciò posso non pensare il contrario nello stesso momento; e però, al tempo stesso, se posso pensare il contrario, qualcosa sul mondo questo fatto ce lo dice.
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Vecchio 17-03-2015, 09.59.21   #7
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Selciato:
Ma quindi, sempre sull'argomento anselmiano, mi pare che tu inserisca surrettizziamente una distinzione interna al pensare: si può pensare che una cosa sia reale nel senso che debba esistere nel mondo dell'esperienza o si può pensare che una cosa sia reale nel senso che il suo concetto si deve pensare e non si può pensare in altro modo. Tu neghi che l'argomento anselmiano possa funzionare se interpretato nel primo modo, ma il punto è che se non neghi il secondo modo devi ammettere quello che in fondo, probabilmente, era proprio l'intento di Anselmo: vale a dire che, mentre razionalmente non si può essere sicuri dell'esistenza di una sostanza del mondo dell'esperienza (di "in quale senso" esso esista), sicuriamente si deve essere sicuri dell'esistenza e innegabilità del concetto stesso di dio. Onde sarà agevole per lui, platonicamente, dire: "appunto! Quello che qui è da rigettare è il tuo concetto che l'unica realtà possibile sia quella del mondo dell'esperienza, mentre la vera realtà è quella che tu stessa cogli nell'autoevidenza del cogito!"

Sgiombo:
No, così Anselmo mi costringe solo a pensare che il concetto di Dio, il quale esiste unicamente nel mio pensiero (e in quello di Anselmo) e non nella realtà, implica l' esistenza (sempre nel pensiero mio e di Anselmo e non affatto nella realtà).
Ma evidentemente (per quel che so e mi sembra del tutto ragionevole arguire, non avendolo letto) Anselmo non si proponeva di dimostrarmi banalmente che per deduzione dalla sua definizione il concetto (realtà unicamente mentale, di pensiero fino a prova contraria) di Dio implica necessariamente l' esistenza (allo stesso modo che il concetto di triangolo euclideo implica necessariamente l' uguaglianza della somma dei suoi angoli interni con un angolo piatto); si proponeva invece di dimostrami il fatto importante, non banale che Dio esisterebbe realmente.
La distinzione fra pensare che una cosa sia reale nel senso che debba esistere nel mondo (dell'esperienza materiale; o anche mentale, ma nel senso che si tratti di un' ulteriore esperienza mentale diversa dal puro e semplice pensarla) e pensare che una cosa sia reale nel senso che il suo concetto si deve pensare come implicante l' esistenza e non si può pensare in altro modo (ma é reale unicamente nel mondo dell' esperienza mentale e puramente e semplicemente, unicamente in quanto "contenuto" di tale particolare pensiero) non é una fisima intellettualistica, bensì precisamente la differenza fra pensiero (eventualmente anche dell' irreale, inesistente; se non ovviamente, tautologicamente unicamente come pensiero) e realtà.

Non ho peraltro mai affermato che l' unica realtà possibile sia quella dell' esperienza; casomai ritengo la ("propria") esperienza direttamente, immediatamente esperita (compresa l' esperienza mentale: i pensieri, l' esperienza delle cose materiali sentite visivamente, uditivamente, ecc. esattamente come quella dei pensieri, altrettanto sentiti, per quanto mentalmente) l' unica realtà di cui possa aversi certezza.
Ma ritengo possibile postulare (e anzi da postularsi) l' esistenza anche di una realtà "in sé" (per certi versi "grossolanamente simile" al noumeno kantiano, ma non implicante né Dio né un' anima esistente allorché i fenomeni cerebrali non accadono per lo meno potenzialmente in qualche coscienza).




Selciato:
E vedi bene come su questa strada si può mettere facilmente in crisi questa supposta fede nella natura "veritiera" della scienza e del mondo dell'esperienza, che non mi pare affatto sia così acriticamente accettata da chiunque sia "sano di mente". Non che con ciò io voglia mettere in dubbio il valore o l'affidabilità di ciò che storicamente ci hanno insegnato a chiamare scienza. Banalmente, però, rilevo che non è a tutt'oggi chiaro il senso in cui la sua affidabilità predittiva sia da tradurre in un discorso di conoscenza - al punto che quasi tutta l'epistemologia più famosa del XX secolo ha concluso sul fatto che qualsiasi valore conoscitivo traibile dal discorso scientifico sia sempre e comunque relativo al metodo, cioè agli assunti, cioè al non detto che popola la vita degli scienziati stessi - e che non è praticamente mai razionalmente fondato.

Sgiombo:
Quella della verità della scienza e delle condizioni (indimostrabili: Hume!) alle quali può essere creduta, oltre ad essere diversa da quella dell' immediato "mondo dell' esperienza" (che implica tanto l' esperienza materiale o "extensa" quanto quella mentale o "cogitans"), é tutt' altra cosa da quella dell' esistenza reale o meno degli oggetti o "contenuti" del pensiero (oltre ovviamente e tautologicamente al pensiero di essi).

A me pare invece che (criticamente: filosofi) o meno (non-filosofi) tutte le persone comunemente ritenute sane di mente per lo meno si comportino come se la conoscenza scientifica fosse vera: non ho mai visto nessuno scettico sano di mente lanciarsi dalla finestra del decimo piano di un palazzo perché tanto la forza di gravità potrebbe da un momento all' altro cessare di agire o magari invertire il suo senso rischiando di farlo sfracellare contro il soffitto.

Criticando la fede acritica nella scienza degli scienziati (la stragrande maggioranza di essi) e di molta "gente comune", per quel che mi riguarda sfondi una porta non aperta, ma spalacatissima (anche se non era di questo che intendevo parlare aprendo questa discussione. L' ho fatto, credo non banalmente, in vari altri interventi nel forum).



Selciato:
Questo per dire che se poniamo il problema della relazione fra pensiero e verità (che, credo, wittgensteinianamente cogliamo meglio se iniziamo a trattare problemi concreti intorno alla relazione fra il linguaggio e la verità) non è perché si vuole distruggere o mettere in dubbio la conoscenza, ma semmai perché ci si è accorti che la conoscenza è un qualcosa di ancora opaco, di cui ignoriamo il vero significato. Onde, per ritornare al post iniziale, è facile vedere che quando io penso qualcosa di reale accade, di modo che se posso pensare il contrario, non perciò posso non pensare il contrario nello stesso momento; e però, al tempo stesso, se posso pensare il contrario, qualcosa sul mondo questo fatto ce lo dice.

Sgiombo:
Certo: quando io penso qualcosa di reale accade; ma questo qualcosa che sicuramente accade realmente é appunto il mio pensiero; e non é detto che accada anche l' esistenza reale di ciò che è da me pensato (se penso a un ippogrifo di sicuro accade realmente il mio pensiero dell' ippogrifo; ma non credo proprio che accada realmente anche l' esistenza di alcun ippogrifo in carne e ossa).
Il fatto che posso pensare qualcosa e anche il contraio di tale cosa, ma reale possa essere solo una delle due "cose" secondo me non ci dice nulla di particolare concreto sul mondo reale (qualsiasi cosa se ne pensi, potrebbe essere in qualsiasi modo: non é determinato ad essere come é dal come lo si pensa), ma in generale ci dice che non ha senso chiederci "Perché la realtà é così com' é e non altrimenti (non potendo essere -ma solo essere pensata- altrimenti)?"; mentre avrebbe senso se oltre a poter essere pensata potesse anche realmente essere altrimenti: "Perché la realtà é così com' é e non altrimenti (potendo essere -e non solo essere pensata- altrimenti)?"; che la si possa pensare e la si pensi anche "altrimenti" essendo pacifico.

Ultima modifica di sgiombo : 17-03-2015 alle ore 12.38.07.
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Vecchio 22-03-2015, 22.36.51   #8
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Sull'argomento anselmiano: eh, invece io credo proprio che egli si riferisse al secondo caso. E' infatti evidente il sottofondo agostiniano della sua argomentazione: dio non va confuso con gli enti del mondo, perché esiste *molto di più*, in quanto un ente del mondo, di cui hai l'idea, può darsi o non darsi, mentre dio (e la sua idea) si danno per forza.
Per questo, torno a insistere, è importante tematizzare non tanto il fatto che dio esista realmente "là fuori" o meno (qualunque cosa ciò potrebbe voler dire), quanto se veramente tu non puoi non pensare che dio esista. Perché è effettivamente valida l'argomentazione kantiana per la quale il fatto che tu debba pensare che dio esiste non prova che esso esista veramente, ma è altrettanto vero che ciò implica che tu non potresti ora venirmi a dire che dio non esiste. Dovresti dirmi "si, so astrattamente che questa non è una prova, ma d'altro canto come è possibile pensare che dio non esiste? E' talmente ovvio!" Per questo ritengo che sarebbe una strategia migliore attaccare il nucleo della sua argomentazione - vale a dire l'idea che l'essenza di dio, mediante la mediazione della perfezione, ne implichi l'esistenza - o, ancora più raffinatamente, seguire la strada wittgensteiniana (che traggo dai suoi deliziosi Pensieri Diversi): se l'essenza di dio ne garantisce l'esistenza, se ne deduce che qui "esistenza" è usato in un senso diverso dall'usuale, per cui quello che si vuole dire implica già che esso esista, se deve esistere, in un senso del tutto diverso da quello empirico. Ma questo per l'appunto sarebbe il senso di fede che ha in mente un Anselmo.

Sulla fede acritica nella scienza: non ho nulla in contrario, se non che io distinguerei fra la fede nel valore (conoscitivo) della scienza propriamente detta è la certezza che ci muove a evitare già a partire dal senso comune di buttarci giù dalle finestre. Si tratta di due piani diversi, sebbene anche nel secondo caso sarebbe opportuno ricordarsi sempre che questo nostro comportamento è per l'appunto fondato su una certezza, non necessariamente su una conoscenza.

Non mi dilungo sull'ultimo punto perché non voglio che mettiamo troppa carne al fuoco. Di esso comunque mi premeva sottolineare soltanto che il pensiero, che tende a rappresentarsi, mediante la sua relazione con il linguaggio, come un meta-livello rispetto ai fatti del mondo, in realtà vi è del tutto interno e interagisce oserei dire empiricamente con quei fatti. In questo senso dicevo che il poter pensare il contrario dice qualcosa: il mondo dev'essere fatto in modo tale che sia (se vuoi persino ad un livello semplicemente evolutivo) vantaggioso poter pensare una cosa e anche il suo contrario. Ma allora questo significa che "pensare il contrario" non è un vuoto volo pindarico che non "tocca" la realtà in nessun modo; in qualche modo la tocca, sennò non ci sarebbe!
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Vecchio 23-03-2015, 22.04.18   #9
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Citazione:
Originalmente inviato da Selciato
Sull'argomento anselmiano: eh, invece io credo proprio che egli si riferisse al secondo caso. E' infatti evidente il sottofondo agostiniano della sua argomentazione: dio non va confuso con gli enti del mondo, perché esiste *molto di più*, in quanto un ente del mondo, di cui hai l'idea, può darsi o non darsi, mentre dio (e la sua idea) si danno per forza.
Per questo, torno a insistere, è importante tematizzare non tanto il fatto che dio esista realmente "là fuori" o meno (qualunque cosa ciò potrebbe voler dire), quanto se veramente tu non puoi non pensare che dio esista. Perché è effettivamente valida l'argomentazione kantiana per la quale il fatto che tu debba pensare che dio esiste non prova che esso esista veramente, ma è altrettanto vero che ciò implica che tu non potresti ora venirmi a dire che dio non esiste. Dovresti dirmi "si, so astrattamente che questa non è una prova, ma d'altro canto come è possibile pensare che dio non esiste? E' talmente ovvio!" Per questo ritengo che sarebbe una strategia migliore attaccare il nucleo della sua argomentazione - vale a dire l'idea che l'essenza di dio, mediante la mediazione della perfezione, ne implichi l'esistenza - o, ancora più raffinatamente, seguire la strada wittgensteiniana (che traggo dai suoi deliziosi Pensieri Diversi): se l'essenza di dio ne garantisce l'esistenza, se ne deduce che qui "esistenza" è usato in un senso diverso dall'usuale, per cui quello che si vuole dire implica già che esso esista, se deve esistere, in un senso del tutto diverso da quello empirico. Ma questo per l'appunto sarebbe il senso di fede che ha in mente un Anselmo.

Sulla fede acritica nella scienza: non ho nulla in contrario, se non che io distinguerei fra la fede nel valore (conoscitivo) della scienza propriamente detta è la certezza che ci muove a evitare già a partire dal senso comune di buttarci giù dalle finestre. Si tratta di due piani diversi, sebbene anche nel secondo caso sarebbe opportuno ricordarsi sempre che questo nostro comportamento è per l'appunto fondato su una certezza, non necessariamente su una conoscenza.

Non mi dilungo sull'ultimo punto perché non voglio che mettiamo troppa carne al fuoco. Di esso comunque mi premeva sottolineare soltanto che il pensiero, che tende a rappresentarsi, mediante la sua relazione con il linguaggio, come un meta-livello rispetto ai fatti del mondo, in realtà vi è del tutto interno e interagisce oserei dire empiricamente con quei fatti. In questo senso dicevo che il poter pensare il contrario dice qualcosa: il mondo dev'essere fatto in modo tale che sia (se vuoi persino ad un livello semplicemente evolutivo) vantaggioso poter pensare una cosa e anche il suo contrario. Ma allora questo significa che "pensare il contrario" non è un vuoto volo pindarico che non "tocca" la realtà in nessun modo; in qualche modo la tocca, sennò non ci sarebbe!

Per me Dio “esiste” molto (anzi: infinitamente) di meno dei “fatti del mondo" per il semplice fatto che questi sono reali (che, inoltre, li si pensi o meno), mentre quello non è reale ma solo pensabile, pensato di fatto allorché realmente accade che lo sia.

Non posso non pensare unicamente che Dio esiste solo in quanto oggetto, “contenuto” di pensiero, anche se implicante (ma solo in quanto tale: concetto ovvero “contenuto di pensiero”) necessariamente l’ esistenza (ma solamente nell’ ambito del pensiero allorché lo si pensa: esistenza pensata, non affatto reale).

Ti posso ben dire che Di non esiste realmente anche se va pensato come esistente (unicamente nel pensiero, il quale è reale, allorché accade, solo in quanto pensiero; è ovvio che il pensiero, se e quando accade è reale, ma i suoi contenuti necessariamente non lo sono se non unicamente in quanto tali, mentre solo quelli dei pensieri veri che ne predicano l’ esistenza lo sono anche in quanto entità o eventi reali: constato che tu non vedi alcuna differenza fra i due casi, che invece a me pare esserci ed essere enorme, “infinita”).
Concordo con quanto riferisci di Wittgenstein (intendendo per parte mia -non saprei dire se concordemente con Wittgenstein- la “diversità” -enorme, “infinita”!- fra i due significati del termine “esistere” secondo quanto appena illustrato qui sopra); ma se questo era anche ciò che pensava Anselmo, allora Anselmo era con tutta evidenza ateo, o per lo meno agnostico!


La scienza è (anche; e per lo meno in un certo senso) approfondimento critico del senso comune, e questo spiega perché nessuno scettico sano di mente si è mai gettato (almeno a quanto mi risulta) dal centesimo piano di un palazzo, che fosse al corrente della scienza fisica e in particolare della legge di gravità o meno.


La tua ultima considerazione, almeno per come la comprendo, è perfettamente coerente con quanto da me sostenuto: il pensiero, anche falso, anche di enti o eventi non realmente esistenti, se (e quando) accade realmente è reale (tautologia!) in quanto tale; non necessariamente così i suoi contenuti.

Ultima modifica di sgiombo : 23-03-2015 alle ore 22.35.33.
sgiombo is offline  
Vecchio 23-03-2015, 23.10.19   #10
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Riferimento: Il Contrario Puo' Pensarsi Di Tutto, Non Puo' Accadere Di Nulla

Partendo dal presupposto che Deus caritas est, proviamo a sostituire il termine Dio con amore, e rileggiamo la tua affermazione:
Citazione:
** scritto da sgiombo:

Citazione:
Per me Dio “esiste” molto (anzi: infinitamente) di meno dei “fatti del mondo" per il semplice fatto che questi sono reali (che, inoltre, li si pensi o meno), mentre quello non è reale ma solo pensabile, pensato di fatto allorché realmente accade che lo sia.

"Per me l'amore esiste molto di meno dei fatti del mondo, per il semplice fatto che questi sono reali, mentre l'amore non è reale ma solo pensabile, pensato di fatto allorché accade che sia amore".


Pace&Bene
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