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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 25-09-2015, 09.02.48   #11
sgiombo
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Originalmente inviato da paul11
da "bastian contrario" rispondo provocatoriamente, anche per alimentare punti di vista diversi.
Un "ateo razionalista" per quale motivo dovrebbe farsi scrupoli sull'onestà e dignità, termini moraleggianti che nulla hanno a che fare nella materialità dell'esistenza, se non per costruire ipocrite supporti alle ben più importanti logiche di dominio?
Se io fossi ateo e razionalista e credessi che la mia esistenza, vita, finisse alla polvere condividerei in pieno il pensiero di Nietzsche, perchè è nudo e crudo quanto la realtà materiale dell'esistenza.

La felicità personale sarebbe l'unico scopo, e la morte una semplice fiala in un cassetto pronta alla bisogna.


E perché mai non dovrebbe?

Contrariamente a te sono ateo e (in conseguenza di un' infinità di fattori: dall' evoluzione biologica per mutazioni genetiche casuali e selezione naturale -correttamente intesa "a la Gould" e non scorrettamente "a la Dawkins"- alla dialettica sviluppo delle forze produttive/rapporti di produzione, alle esperienze personalmente vissute fin dalla più tenera infanzia) la felicità personale per me consiste nell' agire per il benessere maggiore possibile di tutti i senzienti.

"Se Dio é morto tutto é permesso (e la felicità altrui non conta niente)" lo può pensare solo chi é (sempre in conseguenza dei suddetti molteplici fattori) tendenzialmente gretto, meschino, egoista; ma i suddetti molteplici fattori non necessariamente hanno di queste conseguenze, per fortuna.

Conclusione: un ateo razionalista generoso e magnanimo dovrebbe farsi scrupoli sull'onestà e dignità per il semplice motivo che questi non sono per un ateo razionalista generoso e magnanimo termini moraleggianti che nulla hanno a che fare nella materialità dell'esistenza, se non per costruire ipocrite supporti alle ben più importanti logiche di dominio (lo sono per ben altro genere di persone, che l' ateo generoso e magnanimo combatte) ma imperativi morali (tendenze comportamentali) fortemente sentiti dentro di sé per motivi non affatto "soprannaturali" (non perché scritti da Dio su alcuna tavola della legge) ma naturalissimi, storici-"macrosociali" e di esperienza personale "microsociale".

Ma voglio farti notare (anche contro una certa supponenza e presunzione laicista) che non tutti i credenti sono tendenzialmente gretti, meschini, egoisti (e conseguentemente pensano che Se Dio fosse morto tutto sarebbe permesso).
Cito solo l' esempio luminoso di Severino Boezio (per me un grandissimo!), che di fronte alla ingiusta condanna a morte non dalla religione- in cui pure credeva- bensì dalla filosofia fu "consolato": in quello splendido scritto (la Consolazione della filosofia) afferma a chiare lettere -"alla faccia preventiva" di Dostoevkij e di Nietzche- che se anche Dio non esistesse, comunque il comportamento di un uomo onesto e magnanimo non cambierebbe per niente poiché, alla maniera degli stoici, "la virtù" sarebbe sempre "premio a se stessa".

Ultima modifica di sgiombo : 25-09-2015 alle ore 11.03.51.
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Vecchio 25-09-2015, 10.28.47   #12
Duc in altum!
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@ sgiombo


Il tuo fraintendimento mi ispira il precisare che io non ho detto che la tua esistenza non sia stata ineccepibile (rileggi), anzi, al contrario, è proprio questo che ho cercato di sostenere, cioè, che una persona, che attraverso la sua diligenza e tenacia dell'agire bene, abbia ottenuto (attenendosi santamente ai suoi doveri quotidianamente per tutta la durata della sua esistenza), con sicurezza, che la sua coscienza sia completamente gioiosa e serena, consapevole empiricamente che ha centrato il bersaglio nel senso soggettivo che aveva dato alla propria vita, non può fare altro che affidarsi al suicidio soltanto per scommessa sulla propria fede (quindi non razionalista), senza nessuna sicurezza o prova empirica che quello sia l'ultimo e ulteriore dovere (poiché il diritto c'è per tutti!) a servire, senza poter sapere con certezza, se quel gesto estremo non comprometta irreversibilmente la "santità" precedentemente acquisita con sacrificio e integrità.


[Esempio]
Tu sei a un bivio, innanzi a te, a 300 metri, c'è la possibilità d'immetterti nella sofferenza del traffico caotico, che durerà per un bel po' di tempo, ma che ti condurrà sicuramente a casa regolarmente, mentre alla tua destra c'è una deviazione che anche conduce con certezza a casa tua, dove però è risaputo che non circolano auto, la strada e sgombra e si circola rapidamente, l'unico inconveniente è che nello sterzare a destra, dovresti percorrere i primi 100 metri in controsenso, e tu che non hai mai commesso un'infrazione o ricevuto una multa sei giustamente fiero di questo tuo
risultato ben meritato, solo che non puoi sapere se, fatti i primi 50 metri in senso vietato, dietro alla curva a sinistra, ci siano o meno i vigili, ai quali, forse, se davvero ci fossero, avresti voglia di spiegare che al volante sei un modello di onestà e rettitudine, giacché essi in nome e per virtù della stessa tua integrità potrebbero ritirarti per sempre la patente, sequestrare il veicolo e mandarti a casa a piedi.
Libero arbitrio al di sopra di tutti e prima di ogni cosa.
Auguri e coraggio.




Pace&Bene


-------------------------------------------------------------------


** "Conoscerai un grande dolore e nel dolore sarai felice. Eccoti il mio insegnamento: nel dolore cerca la felicità".

(Fëdor Michajlovič Dostoevskij)
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Vecchio 25-09-2015, 12.54.30   #13
CVC
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Sgiombo
Di sicuro saprai queste cose meglio di me, comunque mi pare che in Italia i dottori sono obbligati per legge a prestare cure finché il paziente è vivo, anche se in condizioni disperate, mentre in Svizzera nei casi disperati i pazienti o i familiari possono decidere di sospendere le cure.
Ciò significa si che in Italia si riconosce la sacralità della vita, ma anche che tale sacralità ne subordina un'altra: quella della libertà. Stoici ed epicurei in sostanza volevano affermare l'esistenza della libertà umana. Da un lato la libertà di fronte al destino previa accettazione dello stesso e distinzione fra ciò che dipende e ciò che non dipende da noi, dall'altra la libertà di non provare dolore. Un uomo che deve vivere a tutti i costi non è un uomo libero, si tratta di scegliere se sia più sacra la vita o la libertà. Il principio di indeterminazione e la casualità evolutiva non impediscono a parer mio l'esistenza della libertà, perché agiscono livello sensibile mentre la libertà ha origine nell'intellegibile. È in quella parte di noi che è irraggiungibile dall'esterno, non sono le cose esterne a farci soffrire ma solo le opinioni che si formano dentro di noi. Ad esempio la morte ci fa orrore solo in base alle nostre opinione, come disse Socrate nessuno può sapere se morire sia meglio che vivere.
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Vecchio 25-09-2015, 16.15.23   #14
maral
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Scusa Sgiombo, ma credo che la questione che poni con questa domanda sia così individuale che ogni "dovrebbe" facente riferimento a principi di pensiero (qualunque essi siano) è di troppo. Il significato che ha la propria prospettiva rimanente di esistenza è strettamente personale, poiché la nostra vita e pure il senso della nostra morte coincide con la nostra interezza, anche sicuramente nella formulazioni delle nostre preferenze filosofiche, ma soprattutto nella nostra concreta singolare esistenza, nel sentimento e nel senso che in ogni attimo la accompagna. E i fattori sono davvero innumerevoli e diversissime le soglie oltre le quali l'esistere perde di senso o, a dispetto di tutto, lo conserva. Non c'è norma che né un ateo razionalista, né un epicureo, né un credente siano tenuti a rispettare in quanto tali, c'è solo il proprio modo di sentire vivendo e vivere è anche avvertire l'avvicinarsi della fine. C'è solo il proprio autentico modo di essere da rispettare e assumersene fin dove ci è possibile la responsabilità che nessuna etichetta filosofica o di credo può toglierci, nemmeno se si ritiene in diritto di farlo.
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Vecchio 25-09-2015, 16.39.01   #15
sgiombo
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Originalmente inviato da acquario69
mi sono riallacciato al titolo,non avendo punti di riferimento validi (i miei) per l'argomento perché evidentemente non sono riuscito a trovare una risposta valida per me stesso..(ma l'argomento lo trovo interessante a prescindere ed e' un motivo per provare a capirne qualcosa in più) pero ritengo che il problema della morte sia indissolubilmente collegato a quello della vita,in senso meno specifico nel caso in questione di auto-eutanasia.
secondo me,tornando a quest'ultimo,sarebbe inutile negare che non abbia in se delle contraddizioni di fondo,sfido chiunque anche i più convinti di voler prendere questa decisione e che non abbiano avuto anche solo per un istante,ripensamenti o cose del genere..
a quel punto ogni discussione,ogni dubbio,non penso si sarebbe nemmeno presentato,forse bisognerebbe esserci "fisicamente" in quelle situazioni per poter effettivamente rendersi conto il più vicino possibile di cio che potrebbe comportare di fatto e se in quei momenti specifici non intervenga magari qualcos'altro e in maniera del tutto inaspettata che faccia cambiare completamente idea,almeno per come si era assunta precedentemente..ma solo in maniera teorica

quello di cui non ho dubbi e' il voler prolungare la vita a tutti i costi (accanimento terapeutico,che serve solo a prolungare un eventuale agonia) ma il punto per me e'; e' giusto che si intervenga "artificialmente" (sia nel prolungarla a tutti i costi,sia ad interromperla) oppure e' la natura che deve fare il suo corso fino all'ultimo?
vi sarebbe in quest'ultima mia domanda non tanto il cosa sia giusto o meno,che al limite potrebbe essere solo il suo rivestimento più superficiale ma andando più a fondo,vi sarebbe invece il chiedersi il motivo stesso del rifiuto del dolore e della sofferenza,anche se bisogna ammettere che a nessuno credo faccia piacere,nella sua ovvietà..dunque sembrerebbe scontata MA..su quest'ultimo punto,almeno per come lo avvertirei io,ci troverei comunque una stonatura di fondo,difficilmente se non impossibile da rintracciare ma comunque presente.




Sono perfettamente d' accordo che il problema della morte sia indissolubilmente collegato a quello della vita: senza vita non ci sarebbe morte, come senza morte non ci sarenne vita.

"Morte" non é contrario di "vita" (contrario di "vita" é "non vita" o "mineralità"); la morte, esattamente come la nascita, é un aspetto (la fine anziché l' inizio) della vita.

Che scegliere di darsi l' eutanasia non sia cosa facile mi sembra ovvio, anche perché si tratta di qualcosa di definitivo, non correggibile o rimediabile.
Penso che chiunque vi ricorra inevitabilmente lo faccia dopo lunghe riflessioni.

Anchio non ho dubbi sulla condannabilità del voler prolungare la vita a tutti i costi (accanimento terapeutico, che serve solo a prolungare un eventuale agonia); ho conosciuto una persona che ha passato l' ultimo anno di vita fra un ricovero e l' altro in cardiologia per continui scompensi cardiaci (che vuol dire qualcosa di simile al sentirsi annegare per alcune decine di minuti o più: esperienze non molto diverse dalla famigerata tortura del "waterboarding" praticata dai terroristi Amerikani a Guantanamo e altrove!) con intervalli di relativo "benessere" fra un ricovero e l' altro di circa una – due settiimane (durante i quali poteva mangiare poco cibo insipido e doveva cercare di evitare sforzi fisici ed emozioni: non sarebbe stato forse per lei di gran lunga preferibile morire un anno prima?

Secondo me non c' é niente di male (é giusto per me) sia nel prolungare artificialmente una vita felice sia nell' accorciare una vita infelice (nei soli limiti del rispetto della felicità e dei diritti degli altri senzienti).
Non averto nessuna remora nell' intervenire artificialmente sulla vita umana (autonomamente, sulla propria, non sulla vita altrui senza il suo consenso; e comunque nel rispetto delle legittime esigenze altrui).
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Vecchio 25-09-2015, 16.41.35   #16
sgiombo
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Originalmente inviato da pepe98
Il fatto è che la gente ha paura della morte perché si affida al senso comune secondo il quale la vita è un percorso in avanti che arriva fino al "nulla". Ma basta ragionare un po' per capire che allora si tratterebbe di un loop, di cui il nulla non può fare parte. Inoltre la mia filosofia mostra come sia una nostra invenzione la separazione delle coscienze, quindi in realtà se muore uno, muore solo una fonte della nostra coscienza.

Pur ragionando non poco sul problema, come tanti altri, non convengo circa la tua filosofia; é per questo effettivamente che per molti di noi si pone il problema di cosa sia la morte e se sia preferibile allontanarla nel tempo o affrettarla (a seconda dei casi).
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Vecchio 25-09-2015, 18.57.23   #17
paul11
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Originalmente inviato da sgiombo
E perché mai non dovrebbe?

Contrariamente a te sono ateo e (in conseguenza di un' infinità di fattori: dall' evoluzione biologica per mutazioni genetiche casuali e selezione naturale -correttamente intesa "a la Gould" e non scorrettamente "a la Dawkins"- alla dialettica sviluppo delle forze produttive/rapporti di produzione, alle esperienze personalmente vissute fin dalla più tenera infanzia) la felicità personale per me consiste nell' agire per il benessere maggiore possibile di tutti i senzienti.

"Se Dio é morto tutto é permesso (e la felicità altrui non conta niente)" lo può pensare solo chi é (sempre in conseguenza dei suddetti molteplici fattori) tendenzialmente gretto, meschino, egoista; ma i suddetti molteplici fattori non necessariamente hanno di queste conseguenze, per fortuna.

Conclusione: un ateo razionalista generoso e magnanimo dovrebbe farsi scrupoli sull'onestà e dignità per il semplice motivo che questi non sono per un ateo razionalista generoso e magnanimo termini moraleggianti che nulla hanno a che fare nella materialità dell'esistenza, se non per costruire ipocrite supporti alle ben più importanti logiche di dominio (lo sono per ben altro genere di persone, che l' ateo generoso e magnanimo combatte) ma imperativi morali (tendenze comportamentali) fortemente sentiti dentro di sé per motivi non affatto "soprannaturali" (non perché scritti da Dio su alcuna tavola della legge) ma naturalissimi, storici-"macrosociali" e di esperienza personale "microsociale".

Ma voglio farti notare (anche contro una certa supponenza e presunzione laicista) che non tutti i credenti sono tendenzialmente gretti, meschini, egoisti (e conseguentemente pensano che Se Dio fosse morto tutto sarebbe permesso).
Cito solo l' esempio luminoso di Severino Boezio (per me un grandissimo!), che di fronte alla ingiusta condanna a morte non dalla religione- in cui pure credeva- bensì dalla filosofia fu "consolato": in quello splendido scritto (la Consolazione della filosofia) afferma a chiare lettere -"alla faccia preventiva" di Dostoevkij e di Nietzche- che se anche Dio non esistesse, comunque il comportamento di un uomo onesto e magnanimo non cambierebbe per niente poiché, alla maniera degli stoici, "la virtù" sarebbe sempre "premio a se stessa".

Ho già scritto sull'eutanasia e ho risposto un paio d'anni fa a Tempo se si potesse pensare che in fondo un uomo "decide" di morire. Brevemente.
1) il concetto di malattia e morte segna una cultura ed è per questo molto importante perchè mette in luce le contraddizioni culturali.
Nella società agricola l'anziano era il saggio e la morte avveniva in casa. nella postmodernità della tecnica le conoscenze sono specialistiche, per cui si demanda al sintomo del malanno una risposta aa medico , alla "pillola" farmaceutica,al chirurgo in cui la salute è un enorme giro di denaro..Sariputra ha messo ben in luce alcune fondamentali contraddizioni. L'uomo Occidentale è il meno adatto a pensare alla morte, non sa "viverla". Persino i vari aborigeni, persino gli elefanti sanno morire meglio di noi. Perchè sanno meglio vivere.
2) siamo noi soprattutto, e non solo, causa dei nostri malanni e morte.Non è solo il dna, non è solo il sistema immunitario,condizioni fondamentali per la continuità di esistenza. Tre sono stati i fattori deciisivi per aumentare l'età di vita:scoperta della sterilizzazione, igiene, alimentazione: paradossalmente scritti nei testi sacri antichissimi.Il nostro decidere la malattia e la morte sono inconsci:è il "click" della bomba ad orologeria dentro i cromosomi, è la manifestazione dell'informazione "dormiente" di molta parte del dna che improvvisamente si sveglia generando cellule tumorali. E' un "troian" dentro il software.
3) Sgiombo, non vorrei mai che tu ponessi la mia "provocazione" in termini personali: non è questo l'intento.
Semplicemente un ateo, che dovrebbe essere convinto che la vita è una e una sola, che sposa la razionalità, non vedo cosa abbia a che fare e come giustificare la morale.Trovo che Nietzsche sia più "logico" in questo. Smascherare la moralità, significa togliere il velo alle ipocrisie culturali, dove tutti suoni buoni e si sentono tutti giustificati, a loro modo, dei comportamenti più cinici. Così prima si sfrutta e si tratta come cani il prossimo e poi si fa opera pia di carità versando un obolo per i "bisognosi". Evviva Nietzsche dal profondo del cuore, se fossi ateo e razionalista, perchè si tratterebbe solo di decidere se sfruttare la gente e "fregarla" per la propria felicità commiserandoli come mediocri, oppure se si è dall'altra parte della barricata degli sfruttati,come abbattere lo sfruttamento degli sfruttati. Non c'entra niente la morale e i "moti intestinali" moralistici,quelli sono informazioni educative basate sui sensi di colpa. Se non c'è Dio non c'è etica e morale che tenga e Marx e Nietzsche insegnano,ciascuno a loro modo. La regola della "terra" è: vince ed è felice chi se ne frega di tutto e tutti senza scrupoli e con cinismo, perchè è il più forte che vince, il più furbo e intelligente che li utilizza a suo fine .Pensi che chi ha inventato ad esempio :"il lavoro nobilita l'uomo" fosse davvero uno che si spaccava la schiena?

p.s. non la penso così, ma se si è atei e razionali la logica fila così e ai "rampolli" dei privilegiati gli si insegna come gestire e gestirsi anche psicologicamente,perchè per loro la bontà non è in un comportamento fine a se stesso,è il processo che porta al profitto=felicità= +denaro per sè: questa è la regola da sempre "della terra", domina o sarai dominato.Allora il problema è solo il limite di se stessi ecco l'illimitato Oltreuomo di Nietzsche , ecco la rivoluzione di Marx.

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Vecchio 25-09-2015, 20.02.08   #18
memento
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Originalmente inviato da sgiombo
Conclusione: un ateo razionalista generoso e magnanimo dovrebbe farsi scrupoli sull'onestà e dignità per il semplice motivo che questi non sono per un ateo razionalista generoso e magnanimo termini moraleggianti che nulla hanno a che fare nella materialità dell'esistenza, se non per costruire ipocrite supporti alle ben più importanti logiche di dominio (lo sono per ben altro genere di persone, che l' ateo generoso e magnanimo combatte) ma imperativi morali (tendenze comportamentali) fortemente sentiti dentro di sé per motivi non affatto "soprannaturali" (non perché scritti da Dio su alcuna tavola della legge) ma naturalissimi, storici-"macrosociali" e di esperienza personale "microsociale".

Ma voglio farti notare (anche contro una certa supponenza e presunzione laicista) che non tutti i credenti sono tendenzialmente gretti, meschini, egoisti (e conseguentemente pensano che Se Dio fosse morto tutto sarebbe permesso).
Cito solo l' esempio luminoso di Severino Boezio (per me un grandissimo!), che di fronte alla ingiusta condanna a morte non dalla religione- in cui pure credeva- bensì dalla filosofia fu "consolato": in quello splendido scritto (la Consolazione della filosofia) afferma a chiare lettere -"alla faccia preventiva" di Dostoevkij e di Nietzche- che se anche Dio non esistesse, comunque il comportamento di un uomo onesto e magnanimo non cambierebbe per niente poiché, alla maniera degli stoici, "la virtù" sarebbe sempre "premio a se stessa".
Se Dio non esistesse (più corretto sarebbe dire se non fosse più creduto) andrebbe a mancare il garante di ogni azione morale,il modello di riferimento per qualsiasi valutazione etica. Se si è atei fino in fondo si rifiutano tutti i dogmi religiosi,compresa la pretesa di stabilire cosa è magnanimo e generoso,e cosa no. Non è perciò solo una questione gnoseologica,ma a 360 gradi,che coinvolge l'uomo nella sua interezza. Ma sono d'accordo che il vero virtuoso non cambierebbe di una virgola,a scomparire sarebbe la virtù,o meglio la sua immagine. Concordo con te anche nel dire che la morale non è un'invenzione della civiltà umana o il connotato di un'entità sovrasensibile,bensì una tendenza del tutto naturale di un animale a seguire norme autostabilitasi,legate al branco ma anche alla sensibilità del singolo individuo. Anzi direi che in questo un cane o un gatto ha molto da insegnarci.

Ultima modifica di memento : 25-09-2015 alle ore 22.18.07.
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Vecchio 25-09-2015, 21.27.58   #19
Sariputra
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Questa mattina, mentre gli preparavo la colazione, ho provato ad approfondire l'argomento con mio padre.
E' un uomo molto anziano, quasi novantenne, ancora lucido ma pieno di malanni fisici (cardiopatia, prostata, piaghe alle dita dei piedi, artrite, diabete , operato di cancro, ecc.).Arriva in cucina ansimando. Ogni movimento gli procura sofferenza.
Gli ho posto il problema in questi termini:
-Per te la vita, ora che hai poche soddisfazioni e tanti malanni, ha ancora un significato? Ti va ancora di viverla? Le tue sofferenze sono molto maggiori delle gioie ?-
Mi ha guardato con i suoi vecchi occhi stanchi ma ancora vivi e mi ha risposto:
-Sì, per me vale ancora la pena di vivere.-
-Perché?...-
-Adesso trovo gioia in cose che quand'ero giovane nemmeno mi fermavo ad osservare. Piccoli particolari, scorci di paesaggio, una viuzza piena di ricordi, il sentire quasi le voci degli amici ormai tutti andati, i colori che non ho mai visto così belli come ora ( lui è un artista, uscito dall'Accademia delle Belle Arti di Venezia in epoca "eroica", quando l'arte aveva ancora reale valore per l'uomo).
Adesso un semplice ricordo ha la capacità di farmi rinascere un mondo dentro. Quand'ero giovane vivevo pensando al futuro, ora invece , quando riesco a muovermi un po' e le gambe non mi fanno troppo male, assaporo intensamente ogni attimo perché sono consapevole, ogni giorno, che potrebbe essere l'ultima volta che lo posso fare.
Lo so che non ci crede nessuno, ma io adesso vivo molto più intensamente di un tempo, solo che è tutto dentro e , quando sei vecchio, non hai più voglia di parlarne. E' faticoso e la gente non ti ascolta. Nemmeno tu mi ascolti, ormai...-
-Alcuni affermano che è preferibile morire piuttosto che vivere con tanti dolori e pochissime gioie. Che ne pensi ? -
-Guarda, lo pensavo anch'io quand'ero giovane ma non conoscevo niente dell'esser vecchio.Ora lo sono e mi sembra che, anche se soffro 23 ore su 24 alcuni giorni, la bellezza intensa che vivo in quell'ora di tregua, vale molto di più , tanto di più. Lo vedrai anche tu se avrai la grazia di diventar vecchio come me.
A proposito...sei andato a prendermi il Tachidol ?-
Mi è venuto da ridere e l'ho lasciato in pace ad inzupparsi lentamente, molto lentamente, le fette biscottate nel caffè.
Non posso sapere se tutti i vecchi provano simili sentimenti ma...penso che in fondo, in vario modo, tutti percepiscano con intensità e rivivano continuamente il loro vissuto, più liberi dal "mondo" di un giovane.
Altra cosa sono i morbi vari e le demenze che ti tolgono tutti i ricordi...quello è un altro capitolo che costringe coloro che ti seguono e aiutano a risvegliare i loro di ricordi.
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Vecchio 25-09-2015, 21.39.18   #20
sgiombo
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Il tuo fraintendimento mi ispira il precisare che io non ho detto che la tua esistenza non sia stata ineccepibile (rileggi), anzi, al contrario, è proprio questo che ho cercato di sostenere, cioè, che una persona, che attraverso la sua diligenza e tenacia dell'agire bene, abbia ottenuto (attenendosi santamente ai suoi doveri quotidianamente per tutta la durata della sua esistenza), con sicurezza, che la sua coscienza sia completamente gioiosa e serena, consapevole empiricamente che ha centrato il bersaglio nel senso soggettivo che aveva dato alla propria vita, non può fare altro che affidarsi al suicidio soltanto per scommessa sulla propria fede (quindi non razionalista), senza nessuna sicurezza o prova empirica che quello sia l'ultimo e ulteriore dovere (poiché il diritto c'è per tutti!) a servire, senza poter sapere con certezza, se quel gesto estremo non comprometta irreversibilmente la "santità" precedentemente acquisita con sacrificio e integrità.


[Esempio]
Tu sei a un bivio, innanzi a te, a 300 metri, c'è la possibilità d'immetterti nella sofferenza del traffico caotico, che durerà per un bel po' di tempo, ma che ti condurrà sicuramente a casa regolarmente, mentre alla tua destra c'è una deviazione che anche conduce con certezza a casa tua, dove però è risaputo che non circolano auto, la strada e sgombra e si circola rapidamente, l'unico inconveniente è che nello sterzare a destra, dovresti percorrere i primi 100 metri in controsenso, e tu che non hai mai commesso un'infrazione o ricevuto una multa sei giustamente fiero di questo tuo
risultato ben meritato, solo che non puoi sapere se, fatti i primi 50 metri in senso vietato, dietro alla curva a sinistra, ci siano o meno i vigili, ai quali, forse, se davvero ci fossero, avresti voglia di spiegare che al volante sei un modello di onestà e rettitudine, giacché essi in nome e per virtù della stessa tua integrità potrebbero ritirarti per sempre la patente, sequestrare il veicolo e mandarti a casa a piedi.
Libero arbitrio al di sopra di tutti e prima di ogni cosa.
Auguri e coraggio.



No, il tuo fraintendimento sta nel fatto che il suicidio é un diritto, non un dovere.
Ed chi lo esercita senza venir meno ai suoi doveri verso gli altri non fa proprio nulla di male, non mette assolutamente a repentaglio l' irreprensibilità della sua precedente condotta di vita (è come uno che continua a rispettare il codice della strada, come ha sempre fatto prima), checché ne dicano saccenti e presuntuosi moralisti (che sarebbe meglio si preoccupassero della moralità propria anziché dell' altrui).
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