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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 12-02-2016, 00.43.54   #1
Sariputra
Nuovo ospite
 
Data registrazione: 22-03-2015
Messaggi: 257
La Paura è fondamento dell'essere.

La mente umana si è evoluta ( si ritiene) nel corso degli ultimi 100.000 anni, da quando la specie Homo Sapiens ha preso il sopravvento sul pianeta. Le nostre menti purtroppo non sembrano essersi evolute molto da allora, solo facelift, come gli aggiornamenti estetici che le case automobilistiche ci propinano a metà vita di un modello, mentre la meccanica e il motore (il cuore) rimangono invariati. Le nostre menti non si sono evolute per farci "sentire bene", scrivere poesie, ecc, ma per aiutarci a sopravvivere in un mondo pericoloso. Quattro erano le cose di cui i primitivi cacciatori avevano bisogno: cibo, acqua, riparo e sesso.
Nessuna di queste è molto importante se sei morto. Viene da sè che il primo obiettivo della mente dell'uomo primitivo era quello di prestare la massima , totale attenzione verso tutto quello che poteva costituire pericolo, ed evitarlo.Era un incredibile dispositivo per non farsi ammazzare e questo si rivelò di fondamentale importanza. Se eri più bravo a prevedere il pericolo, più vivevi , più figli facevi.
E questo si è continuamente evoluto di generazione in generazione. La nostra mente odierna mi sembra che utilizzi la stessa dinamica. Valutiamo, anche inconsciamente, ogni cosa che incontriamo come-E' buona o è cattiva? Sicuro o pericoloso? Utile o dannoso ?
Certo, oggi la nostra mente non ci tiene in allerta per l'avvicinarsi di un mammut o di una tigre dai denti a sciabola. I nemici sono diventati- Il perdere un lavoro, la paura di una grave malattia, la paura del diverso che non conosciamo e che quindi non possiamo valutare se è innocuo o pericoloso, la paura di rendersi ridicoli, in pubblico o scrivendo su un forum di filosofia, la paura che qualcosa di male accada ai nostri cari, ecc.
Un'altra cosa molto importante, decisiva, per l'uomo primitivo era quella di appartenere ad un gruppo. Le tue possibilità di sopravvivenza all'interno del clan erano molto superiori a quelle di trovarsi soli ( c'erano parecchi lupi in giro e...ti trovavano presto). Allora la mente del primitivo ha escogitato il sistema per non essere cacciati dal clan.
E' nato il metodo ( di confronto). Ci si confrontava gli uni con gli altri e ci si poneva le domande decisive: Sono bravo come gli altri ? Sto facendo la cosa giusta? Sto contribuendo abbastanza per non essere cacciato? Mi sto integrando ?
Non suonano familiari queste domande ? Non sono le stesse che si pone la mente "moderna" dell' Homo Virtualis? Non continua a metterci in guardia dalla possibilità di essere rifiutati dalla società ? Non ci induce di continuo a confrontarci con gli altri? Quante energie dedichiamo a preoccuparci di piacere agli altri ? Quanto ci deprimiamo per "non essere all'altezza"?
Mentre per il primitivo bisognava confrontarsi con il piccolo nucleo che formava il clan, per noi le cose si sono fatte complicate e , per ogni contatto della mente con il multiforme, complesso e variegato mondo tecnologico in cui viviamo, si formano innumerevoli domande e confronti.
Tutto questo lungo preambolo mi serve per arrivare alla domanda.
E' possibile che la mente sia sostanzialmente un meccanismo fondato sulla Paura primordiale e che tutti gli sviluppi successivi ( filosofia, religione, spiritualità, ecc.) siano solo tentativi ben mascherati di fuggire questa Paura ? Paura di non sopravvivere ( e che il nostro pensiero, che per Paura mi fa ritenere una cosa "separata" dal tutto proprio per sopravvivere) in un mondo che istintivamente percepiamo ancora pericoloso? Se abbiamo occasione di osservare ( senza poesia) la vita degli animali possiamo vedere ancora , chiaramente e senza dubbi, questa istintiva, primordiale Paura in essere. L'allerta è totale, continuo, i sensi stessi si sviluppano per percepire il pericolo.
L'atto "eroico" è sempre sfida alla Paura. Perchè la Paura ci attrae e il clan ci integra di più se siamo così bravi addirittura ad affrontare la Paura per l'interesse del clan stesso. Per arrivare infine al sacrificio della vita stessa per affermare, non il superamento della paura, ma il definitivo abbraccio del clan.
Non ho mai riflettuto abbastanza sull'enorme importanza della paura nella mia vita ( e penso , in vari modi, in quella di tutti). Riflettendo su di essa mi sembra si apra un enorme campo di esplorazione interiore.
E mi sembra un campo interessante anche metafisicamente. Ossia...questa Paura è semplicemente un meccanismo biologico o c'è pure qualcosa di più profondo, che investe pure l'intuizione sull'Assoluto?
Abramo prepara l'altare sacrificale e poi, nella notte...avverte come il passaggio di qualcosa che gli incute paura.
Buddha Shakyamuni, uscendo da Kapilavastu, si sofferma ad osservare la massa di operai che stanno rinforzando le mura della città : -Osservando gli esseri umani dibattersi, come moltitudine di pesci in una pozza d'acqua, sorse in me un "Oscuro Terrore".
La notte mistica dell'anima è una notte di Paura. E' la notte in cui bisogna stare vicino al fuoco ma invece...sei solo, là fuori, nelle tenebre e il clan non ti parla e allora viene l'"Oscuro Terrore", abita in te, e tu gli dai un nome (Io Sono) e poi passa come brezza leggera e la Paura si scioglie in lacrime.
Pertanto ecco che arrivo alla provocazione del titolo. La Paura è fondamento dell'essere e non semplicemente una sensazione che provo, un semplice meccanismo di difesa. Rifiuto l'affermazione "Penso quindi esisto" e proclamo "Temo quindi esisto". ( mi sembra di essere un piccolo Nietzsche quando riesco a proclamare qualcosa... ).

A voi filosofi la palla...se vi interessa approfondire, con mezzi più "abili" di quelli del sottoscritto, naturalmente.
Sariputra is offline  
Vecchio 12-02-2016, 16.09.23   #2
paul11
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Messaggi: 899
Riferimento: La Paura è fondamento dell'essere.

Citazione:
Originalmente inviato da Sariputra
La mente umana si è evoluta ( si ritiene) nel corso degli ultimi 100.000 anni, da quando la specie Homo Sapiens ha preso il sopravvento sul pianeta. Le nostre menti purtroppo non sembrano essersi evolute molto da allora, solo facelift, come gli aggiornamenti estetici che le case automobilistiche ci propinano a metà vita di un modello, mentre la meccanica e il motore (il cuore) rimangono invariati. Le nostre menti non si sono evolute per farci "sentire bene", scrivere poesie, ecc, ma per aiutarci a sopravvivere in un mondo pericoloso. Quattro erano le cose di cui i primitivi cacciatori avevano bisogno: cibo, acqua, riparo e sesso.
Nessuna di queste è molto importante se sei morto. Viene da sè che il primo obiettivo della mente dell'uomo primitivo era quello di prestare la massima , totale attenzione verso tutto quello che poteva costituire pericolo, ed evitarlo.Era un incredibile dispositivo per non farsi ammazzare e questo si rivelò di fondamentale importanza. Se eri più bravo a prevedere il pericolo, più vivevi , più figli facevi.
E questo si è continuamente evoluto di generazione in generazione. La nostra mente odierna mi sembra che utilizzi la stessa dinamica. Valutiamo, anche inconsciamente, ogni cosa che incontriamo come-E' buona o è cattiva? Sicuro o pericoloso? Utile o dannoso ?
Certo, oggi la nostra mente non ci tiene in allerta per l'avvicinarsi di un mammut o di una tigre dai denti a sciabola. I nemici sono diventati- Il perdere un lavoro, la paura di una grave malattia, la paura del diverso che non conosciamo e che quindi non possiamo valutare se è innocuo o pericoloso, la paura di rendersi ridicoli, in pubblico o scrivendo su un forum di filosofia, la paura che qualcosa di male accada ai nostri cari, ecc.
Un'altra cosa molto importante, decisiva, per l'uomo primitivo era quella di appartenere ad un gruppo. Le tue possibilità di sopravvivenza all'interno del clan erano molto superiori a quelle di trovarsi soli ( c'erano parecchi lupi in giro e...ti trovavano presto). Allora la mente del primitivo ha escogitato il sistema per non essere cacciati dal clan.
E' nato il metodo ( di confronto). Ci si confrontava gli uni con gli altri e ci si poneva le domande decisive: Sono bravo come gli altri ? Sto facendo la cosa giusta? Sto contribuendo abbastanza per non essere cacciato? Mi sto integrando ?
Non suonano familiari queste domande ? Non sono le stesse che si pone la mente "moderna" dell' Homo Virtualis? Non continua a metterci in guardia dalla possibilità di essere rifiutati dalla società ? Non ci induce di continuo a confrontarci con gli altri? Quante energie dedichiamo a preoccuparci di piacere agli altri ? Quanto ci deprimiamo per "non essere all'altezza"?
Mentre per il primitivo bisognava confrontarsi con il piccolo nucleo che formava il clan, per noi le cose si sono fatte complicate e , per ogni contatto della mente con il multiforme, complesso e variegato mondo tecnologico in cui viviamo, si formano innumerevoli domande e confronti.
Tutto questo lungo preambolo mi serve per arrivare alla domanda.
E' possibile che la mente sia sostanzialmente un meccanismo fondato sulla Paura primordiale e che tutti gli sviluppi successivi ( filosofia, religione, spiritualità, ecc.) siano solo tentativi ben mascherati di fuggire questa Paura ? Paura di non sopravvivere ( e che il nostro pensiero, che per Paura mi fa ritenere una cosa "separata" dal tutto proprio per sopravvivere) in un mondo che istintivamente percepiamo ancora pericoloso? Se abbiamo occasione di osservare ( senza poesia) la vita degli animali possiamo vedere ancora , chiaramente e senza dubbi, questa istintiva, primordiale Paura in essere. L'allerta è totale, continuo, i sensi stessi si sviluppano per percepire il pericolo.
L'atto "eroico" è sempre sfida alla Paura. Perchè la Paura ci attrae e il clan ci integra di più se siamo così bravi addirittura ad affrontare la Paura per l'interesse del clan stesso. Per arrivare infine al sacrificio della vita stessa per affermare, non il superamento della paura, ma il definitivo abbraccio del clan.
Non ho mai riflettuto abbastanza sull'enorme importanza della paura nella mia vita ( e penso , in vari modi, in quella di tutti). Riflettendo su di essa mi sembra si apra un enorme campo di esplorazione interiore.
E mi sembra un campo interessante anche metafisicamente. Ossia...questa Paura è semplicemente un meccanismo biologico o c'è pure qualcosa di più profondo, che investe pure l'intuizione sull'Assoluto?
Abramo prepara l'altare sacrificale e poi, nella notte...avverte come il passaggio di qualcosa che gli incute paura.
Buddha Shakyamuni, uscendo da Kapilavastu, si sofferma ad osservare la massa di operai che stanno rinforzando le mura della città : -Osservando gli esseri umani dibattersi, come moltitudine di pesci in una pozza d'acqua, sorse in me un "Oscuro Terrore".
La notte mistica dell'anima è una notte di Paura. E' la notte in cui bisogna stare vicino al fuoco ma invece...sei solo, là fuori, nelle tenebre e il clan non ti parla e allora viene l'"Oscuro Terrore", abita in te, e tu gli dai un nome (Io Sono) e poi passa come brezza leggera e la Paura si scioglie in lacrime.
Pertanto ecco che arrivo alla provocazione del titolo. La Paura è fondamento dell'essere e non semplicemente una sensazione che provo, un semplice meccanismo di difesa. Rifiuto l'affermazione "Penso quindi esisto" e proclamo "Temo quindi esisto". ( mi sembra di essere un piccolo Nietzsche quando riesco a proclamare qualcosa... ).

A voi filosofi la palla...se vi interessa approfondire, con mezzi più "abili" di quelli del sottoscritto, naturalmente.

Nella sua essenza argomentativa è perfetto lo scritto , è esattamente ciò che vado scrivendo, stralciato da vari interventi.
La paura primordiale con la conoscenza e quindi la consapevolezza di sè diventa un'arma a doppio taglio : esercitare il controllo conoscitivo per predire, dall'oracolo al profeta fino alla scienza moderna per anticipare l'evento per essere preparati mentalmente e fisicamente, ma dall'altra costruire il mondo dell'illusione, esorcizzare in qualche modo quella paura infinita di non essere adeguato al mondo e alla vita

La cultura diventa il dispositivo di analisi e difesa al tempo stesso.
La conoscenza diventa scienza, ma non può arrivare nè alla verità nè al totale controllo, per cui la paura continua.
Questo inverno non ha piovuto o nevicato poco sulle Alpi ,cosa ci riservirà la primavera e l'estate: queste sono le domande che si ponevano già millenni fa. L'uomo per poter esercitare il controllo tenta di domare la natura prima conoscendone i segreti fenomenici e poi applicando l'artefiico. Ma il timore della natura con il cataclisma è ancora evidente e come giustamente dici si è spostata dagli animali feroci alle organizzazioni sociali artificiali. La paura primordiale ha cambiato nelle culture le sue trasposizioni, illudendosi che il dispositivo (giusta semantica) culturale potesse placare o guarire quella paura. Il nostro essere non è mai cambiato. Oggi è l'economia la politica, gli attentati, oltre ai cataclismi ciò che rendono la vita imponderabile, non predittiva e quindi costruisce ansie, incertezze.
L'artificio umano ha amplificato l'impossiblità pratica del singolo uomo di poter intervenire sul fato, sul fio, sul destino. E adatto che quella tribù quel clan è enorme in numero ed in estensione territoriale e quindi non controllabile socialmente dal singolo(per cui la realtà sociale è sempre meno a misura d'uomo) diventa un ulteriore prigionia e amplificatore di paura.

Non posso scartare apriori l'ipotesi che Dio, spiritualità credenze, siano nostre invenzioni illusorie per poter proprio controllare attraverso un dispositivo universalistico(la spiegazione totalizzante) quella paura recondita.Si ha bisogno del simbolo totemico per relazionare e sublimare quella paura.
paul11 is offline  
Vecchio 12-02-2016, 21.35.55   #3
maral
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Riferimento: La Paura è fondamento dell'essere.

Certo l'uomo ha da sempre paura (e tutte le paure che hai citato, a parte forse la paura di perdere il lavoro dacché il lavoro è diventato cosa del tutto artificiosa sono sia del moderno che del primitivo), come l'animale del resto, ma la paura umana, da quando è cominciata la coscienza di esistere e quindi la coscienza della propria mortalità, è qualcosa di molto diverso. L'uomo infatti ha paura di aver paura perché la sua coscienza lo espone al mondo, lo colloca al confine. come in bilico su un abisso e la paura per lui non è più solo un fatto fisico, come lo è invece per l'animale. Dunque l'uomo ha bisogno di esorcizzare la sua paura di aver paura e lo fa con l'arte, con la fede nei miti, con i riti, con la filosofia, con la scienza e con la tecnologia e soprattutto con il linguaggio, tutte cose che all'animale non servono.
L'essere, come la paura di aver paura, dopotutto è un concetto solo umano, l'animale solo è, solo esiste e qui sta l'enorme differenza che isola ogni uomo e lo getta in un'angosciata solitudine cosmica che in qualche modo prova a tentare di popolare, fosse pure solo di fantasmi.
maral is offline  
Vecchio 12-02-2016, 21.54.20   #4
memento
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Riferimento: La Paura è fondamento dell'essere.

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Originalmente inviato da Sariputra
La mente umana si è evoluta ( si ritiene) nel corso degli ultimi 100.000 anni, da quando la specie Homo Sapiens ha preso il sopravvento sul pianeta. Le nostre menti purtroppo non sembrano essersi evolute molto da allora, solo facelift, come gli aggiornamenti estetici che le case automobilistiche ci propinano a metà vita di un modello, mentre la meccanica e il motore (il cuore) rimangono invariati. Le nostre menti non si sono evolute per farci "sentire bene", scrivere poesie, ecc, ma per aiutarci a sopravvivere in un mondo pericoloso. Quattro erano le cose di cui i primitivi cacciatori avevano bisogno: cibo, acqua, riparo e sesso.
Nessuna di queste è molto importante se sei morto. Viene da sè che il primo obiettivo della mente dell'uomo primitivo era quello di prestare la massima , totale attenzione verso tutto quello che poteva costituire pericolo, ed evitarlo.Era un incredibile dispositivo per non farsi ammazzare e questo si rivelò di fondamentale importanza. Se eri più bravo a prevedere il pericolo, più vivevi , più figli facevi.
E questo si è continuamente evoluto di generazione in generazione. La nostra mente odierna mi sembra che utilizzi la stessa dinamica. Valutiamo, anche inconsciamente, ogni cosa che incontriamo come-E' buona o è cattiva? Sicuro o pericoloso? Utile o dannoso ?
Certo, oggi la nostra mente non ci tiene in allerta per l'avvicinarsi di un mammut o di una tigre dai denti a sciabola. I nemici sono diventati- Il perdere un lavoro, la paura di una grave malattia, la paura del diverso che non conosciamo e che quindi non possiamo valutare se è innocuo o pericoloso, la paura di rendersi ridicoli, in pubblico o scrivendo su un forum di filosofia, la paura che qualcosa di male accada ai nostri cari, ecc.
Un'altra cosa molto importante, decisiva, per l'uomo primitivo era quella di appartenere ad un gruppo. Le tue possibilità di sopravvivenza all'interno del clan erano molto superiori a quelle di trovarsi soli ( c'erano parecchi lupi in giro e...ti trovavano presto). Allora la mente del primitivo ha escogitato il sistema per non essere cacciati dal clan.
E' nato il metodo ( di confronto). Ci si confrontava gli uni con gli altri e ci si poneva le domande decisive: Sono bravo come gli altri ? Sto facendo la cosa giusta? Sto contribuendo abbastanza per non essere cacciato? Mi sto integrando?
Non suonano familiari queste domande ? Non sono le stesse che si pone la mente "moderna" dell' Homo Virtualis? Non continua a metterci in guardia dalla possibilità di essere rifiutati dalla società ? Non ci induce di continuo a confrontarci con gli altri? Quante energie dedichiamo a preoccuparci di piacere agli altri ? Quanto ci deprimiamo per "non essere all'altezza"?
Mentre per il primitivo bisognava confrontarsi con il piccolo nucleo che formava il clan, per noi le cose si sono fatte complicate e , per ogni contatto della mente con il multiforme, complesso e variegato mondo tecnologico in cui viviamo, si formano innumerevoli domande e confronti.
Tutto questo lungo preambolo mi serve per arrivare alla domanda.
E' possibile che la mente sia sostanzialmente un meccanismo fondato sulla Paura primordiale e che tutti gli sviluppi successivi ( filosofia, religione, spiritualità, ecc.) siano solo tentativi ben mascherati di fuggire questa Paura ? Paura di non sopravvivere ( e che il nostro pensiero, che per Paura mi fa ritenere una cosa "separata" dal tutto proprio per sopravvivere) in un mondo che istintivamente percepiamo ancora pericoloso? Se abbiamo occasione di osservare ( senza poesia) la vita degli animali possiamo vedere ancora , chiaramente e senza dubbi, questa istintiva, primordiale Paura in essere. L'allerta è totale, continuo, i sensi stessi si sviluppano per percepire il pericolo.
L'atto "eroico" è sempre sfida alla Paura. Perchè la Paura ci attrae e il clan ci integra di più se siamo così bravi addirittura ad affrontare la Paura per l'interesse del clan stesso. Per arrivare infine al sacrificio della vita stessa per affermare, non il superamento della paura, ma il definitivo abbraccio del clan.
Non ho mai riflettuto abbastanza sull'enorme importanza della paura nella mia vita ( e penso , in vari modi, in quella di tutti). Riflettendo su di essa mi sembra si apra un enorme campo di esplorazione interiore.
E mi sembra un campo interessante anche metafisicamente. Ossia...questa Paura è semplicemente un meccanismo biologico o c'è pure qualcosa di più profondo, che investe pure l'intuizione sull'Assoluto?
Abramo prepara l'altare sacrificale e poi, nella notte...avverte come il passaggio di qualcosa che gli incute paura.
Buddha Shakyamuni, uscendo da Kapilavastu, si sofferma ad osservare la massa di operai che stanno rinforzando le mura della città : -Osservando gli esseri umani dibattersi, come moltitudine di pesci in una pozza d'acqua, sorse in me un "Oscuro Terrore".
La notte mistica dell'anima è una notte di Paura. E' la notte in cui bisogna stare vicino al fuoco ma invece...sei solo, là fuori, nelle tenebre e il clan non ti parla e allora viene l'"Oscuro Terrore", abita in te, e tu gli dai un nome (Io Sono) e poi passa come brezza leggera e la Paura si scioglie in lacrime.
Pertanto ecco che arrivo alla provocazione del titolo. La Paura è fondamento dell'essere e non semplicemente una sensazione che provo, un semplice meccanismo di difesa. Rifiuto l'affermazione "Penso quindi esisto" e proclamo "Temo quindi esisto". ( mi sembra di essere un piccolo Nietzsche quando riesco a proclamare qualcosa... ).

A voi filosofi la palla...se vi interessa approfondire, con mezzi più "abili" di quelli del sottoscritto, naturalmente.
A parte lo stile di scrittura (sempre coinvolgente e mai banale,complimenti),l'analisi che fai dei sentimenti umani e animali è superficiale,non puoi ridurre tutti gli istinti,i sentimenti e gli affetti alla paura. Fai come quei filosofi da cui ti distanzi,prendi un aspetto e lo assolutizzi.
Queste sono le mie "contro-argomentazioni",le prime venutemi in mente
1)Nessun animale,compreso l'uomo primitivo, compie rapporti sessuali con il pensiero di conservare la specie e non per un forte stimolo dettato dalla libido,per il proprio piacere. Ovviamente una migliore posizione nel branco consente di prendersi le femmine migliori. Analogo discorso per la fame: non è la paura di morire a spingerci a cercare cibo,ma lo stomaco. Non la mente,ma il corpo.
2)l'uomo non pensa esclusivamente per utile/dannoso,e forse nemmeno l'animale (cosa manca ad esempio ad un leone in gabbia?). Anzi,le cose più dilettevoli sono spesso le più inutili,ed è al pensiero di queste che l'uomo si adopera con le azioni utili.
3)La paura rende il muscolo contratto e il fiato corto,ragion per cui in guerra chi non sa dominare i propri timori è tra i primi a morire. Molte guerre sono nate con il solo intento di conquistare ed assoggettare altri popoli e territori. Dov'è la paura di morire? La vita non basta mai agli uomini...
4)Negli animali l'allerta del pericolo è costante. Ma trovo una sostanziale differenza fra l'essere umano che rabbrividisce al pensiero di questa condizione e l'animale che vi si trova. Non è lo stesso tipo di paura.
5)Nello stesso clan esistono individui più capaci e abili,un élite,e individui altrettanto meno bravi. Si può dire che l'organizzazione del clan risulti più vantaggiosa per quest'ultimi,e nasca soprattutto nel loro interesse (cioè per beneficiare dell'utile collettivo),chiaramente a patto di obbedire alle leggi dettate dai migliori. Manca un concetto fondamentale quando parli di clan e di branco: la gerarchia. Cosi come anche fra specie differenti esistono gerarchie,consolidate o meno,fra prede e predatori. Perché dico questo? Perché la preoccupazione di non piacere al clan è la preoccupazione di chi sottosta alla volontà altrui. Chi il potere lo ha in mano certi interrogativi nemmeno se li pone,sa di essere insostituibile.
memento is offline  
Vecchio 13-02-2016, 08.50.07   #5
CVC
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Riferimento: La Paura è fondamento dell'essere.

La paura è vita e morte. Vita perchè ci mette in guardia dai pericoli; morte perchè ci trattiene dall'azione, quindi può renderci incapaci di affrontare i pericoli. Fra l'incoscienza di fronte ai pericoli e la coscienza del pericolo nell'incapacità di affrontarlo, la cosa migliore è una coscienza controllata del pericolo. Gli antichi avevano trovato come soluzione quella di anticiparli, viverli in anticipo perchè, come dice Seneca, qualsiasi male che si sia atteso a lungo giunge più sopportabile. Allora, visto che inevitabile incorrere prima o poi nelle cose che più ci spaventano come la sofferenza, la tristezza, la morte; la soluzione per non esserne sconvolti è quella di anticiparle sempre col pensiero per essere sempre pronti ad affrontarle. Quindi la vita quotidiana diventa quella della vedetta che fiuta costantemente il pericolo dietro l'angolo, che non si concede mai rilassamenti eccessivi, che è sempre pronta ad attuare i rimedi che aveva preparato nei momenti di tranquillità per applicarli quando le preannunciate situazioni drammatiche arrivano. Questo modo di vivere che ci pare una continua preparazione alla morte è probabilmente incomprensibile ai nostri occhi. Ma per capirlo bisognerebbe fare una disamna storico-ambientale. Oggi la vita è, seppure sempre relativamente, ben più sicura rispetto all'antichità. Tanto è vero che c'è chi sente la necessità di darsi agli sport estremi per sfuggire alla noia. Ma se ci si immedesima in epoche in cui si viveva assai più pericolosamente, allora una vita in continua circospezione non appare più così strana. Ancora di più se pensiamo che la nostra vita forse non è poi così immune dai pericoli: sfrecciamo a 150 all'ora in autostrada, attraversiamo luoghi pericolosi delle città, dilaga il terrorismo, c'è lo spettro di una crisi che potrebbe dare ancora il peggio di se. Ma la società civile e dei consumi in cui siamo abituati a vivere ci porta ad allevare una serenità spesso artificiale e immotivata, isogna essere ottimisti per continuare ad alimentare la società dei consumi.
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Vecchio 13-02-2016, 16.54.45   #6
sgiombo
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Originalmente inviato da Sariputra
La mente umana si è evoluta ( si ritiene) nel corso degli ultimi 100.000 anni, da quando la specie Homo Sapiens ha preso il sopravvento sul pianeta. Le nostre menti purtroppo non sembrano essersi evolute molto da allora, solo facelift, come gli aggiornamenti estetici che le case automobilistiche ci propinano a metà vita di un modello, mentre la meccanica e il motore (il cuore) rimangono invariati. Le nostre menti non si sono evolute per farci "sentire bene", scrivere poesie, ecc, ma per aiutarci a sopravvivere in un mondo pericoloso. Quattro erano le cose di cui i primitivi cacciatori avevano bisogno: cibo, acqua, riparo e sesso.
Nessuna di queste è molto importante se sei morto. Viene da sè che il primo obiettivo della mente dell'uomo primitivo era quello di prestare la massima , totale attenzione verso tutto quello che poteva costituire pericolo, ed evitarlo.Era un incredibile dispositivo per non farsi ammazzare e questo si rivelò di fondamentale importanza. Se eri più bravo a prevedere il pericolo, più vivevi , più figli facevi.
E questo si è continuamente evoluto di generazione in generazione. La nostra mente odierna mi sembra che utilizzi la stessa dinamica. Valutiamo, anche inconsciamente, ogni cosa che incontriamo come-E' buona o è cattiva? Sicuro o pericoloso? Utile o dannoso ?
Certo, oggi la nostra mente non ci tiene in allerta per l'avvicinarsi di un mammut o di una tigre dai denti a sciabola. I nemici sono diventati- Il perdere un lavoro, la paura di una grave malattia, la paura del diverso che non conosciamo e che quindi non possiamo valutare se è innocuo o pericoloso, la paura di rendersi ridicoli, in pubblico o scrivendo su un forum di filosofia, la paura che qualcosa di male accada ai nostri cari, ecc.
Un'altra cosa molto importante, decisiva, per l'uomo primitivo era quella di appartenere ad un gruppo. Le tue possibilità di sopravvivenza all'interno del clan erano molto superiori a quelle di trovarsi soli ( c'erano parecchi lupi in giro e...ti trovavano presto). Allora la mente del primitivo ha escogitato il sistema per non essere cacciati dal clan.
E' nato il metodo ( di confronto). Ci si confrontava gli uni con gli altri e ci si poneva le domande decisive: Sono bravo come gli altri ? Sto facendo la cosa giusta? Sto contribuendo abbastanza per non essere cacciato? Mi sto integrando ?
Non suonano familiari queste domande ? Non sono le stesse che si pone la mente "moderna" dell' Homo Virtualis? Non continua a metterci in guardia dalla possibilità di essere rifiutati dalla società ? Non ci induce di continuo a confrontarci con gli altri? Quante energie dedichiamo a preoccuparci di piacere agli altri ? Quanto ci deprimiamo per "non essere all'altezza"?
Mentre per il primitivo bisognava confrontarsi con il piccolo nucleo che formava il clan, per noi le cose si sono fatte complicate e , per ogni contatto della mente con il multiforme, complesso e variegato mondo tecnologico in cui viviamo, si formano innumerevoli domande e confronti.
Tutto questo lungo preambolo mi serve per arrivare alla domanda.
E' possibile che la mente sia sostanzialmente un meccanismo fondato sulla Paura primordiale e che tutti gli sviluppi successivi ( filosofia, religione, spiritualità, ecc.) siano solo tentativi ben mascherati di fuggire questa Paura ? Paura di non sopravvivere ( e che il nostro pensiero, che per Paura mi fa ritenere una cosa "separata" dal tutto proprio per sopravvivere) in un mondo che istintivamente percepiamo ancora pericoloso? Se abbiamo occasione di osservare ( senza poesia) la vita degli animali possiamo vedere ancora , chiaramente e senza dubbi, questa istintiva, primordiale Paura in essere. L'allerta è totale, continuo, i sensi stessi si sviluppano per percepire il pericolo.
L'atto "eroico" è sempre sfida alla Paura. Perchè la Paura ci attrae e il clan ci integra di più se siamo così bravi addirittura ad affrontare la Paura per l'interesse del clan stesso. Per arrivare infine al sacrificio della vita stessa per affermare, non il superamento della paura, ma il definitivo abbraccio del clan.
Non ho mai riflettuto abbastanza sull'enorme importanza della paura nella mia vita ( e penso , in vari modi, in quella di tutti). Riflettendo su di essa mi sembra si apra un enorme campo di esplorazione interiore.
E mi sembra un campo interessante anche metafisicamente. Ossia...questa Paura è semplicemente un meccanismo biologico o c'è pure qualcosa di più profondo, che investe pure l'intuizione sull'Assoluto?
Abramo prepara l'altare sacrificale e poi, nella notte...avverte come il passaggio di qualcosa che gli incute paura.
Buddha Shakyamuni, uscendo da Kapilavastu, si sofferma ad osservare la massa di operai che stanno rinforzando le mura della città : -Osservando gli esseri umani dibattersi, come moltitudine di pesci in una pozza d'acqua, sorse in me un "Oscuro Terrore".
La notte mistica dell'anima è una notte di Paura. E' la notte in cui bisogna stare vicino al fuoco ma invece...sei solo, là fuori, nelle tenebre e il clan non ti parla e allora viene l'"Oscuro Terrore", abita in te, e tu gli dai un nome (Io Sono) e poi passa come brezza leggera e la Paura si scioglie in lacrime.
Pertanto ecco che arrivo alla provocazione del titolo. La Paura è fondamento dell'essere e non semplicemente una sensazione che provo, un semplice meccanismo di difesa. Rifiuto l'affermazione "Penso quindi esisto" e proclamo "Temo quindi esisto". ( mi sembra di essere un piccolo Nietzsche quando riesco a proclamare qualcosa... ).

A voi filosofi la palla...se vi interessa approfondire, con mezzi più "abili" di quelli del sottoscritto, naturalmente.
Caro Sari (se permetti la confidenza), anche se concordo che l’ evoluzione biologica che ha subito la nostra specie da quando è comparsa è del tutto irrilevante al contrario della sua spettacolare evoluzione culturale, non credo che la mente umana sia programmata unicamente e nemmeno “sostanzialmente” in modo da cercare unicamente cibo, acqua, riparo e sesso.
In questo modo sono programmati sostanzialmente (ma anch’ essi non unicamente, esclusivamente: quanto giocano anche i gatti o i cani, specialmente da piccoli!) gli altri animali.
Ma il comportamento umano (e la mente umana, che diviene di pari passo al cervello umano che il comportamento umano dirige), alla faccia delle reazionarie ricorrenti pretese deterministiche genetiche “tardolombrosiane” con cui ci bombardano continuamente i mezzi di comunicazione di massa, è quanto di più plastico e creativo esista in natura.
E come tanti altri aspetti della vita (ma esso in maniera particolarmente spettacolare) non è affatto limitato al soddisfacimento delle necessità della sopravvivenza individuale e di specie (fuga dai pericoli, alimentazione e riproduzione): come ha sempre fortemente affermato il grandissimo biologo (e uomo di straordinaria cultura e e notevolissima sensibilità e magnanimità) Stephen Jay Gould, tantissimi aspetti e caratteristiche della vita eccedono decisamente queste esigenze evoluzionistiche elementarissime, e sono proprio ciò che rende la vita stessa meravigliosa.
Ciò non toglie naturalmente che i comportamenti necessari alla sopravvivenza e riproduzione sono ben saldi in quanto geneticamente condizionati anche nella nostra specie (ma sono tendenze comportamentali generalizzate, e non certo “tardolombrosianamente” le peculiari attitudini e propensioni dei singoli individui, le quali, su una base genetica estremamente generica, sono plasmate e sviluppate nelle loro sostanziali peculiarità dalle esperienze “micro- e macro- sociali” di vita).
Anche la socialità umana ha dunque una base geneticamente determinata ma si sviluppa creativamente in maniera straordinariamente diversificata e creativa in ciascuna persona.

In questo senso secondo me (sarà che sono sostanzialmente un ottimista) la paura di cui parli (paura dell’ infelicità) è semplicemente il desiderio di felicità, la ricerca di ciò di cui la nostra esperienza di vita ci ha resi desiderosi, del perseguimento delle nostre aspirazioni non geneticamente determinate ma socialmente, culturalmente, storicamente, geograficamente, ecc. condizionate (nel bene e nel male a seconda dei casi). E di esse ovviamente quelle a una buona integrazione sociale sono parte importantissima.

Non so se sono stato soddisfacente in questo tentativo di risposta (…ecco che la speranza di una buona integrazione sociale nel forum, id est la paura di una repulsione da parte tua e degli altri frequentatori viene a galla).
sgiombo is offline  
Vecchio 13-02-2016, 17.58.49   #7
Sariputra
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Riferimento: La Paura è fondamento dell'essere.

Citazione:
Originalmente inviato da memento
A parte lo stile di scrittura (sempre coinvolgente e mai banale,complimenti),l'analisi che fai dei sentimenti umani e animali è superficiale,non puoi ridurre tutti gli istinti,i sentimenti e gli affetti alla paura. Fai come quei filosofi da cui ti distanzi,prendi un aspetto e lo assolutizzi.
Queste sono le mie "contro-argomentazioni",le prime venutemi in mente
1)Nessun animale,compreso l'uomo primitivo, compie rapporti sessuali con il pensiero di conservare la specie e non per un forte stimolo dettato dalla libido,per il proprio piacere. Ovviamente una migliore posizione nel branco consente di prendersi le femmine migliori. Analogo discorso per la fame: non è la paura di morire a spingerci a cercare cibo,ma lo stomaco. Non la mente,ma il corpo.
2)l'uomo non pensa esclusivamente per utile/dannoso,e forse nemmeno l'animale (cosa manca ad esempio ad un leone in gabbia?). Anzi,le cose più dilettevoli sono spesso le più inutili,ed è al pensiero di queste che l'uomo si adopera con le azioni utili.
3)La paura rende il muscolo contratto e il fiato corto,ragion per cui in guerra chi non sa dominare i propri timori è tra i primi a morire. Molte guerre sono nate con il solo intento di conquistare ed assoggettare altri popoli e territori. Dov'è la paura di morire? La vita non basta mai agli uomini...
4)Negli animali l'allerta del pericolo è costante. Ma trovo una sostanziale differenza fra l'essere umano che rabbrividisce al pensiero di questa condizione e l'animale che vi si trova. Non è lo stesso tipo di paura.
5)Nello stesso clan esistono individui più capaci e abili,un élite,e individui altrettanto meno bravi. Si può dire che l'organizzazione del clan risulti più vantaggiosa per quest'ultimi,e nasca soprattutto nel loro interesse (cioè per beneficiare dell'utile collettivo),chiaramente a patto di obbedire alle leggi dettate dai migliori. Manca un concetto fondamentale quando parli di clan e di branco: la gerarchia. Cosi come anche fra specie differenti esistono gerarchie,consolidate o meno,fra prede e predatori. Perché dico questo? Perché la preoccupazione di non piacere al clan è la preoccupazione di chi sottosta alla volontà altrui. Chi il potere lo ha in mano certi interrogativi nemmeno se li pone,sa di essere insostituibile.


Non trovo niente contro le tue obiezioni ma quello che volevo mettere in evidenza era il "movente", da cui si sviluppano successivamente proprio i concetti, sentimenti, azioni che evidenzi.
La stessa gerarchia all'interno del gruppo sociale umano si fonda sulla paura. Temiamo il potente ( il più forte che può farci male) e pertanto assumiamo un atteggiamento rispettoso, codardo e tendente a farcelo amico, per beneficiare della sua forza e della sua capacità di "far paura". E' un istinto soggiacente alla costruzione del pensiero. La coscienza, che a mio avviso non è mai in sè, ma sempre "coscienza di..." forse nasce come Coscienza-di-aver-Paura. L'istante di consapevolezza di pensare se stessi non può essere contemporaneamente l'istante dela consapevolezza della propria paura? E in questo sono d'accordo con te; l'animale vive istintivamente il proprio terrore, l'uomo lo pensa e ne rimane atterrito nella consapevolezza che quel sentimento lo avverte della sua finitudine, del suo pericolo di non sopravvivere, di non essere più cosciente di aver paura, di non essere più un IO-che -pensa di aver paura.
Infatti, in essenza, cos'è la Sete-di-esistere dell'Io se non Paura-di-Non esistere ? Quindi, come rotaie che corrono parallele, la Coscienza di essere e la Paura di Non essere vanno insieme, assolutamente abbracciate, inestricabilmente unite. Tanto che è impossibile distinguere quale delle due sia genitrice dell'altra. Lo sperimentiamo quando per esempio temiamo l'esito di un analisi medica che può decretare una malattia grave. La paura si manifesta immediata, assorbe tutto il campo del pensare, e diventa subito paura di soffrire-morire, paura di perdere e perdersi e , per gli spiriti nobili, paura della sofferenza che le persone amate proveranno per te/loro.
La differenza tra il pensare di essere e la paura di non essere è situato nel fatto che il primo è un evento razionale, mentre il secondo è sia irrazionale (istintivo, biologico) che razionale. Parrebbe quasi più completo il secondo, più a tutto tondo, inglobando l'intera natura umana che non è solo pensiero, ma pure istinto.
L'istinto/paura della nostra impermanenza sembra far sorgere l'idea: -Io sono l'essere che sperimenta la paura di non essere.
E' sorta prima la coscienza di essere o la coscienza di aver paura? Io , provocatoriamente s'intende, ho proclamato che ritengo la seconda come matrice della prima. Che poi il pensare di fuggire la paura abbia costruito gli innumerevoli mondi dell'uomo è fatto posteriore all'evento creatore (la primigenia coscienza di aver paura e quindi di essere). Il concetto/istinto della Paura di Non essere, che è la sete-di-esistere in altri termini, è fondamentalmente Desiderio (brama egoistica). Quindi Paura e Desiderio sono i due nomi che possiamo dare al fondamento dell'Essere. E allora proclamo ( questo mi diverte... ) che l'amato Essere non ha altri genitori che la Paura e il Desiderio.
Nessuna pretesa filosofica o scientifica in questa mia riflessione. Solo il riflettere. In piena aderenza allo spirito del forum che è, per l'appunto, Riflessioni.it.
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Vecchio 15-02-2016, 12.37.51   #8
green&grey pocket
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Riferimento: La Paura è fondamento dell'essere.

Non potrei mai scrivere bene come fai tu.
Direi che è perfetto.

Anche secondo me la paura è una componente principale, nel mio caso del problema filosofico-metafisico del soggetto.

Il tutto fortemente correlato con la violenza.

Leggendo Damasio, scopriamo che il cervello nasce per prima cosa con queste 2 aree, la neuroscienza testimonia che sono le aree più interne al cervello.
Anche nella psicologia dinamica i sentimenti base, gli unici assoluti e non mischiati con altri sono la paura e la rabbia.

Dateci queste premesse (appunto non mi interessa tanto il valore evolutivo o meno della cosa), rimane appunto tutto l'impensato.

Filosoficamente chi ha avuto gli attributi per l'auto-analisi? Nietzche, Freud...forse Kierkegaard.
In letteratura sono di più. Sostanzialmente tutti i grandi scrittori e poeti.

La paura dischiude scenari metafisici, sono totalmente concorde.
Mi è piaciuto tantissimo l'aneddoto e la riflessione finale del tuo scritto.

Ma in effetti se la teologia o la dialettica sono momenti negativi, cosa è in ballo se non il problema stesso della morte.

Devo tornare con la memoria ai miei 20 anni, quando studiai con impeto alcuni libri sul "morire".

La cosa che mi rimase impressa e che tutt'oggi riscontro in chi mi circonda, per non parlare dei fenomeni mediatici, era la riflessione sulle Necropoli.
Nel mondo arcaico gli uomini costruivano intere città che erano svariate centinaia di volte più grandi dei villaggi in cui abitavano i vivi.
Perchè? La paura dei fantasmi.
La paura prende sempre la forma di un fantasma.

E' per questo che la psicologia post-lacaniana parla di fantasmi.

Non è semplicente la proiezione errata dell'apparato conoscitivo, è qualcosa che si radica invece con le parti più inesplorate (potremmo dire anche inconsce) del nostro io, cioè appunto con le nostre paure più recondite.

La paura degli spiriti, ossia degli spettri, domina in maniera assolutamente non narrata e in maniera subdola e pervicace in tutti noi e in chi ci circonda.
E' una cosa che mi sorprende sempre.
Come è possibile che questa radice arcaica continui a sopravvivere nel mondo iper-mediatico e scientifico?
(non sto a dirvi certo della nuova ondata di Horror metafisico cinematografico che ricalca quando vado dicendo, "the ring" etc..)

La mia risposta non è mai stata semplicemente con la paura che i morti ti trascinino giù (non so se avete visto il signore degli anelli, o aveta mai ascoltato le ballate del terrore irlandesi), ma invece proprio il rapporto con quel "giù".

Io e credo anche Nietzche lo chiamiamo l'abisso. (non che io sia minimanete all'altezza del maestro, ma ben prima di conoscerlo, usavo la stessa parola).

Guardare l'abisso risveglia forme di paure ancestrali, sicuramente legate all'infanzia, ma a volte proprio ad invenzioni fantastiche, assolutamente incomprensibili. (penso all'iconografia di un Bosch)

Non so dire molto altro, nel senso che l'ho fatto raramente.
Di sicuro è una cosa pericolosa, perchè come in un racconto di POE la riflessione raddoppia quelle figure del terrore.
Fino a diventare delirio, come nel "gatto nero" di Poe, la ragione si curva nella prossimita dell'oggetto della paura.
(è qualcosa di gravitazionale, come qualcuno sa)


A proposito sì, il terrore è la paura del divino, del nome, del padre secondo la psicologia post-lacaniana, in una parola del significante, del dare nome allo sconosciuto, ossia il problema dell'ALTRO.


Dunque è il problema dell'ALTRO, è il problema dell'INCONSCIO, è il problema del DIO che non risponde.


Certo come dice Sgiombo la vita è anche tanto altro ancora.

Ma anche la paura è tanto altro ancora (non ho parlato della paura del reale, perchè l'ho fatto altrove).

La provocazione, la tentazione di dire che la paura è fondamento dell'essere, non va poi tanto lontando dalla verità del suo enunciato.

green&grey pocket is offline  
Vecchio 16-02-2016, 00.38.01   #9
Sariputra
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Riferimento: La Paura è fondamento dell'essere.

Citazione:
Originalmente inviato da green&grey pocket
Non potrei mai scrivere bene come fai tu.
Direi che è perfetto.

Anche secondo me la paura è una componente principale, nel mio caso del problema filosofico-metafisico del soggetto.

Il tutto fortemente correlato con la violenza.

Leggendo Damasio, scopriamo che il cervello nasce per prima cosa con queste 2 aree, la neuroscienza testimonia che sono le aree più interne al cervello.
Anche nella psicologia dinamica i sentimenti base, gli unici assoluti e non mischiati con altri sono la paura e la rabbia.

Dateci queste premesse (appunto non mi interessa tanto il valore evolutivo o meno della cosa), rimane appunto tutto l'impensato.

Filosoficamente chi ha avuto gli attributi per l'auto-analisi? Nietzche, Freud...forse Kierkegaard.
In letteratura sono di più. Sostanzialmente tutti i grandi scrittori e poeti.

La paura dischiude scenari metafisici, sono totalmente concorde.
Mi è piaciuto tantissimo l'aneddoto e la riflessione finale del tuo scritto.

Ma in effetti se la teologia o la dialettica sono momenti negativi, cosa è in ballo se non il problema stesso della morte.

Devo tornare con la memoria ai miei 20 anni, quando studiai con impeto alcuni libri sul "morire".

La cosa che mi rimase impressa e che tutt'oggi riscontro in chi mi circonda, per non parlare dei fenomeni mediatici, era la riflessione sulle Necropoli.
Nel mondo arcaico gli uomini costruivano intere città che erano svariate centinaia di volte più grandi dei villaggi in cui abitavano i vivi.
Perchè? La paura dei fantasmi.
La paura prende sempre la forma di un fantasma.

E' per questo che la psicologia post-lacaniana parla di fantasmi.

Non è semplicente la proiezione errata dell'apparato conoscitivo, è qualcosa che si radica invece con le parti più inesplorate (potremmo dire anche inconsce) del nostro io, cioè appunto con le nostre paure più recondite.

La paura degli spiriti, ossia degli spettri, domina in maniera assolutamente non narrata e in maniera subdola e pervicace in tutti noi e in chi ci circonda.
E' una cosa che mi sorprende sempre.
Come è possibile che questa radice arcaica continui a sopravvivere nel mondo iper-mediatico e scientifico?
(non sto a dirvi certo della nuova ondata di Horror metafisico cinematografico che ricalca quando vado dicendo, "the ring" etc..)

La mia risposta non è mai stata semplicemente con la paura che i morti ti trascinino giù (non so se avete visto il signore degli anelli, o aveta mai ascoltato le ballate del terrore irlandesi), ma invece proprio il rapporto con quel "giù".

Io e credo anche Nietzche lo chiamiamo l'abisso. (non che io sia minimanete all'altezza del maestro, ma ben prima di conoscerlo, usavo la stessa parola).

Guardare l'abisso risveglia forme di paure ancestrali, sicuramente legate all'infanzia, ma a volte proprio ad invenzioni fantastiche, assolutamente incomprensibili. (penso all'iconografia di un Bosch)

Non so dire molto altro, nel senso che l'ho fatto raramente.
Di sicuro è una cosa pericolosa, perchè come in un racconto di POE la riflessione raddoppia quelle figure del terrore.
Fino a diventare delirio, come nel "gatto nero" di Poe, la ragione si curva nella prossimita dell'oggetto della paura.
(è qualcosa di gravitazionale, come qualcuno sa)


A proposito sì, il terrore è la paura del divino, del nome, del padre secondo la psicologia post-lacaniana, in una parola del significante, del dare nome allo sconosciuto, ossia il problema dell'ALTRO.


Dunque è il problema dell'ALTRO, è il problema dell'INCONSCIO, è il problema del DIO che non risponde.


Certo come dice Sgiombo la vita è anche tanto altro ancora.

Ma anche la paura è tanto altro ancora (non ho parlato della paura del reale, perchè l'ho fatto altrove).

La provocazione, la tentazione di dire che la paura è fondamento dell'essere, non va poi tanto lontando dalla verità del suo enunciato.









La paura è una di quelle cose che vanno sperimentate, più che pensate.Il pensiero di solito ha la possibilità di placare, o raddoppiare, la paura, ma questa vive di vita propria e, rimossa dal pensiero, ritorna nel sogno e nei comportamenti inconsapevoli. Alla fine sembra che voglia "esser vista" dalla coscienza e così l'incubo ti avvisa che non ti eri sbarazzato di lei ma che semplicementi ti eri illuso di averci posto una pietra razionale sopra. Molte volte sembra che anche la Meraviglia della Bellezza ne sia stregata. Infatti quale sublime piacere estetico si prova nell' osservare il Mondo con gli occhi pieni di quel sentimento di "cosa che perderemo per sempre" ( e in questo perdere non affiora la Paura della Morte/impermanenza?).Mi vien quasi da pensare che, privata di questa oscura paura, la Bellezza non possa parlarci. Tolta la freccia conficcata in profondità dalla Paura, il reale è vuoto, denudato di ogni abbellimento estetico, mera meccanicità, un semplice meccanismo ( un Tic-Tac eterno).
E quindi ecco il lato positivo della Grande Paura: solo lei ci dona Senso, ci apre la porta sacra che conduce nell'Abisso di cui parli. Senza opporre resistenza alla paura, l'animo scende e si ritrova...sul limitare del bosco, indeciso se entrare nei suoi viluppi o fuggirlo. Un bosco antico, che sentiamo popolato, che ci sussurra...ma da chi?
E' di fronte a questo bosco oscuro, nella notte, che l'essere si vede nella sua nudità, nel suo vuoto di sostanza .Ma ecco che la Mente, spogliata e tremante , viene soccorsa . Una visione sorge, una visione intuitiva pura. Questa ti dice che il bosco terribile ha un limite, le voci sono solo illusioni, gli alberi minacciosi sono tutti cavi. E così', lentamente, a volte sorge l'Alba. Gli incubi si dileguano e un vasto spazio di libertà nasce in noi.
Sariputra is offline  

 



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