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Vecchio 27-08-2004, 11.27.17   #1
AngelaPaola
Ospite
 
Data registrazione: 27-08-2004
Messaggi: 12
Post La filosofia del suicidio

Mi è capitata tra le mani l’opera di Philipp Batz (vero nome Philipp Mainländer), la Filosofia della redenzione. Ho scoperto così un poco conosciuto pensatore dell’800 che suggerisce quale soluzione di tutti i problemi il suicidio. Detto così sembra nulla, ma leggete un po’.
Mi sono documentata sulla sua vita ed ho scoperto che, con teutonica coerenza, nella notte fra il 31 marzo e il 1 aprile del 1876 si strinse un cappio al collo e si impiccò.
La sua opera suscitò nell'immediato l'interesse del pubblico, ma poi fu rapidamente dimenticata. Ammiratore di Schopenhauer (lo diventiamo tutti dopo averlo letto) e di Leopardi, architettò un sistema filosofico interessante in cui in un certo senso, concentrò il pessimismo dei suoi due maestri: una filosofia basata sul principio secondo cui "il non essere è preferibile all'essere". Come Schopenhauer, Mainländer pensa che noi non conosciamo la cosa in sé ma solo apparenze, e che perciò il mondo non è che una nostra rappresentazione. Tuttavia, mentre per Schopenhauer la cosa in sé è "Volontà di vita", concepita come forza cieca, universale, superindividuale, Mainländer sostiene invece che essa è "volontà di morte" individuale, presente in tutti gli esseri. In questo lo trovo più credibile e in questo in un certo senso anticipa l'impulso di morte freudiano.
Non so quanto consapevolmente, ma mi pare che attinga anche da Spinoza: l’idea secondo la quale la sostanza divina originaria trapassa dalla sua unità trascendente alla pluralità immanente del mondo è sostanzialmente il Deus sive natura spinoziano. E afferma nietscheanamente che : "Dio è morto e la sua morte fu la vita del mondo". Qui occorre una riflessione. Infatti quando Mainländer si suicidò, Nietzsche no aveva ancora scritto le sue opere principali. Che sia Nietzsche ad aver preso spunto da Mainländer circa l’idea della morte di Dio? Temo di si (mi duole ammetterlo). Pare infatti che Nietzsche, impressionato dalla Filosofia della Redenzione, scrivesse: "Abbiamo letto molto Voltaire, ora tocca a Mainländer".
Questo non ha molta importanza, perché tra i due pensatori vi è una differenza sostanziale: a uccidere Dio per Nietzsche fu l’uomo, per Mainländer non fu l'uomo ma, udite udite, è Dio stesso che si dà la morte seguendo l'impulso in lui connaturato a passare dall'essere al nulla. In verità, Mainländer intende essere fedele all'immanenza, e nega con Kant che si possa conoscere la natura del principio divino trascendente. Professa anzi un "ateismo scientifico" per il quale l'essenza di Dio è inconoscibile. Fin qui tutto bene e niente di nuovo.
La novità sta nel fatto che Mainländer ritiene che noi possiamo pensare l'origine del mondo "come se essa fosse il risultato di un atto di volontà motivato", per così dire l'effetto di un'azione della trascendenza, altrimenti per noi inconoscibile, e precisamente come l'atto mediante il quale la trascendenza, ossia il "superessere" che sta oltre l'essere e precede il mondo, si dissolve nell'immanenza del mondo, quindi nel non essere. La genesi del mondo ha origine dalla volontà divina di passare dal superessere, attraverso l'essere del mondo, fino al nulla. È il suicidio, l'"autocadaverizzazione" di Dio. Pensiero originalissimo sotto il profilo speculativo, trovo.
E non è così banale e inverosimile come può in un primo tempo apparire: è come se Mainländer trasformasse e radicalizzasse il pessimismo schopenhaueriano in una "metafisica dell'entropia", da cui ricava con coerenza tutto il suo pensiero: la sua fisica, la sua filosofia della storia soggetta alla legge universale del dolore, la sua politica, la sua etica, e la sua idea del suicidio quali negazione della volontà. In questa scelta radicale egli vede la possibilità di una "redenzione dall'esistenza", la disingannata speranza di potere alla fine "guardare negli occhi il Nulla assoluto". Speranza che egli si affrettò a esaudire da sé, senza aspettare il naturale decorso di Madre Natura.
Ci fu un epilogo alla sua storia: la sorella Minna, che lo aveva seguito nei suoi studi filosofici, raccolse i saggi lasciati dal fratello e nel 1886 li pubblicò come secondo volume della Filosofia della redenzione. Quindi si suicidò anche lei.
Eduard von Hartmann e Julius Bahnsen, più famosi di Mainländer, tentarono altre teorie del pessimismo estremo, ma secondo me con risultati molto meno interessanti.. Anche Alfred Kubin, Borges e Cioran si sono interessati dell'opera di questo singolare filosofo, oggi praticamente dimenticato. Dimenticato perché? Semplicemente perché le sue idee sono davvero molto difficili da comprendere per chi vive “conforme” alle regole, ma soprattutto dimenticato perché molto meno attuabile del pensiero Heideggeriano della libera morte e molto meno potente e scandaloso di Nietzsche.
Scrive Camus «Esiste per la filosofia un solo vero problema, ed è il problema del suicidio. C'è per la filosofia una sola vera domanda alla quale la filosofia stessa deve cercare di dare una risposta. La domanda è: "La vita vale la pena di essere vissuta oppure è il caso di non viverla?"». Tutta un’altra cosa rispetto al pensiero dei grandi filosofi contemporanei. Dilettantismi letterari per chi ancora cerca lo scopo della vita. Non si tratta più di giudicare se la vita vale o non vale la pena di essere vissuta, non si tratta più di pensare che questa sia ancora la domanda fondamentale della filosofia! La filosofia è andata ben oltre. Il suicidio di Jacopo Ortis come incapacità di misurarsi con il suo tempo è forse ammirevole sotto il profilo letterario, ma nulla di più. Pensiamo anche a tutti coloro che non vedono obiezioni a commettere un suicidio …Seneca, Hume, Montesquieu, Sartre ecc. Tutta robetta. Interessante, suggestiva, patetica robetta.
Non facciamoci nemmeno incantare dal fascino di Cleopatra che si sottrae alla prigionia presso Ottaviano compiendo un suicidio spettacolare! Né facciamoci incantare dalla mitologia nordica dove Wotan accoglie nel Walhalla soltanto coloro che sono morti violentemente, nè dai Maya dove Ixtab, "La Signora della corda" veniva rappresentata appesa ad un capestro, era la dea dei suicidi e questi andavano in un paradiso proprio in quanto questi erano considerati sacri. Tutta robetta.
Per noi il pensiero forte, quello che arriverà parallelo alla civiltà, sarà figlio di Mainländer, di Nietzsche e di Heidegger.
AngelaPaola is offline  
Vecchio 27-08-2004, 13.00.40   #2
neman1
Ospite abituale
 
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Data registrazione: 24-04-2004
Messaggi: 839
Ciao AngelaPaola...

...e benvenuta tra noi.

Ho trovato interessante cio che scrivi inquanto la morte e suicidi hanno spesso fatto parte del mio mondo, ed in grosso modo condivido il pensiero di Mainlaender tranne per il fatto che tale comprensione non puo leggitimare il suicidio fisico, bensi' mettere costituire il "principio" verso l'abbandono alle cose, l'abbandono del principio stesso....il suo suicidio. Condivido, tradotto da me che quando uno muoie e' l'universo a morire per il suo tramite. Su questa comprensione si basa la medianicita'. Spero, non la giustificazione del suicidio fisico. Difatti, una ragazza che voleva buttarsi dal 10imo piano non considerava la possibilita' di sopravvivere la caduta. Ciao
neman1 is offline  
Vecchio 30-08-2004, 23.24.29   #3
caspar
Ospite
 
Data registrazione: 07-06-2004
Messaggi: 10
sul suicidio

cara angelapaola hai copiato pari pari un articolo di repubblica, comunque non ho capito l'ironia del finale: i suicidi nella letteratura e nelle culture sono bazzecole o cose da prendere sul serio,
comunque potrei continuare l'elenco delle citazioni: Werther, Padri e Figli (Turgenev, Adolphe di Constant, I Demoni, Delitto e Castigo e La mite. Per limitarmi ai suddetti romanzi potrei scrivere qualcosa su ognuno di essi, sei vuoi dialogare con me contattami.
caspar is offline  

 



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